Autore Daron Acemoglu
CoautoreJames A. Robinson
Titolo La strettoia
SottotitoloCome le nazioni possono essere libere
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2020, La Cultura 1374 , pag. 792, ill., cop.fle., dim. 14,5x21,5x4,5 cm , Isbn 978-88-428-2702-3
OriginaleThe Narrow Corridor [2019]
TraduttoreFabio Galimberti, Gaia Seller
LettoreGiorgia Pezzali, 2021
Classe politica , storia sociale , storia economica , scienze sociali












 

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Indice


    Prefazione                                    9

 1. Come finisce la storia?                      19

 2. La Regina Rossa                              59

 3. Volontà di potenza                          113

 4. L'economia fuori dal corridoio              141

 5. L'allegoria del buon governo                179

 6. Le forbici europee                          213

 7. Il mandato del Cielo                        275

 8. Quando la Regina Rossa si inceppa           323

 9. Il diavolo nei dettagli                     361

10. Che cos'ha di così speciale Ferguson?       411

11. Il Leviatano di carta                       457

12. I figli di Wahhab                           497

13. Quando la Regina Rossa sfugge al controllo  523

14. All'interno del corridoio                   571

15. Convivere con il Leviatano                  621


    Ringraziamenti                              665
    Saggio bibliografico                        669
    Fonti delle mappe                           705
    Bibliografia                                707
    Fonti delle immagini                        757
    Indice analitico                            759


 

 

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Pagina 9

Prefazione




Libertà


Questo libro parla della libertà e dei modi e delle ragioni per cui le società umane riescono o non riescono a conquistarla. Parla anche delle conseguenze di tutto questo, in particolare per la prosperità. La nostra definizione segue le orme del filosofo inglese John Locke , che sosteneva che le persone sono libere quando hanno

perfetta libertà di regolare le proprie azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio [...] senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro.

La libertà, così intesa, è un'aspirazione fondamentale di tutti gli esseri umani. Locke sottolineava che

nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà, o nei possessi.


Eppure, è evidente che nella storia la libertà è un bene raro, e lo è anche oggi. Ogni anno milioni di persone, in Medio Oriente, Africa, Asia e America centrale, fuggono dalle loro case mettendo a rischio la vita, non perché cerchino redditi più alti o un maggiore benessere materiale, ma perché cercano di proteggere se stessi e le loro famiglie dalla violenza e dalla paura.

I filosofi hanno proposto molte definizioni di libertà. Ma al livello più basilare, come riconosceva Locke, libertà significa innanzitutto liberare le persone da violenza, intimidazioni e altri atti degradanti. Le persone devono avere la libertà di prendere decisioni sulla loro vita e avere i mezzi per portarle avanti, senza la minaccia di punizioni irragionevoli o sanzioni sociali draconiane.

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Pagina 14

La nostra risposta è semplice: la libertà ha bisogno dello Stato e delle leggi. Ma non è qualcosa che viene concesso dallo Stato o dalle élite che lo controllano. È qualcosa che viene conquistato dalla gente comune, dalla società. La società deve controllare lo Stato per garantire che protegga e promuova la libertà delle persone, invece di soffocarla come ha fatto Assad in Siria prima del 2011. La libertà ha bisogno di una società pronta a mobilitarsi e in grado di partecipare alla vita politica, di protestare quando è necessario e di mandare a casa un governo attraverso il voto, quando vi riesce.




Il corridoio stretto che porta alla libertà


In questo libro, sosteniamo la tesi che lo Stato e la società devono essere entrambi forti per far emergere e fiorire la libertà. Ci vuole uno Stato forte per combattere la violenza, far rispettare le leggi e fornire servizi pubblici indispensabili per garantire alle persone la possibilità di fare scelte e portarle avanti. Ci vuole una società forte e mobilitata per controllare e incatenare uno Stato forte. I Doppelgänger e i controlli e contrappesi non risolvono il problema di Gilgameš, perché se la società non vigila, le costituzioni e le garanzie non valgono molto di più della pergamena su cui sono scritte.

Schiacciata fra la paura e la repressione degli stati dispotici da un lato, e la violenza e l'illegalità che emergono in loro assenza dall'altro, c'è una strettoia che conduce verso la libertà. È il corridoio dove Stato e società si equilibrano a vicenda. Questo equilibrio non si raggiunge attraverso una rivoluzione: è una lotta costante, giorno dopo giorno, fra queste due entità. È una lotta che porta benefici. All'interno del corridoio, Stato e società non si limitano a competere fra loro, ma collaborano anche, e questa collaborazione permette allo Stato di accrescere la sua capacità di fornire le cose che la società vuole, e stimola una maggiore mobilitazione della società per tenere sotto controllo questa capacità.

È un corridoio e non una porta, perché la conquista della libertà è un processo: bisogna percorrere a lungo questo corridoio prima di riuscire a riportare sotto controllo la violenza, scrivere e applicare le leggi e avere uno Stato capace di erogare servizi ai suoi cittadini. È un processo perché lo Stato e le sue élite devono imparare a convivere con i paletti che la società impone loro, e i diversi segmenti della società devono imparare a lavorare insieme nonostante le differenze.

È una strettoia perché non è un'impresa facile. Come si fa a contenere uno Stato che ha una burocrazia enorme, un esercito potente e la libertà di stabilire che cosa è legge e che cosa no? Come si fa a garantire che lo Stato, quando viene spronato ad assumersi maggiori responsabilità in un mondo complesso, rimarrà mansueto e sotto controllo? Come si fa a fare in modo che la società continui a lavorare insieme, invece di rivoltarsi contro se stessa, lacerata dalle divisioni? Come si fa impedire che tutto questo si trasformi in un conflitto a somma zero? Non è affatto semplice, ed è per questo che il corridoio è così stretto e le società vi entrano e ne escono con ripercussioni di così ampia portata.

Sono tutte cose che non è possibile programmare a tavolino. Anche perché non sono molti i leader che, lasciati fare di testa propria, si impegnerebbero davvero per programmare un futuro di libertà. Quando lo Stato e le sue élite sono troppo potenti e la società è remissiva, perché i leader dovrebbero concedere alla gente diritti e libertà? E anche lo facessero, come possiamo sapere che manterranno la parola?

Le origini della libertà si possono ripercorrere nella storia della liberazione delle donne, dai tempi di Gilgameš fino ai giorni nostri. Come ha fatto la società a passare da una situazione in cui, come dice l'epopea, il sovrano «pretende di essere il primo con la sposa, che il re sia il primo e il marito venga dopo di lui», a una situazione in cui le donne hanno diritti (in certe società, quantomeno)? Forse questi diritti sono stati concessi dagli uomini? Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno un Consiglio per l'equilibrio tra i generi, istituito nel 2015 dallo sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, vicepresidente e primo ministro del paese nonché governatore di Dubai. Ogni anno il consiglio assegna premi per la parità di genere per cose come il «miglior ente governativo che supporta l'equilibrio tra i generi», «la migliore autorità federale che supporta l'equilibrio tra i generi» e «la migliore iniziativa per l'equilibrio tra i generi». I premi assegnati nel 2018, conferiti dallo sceicco al-Maktoum in persona, hanno una cosa in comune: sono andati tutti a uomini! Una soluzione che era stata pensata dallo sceicco al-Maktoum e imposta alla società, senza la partecipazione di quest'ultima: ecco il problema.

Mettiamo a confronto questa situazione, per esempio, con la più grande vittoria nella storia delle lotte femministe, in Gran Bretagna, dove i diritti alle donne non furono una concessione, ma una conquista. Le donne formarono un movimento di massa, le cosiddette suffragette. Era una costola della Women's Social and Political Union, un movimento di sole donne fondato in Inghilterra nel 1903. Non attesero che gli uomini elargissero premi per «la migliore iniziativa per l'equilibrio tra i generi». Si mobilitarono. Praticarono azioni dirette e iniziative di disobbedienza civile. Incendiarono la casa estiva dell'allora cancelliere dello scacchiere e successivamente primo ministro, David Lloyd George. Si incatenarono ai cancelli del Parlamento. Si rifiutarono di pagare le tasse e quando venivano mandate in prigione facevano lo sciopero della fame e dovevano essere alimentate a forza.

Emily Davison era un membro di spicco del movimento delle suffragette. Il 4 giugno 1913, all'Epsom Derby, la famosa corsa dei cacavalli, Davison corse sulla pista davanti ad Anmer, un cavallo che apparteneva al re Giorgio V. Emily Davison, che secondo alcune testimonianze aveva in mano la bandiera viola, bianca e verde delle suffragette, venne travolta da Anmer. Il cavallo perse l'equilibrio e la schiacciò, come mostra una foto dell'epoca che accompagna l'articolo. Quattro giorni dopo Emily Davison morì per i traumi riportati. Cinque anni più tardi le donne ottennero il diritto di votare alle elezioni parlamentari. In Gran Bretagna le donne non conquistarono i loro diritti grazie alle magnanime concessioni di qualche dirigente uomo, ma perché si organizzarono e si emanciparono.

La storia dell'emancipazione femminile non è un caso unico o eccezionale. La libertà dipende quasi sempre dalla mobilitazione della società e dalla sua capacità di tenere testa allo Stato e alle classi dominanti.

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Pagina 19

1. Come finisce la storia?




Un'anarchia prossima ventura?


Nel 1989 Francis Fukuyama vaticinò la «fine della storia», con una convergenza di tutti i paesi verso le istituzioni politiche ed economiche degli Stati Uniti, e la definì «una vittoria incontrastata del liberalismo politico ed economico». Appena cinque anni dopo Robert Kaplan dipinse un quadro radicalmente diverso del futuro nel suo articolo «The Coming Anarchy». Per illustrare la natura di questo caos fatto di illegalità e violenza, si sentì in dovere di iniziare dall'Africa occidentale:

L'Africa occidentale sta diventando il simbolo [dell'anarchia] [...]. Malattie, sovrappopolazione, crimini gratuiti, scarsità di risorse, migrazioni di profughi, la crescente erosione degli stati nazionali e dei confini internazionali e il potenziamento di eserciti privati, servizi di sicurezza e cartelli internazionali della droga trovano la loro dimostrazione più efficace nell'Africa occidentale. L'Africa occidentale rappresenta l'introduzione perfetta a questi problemi, spesso alquanto sgradevoli da discutere, con cui la nostra civiltà dovrà ben presto confrontarsi. Per capire come sarà la mappa politica del pianeta tra qualche decennio [...] trovo necessario partire dall'Africa occidentale.


In un articolo del 2018, «Why Technology Favors Tyranny», Yuval Noah Harari ha fatto un'altra previsione ancora per il futuro, sostenendo che i progressi dell'intelligenza artificiale preannunciano l'ascesa di «dittature digitali», dove i governi saranno in grado di monitorare, controllare e perfino dettare il nostro modo di interagire, comunicare e pensare.

Insomma, la storia potrebbe ancora finire, ma in un modo ben diverso da quello prospettato da Fukuyama. Ma come? Il trionfo della democrazia immaginato da Fukuyama, l'anarchia o la dittatura digitale? L'aumento del controllo dello Stato cinese su internet, sui media e sulle vite dei cittadini comuni potrebbe indicare che ci stiamo dirigendo verso una dittatura digitale, mentre la storia recente del Medio Oriente e dell'Africa ci ricorda che un futuro di anarchia non è uno scenario tanto azzardato.

Per ragionare su tutto questo, però, dobbiamo adottare un approccio sistematico. Come suggerito da Kaplan, partiamo dall'Africa.

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Pagina 27

La warre e il Leviatano


AIla maggior parte di noi, che viviamo nella sicurezza e negli agi, la Lagos degli anni novanta può sembrare un'aberrazione. Ma non lo è. Per gran parte dell'esistenza umana, l'insicurezza e il dominio sono stati una costante della vita delle persone. Per gran parte della storia, anche dopo l'avvento dell'agricoltura e della vita stanziale, circa diecimila anni fa, gli esseri umani hanno vissuto in società «senza Stato». Alcune di queste società assomigliano ai rari gruppi di cacciatori-raccoglitori sopravvissuti in regioni remote dell'Amazzonia e dell'Africa (a volte questi gruppi vengono chiamati anche «società su piccola scala»). Ma altre, come i pashtun, un gruppo etnico di circa 50 milioni di persone che occupa gran parte dell'Afghanistan meridionale e orientale e il Pakistan nordoccidentale, erano molto più grandi e praticavano l'agricoltura e la pastorizia. Reperti archeologici e antropologici indicano che molte di queste società erano prigioniere di un'esistenza ancora più traumatica di quella che gli abitanti di Lagos subivano quotidianamente negli anni novanta.

Le testimonianze storiche più significative provengono dai morti in guerra o per omicidio, che gli archeologi ipotizzano basandosi sui resti di scheletri sfigurati o danneggiati; alcuni antropologi hanno avuto modo di osservare questi fatti in prima persona nelle società senza Stato arrivate fino a noi. Nel 1978 l'antropologa Carol Ember documentò in modo sistematico che nelle società di cacciatori-raccoglitori c'erano percentuali molto elevate di conflitti armati, informazione che contraddiceva nettamente l'immagine del «buon selvaggio» prevalente fra i suoi colleghi. Dai suoi studi emergeva che nei due terzi delle società analizzate le guerre erano frequenti, almeno ogni due anni. Soltanto il 10 per cento di queste società non aveva avuto guerre. Steven Pinker , sulla base di una ricerca diù Lawrence Keeley , ha compilato dati su 27 società senza Stato studiate dagli antropologi negli ultimi duecento anni e ha stimato il tasso di mortalità per cause violente a più di 500 ogni 100000 abitanti, oltre 100 volte di più dell'attuale tasso di omicidi negli Stati Uniti (che è di 5 ogni centomila abitanti) e oltre 1000 volte di più di quello della Norvegia (che è di circa 0,5 per centomila). Le testimonianze archeologiche delle società premoderne sono coerenti con questo livello di violenza.

È il caso di fermarci un attimo per riflettere sul significato di questi numeri. Con un tasso di mortalità superiore al 500 per centomila, ossia lo 0,5 per cento, un abitante di questa società in un arco di cinquant'anni ha circa il 25 per cento di probabilità di venire ucciso: è come se un quarto della gente che conoscete finisse morta ammazzata. È difficile per noi immaginare l'imprevedibilità e la paura che può implicare una violenza sociale così sfacciata.

Gran parte di questi morti e di questi massacri era causata da guerre fra tribù o gruppi rivali, ma non erano solo le guerre e i conflitti fra gruppi diversi a determinare questa violenza incessante. I gebusi della Nuova Guinea, per esempio, avevano un tasso di omicidi ancora più alto - quasi del 700 per centomila, prima di entrare in contatto con il resto del mondo, negli anni quaranta e cinquanta del XX secolo - e questi omicidi avvenivano principalmente durante periodi normali, di pace (se una situazione in cui ogni anno viene ucciso quasi l'1 per cento della popolazione si può definire un periodo di pace!). Il motivo sembra legato alla convinzione che ogni morte sia determinata da un atto di stregoneria, cosa che scatena la caccia ai responsabili anche nel caso di morti non violente.

Ma non è solo l'omicidio a rendere precaria l'esistenza delle società senza Stato. In queste società, l'aspettativa di vita alla nascita era molto bassa, fra i 21 e 37 anni. Prima degli ultimi due secoli, anche fra i nostri progenitori un'aspettativa di vita del genere non era insolita. Insomma, molti dei nostri antenati, proprio come gli abitanti di Lagos, vivevano in ciò che il famoso filosofo politico Thomas Hobbes descrisse nel suo Leviatano come il

continuo timore e pericolo di morte violenta; e la vita dell'uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve.

Era ciò che Hobbes, il quale scriveva in un altro periodo da incubo, ovvero la Guerra civile inglese degli anni quaranta del Seicento, definiva, nell'inglese dell'epoca, warre (guerra), e che Kaplan avrebbe definito «anarchia», un contesto di guerra di tutti contro tutti, «di ogni uomo contro ogni altro uomo».

[...]

Naturalmente, le persone cercherebbero una via d'uscita dall'anarchia, un modo per imporre «restrizione su loro stessi» e «uscire da quella miserabile condizione di guerra, che è necessariamente conseguente [...] alle passioni naturali degli uomini». Hobbes aveva già anticipato come ciò potesse accadere quando aveva introdotto la nozione di guerra, poiché aveva osservato che la guerra emerge quando «gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione». Hobbes soprannominò tale potere comune «quel gran LEVIATANO chiamato COMUNITÀ POLITICA [commonwealth] o STATO», tre parole che usa in modo intercambiabile. La soluzione alla warre stava dunque nel creare il tipo di autorità centralizzata che i congolesi, i nigeriani o gli abitanti di società anarchiche, senza Stato, non avevano. Hobbes usò l'immagine del Leviatano, il grande mostro marino descritto nella Bibbia, per sottolineare che questo Stato doveva essere forte. Il frontespizio del suo libro, mostrato nell'inserto fotografico, conteneva un'incisione del Leviatano con una citazione dal Libro di Giobbe:

Nessuno sulla terra è pari a lui. (Giobbe 41:25)

Il concetto è chiaro.

Hobbes era consapevole che l'onnipotente Leviatano sarebbe stato visto con timore. Ma meglio temere un Leviatano potente che temere chiunque. Il Leviatano avrebbe fermato la guerra di tutti contro tutti, avrebbe fatto in modo che gli uomini non cercassero «di distruggersi o di sottomettersi l'un l'altro», avrebbe ripulito le strade dalla spazzatura e dagli area boys e fatto funzionare la rete elettrica.

Sembra fantastico, ma come si fa, esattamente, a procurarsi un Leviatano?

[...]

Ci sono molte altre cose, però, su cui Hobbes non aveva visto giusto. Per dirne una, abbiamo scoperto che le società senza Stato, almeno in una certa misura, mantengono la capacità di controllare la violenza e tacitare i conflitti, anche se, come vedremo, questo non determina una grande libertà. Per dirne un'altra, il filosofo inglese era troppo ottimista sulla libertà che avrebbero portato gli stati. Hobbes aveva infatti torto su una questione dirimente (e ha torto anche la comunità internazionale, potremmo aggiungere noi): la ragione non è del più forte, e di certo non è quando la ragione è del più forte che si creano le condizioni per la libertà. Anche vivere sotto il giogo dello Stato può essere sgradevole, brutale e breve.

Partiamo da quest'ultimo punto.




Colpisci e sgomenta


Il problema, semplicemente, non era che lo Stato nigeriano non aveva intenzione di arrestare l'anarchia a Lagos o che lo Stato congolese aveva deciso che era meglio non far rispettare le leggi e lasciare che i ribelli uccidessero la gente. Il fatto è che non avevano la capacità di fare queste cose. La capacità di uno Stato è rappresentata dai mezzi che può mettere in campo per raggiungere i suoi obiettivi. Tali obiettivi spesso includono l'applicazione delle leggi, la risoluzione dei conflitti, la regolamentazione e la tassazione delle attività economiche e l'erogazione di infrastrutture o altri servizi pubblici. A volte includono anche fare la guerra. La capacità dello Stato dipende in parte da come sono organizzate le sue istituzioni, ma ancor di più dipende dalla sua burocrazia. Lo Stato ha bisogno che ci siano burocrati e dipendenti pubblici per mettere in pratica i suoi piani, e questi burocrati devono avere i mezzi e la motivazione per portare avanti la loro missione. Il primo a esporre nel dettaglio questa visione è stato il sociologo tedesco Max Weber , che si ispirava alla burocrazia prussiana, spina dorsale dello Stato tedesco nel XIX e nel XX secolo.


Nel 1938 la burocrazia tedesca aveva un problema. Il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori al potere aveva deciso di espellere tutti gli ebrei dall'Austria, recentemente annessa alla Germania. Ma ben presto spuntò fuori un intoppo burocratico. Le cose dovevano essere fatte nel modo appropriato, quindi ogni ebreo doveva mettere insieme una serie di carte e documenti per poter espatriare. La cosa richiedeva una quantità di tempo spropositata e l'uomo che occupava la scrivania IV-B-4 nelle Ss (le Schutzstaffeln, un'organizzazione paramilitare nazista), Adolf Eichmann, ricevette l'incarico di trovare una soluzione. Eichmann ebbe una trovata che oggi la Banca Mondiale definirebbe «sportello unico». Sviluppò una sorta di catena di montaggio che integrava tutti gli uffici interessati: il Ministero delle Finanze, i funzionari delle imposte sul reddito, la polizia e i rappresentanti della comunità ebraica. Mandò anche funzionari ebrei all'estero per sollecitare fondi da organizzazioni ebraiche, in modo che gli ebrei potessero acquistare i visti necessari per l'emigrazione. Ecco cosa scrive Hannah Arendt nel suo libro La banalità del male:

A un capo si infila un ebreo che possiede ancora qualcosa, una fabbrica, un negozio, un conto in banca, e questo percorre l'edificio da uno sportello all'altro, da un ufficio all'altro, e sbuca all'altro capo senza un soldo, senza più nessun diritto, solamente con un passaporto in cui si dice: «Devi lasciare il paese entro quindici giorni, altrimenti finirai in un campo di concentramento».


Il risultato dello sportello unico fu che 45000 ebrei lasciarono l'Austria in otto mesi. Eichmann fu promosso al grado di Obersturmbannführer (tenente colonnello) e poi avanzò nella scala gerarchica fino a diventare il coordinatore dei trasporti per la Soluzione finale, incarico che implicava la risoluzione di molti intoppi burocratici simili per facilitare lo sterminio di massa.

Ecco uno Stato potente e capace al lavoro, un Leviatano burocratico. Ma era uno Stato che usava questa capacità non per risolvere conflitti o fermare la warre, ma per vessare, depredare e poi uccidere gli ebrei. Il Terzo Reich tedesco, edificato sulla tradizione della burocrazia prussiana e dei suoi militari di professione, può certamente essere considerato un Leviatano, in base alla definizione di Hobbes. Proprio come auspicavano Hobbes, i tedeschi, o quantomeno una grossa fetta dei tedeschi, cercavano «di sottomettere [...] ogni loro volontà alla volontà di lui, ed ogni loro giudizio al giudizio di lui». Il filosofo tedesco Martin Heidegger diceva ai suoi studenti: «Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà di domani e quindi la sua legge». Lo Stato tedesco incuteva soggezione anche alla popolazione, non solo ai seguaci di Hitler: erano pochi quelli disposti a opporsi o a infrangere le sue leggi.

La soggezione si tramutò in paura, con le Sa (le Sturmabteilung, una milizia paramilitare che girava in camicia bruna), le Ss e la Gestapo che scorrazzavano per le strade. I tedeschi passavano le loro notti nel terrore, aspettandosi da un momento all'altro di sentire quei colpi secchi alla porta e gli stivali militari che entravano nel loro salotto per portarli in qualche scantinato per un interrogatorio o per richiamarli sotto le armi e spedirli sul fronte orientale, incontro a una morte quasi certa. Il Leviatano tedesco era molto più temuto dell'anarchia in Nigeria o in Congo. E per ottime ragioni, se si considera che imprigionò, torturò e uccise una massa enorme di tedeschi: socialdemocratici, comunisti, oppositori politici, omosessuali e testimoni di Geova. Assassinò sei milioni di ebrei, molti dei quali erano cittadini tedeschi, e duecentomila rom; secondo alcune stime, il numero di slavi uccisi in Polonia e Russia superò i dieci milioni.

Quello che i tedeschi e i cittadini dei territori occupati dalla Germania subirono sotto il regno di Hitler non era la warre di Hobbes: era una guerra dello Stato contro i suoi cittadini. Era dominio e omicidio. Non esattamente quello che Hobbes si augurava dal suo Leviatano.




Rieducazione attraverso il lavoro


La paura dello Stato onnipotente non si limita a eccezioni aberranti come lo Stato nazista. È un fenomeno molto più comune. Negli anni cinquanta la Cina era ancora il modello ideale di molti europei di sinistra, il pensiero maoista era di rigore nei caffè francesi e il Libretto rosso del presidente Mao era un bestseller nelle librerie di tendenza. Dopotutto, il Partito comunista cinese si era sbarazzato del giogo del colonialismo giapponese e dell'imperialismo occidentale ed era impegnato a costruire, partendo dalle ceneri, uno Stato capace e una società socialista.

[...]

Luo non venne arrestato durante il Grande balzo in avanti, ma nel marzo del 2001, quando la Cina era già un membro rispettato della comunità internazionale e una potenza economica. Anzi, il sistema di rieducazione attraverso il lavoro vanne ampliato dopo il 1979 da Deng Xiaoping , l'artefice della leggendaria crescita economica cinese degli ultimi quarant'anni, che lo vedeva come un utile complemento del suo programma di «riforma economica». Nel 2012 c'erano all'incirca 350 campi di rieducazione, con 160000 detenuti. Si poteva essere internati in uno di questi campi per un periodo fino a quattro anni senza nessun processo legale. I campi di rieducazione sono solo una parte di un gigantesco gulag formato da centri di detenzione e varie «prigioni nere» illegali sparsi nelle campagne cinesi, e sono integrati da un esteso «sistema di correzioni comunitarie», che è cresciuto rapidamente negli ultimi anni. Nel maggio 2014 il sistema stava «correggendo» 709000 persone.

La lotta continua. Nell'ottobre 2013 il presidente Xi Jinping decise di elogiare l'«esperienza di Fengqiao» ed esortò i quadri del Partito comunista a seguire il suo esempio. La frase si riferisce a un distretto nella provincia di Zhejiang che implementò la campagna politica delle «Quattro pulizie» di Mao Zedong nel 1963, in cui non si arrestava nessuno ma si inducevano le persone a monitorare, riferire e aiutare pubblicamente a «rieducare» i loro vicini. Fu il preludio della Rivoluzione culturale, che portò all'assassinio di centinaia di migliaia, forse milioni di cinesi innocenti (la cifra esatta non si conosce e non viene divulgata).

Il Leviatano cinese, proprio come il Leviatano del Terzo Reich, ha la capacità di risolvere i conflitti e fare le cose. Ma usa la sua capacità non per promuovere la libertà, bensì la repressione e il dominio più brutali. Rimuove la warre, ma solo per sostituirla con un incubo diverso.

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Pagina 53

Diversità, non fine della storia


Nella storia dell'umanità, la libertà è una cosa rara. Molte società non hanno sviluppato nessuna autorità centrale in grado di far rispettare le leggi, risolvere pacificamente i conflitti e proteggere il debole contro il forte. Invece, hanno spesso imposto alle persone una gabbia di norme, con conseguenze altrettanto tragiche per la libertà. Dovunque è apparso il Leviatano, la libertà ci ha guadagnato poco: anche se fa rispettare le leggi e mantiene la pace in alcuni ambiti, il Leviatano è spesso dispotico, e quindi insensibile alla società, e fa ben poco per ampliare la libertà dei suoi cittadini. Soltanto gli stati incatenati usano il loro potere per proteggere la libertà. Il Leviatano incatenato si è contraddistinto anche sotto altri aspetti, creando un'ampia base di opportunità economiche e incentivi e promuovendo una crescita prolungata della prosperità economica. Ma questo Leviatano incatenato è arrivato sulla scena solo recentemente e la sua ascesa è stata contestata e controversa.

Stiamo cominciando a intravedere la risposta alla domanda da cui siamo partiti. Non stiamo dicendo che siamo diretti verso la fine della storia, con un'inesorabile ascesa della libertà. Non stiamo dicendo che l'anarchia si diffonderà in tutto il mondo senza controllo. E non stiamo dicendo nemmeno che tutti i Paesi del mondo soccomberanno alle dittature, che siano digitali o vecchio stampo. Sono tutte possibilità, e la norma è la diversità, non la convergenza verso uno solo di questi risultati. Tuttavia, c'è anche un barlume di speranza, perché gli esseri umani sono capaci di costruire un Leviatano incatenato, in grado di risolvere i conflitti, astenersi dal dispotismo e favorire la libertà allentando la gabbia di norme. Dirò di più: molti progressi degli esseri umani dipendono dalla capacità delle società di costruire questo genere di Stato. Ma costruire e difendere (e tenere sotto controllo) un Leviatano incatenato richiede impegno, ed è sempre un work in progress, spesso gravido di pericoli e instabilità.

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Una breve panoramica del resto del libro


In questo capitolo abbiamo introdotto la triplice distinzione tra Leviatano assente, Leviatano dispotico e Leviatano incatenato. Nel prossimo presenteremo il cuore della nostra teoria, che riguarda l'evoluzione delle relazioni fra Stato e società nel tempo. Spiegheremo perché la nascita di stati potenti incontra spesso resistenza (perché la gente ha paura del dispotismo) e come le società usino le loro norme non solo per scongiurare il rischio di warre, come abbiamo visto con gli ashanti, ma anche per contrastare e tenere sotto controllo il potere statale. Ci concentreremo sui vari modi in cui può emergere un Leviatano incatenato, all'interno di una strettoia dove la partecipazione della società alla politica crea un equilibrio di potere con lo Stato, e illustreremo questa possibilità con la storia antica della città-Stato greca di Atene e la storia della fondazione della Repubblica degli Stati Uniti. Ci soffermeremo inoltre su alcune delle implicazioni della nostra teoria, sottolineando come diverse configurazioni storiche possano condurre a Leviatani assenti, dispotici e incatenati. Mostreremo anche come nella nostra teoria sia il Leviatano incatenato, non quello dispotico, a sviluppare il grado più elevato ed esteso di capacità dello Stato.

Nel capitolo 3 spiegheremo perché i Leviatani assenti possono essere instabili e soccombere alla gerarchia politica di fronte alla «volontà di potenza», ossia il desiderio di alcuni soggetti di rimodellare la società e accumulare un maggiore potere politico ed economico. Vedremo come queste transizioni dalle società senza Stato producano esiti difformi quanto alla libertà: da una parte, portano ordine e possono allentare la gabbia di norme (soprattutto quando la gabbia di norme ostacola la loro avanzata); dall'altra, aprono la porta a un dispotismo sfrenato. Il capitolo 4 esaminerà le conseguenze dei Leviatani assenti e dispotici sulla vita economica e sociale dei cittadini e spiegherà perché la prosperità economica ha maggiori probabilità di emergere sotto un Leviatano dispotico che sotto il contesto anarchico della warre hobbesiana, o nello spazio angusto creato dalla gabbia di norme. Ma vedremo anche che la prosperità creata dal Leviatano dispotico è limitata e piena di iniquità.

Il capitolo 5 metterà a confronto il funzionamento dell'economia sotto il Leviatano assente e il Leviatano dispotico con la vita all'interno del corridoio. Vedremo che il Leviatano incatenato crea tipologie di incentivi e opportunità economiche molto diverse e permette un grado di sperimentazione e mobilità sociale molto maggiore. Ci concentreremo sulle città-Stato italiane e sull'antica civiltà zapoteca nelle Americhe per illustrare queste idee e anche per sottolineare che i Leviatani incatenati non sono una prerogativa esclusiva dell'Europa. Fatto salvo quest'ultimo punto, però, la maggior parte degli esempi di Leviatani incatenati, ovviamente, viene dall'Europa. Perché è così?

Il capitolo 6 spiegherà per quali ragioni molti paesi europei siano riusciti a costruire società ampiamente partecipative con stati provvisti di capacità ma comunque incatenati. La nostra risposta si concentrerà sui fattori che hanno guidato gran parte dell'Europa verso il corridoio nel primo Medioevo, quando le tribù germaniche, in particolare i franchi, iniziarono a invadere le terre dominate dall'Impero Romano d'Occidente dopo il suo crollo. La nostra tesi è che il matrimonio fra le istituzioni e le norme partecipative e dal basso delle tribù germaniche e le tradizioni burocratiche e giuridiche centralizzate dell'Impero Romano ha creato un equilibrio di potere unico fra Stato e società, consentendo la nascita del Leviatano incatenato. A sottolineare l'importanza di questo matrimonio, in quelle parti d'Europa dove mancava o la tradizione romana o la politica dal basso delle tribù germaniche (come l'Islanda o Bisanzio) sono emersi stati di natura ben diversa. Infine, ripercorreremo la traiettoria della libertà e del Leviatano incatenato, che ha avuto notevoli alti e bassi e in molti casi è uscita dalla strettoia.

Il capitolo 7 metterà a confronto l'esperienza europea con la storia cinese. Nonostante alcune analogie storiche, il precoce sviluppo di uno Stato potente in Cina cancellò completamente la mobilitazione sociale e la partecipazione politica. Senza queste forze a fare da contrappeso, il percorso di sviluppo cinese ricalca da vicino quello del Leviatano dispotico. Ripercorreremo le conseguenze economiche di questo tipo di relazione fra Stato e società sia nella storia che nella Cina odierna, e prenderemo in esame la possibilità che nel prossimo futuro possa emergere in Cina un Leviatano incatenato.

Il capitolo 8 si sposterà in India. Diversamente dalla Cina, l'India ha una lunga storia di partecipazione e responsabilità popolare. Anche qui, però, la libertà non è riuscita a mettere radici. La nostra tesi è che la ragione sia da ricercare nella forza della gabbia di norme indiana, esemplificata dal sistema delle caste. Le relazioni di casta non si sono limitate a inibire la libertà, ma hanno anche reso impossibile per la società contendere efficacemente il potere allo Stato e monitorarlo. Il sistema delle caste ha prodotto una società frammentata e uno Stato senza capacità, che pure, nonostante questo, può agire senza dover rendere conto del suo operato, perché la società è frammentata e rimane immobilizzata e impotente.

Il capitolo 9 tornerà a soffermarsi sull'esperienza europea, ma questa volta per cercare di capire perché alcune parti dell'Europa hanno trovato la loro strada e sono rimaste nel corridoio mentre altre no. Nel dare risposta a questa domanda, svilupperemo un'altra idea centrale del libro: il carattere condizionale dell'influenza dei fattori strutturali sulle relazioni fra Stato e società. Sottolineeremo che l'impatto di vari fattori strutturali, come condizioni economiche, shock demografici e guerre sullo sviluppo dello Stato e dell'economia dipendono dall'equilibrio prevalente fra Stato e società, e dunque che non ci sono conclusioni univoche da trarre. Esporremo queste idee analizzando perché, partendo da condizioni analoghe e dovendo affrontare problematiche internazionali simili, la Svizzera sviluppò un Leviatano incatenato mentre la Prussia cadde sotto il dominio di un Leviatano dispotico. Confronteremo questi esempi con il Montenegro, dove lo Stato svolgeva un ruolo molto limitato sia in ordine alla risoluzione dei conflitti che in ordine all'organizzazione delle attività economiche. Applicheremo le stesse idee per spiegare perché il Costa Rica e il Guatemala abbiano imboccato strade così divergenti di fronte alla globalizzazione economica del XIX secolo e perché il crollo dell'Unione Sovietica abbia portato a traiettorie politiche di diverso genere.

Il capitolo 10 tornerà sulla questione dello sviluppo del Leviatano americano. Metteremo l'accento sul fatto che gli Stati Uniti erano sì riusciti a costruire un Leviatano incatenato, ma fondandolo su un patto faustiano: i federalisti accettarono una Costituzione che manteneva debole lo Stato federale sia per placare le inquietudini di una società preoccupata dal rischio di dispotismo sia per rassicurare gli schiavisti del Sud, preoccupati di perdere i loro schiavi e i loro beni. Questo compromesso ha funzionato, e gli Stati Uniti sono ancora all'interno del corridoio. Ma ha anche portato a uno sviluppo squilibrato del Leviatano americano, che pur essendo diventato un mostro marino a tutti gli effetti, in diversi ambiti importanti continua ad avere capacità limitate. La cosa risulta particolarmente evidente andando a guardare l'incapacità o la mancanza di volontà del Leviatano americano di proteggere i suoi cittadini dalla violenza. Questo squilibrio è anche dovuto alla parziale incapacità del Leviatano americano di strutturare una politica economica in grado di garantire che la crescita economica produca benefici equi. Vedremo che lo sviluppo irregolare dello Stato ha determinato un'evoluzione distorta del potere e delle capacità della società e, paradossalmente, ha consentito al potere statale di evolversi in forme incontrollate e indecifrabili in alcuni settori (come la sicurezza nazionale).

Il capitolo 11 mostrerà che in molti paesi in via di sviluppo lo Stato può agire da despota, anche senza possedere la capacità del Leviatano dispotico. Spiegheremo come sono emersi questi Leviatani «di carta» e perché si sono impegnati così poco per costruire maggiori capacità. La nostra risposta è che lo hanno fatto soprattutto per paura di mobilitare la società, e quindi di destabilizzare il controllo che esercitano su di essa. L'origine di questi Leviatani di carta si può in parte rintracciare nel dominio indiretto delle potenze coloniali, che avevano creato strutture amministrative moderne ma al contempo avevano autorizzato le élite locali a governare con pochi vincoli e scarso coinvolgimento della società.

Il capitolo 12 si sposterà in Medio Oriente. I costruttori di uno Stato spesso allentano la gabbia di norme, quando questa limita la loro capacità di plasmare la società: in alcune circostanze, però, uno Stato dispotico può reputare utile rinforzare o perfino rimodellare la gabbia. Spiegheremo come la politica mediorientale sia stata modellata da questa tendenza, le condizioni storiche e sociali che l'hanno resa una strategia attraente per gli aspiranti despoti e le implicazioni di questo percorso di sviluppo sul piano della libertà, della violenza e dell'instabilità.

Il capitolo 13 analizzerà i casi in cui il Leviatano incatenato può sfuggire al controllo, quando la competizione fra Stato e società diventa una gara a «somma zero», con ognuna delle due parti che cerca di sconfiggere e distruggere l'altra per sopravvivere. Sottolineeremo il fatto che le probabilità che questo risultato si verifichi aumentano quando le istituzioni non sono in grado di risolvere in modo imparziale i conflitti e perdono la fiducia di alcuni segmenti dell'opinione pubblica. Analizzeremo il collasso della Repubblica di Weimar in Germania, della democrazia cilena negli anni settanta e dei comuni italiani per illustrare queste dinamiche e individuare i fattori strutturali che rendono più probabile questa competizione a somma zero. Infine, collegheremo queste forze alla nascita dei movimenti populisti moderni.

Nel capitolo 14 analizzeremo in quali casi le società riescono a entrare nel corridoio e se c'è qualcosa che si può fare per agevolarlo. Evidenzieremo diversi fattori strutturali importanti, concentrandoci su quelli che rendono il corridoio più ampio, e quindi di più facile accesso. Spiegheremo il ruolo della costruzione di coalizioni ampie in queste transizioni e analizzeremo una serie di casi di transizioni riuscite, e anche altre che non sono andate a buon fine.

Nel capitolo 15 passeremo a trattare le sfide con cui devono misurarsi le nazioni all'interno del corridoio. La nostra tesi di fondo è che, mano a mano che il mondo cambia, lo Stato dovrà espandersi e assumersi nuove responsabilità, ma questo richiede, a sua volta, una società più capace e più vigile, per non rischiare di rotolare fuori dal corridoio. C'è bisogno di nuove coalizioni per espandere le capacità dello Stato senza infrangere le catene che lo tengono legato: una possibilità che trova la sua esemplificazione nella risposta della Svezia alle esigenze economiche e sociali create dalla Grande depressione, che ha portato all'affermazione della socialdemocrazia. Oggi siamo nella stessa situazione, con le nuove sfide che abbiamo di fronte, dalla disuguaglianza all'assenza di posti di lavoro, dalla lentezza della crescita economica alle complesse minacce per la sicurezza. È indispensabile che lo Stato sviluppi nuove capacità e si assuma nuove responsabilità, ma solo se saremo capaci di trovare nuovi modi per tenerlo incatenato, mobilitando la società e difendendo le nostre libertà.

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L'effetto Regina Rossa


L'impresa di Solone, che riuscì da un lato a limitare il controllo sullo Stato da parte delle élite e il loro dominio sui cittadini comuni, e dall'altro ad accrescere la capacità dello Stato, non è una caratteristica peculiare di un'antica civiltà: è l'essenza del Leviatano incatenato. Il Leviatano può potenziare le sue capacità e diventare molto più forte, quando la società è disposta a collaborare con lui, ma per questo bisogna convincere il popolo che può controllare il mostro marino. Solone costruì questa fiducia.

Non è solo una questione di fiducia e cooperazione, però. La libertà, e in ultima analisi la capacità dello Stato, dipendono dall'equilibrio di potere fra Stato e società: se lo Stato e le élite diventano troppo potenti, ci ritroviamo con un Leviatano dispotico; se restano indietro, ci ritroviamo con un Leviatano assente. È necessario quindi che lo Stato e la società avanzino di pari passo, senza che nessuno dei due prevalga sull'altro. È simile all'effetto Regina Rossa, descritto da Lewis Carroll in Attraverso lo specchio. Nel romanzo, Alice incontra la Regina Rossa e si mette a correre con lei. «Alice non riuscì mai a capire, ripensandoci in seguito, come avevano cominciato» ma notò che, sebbene entrambe sembrassero correre molto veloci «gli alberi e le altre cose intorno a loro non si spostavano minimamente: per quanto corressero, era come se non superassero mai nulla». Alla fine, la Regina Rossa le disse di fermarsi.

Alice si guardò intorno molto sorpresa. «Ehi, ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest'albero! È tutto esattamente com'era prima!»

«Certo» disse la Regina «perché, come dovrebbe essere?»

«Be', al paese nostro» disse Alice sempre con un po' di fiatone «in genere si arriva in un altro posto [...] se si corre per tanto tempo come abbiamo fatto noi.»

«Che paese lento!» disse la regina. «Qui, invece, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto.»


L'effetto Regina Rossa indica una situazione in cui si corre senza posa semplicemente per mantenere la propria posizione, come lo Stato e la società che corrono a perdifiato per conservare l'equilibrio fra di loro. Nel romanzo di Carroll tutta quella corsa era uno spreco. Non così nella lotta della società contro il Leviatano. Se la società rallenta e non corre abbastanza veloce da stare al passo con il potere crescente dello Stato, il Leviatano incatenato si può rapidamente trasformare in un Leviatano dispotico. Per mantenere il Leviatano sotto controllo, abbiamo bisogno che la società continui a correre, e più il Leviatano è potente e capace più la società deve diventare potente e vigile. È necessario che anche il Leviatano continui a correre, sia per espandere la sua capacità di fronte a sfide nuove e temibili sia per mantenere la sua autonomia, fondamentale non solo per risolvere le controversie e applicare le leggi in modo imparziale, ma anche per abbattere la gabbia di norme. Sembra un po' caotico (tutto questo correre!), e spesso, come vedremo, lo è effettivamente. Ma caotico o no, il nostro progresso umano e la nostra libertà dipendono dall'effetto Regina Rossa. La stessa Regina Rossa, però, crea molte oscillazioni nell'equilibrio di potere fra Stato e società, quando passa in testa prima una parte e poi l'altra.

Il modo in cui Solone riuscì ad attivare l'effetto Regina Rossa illustra questi temi più generali. Le sue riforme non solo posero le basi istituzionali per una partecipazione del popolo alla politica, ma contribuirono anche ad allentare la gabbia di norme che limitava in modo diretto la libertà e al contempo impediva quel genere di partecipazione politica indispensabile all'interno del corridoio. La gabbia ateniese non era così soffocante come quella di molte altre società che vedremo, per esempio quella dei tiv, che analizzeremo a fine capitolo. Tuttavia, era abbastanza opprimente da bloccare la corsa della Regina Rossa. Abbattendo una parte di quella gabbia, Solone iniziò a cambiare radicalmente la società e a forgiare un sistema politico differente, capace di sostenere un Leviatano incatenato in erba.

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Pagina 98

La strettoia


Questo libro parla della libertà. La libertà dipende dai diversi tipi di Leviatano e dalla loro evoluzione: dipende da questo se una società si ritroverà a vivere senza uno Stato vero e proprio, se dovrà sopportare il peso di uno Stato dispotico, o se riuscirà a forgiare un equilibrio di potere che spiani la strada all'affermazione di un Leviatano incatenato e alla graduale fioritura della libertà.

Contrariamente alla visione hobbesiana di una società che sottomette ogni sua volontà al Leviatano, che gran parte delle scienze sociali e del moderno ordine mondiale danno per scontata, la nostra teoria ruota intorno al fatto che i Leviatani non sempre vengono accolti a braccia aperte e che il loro cammino è quantomeno accidentato. In molti casi la società riesce a contrastare efficacemente la loro ascesa, come facevano i tiv e come fanno ancora oggi i libanesi. Il risultato di questa opposizione della società è l'illibertà.

Quando questa resistenza si sgretola, possiamo ritrovarci con un Leviatano dispotico, che assomiglia molto al mostro marino immaginato da Hobbes. Ma questo Leviatano, sebbene prevenga la guerra, non rende necessariamente la vita dei suoi sudditi molto più ricca rispetto all'esistenza «sgradevole, brutale e breve» che conducevano sotto il Leviatano assente. Né i suoi sudditi sottomettono davvero «ogni loro volontà» al Leviatano, almeno non più di quanto i cittadini dell'Europa dell'Est che cantavano l'Internazionale per le strade prima del crollo del Muro di Berlino sottomettessero realmente ogni loro volontà alla Russia sovietica. Le implicazioni per i cittadini sono diverse per certi aspetti, ma comunque non c'è libertà.

Un tipo di Leviatano molto diverso, il Leviatano incatenato, emerge quando c'è un equilibrio tra il suo potere e la capacità della società di controllarlo. Il Leviatano incatenato è quello che può risolvere i conflitti in modo equo, offrire servizi pubblici e opportunità economiche e prevenire il dominio, gettando le fondamenta per la libertà. Il Leviatano incatenato è quello di cui le persone, ritenendo di poterlo controllare, si fidano e con cui collaborano consentendogli di accrescere la propria capacità. Il Leviatano incatenato è anche quello che promuove la libertà infrangendo le varie gabbie di norme che regolano in maniera rigida i comportamenti all'interno della società. Nella sua essenza, tuttavia, il Leviatano incatenato non è un Leviatano hobbesiano. La sua caratteristica dirimente sono le catene: non possiede il dominio sulla società del mostro marino prefigurato da Hobbes; non possiede la sua capacità di ignorare o mettere a tacere le persone che cercano di influenzare le decisioni politiche. Non è al di sopra della società, ma al suo fianco.

Il seguente grafico riassume queste idee e le forze che determinano l'evoluzione dei differenti tipi di Stato all'interno della nostra teoria. Per concentrarci sui tratti essenziali, semplifichiamo le cose e riduciamo tutto a due variabili. La prima è la forza di una società in termini di norme, pratiche e istituzioni, soprattutto quando si tratta di agire collettivamente, coordinare le proprie azioni e vincolare la gerarchia politica: questa variabile, esemplificata dall'asse delle ascisse, combina la mobilitazione generale della società, il suo potere istituzionale e la sua capacità di controllare la gerarchia attraverso le norme, come succede fra i tiv. La seconda è il potere dello Stato: questa variabile è esemplificata dall'asse delle ordinate e combina in maniera analoga diversi aspetti, fra cui il potere delle élite politiche ed economiche e la capacità e il potere delle istituzioni statali. Naturalmente, ignorare i conflitti all'interno della società è un'enorme semplificazione, come lo è ignorare i conflitti all'interno dell'élite e fra l'élite e le istituzioni statali. Tuttavia, queste semplificazioni ci consentono di evidenziare diversi elementi importanti e nuove implicazioni della nostra teoria: nel corso del libro, andremo oltre queste semplificazioni e analizzeremo il quadro più ricco di sfumature che emerge quando si abbraccia la complessità.

Pensiamo alla maggior parte delle società premoderne, che partono dal quadrante in basso a sinistra del grafico, dove sia lo Stato che la società sono deboli. Le frecce che si promanano da qui tracciano i percorsi di sviluppo divergenti di Stato e società, e le loro relazioni nel tempo. Un tipico percorso mostrato nel grafico, che corrisponde grossomodo alla nostra analisi sui tiv o sul Libano, inizia in un punto in cui la società è più potente dello Stato e può intralciare l'emergere di potenti istituzioni statali centralizzate. Questo si traduce in una situazione in cui il Leviatano è in gran parte assente, perché inizialmente lo Stato e le élite sono troppo deboli rispetto alle norme della società intese a contrastare la gerarchia politica. La paura della china scivolosa implica che, ove possibile, la società cercherà di menomare il potere dell'élite è minare la gerarchia politica, facendo scemare ulteriormente il potere di entità più o meno statali e favorendo un radicamento ancora maggiore del Leviatano assente. Il maggior potere della società rispetto allo Stato spiega anche perché, in questo caso, la gabbia di norme sia così potente: in assenza di vie istituzionali per risolvere e regolare i conflitti, le norme si fanno carico di ogni genere di funzioni, ma così facendo creano a loro volta delle disuguaglianze sociali e impongono agli individui restrizioni soffocanti di vario genere.

Dalla parte opposta del grafico, partendo da una situazione iniziale in cui lo Stato e le élite hanno più potere della società, vediamo una freccia, che corrisponde approssimativamente alla nostra discussione iniziale del caso cinese, dove la configurazione favorisce l'emergere di un Leviatano dispotico. Qui le frecce viaggiano verso livelli ancora più elevati di potere statale; nel frattempo, il potere della società si erode, perché la società non riesce a reggere il confronto con lo Stato. Questa tendenza è esacerbata dal fatto che il Leviatano dispotico lavora per indebolire la società e per continuare a operare senza catene: col tempo, quindi, diventa straordinariamente potente rispetto a una società mansueta, e si riducono le probabilità di un cambiamento dell'equilibrio di potere che possa condurre a un Leviatano incatenato.

Ma il grafico mostra anche che possiamo avere stati forti insieme a società forti. Accade nella strettoia di mezzo, dove compare il Leviatano incatenato. È precisamente in questo corridoio che entra in azione l'effetto Regina Rossa e la lotta fra Stato e società contribuisce al rafforzamento di entrambi e può, quasi per miracolo, aiutare a mantenere l'equilibrio tra i due.

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Incatenare il Leviatano: fidati e verifica


Il Leviatano incatenato sembra il tipo di Stato che tutti sognano, uno Stato di cui ci si possa fidare. Ma se vogliamo che sia davvero un Leviatano incatenato, questa fiducia deve avere dei limiti. Dopotutto il Leviatano, incatenato o no, è un Giano bifronte e il dispotismo è nel suo DNA.

Questo significa che convivere con il Leviatano non è semplice, soprattutto perché ha la tendenza naturale a diventare più potente con il passare del tempo. Il Leviatano non è un agente di per sé: quando parliamo del Leviatano, in genere ci riferiamo alle élite politiche, come i governanti, politici o leader che lo controllano, e a volte alle élite economiche, che hanno un'influenza sproporzionata su di esso. La maggioranza di queste élite, così come molti di quelli che lavorano per il Leviatano, ha interesse a espandere il suo potere. Pensate ai burocrati che lavorano indefessamente per fornirvi servizi pubblici o regolamentare l'attività economica in modo che non cadiate vittime di monopoli o di pratiche creditizie predatorie: perché non dovrebbero desiderare di allargare il loro potere e la loro autorità? Pensate ai politici che guidano il Leviatano: perché non dovrebbero desiderare che il loro mostro marino diventi ancora più capace e dominante? Oltretutto, più le nostre vite diventano complesse più c'è necessità di risoluzione dei conflitti, regolamentazione, servizi pubblici e tutela delle nostre libertà. Eppure, più il Leviatano diventa capace, più diventa difficile controllarlo. Pertanto, la società deve diventare più potente (e con società intendiamo le persone comuni, tutti noi e le nostre organizzazioni e associazioni) per controllarlo: questo è l'effetto Regina Rossa in azione.

Ma la Regina Rossa non si limita a questo. Come abbiamo visto, cooperare con una società potente può accrescere notevolmente la capacità dello Stato. Una volta che il Leviatano è incatenato, la società può scegliere di lasciargli il guinzaglio lento e permettergli di estendere il suo raggio d'azione, in modo che usi la sua capacità per cose che i suoi cittadini vogliono e di cui hanno bisogno. È la strategia del «fidati e verifica»: fidati dello Stato lasciando che acquisisca maggiori poteri, ma allo stesso tempo accresci il tuo controllo su di esso. Quando funziona, com'è successo, in una certa misura, negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale, il risultato è un processo continuo in cui sia lo Stato che la società diventano più potenti e si espandono in modo equilibrato, senza che nessuno prevalga sull'altro. Quando questo sottile equilibrio funziona, il Leviatano incatenato non solo pone fine alla warre, ma diventa anche uno strumento per lo sviluppo politico e sociale della società, per il fiorire di impegno civile, istituzioni e capacità, per lo smantellamento della gabbia di norme e per la prosperità economica. Tutto questo, però, soltanto se si riesce a tenerlo incatenato. Soltanto se si riesce a fare in modo che le caotiche dinamiche della Regina Rossa non sfuggano al controllo. Non è un'impresa facile.

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5. L'allegoria del buon governo




Gli affreschi di piazza del Campo


Quando entrate a piazza del Campo, la famosa piazza a forma di conchiglia nel cuore della città toscana di Siena, vi trovate di fronte l'imponente massa di Palazzo pubblico. I lavori di costruzione cominciarono nel 1297 per ospitare le istituzioni del governo senese, compresa quella più potente, composta da nove consoli. I Nove si riunivano in una sala del palazzo, detta appunto Sala dei Nove. La sala è fornita di finestre solo nel lato che dà sulla piazza. Sull'altra parete ci sono tre straordinari affreschi, commissionati dai Nove e dipinti tra il febbraio del 1338 e il maggio del 1339 da Ambrogio Lorenzetti. Se ci si mette con le spalle alla luce, il primo dipinto che salta all'occhio è quello di fronte alla finestra, l' Allegoria del buon governo (che potete vedere nell'inserto fotografico).

Il primo particolare che cattura lo sguardo, in questa complessa opera, è una figura seduta sulla destra, che sembra un sovrano o un re. Tutt'intorno a questa figura ci sono rappresentazioni artistiche di varie virtù cardinali: la Fortitudine, la Prudenza e la Pace sulla sinistra, la Temperanza, la Giustizia e la Magnanimità sulla destra. Un sovrano giusto e magnanimo, quindi? Sembra strano che l'affresco raffiguri un sovrano, perché nel 1338 Siena non aveva re, e i Nove sicuramente non lo avrebbero visto di buon occhio. Il mistero si risolve appena ci si accorge che il presunto sovrano è vestito in bianco e nero, i colori della città. Ai suoi piedi ci sono altri simboli di Siena, come la lupa e i gemelli, un'immagine tratta dal mito sulla fondazione di Roma per mano dei gemelli Romolo e Remo, allattati da una lupa quand'erano neonati. Se poi si alza lo sguardo, sopra la testa del sovrano si vedono le iniziali C.S.C V., che stanno per Commune Senarum Civitas Virginis, cioè «Comune di Siena città della Vergine». Siena aveva adottato come patrona la Vergine Maria subito prima della Battaglia di Montaperti contro i fiorentini, nel 1260, che la vide uscire vincitrice. Il sovrano, quindi, in realtà rappresenta il comune di Siena.

In questo affresco vediamo qualcosa di molto diverso dalla «volontà di potenza» e le sue conseguenze. I governanti sono sullo sfondo e il comune, come rappresentazione della società, è in primo piano. I senesi riconoscevano anche la natura speciale di questa forma di organizzazione, come segnalato dall'enfasi sul «buon governo». Il tratto peculiare di Siena, e di tutti gli altri comuni che spuntarono come funghi più o meno nello stesso periodo in ogni parte d'Italia, era la libertà, molta più libertà. Questa libertà costituiva il fondamento di un'economia molto diversa dalle altre, con incentivi e opportunità ad ampio raggio che crearono le condizioni per la prosperità.


Il concetto di comune emerse gradualmente in Italia tra la fine del IX e il X secolo, quando i cittadini, in tutto il nord della penisola, cominciarono a contestare e rovesciare i vari vescovi, autorità ecclesiastiche e signorotti che controllavano le leve del potere nelle loro città (si veda la mappa 7), insediando al loro posto sistemi repubblicani di vario genere. Non abbiamo un quadro completo di quei primi giorni, solo qualche frammento. Per esempio, c'è un documento dell'891 che parla di una «congiura popolare» (conspiratio populi) contro il vescovo a Modena. Cose analoghe avvennero nello stesso decennio a Torino e nel 924 a Cremona. Nel 997, a Treviso, il vescovo agiva solo «con il consenso di tutti gli uomini maggiori e i giudici e l'intero popolo di Treviso». Nel 1038 il vescovo di Brescia faceva concessioni a 154 uomini citati per nome e agli «altri uomini liberi che vivono in Brescia». La preponderanza di riferimenti al potere ecclesiastico probabilmente si spiega con il fatto che la Chiesa gestiva meglio i suoi archivi: quasi sicuramente anche le autorità laiche venivano messe in discussione.

La caratteristica fondamentale di questa nuova forma di governo era l'elezione popolare dei consoli, che avevano il compito di dirigere la città per un periodo di tempo stabilito. Nel 1085 Pisa aveva dodici di questi consoli, eletti da un'assemblea popolare. A Siena sappiamo che furono istituiti un po' più tardi, nel 1125. Durante questo periodo si affermarono governi comunali in tutta l'Italia settentrionale e centrale: a Milano nel 1097, a Genova nel 1099, a Pavia nel 1112, a Bergamo nel 1117 e a Bologna nel 1123. Anche se nominalmente questi comuni facevano parte del Sacro romano impero, la loro autonomia di fatto fu riconosciuta con la Pace di Costanza, firmata nel 1183 con l'imperatore Federico Barbarossa.

[...]

Siena era in tutto e per tutto simile a decine di altri comuni dell'Italia settentrionale e centrale, tranne per quei bellissimi affreschi così prodighi di informazioni sugli scopi delle sue istituzioni. In alcuni di questi comuni, come Siena all'epoca dei Nove, l'originario impulso popolare che aveva portato alla creazione del comune aveva ceduto il passo a un sistema oligarchico, con le famiglie facoltose che esercitavano un peso sproporzionato negli affari pubblici. In altri, la presenza di assemblee popolari dotate di maggiori poteri agiva come efficace contrappeso a questi interessi oligarchici. Ma quasi tutti avevano caratteristiche di fondo simili a quelle di Siena: erano repubbliche gestite da consoli o magistrati eletti, dai poteri rigidamente definiti. Gli organi rappresentativi, come le assemblee popolari e altri consigli, erano le catene che tenevano avvinti i poteri dello Stato e i suoi dirigenti, come i Nove. Questi organismi non rispondevano a nessuna autorità aristocratica o ecclesiastica: erano entità autonome, sorrette da una società forte e capace di tenere testa al potere emergente dello Stato, un aspetto che impressionò il viaggiatore Beniamino da Tudela quando passò per Genova, Lucca e Pisa, intorno al 1165. Così osservava:

Non hanno né re né principe che li governi, ma soltanto magistrati nominati da loro.


È quello che si vede nell' Allegoria del buon governo. Abbiamo sottolineato che il sovrano sulla destra è circondato da sei virtù. È interessante notare che quella più a sinistra è la Pace, in una posizione che la colloca esattamente al centro dell'affresco. Come scrive il filosofo Quentin Skinner nella sua analisi degli affreschi, la Pace è «al cuore della nostra vita comune». Alla sinistra della Pace siede un'altra figura più grande, la Giustizia; lo si capisce dal fatto che regge una bilancia. Dalla bilancia scende una doppia corda, che arriva fino al sovrano sull'altro lato del dipinto, portata in mano da ventiquattro figure che rappresentano i Ventiquattro, il precedente organismo esecutivo del comune senese. I Ventiquattro ricevono la corda da una figura seduta chiamata Concordia, che tiene sulle ginocchia una pialla da falegname. La pialla è uno strumento usato per lisciare i margini ruvidi e creare una superficie livellata, e forse sta a indicare il «primato della legge», il fatto che a Siena la legge, in teoria, si applicava allo stesso modo per tutti.

È rilevante il fatto che i Ventiquattro, che rappresentano la società, tengano in mano la corda ma non ne siano legati. Significa, apparentemente, che il potere è accordato dalla società, non alla società. Si noti che quando invece la doppia corda arriva al sovrano, sul lato opposto, è annodata intorno al suo polso: insomma, il Leviatano è incatenato dalla corda che promana dalla Giustizia.

E in effetti c'erano tanti tipi di «corde» che tenevano sotto controllo i Nove. Oltre alla brevissima durata del loro mandato, appena due mesi, c'era un funzionario chiamato «maggior sindaco» (anche lui obbligatoriamente forestiero, come il podestà) che poteva opporsi a qualsiasi proposta di modifica della Costituzione. Se il maggior sindaco si opponeva a un provvedimento, per approvarlo era necessaria una supermaggioranza dei tre quarti dei consiglieri e un quorum di almeno duecento consiglieri.

Non erano soltanto le leggi e le istituzioni a proteggere il comune dall'influenza dei Nove e di altri individui politicamente potenti, ma anche le norme. Per esempio, come nel caso degli ateniesi che si erano inventati la legge sulla hubris, i politici che si montavano troppo la testa rischiavano di farsi un brutto nome, letteralmente. Come Gerardo Cagapisto, che a Milano fu console per quattordici volte fra il 1141 e il 1180. O i fratelli Gregorio e Guglielmo Cacainarca. O il console Arderico Cagainosa, che ricoprì la carica fra il 1140 e il 1144. Fra gli altri nomi di famiglie politicamente importanti, possiamo citare i Cacainbasilica, i Cacarana, i Cagalenti e perfino i Cagatosici. Se diventavi troppo potente o ti comportavi male, rischiavi di ritrovarti un soprannome scatologico appiccicato addosso.

[...]

I comuni erano molto efficienti anche nel raccogliere le tasse. D'altronde, i soldi per pagare tutti quei funzionari da qualche parte bisognava pur prenderli. I proventi delle tasse erano usati anche per fornire servizi pubblici: alcuni, come la standardizzazione di pesi e misure, li abbiamo già visti nell'elenco di cariche amministrative qui sopra, ma ce n'erano molti altri, per esempio un dipartimento di vigili del fuoco, un sistema stabile di monetazione e zecca e la costruzione e manutenzione di strade e ponti. Nel 1292 Siena aveva un «magistrato delle strade», che fu presto affiancato da tre commissari generali delle strade. Per garantire che le persone potessero viaggiare in pace fu nominato un «sorvegliante delle vie», anche se la carica poi fu cancellata quando i Nove costruirono un sistema molto più elaborato per assicurare l'ordine nelle campagne. Per proteggere le proprietà e i diritti umani dei mercanti senesi dovunque si trovassero, la città organizzava anche «rappresaglie» contro i mercanti e i cittadini di altre entità politiche che commettevano torti ai danni di un cittadino senese.

I servizi pubblici e la libertà che vediamo a Siena non hanno equivalente al di fuori dell'Italia settentrionale e centrale, in questo periodo storico. Ma lo Stato senese andava oltre: forniva anche incentivi e opportunità economiche ad ampio raggio.

Per capirlo, bisogna volgere lo sguardo verso la parete destra della Sala dei Nove, dove Lorenzetti dipinse un altro enorme affresco, Gli effetti del buon governo (anche questo mostrato nell'inserto fotografico). Il dipinto presenta una visione d'insieme della vita della città e della vita della campagna. Sulla sinistra, si vede la città che brulica di persone. In primo piano c'è un gruppo di donne che ballano, ma la cosa che colpisce di più è il fiorire delle attività economiche: alla destra delle danzatrici, un negoziante è intento a contrattare la vendita di un paio di scarpe con un uomo che tiene un cavallo per le briglie; ancora più a destra, c'è un prete che pronuncia un sermone e una donna che espone in vendita su una bancarella delle giare di olio d'oliva, o forse di vino, poi un uomo che passa con un mulo carico di legna da ardere, altri intenti a tessere su un telaio e ad accudire un gregge di pecore, due donne, una con un cesto e l'altra con un volatile, che probabilmente sono dirette al mercato e infine, sullo sfondo, due cavalli carichi di merci. Nella parte alta dell'affresco, una squadra di manovali è al lavoro per innalzare una delle belle torri che costellano l'orizzonte cittadino.

La metà destra dell'affresco si concentra sugli effetti del buon governo nelle campagne, dove osserviamo di nuovo le tipiche conseguenze economiche del Leviatano incatenato e della libertà che produce. In alto, si vede la figura della Sicurezza con in mano una pergamena che stabilisce un collegamento diretto fra la prosperità e la libertà:

    Senza paura ogn'uom franco camini,
    e lavorando semini ciascuno,
    mentre che tal comuno
    manterrà questa donna in signoria,
    ch'el à levata a' rei ogni balia



L'affresco raffigura una scena coerente con queste percezioni: in primo piano, vediamo dei contadini che lavorano alacremente di fronte a un campo pieno di grano; una partita di caccia esce dai cancelli cittadini su una strada lastricata, mentre nell'altra direzione dei mercanti si dirigono verso la città con le loro mercanzie e un maiale da vendere. Sullo sfondo, altre persone sono intente a seminare, mietere e trebbiare il grano. Tutto è pace e prosperità fra i campi e le case ben curati.

Il messaggio è chiaro: fra i tanti benefici del buon governo c'è la prosperità economica. È davvero così o era semplicemente un'invenzione di Lorenzetti? Esisteva davvero un legame fra governo comunale e sviluppo economico?

[...]

Lo si vede chiaramente se si va a guardare l'innovazione finanziaria che ebbe un ruolo decisivo nel favorire gli scambi. Sotto questo aspetto, i comuni italiani erano all'avanguardia. Man mano che si diffondevano in Europa, creavano delle basi in tutti i posti in cui commerciavano. Cosa più importante, inventarono la lettera di cambio, che divenne il metodo primario di organizzazione dei commerci nel Medioevo. Immaginiamo che un fabbricante di stoffe fiorentino volesse acquistare in Inghilterra della lana di Norfolk di alta qualità. Poteva viaggiare fino in Inghilterra portandosi dietro qualche sacco di ducati italiani, trovare a Londra qualcuno che glieli cambiasse in sterline, acquistare la lana e trasportarla indietro in Italia. In alternativa, poteva usare una lettera di cambio. Nella terminologia standard, sono quattro le parti di questo meccanismo: il rimettente, in questo caso il fabbricante di stoffe; il traente, in questo caso la banca del remittente a Firenze; il trattario, in questo caso la banca corrispondente della banca fiorentina, in Inghilterra; e il beneficiario, in questo caso il mercante londinese da cui il fabbricante di stoffe voleva acquistare la lana. A Firenze, il remittente versava al traente i ducati per acquistare la lettera di cambio, poi spediva quest'ultima al beneficiario a Londra, che poteva portarla al trattario e ricevere in cambio sterline inglesi. A quel punto, il beneficiario spediva la lana a Firenze. La lettera di cambio acquistata in ducati a Firenze specificava l'ammontare in sterline da pagare a Londra.

[...]

Gli italiani fecero da battistrada anche con altre innovazioni. Inventarono l'assicurazione mercantile, che consentiva a una parte terza di assumersi il rischio del commercio. Elaborarono anche molte forme contrattuali differenti, che facilitavano gli scambi. Una di queste era la commenda, un'associazione temporanea fra due persone in cui una forniva il capitale per una missione commerciale e l'altra intraprendeva la missione, e quando questa era conclusa i due soci si dividevano i proventi: era un altro modo per eludere le leggi sull'usura. Gli italiani inventarono anche forme organizzative destinate ad avere lunga vita, antesignane della società per azioni, che consentivano a persone che non erano direttamente coinvolte nell'attività imprenditoriale di investire capitale e riceverne un compenso sotto forma di dividendi. Significativa fu anche la nuova importanza attribuita ai documenti legali scritti che definivano i diritti di proprietà, e il ricorso ai notai. Negli anni ottanta del XIII secolo in città come Milano e Bologna c'erano venticinque notai ogni mille abitanti.

Tutti questi scambi commerciali necessitavano di pratiche contabili avanzate. Non a caso fu un italiano di Pisa, Leonardo Fibonacci , a rivoluzionare la contabilità adattando il sistema numerico arabo, nel 1202, che rendeva molto più semplici i calcoli finanziari. A metà del XIV secolo fece la sua comparsa in Italia, per la prima volta, la contabilità a partita doppia.

La rivoluzione commerciale fu accompagnata da una forte crescita economica e stimolò l'innovazione anche al di fuori del settore finanziario. Anche se non abbiamo dati sufficienti a elaborare una contabilità nazionale per questo periodo storico, possiamo dedurre lo sviluppo economico dall'estensione dell'urbanizzazione (la frazione della popolazione che vive in città di almeno 5000 persone), che in Europa occidentale raddoppiò passando da circa il 3 per cento dell'800, all'inizio della rivoluzione commerciale, al 6 per cento del 1300. L'ascesa fu molto più rapida nelle regioni più coinvolte dalla rivoluzione commerciale. Per l'Italia in generale crebbe infatti, nello stesso periodo, dal 4 al 14 per cento; ma è un dato che include il Sud, che non sperimentò la fioritura dei commerci e la proliferazione di comuni: il tasso di urbanizzazione dell'Italia settentrionale era indubbiamente più alto ed è stato stimato al 25 per cento in Toscana. Altrove, nelle Fiandre e nei Paesi Bassi, l'urbanizzazione salì da circa il 3 al 12 per cento nel 1300, fino a raggiungere un eccezionale 23 per cento nel 1400.

[...]

La diffusione dell'alfabetizzazione e lo sviluppo economico sono dimostrati anche dai dati sulla produzione di libri: nel IX secolo solo il 10 per cento dei 202000 libri prodotti nell'Europa occidentale veniva dall'Italia; nel XIV secolo il Belpaese era diventato il maggior produttore di libri di tutta l'Europa occidentale, con il 32 per cento dei 2747000 libri complessivi. L'Italia aveva anche più università di tutti gli altri, con il 39 per cento degli atenei dell'Europa occidentale nel XIV secolo.

In questo periodo troviamo anche miglioramenti più generali della tecnologia, che in alcuni casi diedero un contributo decisivo alla rivoluzione commerciale: per esempio, i progressi nella progettazione delle navi, con la diffusione della ruota di poppa (prima le navi venivano fatte girare in un modo molto meno efficiente, con i remi, com'era fin dai tempi dei romani). Sempre in Italia fu prodotto il primo paio di occhiali, il primo stabilimento tessile meccanizzato per produrre stoffe di seta, a Lucca, e l'orologio meccanico di Giovanni Dondi costruito negli anni sessanta del XIV secolo (anche se è evidente, dai suoi scritti, che gli orologi a quell'epoca esistevano già da un po').

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15. Convivere con il Leviatano




L'errore di von Hayek


Nel pieno della Seconda guerra mondiale, il direttore della London School of Economics, William Beveridge , diresse un team di funzionari pubblici che aveva il compito di produrre un rapporto intitolato Social Insurance and Allied Services. Questo documento, oggi noto come il «Rapporto Beveridge», divenne il fondamento dell'espansione dello Stato sociale nel Regno Unito. Le raccomandazioni più importanti erano, fra le altre cose, un forte potenziamento dell'Assicurazione nazionale, il programma che erogava i sussidi di disoccupazione, i congedi per malattia e le pensioni, la creazione di un'assistenza sanitaria gratuita per tutti con l'istituzione del Servizio sanitario nazionale e l'introduzione di un salario minimo. Il rapporto diventò molto popolare in Gran Bretagna. James Griffiths, il ministro laburista dell'Assicurazione nazionale nel dopoguerra, scrisse nelle sue memorie: «In una delle ore più buie della guerra [il rapporto] cadde come una manna dal cielo».

Alcune delle raccomandazioni di Beveridge furono messe in pratica durante la guerra, con un potenziamento dei servizi per i neonati, i bambini e la maternità, un programma che forniva carburante e latte sovvenzionato a madri e famiglie con figli al di sotto dei cinque anni di età e pasti gratuiti nelle scuole per i bambini. Nel 1945 il Partito laburista vinse trionfalmente le elezioni grazie alla promessa di mettere in pratica le raccomandazioni di Beveridge e procedette a varare una serie di storici provvedimenti che tradussero in realtà i piani del rapporto: fra questi, la Legge sugli assegni familiari del 1945, la Legge sull'assicurazione nazionale del 1946, la Legge sull'assistenza nazionale del 1948 e la Legge sul servizio sanitario nazionale del 1946.

Un brillante rifugiato politico viennese, che all'epoca insegnava alla London School of Economics, era allarmato. La cosa che più spaventava Friedrich von Hayek era l'ascesa dello Stato totalitario, avendo visto nel nazismo, da cui era fuggito diversi anni prima, la sua forma più estrema. Von Hayek temeva soprattutto che la pianificazione di Stato «socialista» e la regolamentazione amministrativa dell'economia potessero tramutarsi in una forma di totalitarismo. Espresse le sue idee sui pericoli della crescente gestione statale dell'economia in un memorandum indirizzato a William Beveridge. Sviluppò poi questo memorandum in un articolo pubblicato su una rivista scientifica e dopo ancora in un libro, La via della schiavitù, che da allora è diventato una delle opere più influenti delle scienze sociali del XX secolo. Von Hayek non era contrario a qualsiasi tipo di intervento pubblico o assicurazione sociale. Scriveva infatti: «Forse niente ha arrecato più danno alla causa liberale quanto l'ottusa insistenza di alcuni liberali su certe rozze regole empiriche, soprattutto sul principio del laissez faire»; e aggiungeva: «non può esservi dubbio che un minimo di cibo, abitazione e vestiario, sufficienti a preservare la salute e la capacità di lavoro, debbano essere garantiti a tutti». Ma era preoccupato all'idea che lo Stato giocasse un ruolo decisivo nell'influenzare i salari e l'allocazione delle risorse.

[...]

In altre parole, von Hayek riconosceva che il solo modo per impedire che emerga un Leviatano dispotico è che la società riaffermi il proprio potere contro il potere e il dominio dello Stato. Fin qui tutto bene. Ma la sagace analisi di von Hayek non tiene conto di una forza vitale, l'effetto Regina Rossa. La società, contro l'espansione della capacità dello Stato, non ha come unica opzione di tornare a imbrigliarla completamente: può, in alternativa, incrementare la propria capacità, i suoi strumenti di controllo nei confronti dello Stato. È quello che è successo in Gran Bretagna e nella maggior parte dell'Europa nei decenni seguiti alla Seconda guerra mondiale. E come abbiamo visto nel capitolo 10, alcune di queste dinamiche si sono innescate anche negli Stati Uniti.

Il progresso umano, infatti, dipende in gran parte dal ruolo dello Stato e dall'ampliamento della sua capacità in risposta a nuove sfide, con la società che diventa a sua volta più potente e vigilante. Soffocare nella culla l'accrescimento della capacità dello Stato significherebbe precludere la possibilità di questo progresso umano. È particolarmente importante che lo Stato allarghi la sfera delle sue competenze nei momenti di crisi economica o sociale. In Gran Bretagna, il Rapporto Beveridge fu la risposta a una di queste crisi.

Von Hayek sbagliava su due cose, quindi: la prima è che non aveva previsto la forza della Regina Rossa e non si era reso conto che questa forza poteva riuscire a mantenere il Leviatano incatenato e all'interno del corridoio; la seconda, come forse si poteva immaginare, è che non aveva visto qualcosa che oggi è molto più evidente: la necessità che lo Stato giochi un ruolo nella ridistribuzione, creando una rete di sicurezza sociale e regolando l'economia sempre più complessa che era emersa nella prima metà del XX secolo.

Rimanere nel corridoio non è automatico, soprattutto quando emergono sfide nuove. Abbiamo visto nel capitolo 13 che i paesi possono finire fuori dal corridoio quando la Regina Rossa diventa un gioco a somma zero. Von Hayek era preoccupato per una minaccia ancora più basilare alla libertà: la possibilità che il crescente potere dello Stato amministrativo introducesse un nuovo tipo di «schiavitù». Ma l'effetto Regina Rossa, sempre che non si trasformi in un gioco a somma zero, può essere una forza potente, che aiuta una società a rimanere nel corridoio sviluppando al tempo stesso capacità e meccanismi istituzionali nuovi per tenere sotto controllo uno Stato in espansione. L'esempio migliore della capacità della Regina Rossa di interpretare questo ruolo, e del fatto che spesso, perché ciò avvenga, è necessario che si formi una nuova coalizione, ci viene offerto probabilmente dalla fondazione dello Stato sociale svedese nel pieno della Grande depressione.

[...]

Nell'ottica del nostro quadro interpretativo, il punto cruciale non è soltanto la forte espansione del ruolo e della capacità dello Stato svedese, ma il fatto che questa espansione sia stata accompagnata da un consolidamento della democrazia e del potere di controllo da parte della società: la capacità della società è cresciuta di pari passo con quella dello Stato. C'erano molti aspetti in questo processo. Il primo è che ogni volta che lo Stato espande la sua capacità, uno dei principali timori è che le élite possano prenderne il controllo, trasformando il coinvolgimento pubblico in uno strumento che consente a poche imprese e a certi interessi ristretti di beneficiarne a spese della società. Il fatto che tutto questo avvenisse sotto la guida del Sap, e il ruolo cardine che giocarono i sindacati come partner di questo processo e nel controllo e nella gestione del sistema, rappresentarono un forte ostacolo a questo «dirottamento» delle istituzioni statali. La natura universale dei programmi di welfare svedesi precludeva la possibilità che si trasformassero in strumenti di clientelismo nelle mani dell'élite e contribuì ulteriormente a creare coesione sociale e coinvolgimento della popolazione, favorendo la mobilitazione della società a sostegno di queste misure.

Il secondo aspetto è il pericolo, legato ai timori di von Hayek, che il maggior ruolo dello Stato nell'economia possa andare a scapito delle imprese in generale, per esempio attraverso nazionalizzazioni ed espropri di capitali. La Svezia contenne questo pericolo coinvolgendo la comunità imprenditoriale nella coalizione socialdemocratica, dopo Saltsjöbaden. È significativo, in questo contesto, che il Sap avesse costantemente rifiutato di allearsi con i comunisti e si fosse astenuto da nazionalizzazioni ed espropriazioni esplicite di profitti o capitali. All'epoca i sindacati premevano per politiche che portassero a un ulteriore incremento dei salari, ma il Sap di regola resisteva. Un'eccezione, che evidenzia la forza del controllo da parte della società, fu la reazione a un'iniziativa che fu lanciata da una parte dei sindacati e del Sap, negli anni settanta, per cambiare i termini del modello di contrattazione salariale centralizzata Rehn-Meidner, creando «fondi dei dipendenti» allo scopo di recuperare i «profitti in eccesso» incassati dalle aziende più produttive che continuavano a pagare gli stessi salari del resto del settore. Quando divenne chiaro che la creazione di questi fondi metteva a rischio la coalizione su cui si reggeva la socialdemocrazia svedese, la contrarietà crebbe nel paese: alla fine il Sap dovette fare marcia indietro e nel 1976 subì una sconfitta elettorale che lo fece finire per la prima volta all'opposizione.

Il terzo aspetto è che l'espansione dello Stato coincise con un radicamento più profondo della democrazia. Quando i principali partiti, in Svezia, arrivarono ad accettare tutti quanti i principi di fondo della socialdemocrazia, l'elettorato cominciò ad avere una scelta fra partiti diversi che promettevano di applicare versioni differenti dello stesso approccio, e anche, se necessario, di cancellare certe misure più estreme come i fondi dei dipendenti proposti dai sindacati e dal Sap negli anni settanta.

L'ultimo aspetto è che parallelamente a questi cambiamenti si svilupparono anche l'apparato burocratico e il sistema giudiziario svedese, soprattutto attraverso la gestione e la supervisione di questi programmi, unitamente ai sindacati. In questo processo, l'apparato burocratico e il sistema giudiziario si fecero carico del compito di implementare i programmi sociali e limitare gli abusi del sistema.

Insomma, per rispondere alle nuove necessità e alle condizioni di crisi create dalla recessione economica lo Stato svedese potenziò sia il suo ruolo che la sua capacità. Contrariamente ai timori di von Hayek, tutto questo non spianò la strada al totalitarismo: al contrario, dal momento che questa espansione dello Stato fu portata avanti da una coalizione di operai, contadini e interessi imprenditoriali, e dal momento che l'effetto Regina Rossa innescò una mobilitazione della società per tenere sotto controllo lo Stato, la democrazia svedese, lungi dall'indebolirsi, uscì più forte da questo processo.

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Siamo partiti, nel capitolo 1, con alcune previsioni famose sulla direzione in cui sta avanzando la maggior parte dei paesi: verso la democrazia liberale, verso l'anarchia o verso la dittatura. Probabilmente la più sinistra di queste previsioni è l'ammonimento di Yuval Noah Harari sulla dittatura digitale che attende gran parte dell'umanità, e il sistema cinese del «credito sociale» e gli aggressivi programmi di sorveglianza della Nsa danno credito alle predizioni dello studioso israeliano. Ma come abbiamo argomentato, non c'è nessuna ragione per aspettarci che la totalità o quasi delle nazioni stia avanzando inesorabilmente verso lo stesso tipo di sistema politico o economico. Sarà l'equilibrio prevalente fra Stato e società a determinare i percorsi che seguiranno. L'alternativa danese alle stesse minacce per la sicurezza mette in risultato questo punto: quando le minacce per la sicurezza vengono affrontate espandendo i poteri dello Stato, senza nessun controllo su di essi, è molto più probabile che si finisca per abusarne e il pericolo di una dittatura digitale aumenta; quando le stesse azioni vengono intraprese alla luce del sole e la società può verificare se viene fatto un cattivo uso di questi poteri, l'equilibrio di potere su cui si regge il corridoio viene riaffermato, e questo incoraggia l'uso delle nuove tecnologie in un modo molto più coerente con i principi del Leviatano incatenato, anche se queste tecnologie potrebbero compromettere la privacy. Come saranno applicate le nuove tecnologie e se scompagineranno l'equilibrio di potere esistente non è qualcosa di preordinato: dipende da noi.

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