Copertina
Autore Bruce Ackerman
Titolo La costituzione di emergenza
SottotitoloCome salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo
EdizioneMeltemi, Roma, 2005, Melusine 29 , pag. 96, cop.fle., dim. 120x190x9 mm , Isbn 978-88-8353-377-8
OriginaleThe Emergency Constitution [2004]
CuratoreAlessandro Ferrara
PrefazioneAlessandro Ferrara
TraduttoreAlessandro Ferrara
LettoreLuca Vita, 2005
Classe diritto , guerra-pace
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

 7  Prefazione
    Alessandro Ferrara

14  Introduzione

19  I.    Tra guerra e crimine

26  II.   Ri-razionalizzare l'emergenza

32  III.  Il modello della gestione giuridica

38  IV.   Pesi e contrappesi

53  V.    Questioni di portata

61  VI.   Indennizzi

66  VII.  Il posto dei giudici

81  VIII. Tragico compromesso?

94  IX.   La corsa contro il tempo



 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

I. Tra guerra e crimine


La nostra tradizione legale ci fornisce due concetti fondamentali per intendere il nostro contesto attuale: la guerra e il crimine. Nessuno dei due è adeguato.


Guerra?

La "guerra al terrorismo" ha pagato dividendi politici enormi per il Presidente Bush, ma ciò non la rende un concetto legale convincente. La guerra viene tradizionalmente definita come uno stato di belligeranza tra sovrani. Le guerre tra Afghanistan e Iraq erano guerre; la lotta contro Osama Bin Laden e Al Qaeda non lo è. L'adattamento selettivo delle dottrine che trattano della guerra conduce prevedibilmente a devastanti incursioni sul terreno delle libertà fondamentali. È una cosa se il Presidente Roosevelt designa come "enemy combatant" un cittadino americano preso prigioniero mentre serve nell'esercito tedesco e lo sottopone a processo al di fuori delle garanzie standard fornite dalle corti civili; è tutta un'altra cosa se il Presidente Bush fa altrettanto per i presunti membri di Al Qaeda.

[...]

Crimine?

Per il purista del diritto penale la "guerra al terrorismo" è solo una metafora senza rilevanza legale decisiva: assomiglia più alla "guerra alla droga" o alla "guerra al crimine" che alla guerra contro la Germania nazista. Al Qaeda è una pericolosa associazione a delinquere, ma altrettanto lo è la mafia, le cui attività conducono alla morte di migliaia di persone attraverso le overdosi di droga e gli assassini delle cosche. L'associazione a delinquere è un grave crimine e le forze dell'ordine hanno in loro possesso strumenti particolari per contrastarla. Ma nessuno presume che l'utilizzo disinvolto di espressioni come "guerra al crimine" ci consenta di mettere da parte un'intera gamma di garanzie penali costruite nei secoli. Perché la "guerra al terrorismo" dovrebbe essere diversa?

Ricordiamo inoltre l'esperienza della Guerra Fredda. Si parlava costantemente di una cospirazione comunista e, a differenza di Al Qaeda, le tenebrose cellule di tetri cospiratori erano sostenute da una grande superpotenza che disponeva di grandi eserciti dotati di armi nucleari. I presidenti americani erano in possesso di prove sostanziali intorno ai legami tra le cellule comuniste in patria e il GRU sovietico, che era un'organizzazione militare. Per decenni abbiamo vissuto a solo pochi minuti di distanza da un incidente che avrebbe potuto condurre all'olocausto nucleare. Da un punto di vista legale le cellule comuniste domestiche erano a tutti gli effetti delle truppe di prima linea in qualcosa che assomigliava da vicino a una classica guerra tra stati sovrani.

Tuttavia nessun presidente ha mai sospeso la normale applicazione del diritto penale definendo i comunisti interni "enemy combatants". La cospirazione comunista fu trattata come una cospirazione comunista; agli accusati venivano fornite tutte le tradizionali garanzie del diritto penale. Se le paure della Guerra Fredda non ci sopraffecero, perché il gergo guerresco dovrebbe giustificare misure militari straordinarie contro piccole bande di terroristi che non possono avvalersi dell'assistenza massiccia di una superpotenza aggressiva?

Sono queste domande importanti che ci forniscono un contesto cruciale per rimettere in questione il considerevole successo ottenuto dall'attuale amministrazione nel persuadere il pubblico che misure da emergenza bellica siano risposte appropriate alla nostra situazione attuale. Richard Hofstadter già da molto tempo ha avvertito gli americani della loro peculiare vulnerabilità nei confronti dello stile paranoide nella leadership politica. Ci stiamo cadendo un'altra volta.

[...]

Lo si chiami la funzione rassicurativa. Quando un attacco terrorista pone in questione l'effettiva sovranità dello Stato, il governo deve agire visibilmente e in modo deciso per dimostrare ai suoi cittadini terrorizzati che la falla era solo temporanea e che sta reagendo aggressivamente al fine di contenere la crisi e di fronteggiare la prospettiva di un suo riprodursi. Ancora più importante è il fatto che la mia proposta per una costituzione di emergenza autorizza il governo a detenere sospetti senza le usuali garanzie di causa probabile o persino di legitima suspicione proprie del diritto penale. Il governo può esercitare la funzione rassicurativa anche utilizzando altri poteri, ma nel corso della mia argomentazione assumerò come paradigmatico l'esercizio di poteri detentivi straordinari. Il mio obiettivo è di delineare un quadro costituzionale per uno stato temporaneo di emergenza che ponga il governo in grado di esercitare la funzione rassicurativa senza apportare danni duraturi ai diritti individuali.

Più facile a dirsi che a farsi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 32

III. Il modello della gestione giuridica


Abbiamo veramente bisogno di una costituzione di emergenza? Soluzioni nuove fiammanti possono contenere seri difetti che risulteranno difficili da cambiare una volta che siano solennemente incastonati nella legislazione o, peggio ancora, nel dettato costituzionale. Prescindendo dal pericolo reale di commettere errori iniziali, la creazione stessa di una struttura elaborata può accrescere la frequenza con la quale le autorità utilizzano poteri di emergenza. Attualmente essi affrontano la stragrande maggioranza degli eventi negativi all'interno del tradizionale quadro di riferimento del diritto penale. Ma il nuovo meccanismo normalizzerà la retorica dell'emergenza, rendendo i poteri eccezionali parte integrante del discorso ordinario delle istituzioni governative. Se lo costruisci loro lo useranno – le autorità cercheranno di invocare poteri di "emergenza" per affrontare crisi non eclatanti, col risultato di generare un'altra triste sequenza di conseguenze inintenzionali.

Certamente la Costituzione degli Stati Uniti contiene una rudimentale clausola di emergenza, la quale permette la sospensione dell' habeas corpus "quando, in caso di ribellione o invasione, lo esiga la sicurezza pubblica". Ma questa clausola lascia quasi tutto il resto all'immaginazione giuridica. Piuttosto che emanare un invito alla riprogettazione consapevole, dovremmo forse apprezzare le nubi che attualmente oscurano la questione? In tempi normali l'indefinitezza della common law permette ai giudici e ad altre figure della saggezza legale di concedersi un considerevole riserbo intorno all'uso dei poteri di emergenza, avvertendo a destra e a manca che essi sono incostituzionali tranne che nelle circostanze più estreme. Ciò genera un'aura di sospetto e funge da freno nei confronti di figure istituzionali che altrimenti potrebbero fin troppo facilmente ricorrere a poteri di emergenza. Allora, quando sorge una vera crisi i giudici possono dar prova di notevole flessibilità durante il suo corso, coprendosi la ritirata con formulazioni confuse e pronunciamenti restrittivi occasionali.

Quando la crisi rientra sono pronti a inaugurare un periodo di tormentato ripensamento, sollevando dubbi intorno all'adeguatezza costituzionale del loro momentaneo permissivismo. Dopo un decennio o due di esercizi revisionisti, gli oracoli della legge possono tornare al vecchio habitus di gettare anatemi sull'intera idea di poteri di emergenza – il che conduce a un'atmosfera di vero riserbo, fino a quando non scoppia la crisi successiva.

Perché allora non lasciare che questo ciclo del common law si prenda cura del problema delle emergenze? Lo sforzo di costruire una nuova struttura giuridica non apporterà più danno che guadagno?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 61

VI. Indennizzi


Concentriamoci adesso sull'aspetto centrale del potere di emergenza: l'autorità di tenere in detenzione sospetti in assenza del genere di prove normalmente richieste dalle costituzioni liberali. Nello sforzo di neutralizzare una serie di uomini chiave e con ciò di ridurre la minaccia di un secondo attacco vi saranno rastrellamenti in cui incapperanno molte persone innocenti. Fino a questo punto la mia costituzione di emergenza non si confronta con i costi esosi a cui sono sottoposte le vittime dei rastrellamenti. In questa sezione sviluppo una tesi a favore dell'indennizzo finanziario per tutti quegli innocenti che sono incorsi nella detenzione preventiva.

Come suggerisce l'11 settembre, si può essere sicuri che il pubblico e i politici rispondano con generosità alle esigenze economiche di alcune vittime della guerra al terrorismo. Gli indennizzi disposti dal Congresso per i familiari di coloro che sono stati uccisi alle Torri Gemelle e al Pentagono ammontavano a 7,6 milioni di dollari. Ma la generosità si muta in insensibilità quando si tratta di un'altra classe di vittime: le centinaia o migliaia di uomini e donne innocenti incappati nei rastrellamenti antiterroristi. Certo, le vite di queste persone subiscono uno sconvolgimento solo temporaneo, mentre le famiglie delle vittime dei terroristi subiscono una perdita permanente. Nondimeno, un arresto improvviso è un'esperienza traumatica specialmente quando si è consapevoli di non aver fatto nulla di male e specialmente quando all'arresto seguono settimane o mesi di detenzione. Le vittime dei rastrellamenti, tra l'altro, hanno una famiglia colpita da profonde paure e bisogni economici ingenti.

Tuttavia, queste ovvie circostanze non hanno generato una profusione di favore pubblico nei confronti dell'attribuzione di indennizzi anche a loro. Al contrario, le perdite subite da queste persone vengono dimenticate nel quadro della paura diffusa generata dall'attacco terrorista.

Questa cecità è assolutamente tipica. Ci volle quasi mezzo secolo prima che le vittime nippo-americane dei campi di concentramento della seconda guerra mondiale ottenessero un indennizzo economico e ciò soltanto in virtù di un provvedimento speciale del Congresso che attribuì loro somme incredibilmente esigue.

Questa insensibilità mette in evidenza una distorsione più profonda nella legislazione sul giusto compenso. Quando il governo requisisce una piccola proprietà per costruire una nuova strada al proprietario è costituzionalmente garantito un equo indennizzo al valore di mercato anche se gli è dovuta una somma relativamente esigua. Ma quando un innocente per errore è condannato dal sistema penale non gli è garantito neanche un soldo quando l'errore viene successivamente scoperto, nonostante le cicatrici prodotte da lunghi anni di carcerazione. La clausola costituzionale del "giusto compenso" non è mai stata interpretata in modo da includere questa così distruttiva perdita di capitale umano. Quel che è peggio, i legislatori americani sono sempre stati notevolmente carenti nel fornire soccorso legislativo. Solo il governo federale, quindici Stati, e il District of Columbia forniscono un qualsiasi indennizzo e alcune legislazioni impongono a questi dei tetti ridicolmente bassi. Per esempio il governo federale pagherà a un detenuto innocente solo 5.000 dollari indipendentemente dal lasso di tempo sprecato in prigione. Ma questa è una somma principesca se paragonata allo zero assoluto rimborsato agli innocenti in 35 Stati americani.

Questa risposta sbrigativamente negativa contrasta fortemente col trattamento relativamente generoso offerto dai governi europei. L'ampia disparità tra America ed Europa si è mantenuta per generazioni e sono sconcertato dal fatto che i giuristi americani non ne abbiano tratto occasione per sviluppare una critica costituzionale seria. Non solo questo trattamento è insensibile e scandalosamente iniquo, ma non può essere giustificato da nessuna delle dottrine giuridiche del giusto compenso che sono prese sul serio da corti e commentatori.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 79

Una sintesi

Riprendiamo una prospettiva più ampia e riconsideriamo l'intera proposta. Semplificando drasticamente la riassumerò in tre principi derivati da ciascuno di tre ambiti: politico, economico e giuridico. Da un punto di vista politico, la costituzione di emergenza richiede che maggioranze sempre più ampie perpetuino il regime straordinario per periodi di tempo estesi. Da un punto di vista economico, essa richiede indennizzi per le molte persone innocenti che incappano nella rete. Da un punto di vista giuridico, richiede un rispetto rigoroso per la decenza fintanto che le tradizionali garanzie del diritto penale sono sospese.

Maggioranze qualificate, indennizzo, decenza. Questi tre principi, insieme ai loro corollari, fanno ben più che fornire protezione sostanziale agli sfortunati che incappano nella rete del sospetto. Presi insieme forniscono un quadro dello "stato di emergenza" come regime a cui con attenzione vengono posti limiti, tollerato soltanto come una necessità incresciosa, e sempre sul sentiero della cessazione. Senza dubbio l'inclusione di questo regime all'interno del nostro ordine costituzionale rappresenterebbe un riconoscere che il momento del trionfalismo post-1989 è venuto a cessare e che gli ideali liberali possono talvolta richiedere azioni straordinarie in loro difesa. È meglio affrontare questa triste verità ora piuttosto che permettere ai terroristi di provocare cicli ricorrenti di paura pubblica che innescheranno ondate ricorrenti di legislazione repressiva.

| << |  <  |