Copertina
Autore Giorgio Agamben
Titolo L'aperto
SottotitoloLuomo e l'animale
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2002, Temi 118 , pag. 100, dim. 115x195x9 mm , Isbn 978-88-339-1372-8
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe filosofia
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Indice

 9  1. Teromorfo
12  2. Acefalo
16  3. Snob
21  4. Mysterium disiunctionis
25  5. Fisiologia dei beati
28  6. Cognitio experimentalis
30  7. Tassonomie
35  8. Senza rango
38  9. Macchina antropologica
44 1O. Umwelt
49 11. Zecca
52 12. Povertà di mondo
60 13. L'aperto
66 14. Noia profonda
75 15. Mondo e terra
78 16. Animalizzazione
81 17. Antropogenesi
83 18. Tra
87 19. Desceuvrement
91 20. Fuori dall'essere

97     Bibliografia

 

 

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Pagina 21

4.

Mysterium disiunctionis


Per chi intraprenda una ricerca genealogica sul concetto di «vita» nella nostra cultura, una delle prime e più istruttive osservazioni è che esso non viene mai definito come tale. Ciò che resta così indeterminato viene, però, di volta in volta articolato e diviso attraverso una serie di cesure e di opposizioni che lo investono di una funzione strategica decisiva in ambiti così apparentemente lontani come la filosofia, la teologia, la politica e, soltanto più tardi, la medicina e la biologia. Tutto avviene, cioè, come se, nella nostra cultura, la vita fosse ciò che non può essere definito, ma che, proprio per questo, deve essere incessantemente articolato e diviso.

[...]

Ma, se questo è vero, se la cesura fra l'umano e l'animale passa innanzi tutto all'interno dell'uomo, allora è la questione stessa dell'uomo - e dell'«umanesimo» - che dev'essere posta in modo nuovo. Nella nostra cultura, l'uomo è stato sempre pensato come l'articolazione e la congiunzione di un corpo e di un'anima, di un vivente e di un logos, di un elemento naturale (o animale) e di un elemento soprannaturale, sociale o divino. Dobbiamo invece imparare a pensare l'uomo come ciò che risulta dalla sconnessione di questi due elementi e investigare non il mistero metafisico della congiunzione, ma quello pratico e politico della separazione. Che cos'è l'uomo, se esso è sempre il luogo - e, insieme, il risultato - di divisioni e cesure incessanti? Lavorare su queste divisioni, chiedersi in che modo - nell'uomo - l'uomo è stato separato dal nonuomo e l'animale dall'umano, è più urgente che prendere posizione sulle grandi questioni, sui cosiddetti valori e diritti umani. E, forse, anche la sfera più luminosa delle relazioni col divino dipende, in qualche modo, da quella - più oscura - che ci separa dall'animale.

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Pagina 30

7.

Tassonomie


              Cartesius certe non vidit simios.
                                  Carlo Linneo

Linneo, il fondatore della tassonomia scientifica moderna, aveva un debole per le scimmie. È probabile che avesse avuto occasione di vederne da vicino durante il suo soggiorno di studio ad Amsterdam, che era allora un centro importante per il commercio di animali esotici. Più tardi, tornato in Svezia e divenuto archiatra regio, raccolse a Uppsala un piccolo zoo, che comprendeva scimmie di varia specie, fra le quali si racconta che prediligesse una bertuccia di nome Diana. Che le scimmie, come gli altri bruta, si distinguessero sostanzialmente dall'uomo perché prive di anima, non era una cosa che egli si sentisse di concedere facilmente ai teologi. Una nota al Systema naturae liquida la teoria cartesiana che concepiva gli animali alla stregua di automata mechanica con l'affermazione infastidita: «evidentemente Cartesio non ha mai visto una scimmia». In uno scritto successivo, che porta il titolo Menniskans Cousiner, cugini dell'uomo, egli spiega quanto sia arduo identificare, dal punto di vista delle scienze della natura, la differenza specifica fra le scimmie antropomorfe e l'uomo. Non che non scorgesse la chiara differenza che separa l'uomo dalla bestia sul piano morale e religioso:

l'uomo è l'animale che il Creatore ha trovato degno di onorare con una mente tanto meravigliosa e ha voluto adottare come il suo favorito, riservandogli un'esistenza più nobile; Dio ha perfino mandato sulla terra il suo unico figlio per salvarlo. (Linneo 1955, 4)

Ma tutto questo, egli concludeva,

appartiene a un altro foro; nel mio laboratorio devo attenermi come il calzolaio al suo dischetto e considerare l'uomo e il suo corpo come un naturalista, che non riesce a trovare altro carattere che lo distingue dalle scimmie se non il fatto che queste ultime hanno uno spazio vuoto fra i canini e gli altri denti. (ibid.)

Il gesto perentorio con cui, nel Systema naturae, egli iscrive Homo nell'ordine degli Anthropomorpha (che, a partire dalla decima edizione del 1758, si chiameranno Primates) accanto a Simia, Lemur e Vespertilio (il pipistrello) non può quindi sorprendere. Del resto, malgrado le polemiche che il suo gesto non mancò di suscitare, la cosa era in un certo senso nell'aria. Già John Ray, nel 1693, aveva distinto fra i quadrupedi il gruppo degli Anthropomorpha, dei «simili all'uomo». In generale, nell'Ancien régime, i confini dell'umano sono assai più incerti e fluttuanti di quanto appariranno nel XIX secolo, dopo lo sviluppo delle scienze umane. Il linguaggio, che sarebbe diventato il contrassegno per eccellenza dell'umano, fino al XVIII secolo scavalca gli ordini e le classi, perché si sospetta che anche gli uccelli parlino.

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Pagina 62

Se il problema è dunque quello della definizione del confine - cioè insieme della separazione e della prossimità fra l'animale e l'umano, è forse venuto il momento di provare a fissare lo statuto ontologico paradossale dell'ambiente animale così come appare nel corso del 1929-30. L'animale è, insieme, aperto e non aperto - o meglio, non è né una cosa né l'altra: aperto in un non-disvelamento che, per un verso, lo stordisce e disloca con veemenza inaudita nel suo disinibitore, e, per un altro, non svela in alcun modo come un ente ciò che pure lo tiene così avvinto e assorbito. Heidegger sembra qui oscillare fra due poli opposti, che ricordano in qualche modo i paradossi della conoscenza - o piuttosto dell'inconoscenza - mistica. Da una parte lo stordimento è una apertura più intensa e trascinante di qualsiasi conoscenza umana; dall'altra esso, in quanto non è in grado di svelare il proprio disinibitore, è chiuso in un'opacità integrale. Stordimento animale e apertura del mondo sembrano così stare in rapporto fra loro come teologia negativa e teologia positiva, e la loro relazione è altrettanto ambigua di quella che insieme oppone e lega in una segreta complicità la notte oscura del mistico e la chiarità della conoscenza razionale. Ed è forse per una tacita, ironica allusione a questa relazione che Heidegger sente a un certo punto il bisogno di illustrare lo stordimento animale attraverso uno dei più antichi simboli dell' unio mystica, la falena, che si lascia bruciare dalla fiamma che l'attrae e che le resta tuttavia fino all'ultimo ostinatamente sconosciuta. Il simbolo mostra qui la sua inadeguatezza, perché, secondo gli zoologi, ciò a cui la falena è innanzi tutto cieca è proprio la non-apertura del disinibitore, il suo rimanere stordita in esso. Mentre la conoscenza mistica è essenzialmente esperienza di una inconoscenza e di un velamento come tale, l'animale non può riferirsi al non aperto, rimane escluso proprio dall'ambito essenziale del conflitto tra svelamento e velamento.

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Pagina 81

17.

Antropogenesi


Proviamo a enunciare in forma di tesi i risultati provvisori della nostra lettura della macchina antropologica della filosofia occidentale:

1) L'antropogenesi è ciò che risulta dalla cesura e dall'articolazione fra l'umano e l'animale. Questa cesura passa innanzi tutto all'interno dell'uomo.

2) L'ontologia, o filosofia prima, non è una innocua disciplina accademica, ma l'operazione in ogni senso fondamentale in cui si attua l'antropogenesi, il diventar umano del vivente. La metafisica è presa fin dall'inizio in questa strategia: essa concerne precisamente quel metá che compie e custodisce il superamento della physis animale in direzione della storia umana. Questo superamento non è un evento che si è compiuto una volta per tutte, ma un accadimento sempre in corso, che decide ogni volta e in ogni individuo dell'umano e dell'animale, della natura e della storia, della vita e della morte.

3) L'essere, il mondo, l'aperto non sono, però, qualcosa di altro rispetto all'ambiente e alla vita animale: essi non sono che l'interruzione e la cattura del rapporto del vivente col suo disinibitore. L'aperto non è che un afferramento del non-aperto animale. L'uomo sospende la sua animalità e, in questo modo, apre una zona «libera e vuota» in cui la vita è catturata e abbandonata in una zona di eccezione.

4) Proprio perché il mondo si è aperto per l'uomo soltanto attraverso la sospensione e la cattura della vita animale, l'essere è già sempre traversato dal nulla, la Lichtung è già sempre Nichtung.

5) Il conflitto politico decisivo, che governa ogni altro conflitto, è, nella nostra cultura, quello fra l'animalità e l'umanità dell'uomo. La politica occidentale è, cioè, cooriginariamente biopolitica.

6) Se la macchina antropologica era il motore del divenire storico dell'uomo, allora la fine della filosofia e il compimento delle destinazioni epocali dell'essere significano che la macchina gira oggi a vuoto.

Due scenari sono a questo punto possibili nella prospettiva di Heidegger: a) l'uomo poststorico non custodisce più la propria animalità in quanto indischiudibile, ma cerca di governarla e prenderla in carico attraverso la tecnica; b) l'uomo, il pastore dell'essere, si appropria della sua stessa latenza, della sua stessa animalità, che non resta nascosta né è fatta oggetto di dominio, ma è pensata come tale, come puro abbandono.

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