Copertina
Autore Philippe Aigrain
Titolo Causa comune
SottotitoloL'informazione tra bene comune e proprietà
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007, eretica speciale , pag. 200, cop.fle., dim. 15x21x1,5 cm , Isbn 978-88-7226-980-0
OriginaleCause Commune [2006]
TraduttoreAntonella Beccaria, Andrea Glorioso
LettoreRenato di Stefano, 2007
Classe diritto , politica , media , comunicazione , informatica: politica , copyright-copyleft , beni comuni
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Indice


Prefazione di Juan Carlos De Martin               5

Capitolo 1
Due mondi in uno                                  9

Capitolo 2
Da dove viene la frattura?
L'informazione e le sue tecniche                 24

Capitolo 3
Tragedia in quattro atti                         48

Capitolo 4
Ritorno alle origini: ricostruire i diritti      94

Capitolo 5
Quale pianeta informazionale?                   110

Capitolo 6
Civiltà immateriale, economia e capitalismo     126

Capitolo 7
Proposte                                        162

Glossario                                       187

Bibliografia                                    190




 

 

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Pagina 2

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Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons Attributione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. Pertanto esso può essere riprodotto e distribuito con ogni mezzo, a condizione che se ne riporti correttamente la paternità, che non lo si usi per fini commerciali e che non lo si alteri o lo si trasformi, né lo usi per creare un'altra opera. Il testo completo della licenza è consultabile all'indirizzo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode .
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Pagina 9

Capitolo 1

Due mondi in uno


«Comune: che appartiene a tutti; a cui tutti hanno diritto o di cui tutti sono parte».

Grande Enciclopedia Larousse


Caro lettore, cara lettrice, supponiamo per un istante che, come avviene nei romanzi di fantascienza di Doris Lessing, facciate parte di una squadra intergalattica inviata sul nostro pianeta in esplorazione. Vi saranno state fornite istruzioni che apparirebbero sorprendenti a un Terrestre. Vi si invita a ignorare temporaneamente i sintomi di una crisi ecologica: l'aumento della concentrazione dei gas nell'atmosfera e il conseguente effetto serra, l'uso sempre meno sostenibile delle risorse energetiche, la comparsa di nuovi problemi di salute legati a luoghi e stili di vita. Vi si chiede invece di dedicarvi con la massima attenzione a un ambito prettamente immateriale, ovvero lo scambio di informazioni fra esseri umani e di analizzare le tensioni che lì si producono. Partite dunque nella vostra ricerca.

Primo scenario: Wikipedia

Il 15 gennaio 2001, Larry Sanger, Ben Kovitz e Jimbo Wales lanciarono un progetto con l'obbiettivo di creare un'enciclopedia alla quale ognuno potesse accedere liberamente e gratuitamente e che consentisse a tutti il riutilizzo e la modifica degli articoli, a condizione che questi stessi articoli rimanessero liberamente accessibili, utilizzabili e modificabili. Come strumento per produrre tale enciclopedia venne scelto un Wiki, cioè un programma che permette a chiunque di modificare una qualunque pagina (articolo) con un semplice browser Web. Avete letto bene: chiunque abbia accesso alla rete può in qualunque momento cambiare il contenuto di qualunque articolo di quest'enciclopedia. Un osservatore terrestre di questa attività, Clay Shirky, riconobbe nel suo articolo «Social software and the politics of groups» [71] che persino fra i promotori della cooperazione informazionale ben pochi ritenevano che un approccio aperto a tutti, senza alcun controllo editoriale a priori, potesse approdare a nient'altro che a un caos distruttivo. Tre anni e mezzo dopo, la versione inglese dell'enciclopedia contiene 370.140 articoli e Wikipedia è tradotta in oltre 80 lingue, per 18 delle quali sono stati scritti oltre 10.000 articoli, superando oggi il milione di voci complessive. La versione francese ne contiene circa 60.000, numero in rapido aumento. La visione dinamica della crescita del progetto è ancora più impressionante: superata una massa critica di utenti e di articoli in una data lingua, la qualità di questi ultimi migliora rapidamente. Per averne un esempio, si può consultare in particolare l'articolo «Clavecin» [clavicembalo, N.d.T] nella versione francese.

Come può Wikipedia funzionare e raggiungere un simile successo? Essa libera la capacità di dozzine di migliaia di contributori e permette che questa capacità si eserciti a piccole dosi, in modo incrementale. Viene inoltre stipulata una sorta di assicurazione su ciò che si crea: qui risiede il genio della concezione tecnica dei Wiki e dell'utilizzo concreto che ne fa Wikipedia, dove distruggere qualcosa – e ogni distruzione è comunque un atto correggibile – richiede tanto tempo quanto crearla. Wikipedia contiene dei dispositivi di sicurezza, ma essi vengono usati solo contro coloro che vorrebbero modificare troppe pagine alla volta, il che non avviene nel caso di un contributore ben intenzionato; l'uso generalizzato di tali dispositivi è limitato a quei punti critici, come la pagina d'ingresso al progetto, per i quali è stato necessario introdurre sistemi di moderazione (la richiesta di cambiamento viene sottoposta al gruppo editoriale). Come la maggior parte dei progetti di libera cooperazione informazionale, Wikipedia usa numerosi strumenti per alimentare la cooperazione e per progredire verso gli scopi comuni: mailing list in cui i partecipanti possono discutere tra di loro, registri storici, metaprogetti di coordinamento linguistico, progetti-satellite per i sinonimi e le citazioni e soprattutto ciò che Clay Shirky chiama la "Costituzione comune" del progetto, ovvero l'enunciazione dei suoi scopi e delle sue regole.

A questo punto il nostro osservatore intergalattico è davvero sbalordito. Solitamente non viene spedito così lontano solo per constatare che tutto va bene. Continua dunque la sua ricerca e si imbatte presto in un secondo scenario, all'apparenza difficile da conciliare con il primo.


Secondo scenario: le multinazionali dell'informazione in guerra con i loro clienti

Con il titolo «Il capo di Vivendi condurrà la guerra contro la pirateria», il Financial Times [81] riporta che il 12 ottobre 2004, presso le Nazioni Unite, l'amministratore delegato di Vivendi-Universal e presidente dell'International Chambre of Commerce, Jean-René Fourtou, ha chiamato alle armi i dirigenti delle multinazionali farmaceutiche, petrolchimiche, informatiche e dei beni di consumo, annunciando un'offensiva mondiale dell'industria contro la pirateria intellettuale. Quello stesso giorno, secondo un dispaccio dell' Associated Press, un gruppo di lavoro federale degli Stati Uniti d'America ha raccomandato la concessione di molteplici poteri d'inchiesta e di polizia a chi combatte il «furto della proprietà intellettuale», concetto che va dalla contraffazione dei medicinali allo scambio di musica su Internet. A titolo di esempio, il rapporto di questo gruppo di lavoro suggerisce di autorizzare intercettazioni telefoniche e strumenti di sorveglianza via Internet e di obbligare i fornitori di accesso alla rete a consegnare i nomi dei loro utenti accusati di scambiare contenuti protetti da copyright. Tutto ciò non si limita agli Stati Uniti: un simile rafforzamento delle procedure, ivi incluse le misure di sequestro preventivo dei beni e degli averi delle persone accusate, è previsto dalla direttiva europea «Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale» adottata il 29 aprile 2004.

I Terrestri non sembrano sorprendersi del fatto che la copia industriale di beni materiali e lo scambio di informazioni senza scopo di lucro tra singoli siano trattati con gli stessi strumenti giuridici e investigativi. Non sembrano nemmeno sorpresi dal fatto che una coalizione mondiale di magnati si organizzi per condurre un'attività di pressione nei confronti dei governi di 80 paesi e si lasci prendere dalla frenesia della guerra preventiva al punto di lanciarne una contro i propri clienti.


I due mondi

Torniamo a essere semplici Terrestri. Questa coesistenza di fenomeni – apparentemente così differenti – che riguardano la produzione e lo scambio di informazioni è aneddotica? È il risultato di una selezione aleatoria effettuata dai nostri osservatori intergalattici? Niente affatto. Si consultino le due tabelle alle pagine 15-16: la prima elenca alcune forme di cooperazione informazionale capaci di generare molteplici strumenti tecnici, nuovi media, nuove conoscenze condivise e realizzazioni scientifiche, nuovi coordinamenti fra i promotori di una visione di interesse generale; la seconda non è che un estratto della lunga lista di tensioni derivanti dall'appropriazione forsennata dell'informazione e delle conoscenze da parte di attori economici.

Tutto accade come se questi due mondi abitassero un solo pianeta, tracciandovi però strade completamente differenti.

Nel primo mondo, programmatori di software libero di tutto il mondo creano, senza ricorso a transazioni monetarie, opere tecniche più complesse di quanto l'umanità avrebbe anche solo potuto sognare fino a poco tempo prima. La condivisione dei gusti e delle creazioni reinventa la diversità culturale nella misura in cui la manipola. L'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, dalla posta elettronica alle liste di discussione, dai siti web cooperativi alla messa in rete di informazioni condivise, favorisce la comparsa di nuove forme di solidarietà globale e locale. L'emersione di risorse e di strumenti condivisi per l'informazione rafforza, attraverso il comprovato apporto dei benefici derivanti dalla cooperazione e dalla solidarietà, l'idea che esistano beni comuni portatori di futuro. Gli attori che si muovono in questi ambiti si alleano con coloro che lottano per preservare i fragili beni pubblici globali propri della sfera fisica (acqua, aria, clima, ambiente). La solidarietà sociale si rafforza e dà strumenti di controllo qualitativo delle forme di scambio e di produzione, valorizzando all'interno dello stesso movimento il commercio etico, il risparmio energetico e la condivisione delle conoscenze. Esplora nuovi mezzi per dotare i beni pubblici sociali (educazione, sanità, reddito per tutti) di risorse sufficienti. Si apre così una nuova era della politica che si appoggia alle istituzioni internazionali e allo Stato in ogni sua emanazione, senza bisogno che questi soggetti controllino nel dettaglio la vita sociale.

Nel secondo mondo, delle multinazionali producono contenuti standardizzati (film, prodotti di marca, format per trasmissioni televisive) declinati in versioni "localizzate". Consacrano somme gigantesche alla promozione di tali contenuti presso chi è abbastanza ricco per pagarli o per far sì che la loro visibilità possa essere venduta agli inserzionisti pubblicitari. Difendono i loro monopoli con molteplici barriere proprietarie: i brevetti, i diritti patrimoniali d'autore la cui attuazione è ora assicurata dalla tecnica e dalla sorveglianza e, a un gradino più basso, i marchi. I meccanismi complessi delle transazioni legate alla concessione in licenza di brevetti e copyright permettono di sfuggire ai prelievi fiscali. In questo mondo noi diveniamo i terminali della musica che ascoltiamo e dei media che non ci permettono più di distinguere la finzione dalla realtà. I governi lanciano campagne di comunicazione per invitarci ad adottare un'alimentazione sana, mentre alla stragrande maggioranza della popolazione adottare tale genere di comportamenti non è permesso né dall'offerta del supermercato di quartiere, né dai messaggi pubblicitari, né dalle costrizioni temporali.


Tabella 1 — Alcune forme di cooperazione informativa
____________________________________________________________
Natura e risultati      Esempi
della cooperazione
____________________________________________________________
Software libero.        GNU/Linux, migliaia di programmi per
                        elaboratore utilizzati da milioni di
                        persone e all'interno delle
                        infrastrutture della società
                        dell'informazione.
____________________________________________________________
Media cooperativi.      Slashdot, Indymedia, i blog: media
                        specializzati o generalisti.
____________________________________________________________
Pubblicazioni           La Public Library of Science, decine
scientifiche aperte.    di altre riviste scientifiche a
                        libero accesso, una riserva di
                        centinaia di migliaia di trattati su
                        Web.
____________________________________________________________
Nuove forme artistiche. Musica hip-hop e remixata, forum di
                        poesia, arte libera.
____________________________________________________________
Archivi sociali         Archiviazione e messa in rete, a
delle radio pubbliche.  scopo di condivisione, delle
                        trasmissioni di radio pubbliche dopo
                        la loro scomparsa dai siti delle
                        radio stesse. Progetto di
                        istituzionalizzazione tramite una
                        rete nazionale di scambio.
____________________________________________________________
Annotazione cooperativa Progetto Ensemble: annotazione
del genoma.             cooperativa (ad opera di ricercatori
                        di molti paesi) dei dati che
                        descrivono il genoma di numerosi
                        organismi, per mettere in comune il
                        sapere e le ipotesi correlate.
____________________________________________________________



Tabella 2 – Esempi di appropriazione privata
dell'informazione e tensioni che ne derivano
____________________________________________________________
Meccanismi              Effetti o tensioni derivanti
____________________________________________________________
Estensione degli ambiti Appropriazione di conoscenze o di
coperti dai brevetti    risorse naturali che erano prima
(molecole,              considerate dei beni comuni.
principalmente          Difficoltà di accesso a risorse
farmaceutiche, varietà  essenziali (farmaci, sementi).
vegetali, sequenze      Ostacoli all'innovazione.
genetiche, software e
metodi di trattamento
delle informazioni).
____________________________________________________________
Globalizzazione         Ostacoli allo sviluppo.
uniforme dei
brevetti.
____________________________________________________________
Estensione ripetuta     Non-esistenza di un dominio pubblico
della durata del        per i media audio-video.
diritto d'autore.       Analfabetismo nell'uso di questi
                        media.
____________________________________________________________
Criminalizzazione dei   Restrizioni alla diffusione
comportamenti di        culturale, disprezzo per la legge
condivisione senza      che appare cucita su misura per
scopo di lucro.         interessi particolari.
____________________________________________________________
Installazione di        Definizione più restrittiva di
tecnologie che          questi diritti. Ostacoli alla
controllano a priori    possibilità per alcuni tipi di
i diritti di utilizzo   dispositivi o per certi utenti (per
dell'informazione.      esempio, diversamente abili) di
                        accedere ai contenuti.
                        Controllo proprietario degli
                        industriali sui canali di
                        diffusione. Scarsità artificiale di
                        contenuti.
____________________________________________________________
Presunzione di colpa    Quando i meccanismi di proprietà si
in materia di proprietà applicano alle attività degli
intellettuale.          individui o ad atti fondamentali
                        della vita sociale, esiste un
                        concreto pericolo per le libertà.
____________________________________________________________
Potenza smisurata e     Accresciuta penetrazione all'interno
fragile delle industrie dei governi attraverso gli interessi
che detengono i         economici, concentrazione estrema
monopoli                dei media, crisi dei processi
sull'informazione.      democratici, controllo delle
                        rappresentazioni e dei termini del
                        dibattito.
____________________________________________________________



In questo mondo, siamo bersagli dei farmaci — che saranno presto geneticamente personalizzati — che consumiamo, il software — che infatti aggiorniamo perché dobbiamo, non perché vogliamo — utilizza noi più di quanto noi lo utilizziamo. Gli incredibili margini di profitto delle industrie che detengono i monopoli sull'informazione rendono l'economia fisica dipendente dalla pressione permanente di massimizzare i profitti finanziari. I territori, i lavoratori possono essere scartati o riconfigurati secondo necessità. Ai margini di questo mondo, coloro che non possiedono le condizioni di profitto o di socializzazione per essere terminali redditizi sopravvivono a stento ai confini della legalità e, privati delle proprie risorse, accedono alle briciole dei sistemi solidaristici. La criminalità organizzata prospera sulla separazione fra prezzo e costo di produzione che le permette di trasformare la contraffazione in un'industria usando gli stessi circuiti delle multinazionali. Chi dispone dei mezzi necessari tenta di sfuggire alla perdita di senso derivante da tutti questi meccanismi per concentrarsi su di sé e sulla ricostruzione di un ambiente protetto all'interno di una sfera privata.


Intuizioni

Il nostro presente è intriso di questi due mondi. Sono entrambi abitati, ma la loro coesistenza è così tesa, così esplosiva, che arriverà il momento in cui ci si troverà davanti a un bivio. Nel giro di qualche anno, prenderemo decisioni che determineranno in modo irreversibile quale di questi due mondi prevarrà nel nostro futuro. Ma da dove arrivano questi due mondi? Una causa comune li ha messi in movimento. La nascita della tecnica che permette di estrarre informazioni, di crearle, di trasformarle, che dona loro forma, che consente di scambiarle di leggere come informazione ciò che prima appariva una semplica costruzione materiale o un misterioso fenomeno vivente, e la base fondante di questa causa comune. Si è parlato molto di informazione, economia dell'informazione, tecniche di informazione e di comunicazione, tanto che più di un lettore deve averle classificate fra quei vaghi concetti di cui sono intessute le mode intellettuali. Eppure oggi è possibile abbandonare il terreno delle intuizioni per comprendere davvero perché l'informazione e le sue tecniche sono una delle principali trasformazioni vissute dalla civiltà umana e perché la collisione fra la loro nascita da un lato e i precedenti meccanismi dell'economia monetaria e dei regimi di proprietà dall'altro ci fa precipitare in questi mondi contraddittori.

Il capitolo 2 rivive le rivoluzioni tecniche, sociali e intellettuali che hanno permesso l'emersione dell'informazione e delle relative tecniche. Vi si spiega in che modo le caratteristiche fondamentali di tali fenomeni possano rendere possibile al tempo stesso nuove forme di cooperazione e di sviluppo umano e una immensa concentrazione di potere nelle mani di chi giunge ad appropriarsi dell'informazione o a controllarne l'uso. Gli opinionisti si sono per il momento concentrati su quelle forme di proprietà dell'informazione che spiegano solo una piccola parte degli effetti di cui siamo testimoni. Si insiste sulla possibilità di duplicazione perfetta e tendenzialmente gratuita dell'informazione e quindi di ciò che essa rappresenta. Questi fenomeni, più antichi di quanto si pensi, sono certamente importanti, ma non possono essere pienamente compresi se non vi si aggiunge la capacità umana di creare, scambiare, condividere, rappresentare, che è la vera specificità dell'era dell'informatica e delle reti. L'informatica determina nuovi modi di pensare, di percepire, di presentare ciò che elaboriamo. Le reti, quando sono costruite perché chiunque possa esserne partecipe, rendono possibili nuovi modi di cooperare, di condividere e di produrre tutto ciò che rientra nell'immateriale e nella cultura dei saperi.

Il capitolo 3 racconta di una tragedia clandestina che ha sconvolto in trent'anni l'equilibrio del pianeta: la crescente follia dell'appropriazione delle informazioni e il modo in cui questa follia ha per lungo tempo nascosto le promesse dei nuovi modi di cooperazione e della creazione tecnica, artistica o semplicemente sociale. Fintanto che i benefici delle nuove forme di cooperazione non si imporranno, vivremo in un mondo caratterizzato da meccanismi di appropriazione (brevetti, diritti d'autore patrimoniali) e di controllo centralizzato da parte delle grandi aziende, in grado di impadronirsi delle tecniche informazionali. Queste industrie della proprietà informazionale sembrano molto differenti tra loro poiché possono produrre sementi agricole così come software, film o trasmissioni televisive; realizzare farmaci biotecnologici o distribuire beni fisici, come dei vestiti ai quali aggiungere un "surplus informazionale" tramite i marchi. Ma tutte hanno in comune l'essere riuscite ad ottenere un monopolio su un'attività molto poco costosa, benché essenziale: la riproduzione delle informazioni contenute nei loro prodotti. Siccome questi monopoli sono fragili, nella misura in cui è spesso difficile controllarne il rispetto, essi vengono rafforzati tramite misure di polizia e di sorveglianza volte a controllare i canali di produzione e di distribuzione. Questi stessi attori industriali tentano di imporre modelli di consumo sincronizzati sui loro prodotti attraverso una promozione sfrenata e sempre più invadente sia dello spazio pubblico che della vita privata.

Tutto ciò non sarebbe altro che un aneddoto se questi attori potessero sperare di imporre il loro modello senza distruggere il prezioso potenziale della rivoluzione informazionale. Poiché, parallelamente alla follia della proprietà, un nuovo continente appare all'orizzonte: quello dei beni informazionali comuni, delle creazioni che appartengono a tutti non appartenendo a nessuno. Questo continente è quello del software libero, della scienza aperta, delle enciclopedie libere, delle nuove forme artistiche, dei media cooperativi in cui ciascuno contribuisce a creare l'informazione e a commentarla. È il continente della condivisione e della moltiplicazione della conoscenza, ma anche della cooperazione politica mondiale degli attori sociali che lottano per l'interesse generale. Come per tutti i cambiamenti così radicali, queste nuove capacità sono immature, fragili, suscettibili di essere stravolte o svuotate del loro potenziale. Esse reclamano tutta la nostra attenzione e mostreranno il loro potenziale completo solo nel lungo periodo. Ma finora le loro realizzazioni abbozzano nuove società dell'abbondanza, fanno economia delle loro risorse fisiche, risultando però ricche di tutta la creatività degli esseri umani. Che cosa può allora il commercio della scarsità in mezzo alla creazione dell'abbondanza? Che cosa può la promozione di 40 titoli musicali quando si può accedere a centinaia di migliaia di creazioni? Che cosa può la proprietà in mezzo ai beni comuni, che incrementano il loro valore ogni volta che un nuovo essere umano se ne appropria? I colossi dai piedi d'argilla che vivono della capitalizzazione della proprietà intellettuale non possono tollerare la concorrenza dei beni comuni. Hanno tentato di tutto per fare terra bruciata intorno a essi. Non rappresentando che una piccola parte dell'economia e un bene ancora più piccolo dell'universo sociale e umano, pensano di trasformare tutto il resto in deserto, o almeno in un ghetto costantemente presidiato, un'eccezione che le loro ideologie marchiano come anomalia.

La definizione di ciò che condividiamo e di ciò che noi facciamo oggetto di proprietà è allora una posta essenziale. Il capitolo 4 si sforza di costruire le basi fondamentali di una filosofia sull'argomento. Esso si ispira largamente alla letteratura statunitense sui beni comuni, inserendo l'apporto dei pensatori più rilevanti all'interno di un progetto sociale e politico più globale. Ci si propone di tornare alle origini del diritto positivo, di quei diritti di ciascuno che sono costitutivi della possibilità di esistere socialmente, della nostra relazione con gli altri e della nostra capacità collettiva di riprendere in mano i nostri destini.

Il capitolo 5 percorre la dimensione planetaria delle tensioni fra proprietà e beni comuni. Smonta la strategia che ha contribuito alla globalizzazione della proprietà e ricorda i suoi disastrosi effetti sulla sanità pubblica, sull'educazione e più in generale sullo sviluppo dei paesi del terzo mondo. Soprattutto, mostra come la promozione mondiale dei beni comuni sia il filo di una nuova coalizione tra organizzazioni che lottano per l'interesse generale, intellettuali, scienziati e attori dei paesi del Sud. Questa coalizione sta riportando le prime vittorie, ma si scontra con la resistenza ottusa dei paesi del Nord del mondo, che si identificano con i gruppi di interesse della proprietà in proporzione alla potenza di questi ultimi, anche quando essa drena progressivamente le risorse dell'azione pubblica. Questa coalizione mondiale per i beni comuni, altrettanto fragile, è la più preziosa. Ben lontana dai miraggi del terzomondismo nell'era della decolonizzazione, è una coalizione che riconosce ed elabora la complessità, che delinea la nascita di un "pubblico" mondiale, attore vigile sul destino del nostro piccolo pianeta.

Al centro della difficoltà di autodeterminarsi nell'era dell'informazione vi è un quesito: come articolare le attività informazionali con l'economia fisica e monetaria? Il capitolo 6 è interamente dedicato a questo interrogativo. Ci si propone di valutare la fallibilità degli strumenti di misurazione tramandatici da centocinquant'anni di economismo. Si dimostra che la creazione informazionale merita di essere pensata come un nuovo modo di produzione, non riducibile ai mercati, alla proprietà e ai contratti. Si delineano le articolazioni possibili tra l'economia, la gestione delle risorse fisiche e questo nuovo modo di produzione secondo il quale la sfera informazionale deve vivere come un ecosistema umano, affrancato ma finanziato a livello mondiale da quello economico e che contribuisca al rinnovamento di quest'ultimo.

Infine il lettore troverà in questo libro e nella sua conclusione alcune proposte concrete. Una coalizione come quella che caldeggio vale quanto valgono le sue priorità. Eccone alcune: ridefinire i rapporti fondamentali fra beni comuni e proprietà; sostenere le cooperazioni informazionali, far maturare le tecniche che danno loro vita... e il nostro rapporto con queste tecniche; riconquistare il tempo umano, vittima di un'immensa depredazione da parte della televisione, e ricostruire l'equilibrio nell'uso di tale tempo, principalmente fra attività informazionali e attività fisiche; riformare la fiscalità cominciando da quella che si applica ai diritti di proprieta intellettuale, aiutare le industrie dell'economia fisica a ritrovare uno sviluppo rispettoso del pianeta e dei diritti sociali, affrancandole dalla concorrenza assurda del margine di profitto imposto dalle industrie della proprietà; costruire nuove alleanze tra gli attori sociali e gli Stati.

Queste scelte sono rese più urgenti dal contesto internazionale, ove l'esercizio della potenza politica e militare assume forme inedite. Il nostro tempo sembra lasciare poco spazio alla fioritura di nuove proposte, fra una dominazione selvaggia e mendace – che strumentalizza, continuamente rafforzandole, delle minacce reali – e la barbarie regressiva dei fondamentalismi, utile giustificazione a cui è inevitabile rispondere. Alcuni opinionisti come Emmanuel Todd hanno proposto una visione "ottimistica" dell'evoluzione futura dei fondamentalismi. La loro irruzione sarebbe principalmente dovuta allo smarrimento creatosi in un certo numero di soggetti come conseguenza dell'indiscutibile progresso dell'alfabetizzazione, del controllo delle nascite, insomma, delle libertà di cui non possiamo che rallegrarci e che rendono tali soggetti partecipi del primo mondo, quello degli scambi informazionali e della cooperazione. Che si sia d'accordo o meno con questa spiegazione, l'ottimismo che l'accompagna può essere giustificato solo se il cammino verso questo primo mondo si mantiene aperto, studiato e costruito per tutti.

L'irruzione della violenza è legata alle mutazioni informazionali da un altro punto di vista: che ne sarebbe stato di Bush e Blair senza Murdoch? Che cosa sarebbero i fondamentalismi senza la cassa di risonanza di Al-Jazira o l'amplificatore di Clear Channell? D'altro canto la comparsa degli attori del capitalismo informazionale non è più indipendente dalla politica: che ne sarebbe di Microsoft, Sanofi-Aventis, Monsanto, Pfizer, Vivendi Universal o Bayer Crop senza la compiacenza con cui i politici si credono obbligati a difendere ed estendere i loro interessi? Tuttavia, benché legati, i due fenomeni non devono essere confusi. Fra chi intende richiudere le porte della proprietà all'emersione dei beni comuni, si trovano alcuni dei cinici neoconservatori che intendono in tal modo costruire un nuovo strumento di dominazione. Ma vi si scorgono anche social-democratici allo sbando che ogni giorno di più minano la base di quella medesima giustizia che vorrebbero costruire, offrendo agli imprenditori – che dovrebbero produrre ricchezza da ridistribuire – nuovi modelli attraverso cui sfuggire ai propri oneri sociali e umani.

Gli attori mondiali che lavorano per l'affermazione dei beni comuni divengono progressivamente coscienti di sé stessi e creano gli strumenti di nuove forme di solidarietà umana. Si coalizzano per affermare la legittimità del loro progetto e per resistere a ciò che vuole distruggerlo. Delineano processi di innovazione dello Stato, garante della loro esistenza e dotato di autonomia, e propongono nuove forme di economia volte a favorire e promuovere i beni comuni. È il momento di prestar loro la dovuta attenzione e smettere di indugiare. La fioritura verrà e quando verrà avrà, come la vittoria, molti parenti e amici, ma sarebbe meglio che essa giungesse prima che la barbarie – anche se essa fosse un momentaneo singulto – si estenda.

La tensione che deriva dai sintomi contraddittori descritti in questo capitolo spiega la grande confusione che circonda questi argomenti. Questa tensione si imprime in ciascuno di noi. Così gli individui sono al tempo stesso sottomessi agli effetti dell'alienazione di una messa in scena irreale, legata a media centralizzati; ma al tempo stesso hanno ora gli strumenti per costruire le proprie rappresentazioni e per farle circolare. A seconda del contesto sociale e tecnico, favorevole a un'appropriazione costruttiva ed etica o al contrario perversa ed egoistica, emergeranno comportamenti all'apparenza radicalmente opposti. Eppure è proprio lo stesso universo a provocare il nostro orrore davanti alle fotografie di torture nelle prigioni irachene o, riflesso mostruoso, di fronte all'esecuzione dell'ostaggio americano, da un lato, e a indurci stupore per le nuove forme di cooperazione e di espressione che stanno emergendo, dall'altro.

Sciogliere una simile matassa e individuare le vie della possibile azione futura merita almeno un piccolo viaggio per scoprirne le radici.

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Pagina 97

Diritti intellettuali positivi: una Costituzione per l'era informazionale


Decadenza

Il sistema che oggi si chiama "proprietà intellettuale" è entrato in uno stato di decadenza completo. La sua crisi si manifesta con decisioni e dibattiti aberranti a tutti i livelli, dai testi di portata costituzionale sino ai regimi contrattuali o informali per la gestione dei diritti. In generale la crisi è caratterizzata dall'invocazione di grandi e nobili miti (il creatore, l'inventore solitario) posti di fatto al servizio di un sistema che serve solo gli interessi di qualche grande gruppo industriale della proprietà e di una serie di lobby parassitarie (eredi dei titolari di diritti, consulenti in proprietà intellettuale). Questo sistema distribuisce una parte incredibilmente limitata della ricchezza presa agli individui che pretende di servire: dal 4 al 15% del valore economico generato dal commercio dei beni culturali, che non costituisce che una parte del valore complessivo. Più i media sono centralizzati (audiovideo, edizione musicale o cinematografica legata ai grandi circuiti di distribuzione), più questa parte è piccola, mentre resta elevata per i media come l'editoria e per chi sopravvive di fotografia indipendente. Il fondamentalismo della proprietà strangola ogni giorno di più il diritto di tutti ad accedere alla conoscenza, di creare utilizzando l'esistente, di condividere ciò che si apprezza con altre persone. A livello costituzionale, nella Carta europea dei diritti fondamentali è stato inserito un comma all'articolo 17 in cui si afferma che «la proprietà intellettuale è protetta». Strana macchia in un testo in cui tutti gli altri diritti sono riferiti alle persone, anche quelli che comprendono la proprietà: «Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente...». Questo gioco di prestigio permette di nascondere l'introduzione nel testo (oggi parte della Costituzione europea sottoposta a ratifica) di una macchina per defraudare gli individui dei loro diritti fondamentali. All'altro estremo, si è potuto vedere nella stessa giornata del 15 luglio 2004 che:

– il Parlamento francese adotta una revisione della legge «informatica e libertà» in cui si autorizzano le società che detengono e gestiscono i diritti a raccogliere dati personali sull'utilizzo senza scopo di lucro di sistemi di condivisione di file;

– tre ministri riuniscono queste stesse società e i fornitori di accesso a Internet per proporre loro un documento in cui si prevede di tagliare l'accesso a Internet agli utenti di tali sistemi.

La crisi più severa riguarda l'elaborazione della legge e dei regolamenti, concepiti fin dalla loro origine a livello di leggi-quadro o trattati europei e la loro trasposizione nel diritto nazionale. Si assiste alla mobilitazione da parte delle lobby di armate di giuristi e all'uso strumentale di qualche creatore che ha pescato un biglietto vincente nella lotteria dell'editoria centralizzata. I lobbisti sprecano grandi parole e terrorizzano coloro che intendono resistere alla follia tacciandoli di favoreggiare dei "ladri" (senza scopo di lucro) e di andare contro i diritti della cultura. Ciò non ha impedito alla relatrice al Parlamento Europeo della direttiva sul «rispetto dei diritti di proprietà intellettuale» e a suo marito, CEO di Vivendi-Universal, di far acquisire dalla loro fondazione circa 15 milioni di euro di azioni di Vivendi-Universal (i figli della coppia ne avrebbero acquisiti altri 5 milioni di euro circa). Il plusvalore totale su queste opzioni convertibili al 25 novembre 2005 è superiore a 12 milioni di euro. La proprietà degli attivi della fondazione resta nelle mani della famiglia Fourtou, dato che la fondazione non ridistribuisce che il prodotto dell'usufrutto. Certamente, la maggior parte dei 380 parlamentari europei che voterà a favore della direttiva non è accusabile di simili torti, che sono solo dei sintomi rivelatori di un sistema. Il 21 luglio 2004, Microsoft ha annunciato che, cedendo alle pressioni dei suoi azionisti e soddisfatta del buon esito dei suoi vari processi antitrust, avrebbe distribuito circa 70 miliardi di dollari di dividendi in tre anni. Lo stesso giorno, le società farmaceutiche Pfizer e Roche hanno pubblicato alcuni risultati in cui figurava un margine operativo netto (tolti gli interessi passivi) dell'ordine del 25%. Gli stessi lobbisti sono arrivati a far iscrivere i "crimini contro la proprietà intellettuale" nelle priorità dei vertici che perseguono il "cibercrimine" al G8, preposti in origine alla sicurezza delle infrastrutture fondamentali contro il terrorismo. Al tempo stesso, la Direzione Generale del Mercato Interno della Commissione Europea lotta duramente con l'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale per estendere la durata della protezione dei segnali telediffusi, fissati in vent'anni negli Stati Uniti, a cinquant'anni nel mondo intero, mentre gli Stati Uniti si sforzano per prolungare a sessant'anni e poi a novantacinque quelli delle registrazioni sonore – che sono di cinquant'anni in Europa, un elemento che ha permesso la comparsa di una piccola industria della riedizione delle registrazioni di pubblico dominio.

Rassicuratevi, Europa e Stati Uniti si trovano d'accordo per introdurre misure tecniche di protezione in tutti gli apparecchi in grado di ricevere o di archiviare segnali televisivi. Queste misure stesse saranno protette dalla legge contro ogni tentativo di aggiramento in modo da rendere impossibile l'esercizio di critica democratica dei media che minano la democrazia. È così che si farà quadrare il cerchio.

Quando un sistema arriva a un tale livello di decadenza, si può certo combattere talvolta su un fronte particolare, concentrare le forze per riportare una vittoria localizzata, come nella lotta contro la brevettabilità del software. Ma saranno risultati vani se non si ricostruisce tutto l'edificio del diritto che si è lasciato corrompere. Cominciamo dalle fondamenta.


Il contenuto dei diritti intellettuali positivi

L'approccio che ho proposto con il nome di «Diritti intellettuali positivi» [2] combina due principi fondamentali: l'inversione della priorità fra beni comuni e proprietà, già proposta dalla scuola americana della tragedia delle recinzioni, e la definizione materiale di uno zoccolo di diritti concreti. Occorre chiarire subito un possibile malinteso: i giuristi parlano spesso di diritto positivo nel senso di diritto materiale concreto così come si manifesta in un'epoca e in un luogo dato. L'uso che faccio di questa espressione è differente: si tratta di affermare diritti positivi legandoli alla capacità effettiva di agire o di ottenere un risultato, in contrapposizione a diritti restrittivi o esclusivi come quelli dei diritti di proprietà. Al momento di iscrivere questi principi nel diritto materiale, nei testi di legge o nella giurisprudenza, è senz'altro necessario tenere in conto la complessità del reale: diversità di creazioni intellettuali, di medium e di modi di produzione e di scambio. La speranza è che l'enunciato dello zoccolo di diritti positivi possa guidarci nell'evoluzione del diritto e nella sua attuazione. Il suo merito immediato è di tracciare dei confini da non oltrepassare e di affermare alta e forte la legittimità dei valori dei beni comuni.

Di quali diritti si tratta? Segue qui una lista in cui si enunciano dei diritti senza ancora preoccuparsi della loro attuazione o della loro coerenza.

Il modo migliore per leggere questa lista è di avere in mente i "diritti del lettori" proposti da Daniel Pennac. Ecco dunque un elenco di ovvietà che sono state sepolte da dotte certezze e grossi interessi.

Chiunque ha:

1. Il diritto di creare nuove entità intellettuali, comprese quelle che utilizzano entità preesistenti.

2. Il diritto di rendere la propria creazione pubblica (senso originale di pubblicazione).

3. Il diritto di essere riconosciuti come creatori di tutta o di parte di un'entità intellettuale.

4. Il diritto di ottenere una ricompensa economica o non economica per una creazione in proporzione all'interesse che altri hanno manifestato.

5. Il diritto di accedere a ogni entità intellettuale che sia stata resa pubblica.

6. Il diritto di citare degli estratti di un'entità intellettuale indipendentemente dal medium, per fini di informazione, analisi, critica, insegnamento, ricerca o per creare altre entità intellettuali.

7. Il diritto di correggere ogni errore, affermazione diffamatoria, informazione falsa o attribuzione errata.

8. Il diritto di fare riferimento, di creare un collegamento verso entità intellettuali prodotte da altri o di inventariare queste ultime dal momento in cui esse sono rese pubbliche.

La passività di fronte agli eccessi dell'appropriazione non può spiegarsi che attraverso l'attenzione esclusiva che ha portato al quarto diritto, quello di ottenere una ricompensa, e attraverso il fatto che la sua attuazione abbia avuto luogo nell'ambito di un vero fondamentalismo del mercato e della proprietà. Il terzo e il settimo diritto (attribuzione e correzione) hanno resistito nella misura in cui erano compatibili con l'assolutismo della proprietà. Gli altri cinque sono stati falcidiati senza pietà. Si è quasi riusciti a far credere che la remunerazione diretta dei creatori attraverso le vendite e il controllo dettagliato degli usi sui beni culturali sia un meccanismo naturale e dominante, mentre non ha mai giocato che un ruolo decisamente secondario nel finanziamento della cultura e insignificante in altre ricerche intellettuali. È uno straordinario exploit ideologico essere arrivati a imporre questi termini di dibattito nel preciso momento in cui i creatori e gli autori erano privati più che mai, da produttori e distributori, dei propri diritti e della propria remunerazione. Ma più la fetta della torta dei creatori si assottiglia, più i produttori affermano che questa parte è sacra e che occorrono privilegi supplementari per difenderla.

Tuttavia, non serve a nulla indignarsi se non si avanzano alternative concrete per dei cambiamenti credibili. Quelle che propongo, partono da una constatazione semplice: i beni comuni informazionali sono solide fondamenta su cui si può costruire. Da qui un approccio a quattro facce:

— un'affermazione di principio che stabilisca i beni comuni come regime di base e le diverse modalità di appropriazione come eccezioni misurate e negoziate per il bene sociale;

— la definizione di limiti chiari e immediatamente applicabili relativamente a ciò che può essere oggetto di diritti restrittivi e dei meccanismi con cui queste restrizioni vengono fatte rispettare. L'idea è di garantire che l'esplorazione parallela di differenti modi di appropriazione e di condivisione resti possibile, impedendo le forme di appropriazione estreme che mettono in pericolo i beni comuni;

— un approccio pragmatico e progressivo dell'evoluzione del diritto materiale per riavvicinarlo ai principi sopra enunciati;

– un'analisi delle diversità concrete dei media o dei tipi di creazione intellettuale che rompa con il trattamento indifferenziato promosso dagli ideologi della proprietà. Si tratta in sostanza di tener conto dell'influenza dei meccanismi dei diritti intellettuali sulla natura stessa delle creazioni, che non è un dato naturale quanto piuttosto una costruzione sociale.


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La giustificazione fondamentalista della proprietà intellettuale

Lo scopo ideale del fondamentalismo del mercato applicato ai diritti intellettuali è di introdurre un diritto di proprietà assoluto su ogni entità unitamente a forme di attuazione di questa proprietà che autorizzino ciò che gli economisti chiamano prezzi perfettamente discriminati, permettendo ai titolari dei diritti di catturare il mercato potenziale del prodotto. In termini meno tecnici, questo meccanismo consiste nel far pagare a ogni utente il massimo di ciò che è pronto a pagare per ciascun uso. In pratica, questo programma può essere attuato solo su un piccolo numero di entità, tenuto conto che nell'era dell'informazione sono necessari giganteschi costi di gestione e di mantenimento delle restrizioni per impedire agli utenti di applicare il programma inverso, ovvero ottenere l'accesso alle entità al minor costo possibile, utilizzarle liberamente e condividerle il più ampiamente possibile con gli altri utenti potenziali. Anche per i titoli di grido, è più che lecito dubitare che la discriminazione perfetta di prezzo sia applicabile. Infatti, le entità intellettuali hanno un valore che non è determinabile se non usando l'entità medesima. Se si tenta di impedire agli utenti l'accesso ad entità che non hanno acquistato, molti vi rinunceranno in toto. Questo implica che, anche per titoli che sono oggetto di una promozione forsennata, la diffusione libera sulle reti peer-to-peer può avere un effetto positivo sulle vendite, come hanno dimostrato Felix Oberholzer e Koleman Strumpf [55]. L'effetto reale del programma di appropriazione assoluta è di restringere la distribuzione o l'uso dei beni, rendendo la relativa acquisizione limitata tramite il mercato e di concentrare la promozione e la gestione dei diritti sui titoli di grido o identificati come tali. La distanza che separa l'invocazione astratta di un optimum economico dalla realtà della sua attuazione è ciò che giustifica il mio uso dell'espressione "fondamentalismo del mercato". L'approccio neoclassico dell'economia del benessere sul quale poggiano le giustificazioni standard della proprietà intellettuale è oggetto di critiche severe da decenni e assomiglia oggi a un pneumatico sgonfio e rattoppato: ma ciò non impedisce a grandi sacerdoti e mercenari di servirsene per pretendere di poter ragionare sull'ottimizzazione microeconomica del mercato di un titolo di proprietà per valutare il beneficio sociale generale. Quest'affermazione combina le falle dell'economismo (credere che il mercato nel suo complesso misuri un bene sociale), della cattiva economia (ignorare le costrizioni macroeconomiche come quella dei bilanci-tempo e la pratica reale degli attori come la ricerca di rendite) e del disprezzo generale della realtà (ignorare l'attuazione concreta dei diritti di proprietà e le relative costrizioni tecniche, per esempio).

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Può sembrare inutile, in quanto evidente, affermare la legittimità di principio dei beni comuni informazionali e il diritto di ciascuno a contribuire con la certezza che il proprio contributo resterà comune, affermare dunque il diritto di tutti di accedere ai beni comuni informazionali e farne uso. Eppure è questa la base del riformismo radicale proposto: la frattura che si introduce all'interno dei termini del dibattito è considerevole. È da qui che deriva la giustificazione di limiti intrinseci che escludano ogni forma di appropriazione incompatibile con i beni comuni: rifiuto dei brevetti sull'informazione (software, metodi, dati, sequenze genetiche) o sugli organismi che li includono, l'obbligo per ogni misura tecnica che restringe l'accesso a garantire l'attuazione dei diritti riconosciuti. Soprattutto, è sulla base di questa affermazione di principio che si richiede che ogni decisione sull'infrastruttura generale della società dell'informazione debba prendere in considerazione prima di tutto gli effetti che tale decisione avrà sulla creazione e sulla condivisione dei beni comuni. Questa ridefinizione dei principi e questi confini da non oltrepassare possono essere immediati. Si tratta semplicemente di un ritorno alla ragione. Il resto - durata del diritto d'autore, equilibrio fra diritto alla libera espressione e diritto al risarcimento, modulazione dei gradi di esclusività e della loro durata a seconda dei media o degli ambiti – riguarda il dibattito democratico e di conseguenza risente dell'inevitabile inerzia di cui soffre il diritto.

Ho definito un insieme di criteri, a seconda dei differenti tipi di entità intellettuali, per guidarci nell'adattare la natura, la durata e le misure di attuazione dei diritti esclusivi concessi come eccezioni. Si tratta in realtà di una semplice raccolta e di una riproposizione della saggezza reperibile nella storia dei diritti intellettuali.

1. L'entità più o meno rilevante dell'investimento necessario per creare un'entità intellettuale prima che possa essere utilizzata o che vi si possa accedere.

2. Il fatto che un'entità sia creata una volta per tutte poiché vi si accede senza modificarla, o al contrario che sia creata tramite modifiche successive e ridefinita attraverso complesse sequenze d'uso e di (ri)creazione. Un caso particolare di entità che sono create una volta per tutte, all'occorrenza attraverso un processo complesso, è quello delle mediazioni tramite un processo "in diretta" (per esempio, un'interpretazione musicale) o quello in cui l'uso consiste in un processo cronologicamente imposto (per esempio, un film in una sala cinematografica). Occorre qui notare che il quadro giuridico influisce sulla natura delle entità: se esso favorisce usi liberi, è più probabile che esistano entità create collettivamente in modo interattivo, mentre se il quadro giuridico è restrittivo, non si vedranno che entità create "una volta per tutte".

3. Il fatto che la creazione sia individuale o collettiva.

4. Il fatto che l'entità codifichi o meno conoscenze sul mondo fisico o sulla società.

5. La relazione fra l'entità e la trasformazione del mondo fisico, avendo ad un estremo i progetti per i dispositivi fisici (macchine, per esempio) e all'altro le entità intellettuali il cui unico legame con i processi fisici si concretizza quando le si traduce in segnali percepibili dai sensi.

6. Il fatto che l'uso dell'entità sia tale da rendere necessario per rettene un'appropriazione durevole affinche tale uso si sviluppi.

Si troverà nella tabella 3 una ricapitolazione degli effetti sulla natura dei diritti a cui conduce l'applicazione di questi criteri di scelta.



Tabella 3 — Scelta della natura dei diritti
________________________________________________________________ Condizioni Regime dei diritti ________________________________________________________________ Caso standard Beni comuni ________________________________________________________________ Necessità di Diritti esclusivi, normalmente diritto investimenti rilevanti d'autore, a condizione che i meccanismi per farli rispettare non impongano un controllo dell'uso (attività giudiziaria a posteriori) e rispetti i diritti positivi (libertà degli usi non commerciali e di quelli che sono necessari alla democrazia e all'educazione). Il detentore dei diritti esclusivi resta sempre libero di optare per un regime di beni comuni. ________________________________________________________________ Investimenti rilevanti Una protezione di tipo brevettuale è prima dell'uso, concepibile. La sua durata deve essere invenzione e non modulabile in funzione dei settori scoperta (esclusione di industriali. Gli accordi TRIPS, geni e organismi), prevedendo una durata minima di progetti di dispositivi vent'anni, si oppongono a questa e processi fisici (a modulazione cronologica. Occorrerà esclusione di ogni dunque modificarli. Nel frattempo, le entità informazionale), branche delle industrie fisiche necessità di una caratterizzate da cicli di innovazione appropriazione privata rapidi ne soffriranno. La loro durevole per lo esecuzione deve essere sempre a sviluppo dell'uso, a posteriori: il rifiuto di misure causa dell'investimento preventive è giustificato dalla facilità necessario per la con cui si può abusare dei brevetti per produzione eliminare la concorrenza. manifatturiera. ________________________________________________________________ Caso in cui Beni comuni con gestione sociale o l'appropriazione statale. esclusiva conduce a disfunzioni gravi (etiche o sociali), principalmente nel caso dei brevetti. ________________________________________________________________



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Glossario


Beni comuni. Ogni "cosa" o entità immateriale a cui si è deciso di conferire lo status di proprietà comune, di farla appartenere a tutti perché non appartiene a nessuno. In senso moderno, la proprietà comune è universale, è dell'umanità. In senso antico, si trattava spesso della proprietà di una comunità ristretta. Da non confondere con i beni pubblici nel senso di oggetti di una proprietà pubblica (gestita da istituzioni pubbliche).


Beni pubblici. Sono due i significati da tenere in considerazione:

Per gli economisti, i beni pubblici sono i beni non rivali (l'utilizzo da parte di una persona non ne riduce la disponibilità per gli altri) e non esclusivi (non è possibile impedire a qualcuno di servirsene senza impedirlo a tutti). Si tratta di nozioni relative: beni comuni come l'aria sono apparentemente non rivali, ma l'uso può limitarne la qualità o lo stato, rendendola in pratica rivale. Dire che un bene non è "esclusivo" implica «la non esclusività senza il ricorso a misure assurde o inaccettabili».

Nel linguaggio comune, si parla spesso di beni pubblici per indicare «beni comuni gestiti dal potere pubblico».


Beni comuni informazionali. Beni comuni che possono essere creati, scambiati e manipolati sotto forma di informazione e i cui strumenti di creazione e trattamento sono spesso loro stessi informazionali (software). Può trattarsi di dati, conoscenze, creazioni in tutte le forme, idee, software. I beni comuni informazionali sono beni pubblici perfetti in senso economico, contrariamente ai beni comuni fisici, che conservano sempre una parte di rivalità o di esclusività.


Brevetto. Un brevetto, in senso contemporaneo, è un monopolio che accorda (per almeno vent'anni) lo sfruttamento (produzione o utilizzo) di un'invenzione. Ma che cos'è un'invenzione? All'inizio, si trattava di oggetti o procedimenti di produzione fisica. I sostenitori di una generalizzazione della brevettabilità hanno esteso la definizione e vi hanno incluso idee, informazioni, conoscenze e scoperte.


Brevettabilità. Delimitazione di ciò che è o meno brevettabile.


Copyleft. Utilizzo del copyright per garantire che un programma o una creazione informazionale, ai quali si è deciso di conferire lo status di bene comune, non possano essere proprietarizzati attraverso modifiche o inclusione in altri elementi. Una clausola di copyleft obbliga chi ridistribuisce il bene comune (originale o modificato) a conservare lo stesso status di bene comune.


Copyright. Nel diritto anglosassone, comprende l'elemento patrimoniale del diritto d'autore.


Diritto d'autore. Diritto accordato agli autori su ciò di cui sono autori. Comprende due elementi:

diritto patrimoniale, incentrato sulla rappresentazione e la riproduzione, il riutilizzo, eccetera;

diritto morale, che include l'attribuzione (riconoscimento dell'identità dell'autore, solo diritto morale riconosciuto a livello mondiale), il rispetto dell'integrità dell'opera e determinati diritti molto contestati come il diritto di ritiro.

Il diritto d'autore è spesso presentato come un diritto restrittivo (diritto di vietare qualcosa), ma non è una caratteristica imprescindibile.


Diritto positivo. Diritto concepito come accesso a capacità («diritto a fare o a ottenere») e non come diritto restrittivo. Da non confondere con il diritto positivo nel senso di diritto materiale, iscritto nei testi e nella giurisprudenza (che si oppone a un eventuale diritto naturale).


Diritto restrittivo. Diritto concepito come diritto a impedire o limitare.


Licenza. Nota che definisce il diritto di utilizzo di un programma o di una creazione tutelata da diritto d'autore. A seconda dei casi, una licenza sarà interpretata come un semplice permesso o come un contratto (al quale l'utente deve dare il suo assenso).


Software. Testo o altra "codifica di informazione" che può essere interpretato come specifica di un trattamento di informazioni. Si contrappone ad hardware (materiale informatico, computer). Si parla in modo equivalente di programma per elaboratore o per computer. Quando il software o un programma è eseguito da un computer, si realizza il suo potenziale di interpretazione come trattamento di informazioni. Si dice allora che è eseguito. Come il software è informazione, si possono combinare programmi per fare altri programmi in una maniera che risulta impossibile nell'ambito delle macchine fisiche.


Software libero. Software a cui gli autori hanno scelto di conferire lo status di bene comune, utilizzando a questo fine il proprio diritto d'autore e dimostrando così che il diritto di conferire delle libertà ne è una componente di rilievo. Il software libero è tutelato, dal sessanta al settanta per cento dei casi, da licenze copyleft (cioè si tratta di beni comuni protetti contro la riappropriazione).

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