Copertina
Autore Michele Alacevich
Titolo Le origini della Banca Mondiale
SottotitoloUna deriva conservatrice
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2007, Sintesi , pag. 261, cop.fle., dim. 14,5x21x1,7 cm , Isbn 978-88-424-2012-5
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe economia finanziaria , economia politica , globalizzazione
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Indice

XI      Ringraziamenti
XIII    Introduzione

  1  1. I primi passi di un'istituzione:
        alla ricerca di una letteratura utile

  1     Introduzione
  2     Il quadro storico
  4     L'individuazione di una cornice analitica
 19     La Banca Mondiale come soggetto storico
        e come oggetto d'indagine storica

 27  2. La Banca Internazionale e la questione dello sviluppo:
        la missione Currie del 1949

 27     Dalla ricostruzione allo sviluppo
 46     La collaborazione tra Lauchlin Currie e la Banca
 85     L'evoluzione dei rapporti tra Currie e la Banca Mondiale

105  3. Le "convergenze parallele":
        l'economia dello sviluppo in teoria e in pratica

108     Differenti approcci allo sviluppo economico:
        sviluppo equilibrato vs. sviluppo non equilibrato
123     Differenti approcci allo sviluppo economico:
        prestiti legati al programma vs. prestiti legati al progetto
126     Il riverbero dei dibattiti sullo sviluppo
        all'interno della IBRD
132     Sul contrasto tra Currie e Hirschman (I):
        le politiche monetarie e di bilancio
140     Sul contrasto tra Currie e Hirschman (II):
        la questione dell'acciaio in Colombia all'indomani
        della seconda guerra mondiale
167     Le mutevoli alleanze tra i protagonisti dell'economic advising
        in Colombia
172     Una lettura sociologica del dibattito interno all'economia
        dello sviluppo

183  4. La formazione della politica economica della Banca

185     Il piano di recupero urbano per la città di Barranquilla
195     I prestiti per la costruzione di abitazioni
201     Discussioni interne alla Banca: impact loans e social loans
209     L'inossidabile predilezione della Banca
        per i "prestiti direttamente produttivi"
219     Fine della stagione dei dibattiti: attraverso la linea d'ombra

235  Conclusioni
241  Bibliografia
257  Indice dei nomi

 

 

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Pagina XIII

Introduzione


Questo libro riguarda la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, più comunemente nota come Banca Mondiale, negli anni in cui – a partire dal 1947 – iniziò per la prima volta ad affrontare la questione che ancora oggi è al centro della sua azione e delle sue riflessioni: il sostegno ai cosiddetti paesi in via di sviluppo. Ciò che di quel periodo ci interessa, soprattutto, è il modo in cui l'istituzione interpretò questa missione, e più nello specifico come arrivò a dare forma al proprio personale canone: attraverso quali vicende, con quale bagaglio culturale e ideologico, con quali stimoli e freni provenienti dal contesto storico e politico più generale.

Il quadro di riferimento che deve essere preso in considerazione è necessariamente più ampio della particolare vicenda che riguarda l'istituzione protagonista di questo libro. Se infatti si riflette su come il problema dello sviluppo del Sud del mondo è stato affrontato negli ultimi sessant'anni — cioè a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, che segnò il crollo dei vecchi imperi coloniali e la nascita di molti nuovi Stati spesso caratterizzati da grave arretratezza economica e fragilità sociale – ci si accorge che diverse fasi piuttosto distinte tra loro si sono susseguite nel tempo.

A una fase in cui si riteneva che la crescita economica avrebbe naturalmente trascinato con sé l'intero processo di modernizzazione di un paese – e quindi il mutamento delle strutture sociali, una riduzione della sperequazione economica, in generale un benessere diffuso a tutta la popolazione – seguì, a partire dalla metà degli anni sessanta, una fase in cui si riteneva che lo sviluppo di un paese dovesse passare attraverso politiche esplicitamente indirizzate alla riduzione della povertà, essendosi dimostrato che la mera crescita economica non implicava affatto un automatico miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più poveri e disagiati. Verso la fine degli anni settanta la tendenza si invertì nuovamente. Gli anni ottanta furono anni di riflusso ideologico e di rinnovata fiducia nelle sole virtù del mercato e della crescita economica ai fini del benessere sociale, ma dal punto di vista dello sviluppo rimasero marchiati come il "decennio perduto". Con gli anni novanta la lotta alla povertà riacquistò una posizione importante nell'agenda dello sviluppo, e le analisi si allargarono a includere altre voci, quali il ruolo delle istituzioni e la governance. Nel contempo, il campo si complicava con i dibattiti sulle conseguenze della globalizzazione e sulle politiche economiche riunite sotto l'etichetta di "Washington Consensus".

Mutuando una metafora già utilizzata da Hans Singer, una sorta di «pendolo» pone di volta in volta in primo piano o in seconda fila l'enfasi sulla crescita economica o sugli aspetti sociali dello sviluppo, alternativamente. Le sintesi di economia dello sviluppo presentano sempre una netta partizione tra una fase di fiducia nella crescita economica e una fase successiva di maggiore attenzione alla questione sociale. Heinz W. Arndt (1990), per esempio, propone in sequenza un capitolo su Lo sviluppo come crescita (1945-1965) e uno su Gli obiettivi sociali (1965-1975).

Una linea di indagine particolarmente feconda è quindi quella di ricercare gli antecedenti di un approccio "includente" allo sviluppo che potessero essere presenti negli anni in cui ancora si credeva che la soluzione al problema della modernizzazione e del benessere sociale dei paesi arretrati potesse essere la semplice crescita economica, e capire come accadde che un concetto più articolato di sviluppo non riuscisse ad affermarsi. Nel 1965 Hans Singer affermava una cosa che oggi non fatichiamo a condividere, e cioè che «lo sviluppo è crescita più cambiamento», e che «il cambiamento, a sua volta, oltre che economico è sociale e culturale» (Singer 1965, p. 5). Ma nel 1965 Singer doveva affermare quelle opinioni in opposizione alla tesi fino ad allora più diffusa, secondo cui, invece, la crescita economica è condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente per lo sviluppo di un paese. Naturalmente — come ha opportunamente ricordato Paul Streeten — anche negli anni cinquanta «era chiaro per gli economisti e i pianificatori non superficiali (a dispetto di quanto oggi spesso si sente ripetere in una caricatura del pensiero di allora) che la crescita non è un fine a se stesso, ma un metro dell'andamento dello sviluppo» (Streeten et al. 1981, p. 9). Da questa riflessione, però, in genere non scaturiva alcuna ricaduta per le politiche di sviluppo, nessun allargamento al cambiamento sociale e culturale insito nel processo di sviluppo.

Un intento più generale di questo libro, dunque, può individuarsi nel tentativo di contribuire allo studio di una sorta di "preistoria" dello sviluppo, inteso anche nella sua dimensione sociale, e alla comprensione della sua mancata affermazione. La partizione per fasi delle riflessioni sullo sviluppo più sopra sintetizzata, infatti, benché corretta nelle sue linee generali, nasconde una realtà più variegata, che è importante riportare alla luce.

In quest'ottica, lo studio dei primi anni in cui la Banca Mondiale si rivolse alle questioni dello sviluppo si rivela un eccellente ambito di osservazione. In primo luogo, perché è un'istituzione nella cui storia si può chiaramente individuare la partizione tra una stagione della "crescita" e una stagione degli "obiettivi sociali", e in secondo luogo perché si possono scorgere indizi di voci fuori dal coro già durante i suoi primi anni di attività. Inoltre, la prima fase di attività della Banca è particolarmente interessante a causa del repentino cambio di mission che l'istituzione dovette attraversare, dal sostegno alla ricostruzione postbellica dell'Europa agli aiuti ai paesi in via di sviluppo. La transizione fu un momento di formazione e ridefinizione dell'intera istituzione, e quindi particolarmente fecondo per ricercare i segni di un possibile confronto tra diverse visioni dello sviluppo.

L'indagine che viene affrontata in questo libro, dunque, intende sia portare elementi per la comprensione di come la Banca Mondiale diede forma alle proprie scelte di politica economica nei confronti dei paesi in via di sviluppo la prima volta che questo problema si affacciò alla sua agenda, sia, attraverso un'analisi dei dibattiti interni all'istituzione e al più vasto ambito della allora nuova disciplina dell'economia dello sviluppo, contribuire alla comprensione del contesto più generale in cui essa si trovò a operare.

Robert K. Merton ha sostenuto molto efficacemente come, per comprendere l'evoluzione di un'istituzione, sia necessario analizzare i conflitti e le polemiche che l'hanno attraversata. Merton si riferiva ai dibattiti interni alla disciplina di cui era egli stesso un esponente di spicco, la sociologia, ma parlava pur sempre di istituzioni.

Un modo per identificare i differenti orientamenti, le funzioni e gli impegni ascritti alla sociologia è condurre un esame, per quanto succinto, dei principali conflitti e delle polemiche che si sono sviluppate tra i sociologi. È probabile che queste svelino i vari percorsi che la sociologia, all'interno di una particolare società, avrebbe potuto seguire ma di fatto non ha seguito, così come quelli che ha effettivamente intrapreso. In quest'opera di analisi di alcuni di questi conflitti io non intendo valutare i meriti dell'una o dell'altra posizione. [...] Ciò che mi interessa, è considerarle come espressione delle diverse linee di sviluppo della sociologia che sono influenzate dalla più ampia struttura sociale nonché dai processi sociali interni alla stessa sociologia (Merton 1973b, p. 54).

Lo studio dei conflitti che interessarono l'economia dello sviluppo e la Banca Mondiale, dunque, permetterà di individuare quali valori e quali variabili erano in gioco, quali furono le diverse possibili opzioni che si confrontarono riguardo al modo più efficace di stimolare lo sviluppo di un paese arretrato, e come accadde che infine una linea prevalse sulle altre e diede il proprio imprinting all'istituzione. Questa riflessione è tanto più interessante nel caso della Banca Internazionale, per le conseguenze che quelle lontane vicende ebbero sulla sua storia successiva: quell'iniziale imprinting, infatti, irrigidì la Banca in maniera tale da renderle difficile in seguito adeguarsi alla nuova sensibilità che dalla metà degli anni sessanta si sarebbe sviluppata, nel più vasto campo dell'economia dello sviluppo e in altre organizzazioni multilaterali, intorno alle questioni sociali. Lo studio dei primi anni di azione della Banca nel campo dello sviluppo, quindi, ci aiuta a capirne l'evoluzione almeno fino alla fine degli anni sessanta e inizio dei settanta. Proprio la necessità di liberarsi di quell'originario imprinting, infatti, le fece in quegli anni intraprendere un profondo processo di cambiamento da cui uscì profondamente trasformata, sia nelle dimensioni molto maggiori, sia nella natura non più di banca ma ormai di vera e propria agenzia per lo sviluppo.

Questo tipo di analisi, inoltre, propone un contributo a un ambito di studi, stranamente, piuttosto inesplorato. Solo in pochi casi la Banca Mondiale è stata oggetto di studi propriamente storici. Al di là delle sue due storie quasi-ufficiali, infatti, commissionate dall'istituzione stessa e pubblicate rispettivamente in concomitanza del compimento dei suoi primi venticinque e cinquanta anni di vita (Mason e Asher 1973; Kapur, Lewis e Webb 1997a; 1997b), il panorama appare particolarmente povero di contributi. La gran parte della vastissima letteratura prodotta sulla Banca Mondiale riguarda temi e questioni strettamente contemporanee, e l'attenzione nei suoi confronti proviene principalmente, più che dagli storici ma anche più che dagli economisti, da scienziati politici e sociologi.

Rimane da dire qualcosa sulla struttura del volume. Come si è detto, il libro analizza le dinamiche interne alla Banca Internazionale negli anni in cui, dovendo riconvertirsi dal sostegno alla ricostruzione europea agli aiuti allo sviluppo nel resto del mondo, essa attraversò una fase di definizione di quali dovessero essere i propri obiettivi e i mezzi per raggiungerli. Il primo capitolo fornisce il contesto di quel periodo di transizione e discute la letteratura che è servita da sponda — polemica o positiva — per l'articolazione dell'approccio storiografico che è alla base del libro. In particolar modo, questo capitolo presenta una variegata letteratura che ha posto in rilievo l'utilità dei momenti di transizione o di snodo della storia di un'istituzione per comprenderne le dinamiche evolutive e i meccanismi attraverso cui si possono provare a spiegare. In diversi ambiti disciplinari — dalla storia alla sociologia, dall'economia alla biologia evoluzionista — si può individuare un approccio metodologico che cerca di coniugare la ricerca di proposizioni analitiche soddisfacentemente ampie da una parte, con una indagine storica approfondita dall'altra, per comprendere i meccanismi del mutamento. È un approccio eclettico, che — nelle parole di Leijonhufvud — punta a spezzare «i tabù che impediscono l'associazione con i Polscis, i Sociogs e altre tribù».

Il secondo capitolo si concentra nello specifico sugli anni in cui la Banca, ridimensionato il proprio supporto alla ricostruzione europea, si rivolse al sostegno dei paesi meno sviluppati. In quella situazione, essa avviò un rapporto molto intenso con la Colombia, da cui scaturì la prima General Survey Mission, la prima missione di carattere generale dell'istituzione verso un paese in via di sviluppo. La Colombia fu in quegli anni un campo di prova di primaria importanza per la Banca Internazionale, e fornisce quindi un luogo d'osservazione privilegiato per chi voglia guardare alle vicende e alle prese di posizione dell'istituzione nel più vasto ambito delle politiche per lo sviluppo. La missione colombiana, anzi, fu il primo momento in cui le posizioni maturate nel cuore interno dell'istituzione si confrontarono con l'esterno in maniera organica. A maggior ragione, le tensioni che si registrarono in quell'occasione, e che culminarono nell'interruzione di ogni rapporto tra la Banca e colui che era stato il capo della missione — l'economista Lauchlin Currie — possono rivelarsi, secondo il suggerimento di Merton, di particolare interesse per comprendere il percorso evolutivo dell'istituzione.

Il terzo capitolo si sofferma sulle tensioni e i contrasti che si svilupparono tra Currie e la Banca, e soprattutto tra Currie e l'economista che lo sostituì come uomo della Banca in Colombia — Albert Hirschman —, per allargare poi il discorso ai conflitti che ebbero luogo all'interno dell'economia dello sviluppo durante gli anni in cui essa andava strutturandosi come subdisciplina autonoma. Analizzare i dibattiti teorici di allora, contestualmente alle attività "sul campo" condotte dagli stessi protagonisti di quei dibattiti, permette di valutarne meglio la reale portata, in parte ridimensionandoli e in parte svelando i reali meccanismi del conflitto. Quando si consideri che Albert Hirschman, uno dei padri nobili dell'economia dello sviluppo, costruì il suo libro La Strategia dello sviluppo economico sull'esperienza colombiana e sui conflitti che sviluppò con Currie, la rivisitazione di essi attraverso un materiale d'archivio mai prima d'ora analizzato puo fornire nuovi spunti di riflessione sulla storia della disciplina.

Il quarto capitolo, infine, porta a conclusione le riflessioni aperte in quelli precedenti, e torna a concentrarsi sulla Banca Internazionale e sui meccanismi, interni ed esterni, che contribuirono a dare forma e struttura alle sue politiche di prestito verso i paesi in via di sviluppo. I dibattiti interni all'economia dello sviluppo, la loro eco e la particolare declinazione che essi ebbero in seno alla Banca, l'esperienza colombiana e le sue conseguenze, il più generale contesto internazionale, sono gli elementi attraverso cui è possibile capire le istanze di natura culturale, economica e politica che spinsero la Banca a mantenersi in un ruolo di rigido e chiuso istituto finanziario di stampo conservatore, di fatto rifiutando le sollecitazioni che provenivano dal suo stesso interno per un approccio più articolato e includente alla definizione delle proprie politiche di intervento. La Banca mantenne questa posizione fino almeno alla seconda metà degli anni sessanta, quando la sempre più sonora delusione che si avvertiva da più parti nel campo dell'economia dello sviluppo per il modello di sviluppo fino ad allora predominante, un modello che la Banca aveva sposato con convinzione, la costrinse a cambiare pelle.

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