Copertina
Autore Carmelo Albanese
Titolo C'era un'onda chiamata pantera
Edizionemanifestolibri, Roma, 2010, Contemporanea , pag. 176, dvd, ill., cop.fle., dim. 14,5x21x1,2 cm , Isbn 978-88-7285-622-2
PrefazioneRoberto De Angelis
LettoreGiorgia Pezzali, 2010
Classe universita' , paesi: Italia: 1990 , movimenti
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Indice


INTRODUZIONE. LA CITTÀ DI CHEECKY P. IN MOVIMENTO                      13
di Roberto De Angelis

PREMESSA                                                               29

COME SI SVOLSERO I FATTI                                               49

15 Gennaio 1990: l'occupazione della facoltà di Lettere                49
Le chiavi della facoltà                                                53
Dialoghi d'occupazione                                                 59
Le forme del movimento: momenti ludici e momenti politici              64
Il corteo circense, le commissioni di studio e le assemblee            66
La Pantera nella città: il mondo del lavoro e le manifestazioni        74
L'assemblearismo, i gruppi e la fine del movimento                     79

RAGIONI E TEMI DEL MOVIMENTO                                          103

1990: un anno spartiacque di epoche                                   103
Contro la privatizzazione dei servizi e per il diritto allo studio    105
Il C.A.F., la legge Vassalli-Iervolino e le origini del berlusconismo 108
La Pantera e i nuovi mezzi di comunicazione di massa (NMCM)           111
Il movimento del '90 e le marginalità                                 116

IL RAPPORTO CON GLI ALTRI MOVIMENTI                                   121

È successo solo ieri                                                  121
I movimenti precedenti                                                123
Perché negare il senso dei movimenti?                                 131

L'OCCUPAZIONE FINISCE, IL MOVIMENTO CONTINUA                          133

Il calcio: contestazione ai Mondiali '90                              135
La ex-Pantanella, 1990-1991                                           136
Le occupazioni dei centri sociali                                     139
La prima guerra del Golfo nel 1991                                    140
Religione e impero: contro le colombiadi del 1992                     141
Sound System e Onda Rossa Posse dal 1990 al 1998                      146
L'esperienza di Latera dal 1991 al 1996                               148
Il teatro '90 e le comunità montane                                   150
Dal '90 ai no Global, fino all'Onda                                   152

PERCHÉ IL FILM SUL '90 DOPO VENT'ANNI                                 157

NOTE                                                                  160

BIBLIOGRAFIA                                                          174


 

 

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Pagina 49

Come si svolsero i fatti

15 GENNAIO 1990: L'OCCUPAZIONE DELLA FACOLTÀ DI LETTERE

Il mio racconto del movimento del 1990 è centrato in modo quasi esclusivo sulla facoltà di Lettere di Roma, sia per quanto riguarda il libro che il film. Questa ambientazione del racconto, è dovuta al fatto che Lettere è la realtà che ho vissuto più da vicino, pur avendo girato diverse facoltà ed aver partecipato anche alle mobilitazioni di quell'anno in altre città e università italiane. Lettere a Roma è un luogo estremamente simbolico e rappresentativo per i movimenti studenteschi: nel 1966 muore Paolo Rossi sulla scalinata di Lettere e molti tra gli eventi più significativi del 1968, si svolgono tra la facoltà di Lettere di Roma e la facoltà di architettura a Valle Giulia, sempre a Roma. Anubi mi dirà a proposito di Paolo Rossi:

"... Una della prime cose che è stata fatta dal movimento del '90 è stata quella di rimettere la lapide per Paolo Rossi, che non c'era più dal 1968 e che indicava la morte di un ragazzo antifascista per mano dei fascisti, per la quale non c'è mai stato un processo, né un'attribuzione di responsabilità precisa, per quella che fu la prima di una serie di cadute accidentali da qualche piano superiore..."

È poi un fatto che all'occupazione di Lettere a Roma, il 15 gennaio del 1990, seguirono le occupazioni in tutta Italia. È stato in pratica l'evento che, amplificando la spinta proveniente da Palermo, il primo ateneo a mobilitarsi, ha dato il via libera simbolico allo sviluppo del movimento nel Paese. La prima facoltà ad essere occupata a Roma fu Psicologia (12 gennaio 1990), la prima dopo Palermo (6 dicembre 1989). Ma in tutti gli studenti romani, compresi quelli che avevano occupato a Psicologia, c'era la convinzione che finchè non si fosse occupata Lettere, il movimento non si sarebbe sviluppato su larga scala. Proprio gli studenti di Psicologia fornirono la spinta necessaria agli studenti di Lettere per accelerare un'occupazione che ormai era un approdo inevitabile.

La prima cosa da dire è che la protesta del 1990 è stata completamente rimossa. Dei movimenti precedenti si era trasmessa alle nuove generazioni almeno la data dell'avvenimento, non dico le ragioni e le motivazioni, ma almeno il riferimento storico. Per il 1990 il trattamento è stato differente. Non c'è proporzione tra l'importanza effettiva dell'evento, che ha coinvolto un'intera generazione di giovani in Italia e il silenzio assoluto in cui è caduto l'evento stesso:

"... È stata una delle più grandi esperienze di socializzazione della contemporaneità in Italia con una produzione quotidiana di messaggi che hanno influito sulla vita di tutti. Ha coinvolto un'intera generazione di ragazzi dai 18 ai 30 anni..."

La rimozione sistematica di questa esperienza collettiva è forse da imputare alla necessità di lasciare agire indisturbate le forze economiche, politiche e intellettuali che operavano e operano, per smantellare progressivamente l'istruzione pubblica, a vantaggio degli interessi di aziende private.

"... Quando fu annunciata la riforma di legge Ruberti tutti noi sentimmo che suonava un allarme forte, che anticipava ampiamente quello che poi sarebbe successo in tutti i settori, prima pubblici, della società; gli studenti avvertirono questa tendenza e l'orientamento della politica ci sembrava chiaro, era chiaro soprattutto che si voleva tornare indietro dall'università di massa. L'università di massa era molto criticata all'epoca da intellettuali, giornalisti, professori universitari, mentre per noi era ancora una grande conquista. Io sono l'esempio più chiaro di quanto sia una conquista... io vengo da una classe sociale molto bassa e senza l'università di massa avrei fatto altro nella vita, non avrei fatto il mestiere che faccio oggi..."

Se appaiono intuibili le "ragioni" della sua rimozione da parte dei media e della politica ufficiale, risulta meno comprensibile che nessun politico, nessun intellettuale, storico, o giornalista abbia sentito il bisogno di riallacciare quel tentativo di opposizione al progetto di privatizzazione dell'istruzione pubblica; che pure era stato così imponente e significativo e che ha inciso così profondamente nella vita di un'intera generazione.

Sono perciò rimasto stupito nel trovare la voce "Pantera" all'interno dell'enciclopedia Wikipedia. Credevo che la rimozione di quel movimento fosse stata totale. Mi sono sorpreso nel vedere che la prima indicazione fornita a Wikipedia sul Movimento studentesco del '90 fosse datata febbraio 2007, più o meno il periodo in cui mi decidevo a montare le immagini che ero riuscito a salvare, tra quelle girate durante lo svolgersi di quegli eventi.

Il motivo aggregante della protesta fu la proposta di legge Ruberti, allora ministro dell'università e della ricerca scientifica (un socialista, craxiano), sull'autonomia delle università. In pratica la legge che auspicava l'ingresso dei privati nelle università stesse, con una conseguente influenza sulla scelta dei programmi didattici. Questa legge prevedeva la possibilità concreta, per le aziende, di contribuire al finanziamento di particolari corsi di studio, in base alle necessità dei loro piani industriali, alleviando, si sosteneva, l'onere contributivo dello Stato nella ricerca scientifica. Di fatto, entrando da protagonisti nel delicato momento di formazione culturale degli studenti e diventandone arbitri.

Il movimento occupa la facoltà romana di Lettere e filosofia il 15 gennaio, ma già da due mesi era occupato un laboratorio all'interno dell'Università: il Rosa Luxemburg, e un'aula della facoltà di Lettere, l'Aula VI: luoghi di incontro e di libera circolazione delle idee, che preannunciavano la mobilitazione. Era inoltre stata occupata, fino a dicembre dell'89, la biblioteca del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea. Gli studenti di Storia chiedevano l'apertura della biblioteca per un orario più lungo. Richiesta impossibile da esaudire viste le diminuzioni di organico del personale universitario. Segno inequivocabile di come lo Stato cominciasse a lesinare risorse economiche alla scuola pubblica. A storia, gli studenti che partecipavano alla mobilitazione, erano forse i più orientati politicamente. I più attivi nell'occupazione, prima intermittente poi a oltranza, della biblioteca, erano riconducibili all'area della FGCI. Possiamo dire che l'umore e le anime politiche del movimento romano nascono proprio da questi tre luoghi e dalle persone e dai temi politici che in essi si muovevano.

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Le ragioni del movimento



1990: UN ANNO SPARTIACQUE

"... Il movimento del '90 è stato rimosso perché era una realtà scomoda per la costituzione di un senso della storia, basato sulla necessità, nel post-'89 e negli anni immediatamente successivi, di restituire un'idea di tabula rasa rispetto alle possibili forme di cambiamento e partecipazione politica e, successivamente, di prendere quella data come spartiacque per una modernità declinata nel mercato, declinata in una depauperazione del pubblico e declinata in una standardizzazione del rapporto tra le persone..."

Il 1990, unitamente agli anni immediatamente precedenti ed ai successivi, può essere considerato, anche alla luce degli attuali avvenimenti storici e politici, un vero e proprio spartiacque tra due fasi differenti. I cambiamenti e gli eventi internazionali e nazionali accaduti a ridosso di quella data, sono determinanti. Ne faccio un sommario solo per dare un quadro di quanto vado scrivendo. Nel 1989 viene distrutto il muro di Berlino e viene stravolto l'equilibrio successivo alla seconda guerra mondiale. Nei paesi della sfera di dominazione sovietica cadono le dittature nazionali; in Romania è giustiziato il dittatore Ceausescu ed è interessante notare come il linguaggio del movimento del 1990 sia fortemente influenzato da quegli eventi. Gli slogan rivelano chiaramente quanto gli studenti del movimento del '90 si sentissero schierati contro il sistema del socialismo reale contrariamente a quanto il delirio delle forze politiche della destra italiana d'oggi sarebbe portato a pensare. Basti considerare che il rettore dell'Università di Roma Tecce e lo stesso ministro Ruberti, principali bersagli della protesta studentesca, venivano chiamati rispettivamente "Teccescu" e "Rubertescu". Gli studenti orientavano la loro critica agli aspetti deteriori del potere senza pregiudizi politici. Andavano già oltre, rappresentavano spontaneamente il punto da cui riscrivere un pensiero politico in grado di rappresentare il presente, che ancora oggi, venti anni dopo, si stenta a raggiungere. Anche la polizia, nei momenti in cui ostacolava il movimento, trasgredendo regole precise come quelle che ne impediscono l'ingresso nelle università, veniva appellata come "securitade", lo stesso nome della polizia politica rumena del dittatore Ceausescu. Tornando agli avvenimenti dell'89, decisiva fu la protesta degli studenti cinesi contro il regime comunista di Pechino simboleggiata, nell'immaginario collettivo, nella scena, mediaticamente fortissima, dello studente cinese fermo davanti al blindato di testa dell'esercito cinese, intervenuto per reprimere la protesta. Un evento che sconvolse e suscitò le antipatie del mondo verso quel regime. Gli studenti si sentirono così vicini a quegli studenti che intitolarono l'aula Magna di Palermo, dove si svolse la prima assemblea nazionale, con un nome emblematico: "Aula Tien An Men". Gli studenti della Pantera si sentivano vicini agli studenti cinesi perché ne condividevano l'indole pacifica e non-violenta e perché si candidavano ad interpretare questo nuovo vento politico che, spazzando via l'appartenenza preventiva a un'ideologia, provava a riscoprirne il senso e a formulare le nuove parole di un ideale che fosse ancora in grado di interpretare le frontiere dei cambiamenti sociali, politici, e tecnologici. Il movimento del '90 sentiva che il nome comunismo non avrebbe significato più niente qualora fosse rimasto ancorato a una ortodossia. Era necessario riscoprirne il senso originario, anche di fronte alle nuove insidie che le oligarchie economiche del capitalismo avrebbero messo in piedi. Nel 1990 crollava il regime dell'apartheid in Sud-Africa, nascevano partiti che tornavano a rivendicare improbabili identità regionali di fronte al crollo delle idee politiche storicamente determinate fino ad allora (come ad esempio il partito nazionalista di Heider in Austria o la Lega Nord in Italia, regionalista e separatista). Aveva inizio, sempre intorno al 1990, nel 1992, la stagione di 'tangentopoli' in cui venne a galla il malcostume e la truffa sistematica che la classe politica dell'epoca, il famigerato C.A.F., criticato dagli studenti con tutta la loro forza, praticava da anni a svantaggio del Paese. Si ponevano le basi, in quel periodo con la prima guerra in Iraq, di Bush padre, i concetti e la pratiche aberranti, della "guerra giusta" o "guerra chirurgica". Termini che da allora verranno utilizzati sempre più frequentemente e con estrema leggerezza. Soprattutto, iniziava nel 1990, l'esplosione delle nuove tecnologie (la telefonia cellulare e la diffusione dei personal computer e della rete).

Era in sostanza un'epoca stravolgente e di grande speranza, non c'erano in vista recessioni economiche, ma al contrario una grossa fiducia per quanto si andava realizzando sul piano tecnologico e per come stavano crollando, nel mondo, i regimi autoritari.

"... quello che configura Ruberti, non è un gran che, rispetto a quello che era successo nel 1968-69 o negli anni '70, dove c'era tutto un clima generale che necessitava di un profondo cambiamento, anzi, il 1990 era un momento dove si pensava che tutto sarebbe andato meglio..."

L'unica cosa che non prometteva bene era la tracotanza di un capitalismo che si candidava ad essere l'unica via possibile da percorrere per manifesto abbandono, o crollo politico, dell'avversario.


CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI E PER IL DIRITTO ALLO STUDIO

"... fummo i soli di fronte al coro comune di quegli anni, che gridavano alla necessità di passare dal pubblico al privato, magari controllato, a dire no! Pubblico! Pubblico controllato! Dagli studenti e dalla società in genere che circonda la città universitaria..."

Il motivo principale intorno al quale il movimento del '90 si costituì, fu certamente l'opposizione alla legge Ruberti per contrastare l'intrusione del capitale nella sfera dei beni comuni, a partire dall'istruzione. L'ingresso dei rappresentanti dei consigli di amministrazione delle aziende negli organi della democrazia accademica avrebbe certamente condizionalto i programmi. Un'azienda farmaceutica che produce psicofarmaci, ad esempio, avrebbe certamente potuto finanziare programmi di ricerca in campo psichiatrico, ma a quale prezzo? Quale sarebbe stata la contropartita richiesta? Cosa avrebbero misurato ì laboratori terapeutici sponsorizzati da un'azienda farmaceutica produttrice di psicofarmaci? Avrebbero favorito lo sviluppo di teorie libertarie di riabilitazione e integrazione di individui affetti da patologie mentali o ne avrebbero misurato la capacità di adattamento alle terapie di somministrazione dei farmaci? Come sarebbe stato possibile l'emergere di studiosi come Felix Guattari o la formulazione delle teorie sull'antipsichiatria? Come sarebbe stato possibile tutto ciò se il finanziatore del corso ipotetico che Felix Guattari avrebbe dovuto tenere in un'università riformata a vantaggio dei privati, fosse stato un'azienda farmaceutica produttrice di psicofarmaci? Se poi un'azienda investiva capitali per un programma di ricerca, era ragionevole pensare che non avrebbe fatto beneficienza. Che avrebbe fatto un piano di rientro dei capitali investiti nell'istruzione, per un determinato corso di studi. A quel punto sarebbe stato necessario pagare tasse di iscrizione più alte che avrebbero compensato l'impegno economico delle aziende. Se le tasse fossero cresciute, come di fatto sono cresciute esponenzialmente negli anni dopo il 1990, quali classi sociali avrebbero e hanno potuto permettersi la frequenza all'università? Che ne sarebbe stato del diritto allo studio? In realtà anche la parziale privatizzazione dell'università proposta da Ruberti, e ancor più le successive proposte di legge e riforme, messe in atto da Luigi Berlinguer fino a Maria Stella Gelmini, avrebbero smantellato il diritto allo studio e la qualità, libertà e indipendenza del sapere. Per difendere il diritto allo studio ed affermare la libertà del sapere era necessario andare a fondo nella critica delle privatizzazioni.

Quel "movimentino irrisorio" del Novanta aveva centrato un punto fondamentale intorno al quale la politica si avvita da anni: la necessità di arginare l'invadenza dell'economia di mercato, almeno in alcuni ambiti della vita sociale. Il movimento si opponeva alla privatizzazione delle università, perché proprio dell'istruzione pubblica partiva l'offensiva liberista; ma gli anni che sono seguiti al 1990, ce la dicono lunga su come questa offensiva si sarebbe estesa a tutti gli ambiti della società, grazie alla spinta trionfale che muoveva il capitalismo dopo il crollo del muro di Berlino. Sempre attraverso un elogio preliminare delle privatizzazioni, sono stati sostituiti i monopoli pubblici per l'energia e le comunicazioni, con quelli che in seguito si sarebbero rivelati come veri e propri monopoli paralleli del privato. Il passaggio del controllo ai capitali privati di Eni, Iri e Telecom, avrebbe dovuto costituire il nuovo sole dell'avvenire di una società che poneva in essere, proprio alla fine degli anni Ottanta, le condizioni per arrivare a privatizzare tutti i beni e le attività di interesse collettivo. Percorso che sembra coronato dalla legge Ronchi del 19 novembre 2009, che apre la strada alla privatizzazione dell'acqua. L'istruzione, la sanità, le comunicazioni, l'energia, l'acqua diventano il "core business" delle nuove "aziende sociali". Nessun imprenditore avrebbe dovuto sforzarsi di inventare qualcosa da commercializzare. Poteva iniziare direttamente a fare soldi con i bisogni primari: l'apoteosi di un pensiero liberista unidimensionale che non sarebbe venuto in mente nemmeno al più liberale tra i liberali. Il fallimento di questa corsa verso le "magnifiche sorti e progressive" di fine secolo è stato chiaro a tutti nella recessione del 2001. Dieci anni più tardi di quel "movimentino" che un po' tutti avevano sminuito, a cominciare, per certi versi, da chi lo aveva vissuto. Dieci anni dopo il movimento della Pantera e dieci anni prima della recessione totale che stiamo vivendo oggi.

Non è facile riscoprire il senso e la lucidità delle parole di quel movimento studentesco, che nel '90 aveva intuito come il privato avrebbe dovuto rimanere fuori dalla gestione dei servizi primari, per i quali non poteva valere la logica del profitto. Il processo del liberismo selvaggio sembra ormai indiscutibile e i suoi dogmi sono così diffusi e radicati che è difficile rintracciare la data esatta in cui ha avuto origine, ma che ritengo possa essere fissata proprio alla fine degli anni Ottanta. Le nuove generazioni sono portate a credere che tutto sia stato sempre così. Che non possa esserci un diverso modo di intendere la società. La politica ufficiale ha ottenuto questo risultato ponendo mediaticamente in ridicolo non solo qualsiasi teoria critica, chiamata "ideologia", ma il riferimento stesso a questa parola. Viene oggi bandito ogni pensiero che provi a proporre idee forti e sistematiche, che siano in grado di fornire speranze visibili e sostenibili alla sconnessa vita sociale del nostro tempo.

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