Copertina
Autore Igor Aleksander
Titolo Come si costruisce una mente
EdizioneEinaudi, Torino, 2001, Grandi Tascabili 840 , pag. 222, dim. 135x208x20 mm , Isbn 978-88-06-15866-8
OriginaleHow to build a mind [2000]
TraduttoreSimonetta Frediani
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe scienze cognitive , scienze umane , filosofia , biologia , informatica
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


VII Prefazione

    Come si costruisce una mente

  3 I.   Immaginazione e coscienza

 19 II.  Mileto: dove ha inizio il sogno

 33 III. 1958: un viaggio verso l'interdisciplinarietà

 49 IV.  Il fantasma di Aristotele: un'influenza
         durata due millenni

 63 V.   I primi neuroni artificiali e gli albori
         dell'Intelligenza Artificiale

 81 VI.  La liberazione della filosofia: gli empiristi

 97 VII. Canterbury: le prime macchine

117 VIII.Wittgenstein: un breve interludio

125 IX.  Gli anni di WISARD: macchine senza mente

143 X.   Iniziare la settimana con la coscienza

157 XI.  MAGNUS a South Kensington e a Pasadena

179 XII. Essere coscienti: l'ego nella macchina

203 Epilogo. 2100: ultima lezione sui sistemi coscienti

207 Bibliografia essenziale
211 Indice analitico

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 3

Capitolo primo

Immaginazione e coscienza


[...]

Di solito, per descrivere la nostra esperienza mentale attiva si usa la parola «coscienza». A mio avviso, si tratta di un termine un po' stantio. Fa la sua comparsa in astiosi dibattiti filosofici e scientifici, ricorre nei titoli di molti libri, gli scienziati rigorosi lo evitano e quelli non tanto rigorosi ne fanno cattivo uso. Per l'anestesista ha un significato (il paziente salterà giú dal tavolo operatorio appena trafitto dal bisturi?) e per i filosofi un insieme di svariati significati del tutto diversi. Senza alcun pudore, mi accingo a scrivere un libro sulla coscienza, le sue meraviglie e i suoi piaceri. Ma voglio evitare gli sbadigli e le inutili conversazioni senza fine sul suo carattere elusivo. Per tale ragione, ricerco la forza della coscienza nel potere dell'immaginazione. Ho bisogno di capire come fa il mio cervello, una macchina evoluta di terrificante complessità, a produrre non soltanto le mie piacevoli fantasticherie, ma anche tutti gli altri elementi della mia vita mentale


Immaginazione: ingegneria e filosofia?

Ammettere di essere un ingegnere (in Gran Bretagna, quanto meno) è un po' come alzarsi in piedi a una riunione degli Alcolisti anonimi per confessare le proprie colpe. Il guaio è che, in inglese, «ingegnere» evoca l'immagine di motori e macchine sporche di grasso. In altre lingue, la parola è associata a «ingegno», ma la modestia mi impedisce di sottolinearlo. Ciò nondimeno, essere un ingegnere mi è stato di grande aiuto per capire una parte dei principi che necessariamente regolano l'attività cerebrale. In questo libro, desidero riferire le mie riflessioni senza pretendere che il lettore abbia una qualche conoscenza dei motori, sporchi o meno. Il punto è che, occupandomi di macchine per l'informazione (che includono, ma non coincidono affatto, con i computer), mi trovo a progettare macchine capaci di trattare il genere di materiale di cui è fatta la nostra immaginazione.

Una domanda chiave è quindi: «Una macchina può immaginare?» Se la risposta è affermativa (e, com'è ovvio, io sono di questo avviso), per quali aspetti la sua costituzione la differenzia da una macchina priva di tale capacità? La risposta non verrà rivelata tra poche righe, ma, se tutto va bene, inizierà a emergere prima della fine del libro. Spero che a quel punto il lettore vorrà condividere con me ciò che non è altro che un barlume di comprensione e nulla di piú. Un barlume può non essere granché da promettere, ma per me è stato un grande passo in avanti, rispetto a non comprendere nulla. È per tale ragione che il libro va preso un po' come un viaggio, un viaggio attraverso la mia esperienza personale e le riflessioni di altri sulla coscienza. Non si tratterà di un esame minunuzioso e sistematico di teorie scientifiche, come si converrebbe a un testo rivolto agli specialisti, bensí del racconto di improvvisi chiarimenti in una qualche sorta di ordine cronologico e nel contesto dello sviluppo della mia personale comprensione. Lo scenario non si limita all'ingegneria, alla psicologia e alla neurobiologia. Un contesto cruciale ai fini di una tale comprensione è la filosofia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 16

Da ultimo, è passato molto tempo dal momento dei giustificatissimi attacchi di Searle contro le esagerate rivendicazioni dei professionisti dell'IA degli anni Settanta. In realtà, in una pubblicazione molto piú recente Searle suggerisce chiaramente che le macchine non biologiche potrebbero essere interessanti:

Quando dico che il cervello è un organo biologico e la coscienza è un processo biologico, non affermo né sottintendo, è ovvio, che sarebbe impossibile produrre un cervello artificiale con materiali non biologici, capace anch'esso di causare e sostenere la coscienza.

Nel seguito, tuttavia, Searle afferma che prima di poter progettare macchine siffatte è necessario spiegare in termini biologici come il cervello dell'uomo causa la mente. Sono convinto che si tratti di un vincolo inutile. Quando dico che il cuore è come una pompa meccanica, lo dico perché credo che il cuore e la pompa abbiano alcuni principi chiave in comune. A questi principi si arriva mediante la comprensione contemporanea dell'aspetto biologico e di quello meccanico. Il grande vantaggio di procedere su entrambi i fronti è dato dal fatto che il biologo può non conoscere bene i principi della meccanica, come può accadere al fisico con i principi della biologia. In questo libro, svolgo il ruolo del neurobiologo naïf e del filosofo naïf, ma anche il ruolo di chi inserisce nella discussione una conoscenza sempre piú profonda delle macchine ispirate al cervello.

Mi prefiggo di mostrare nel modo piú semplice possibile che il tentativo di progettare questi sistemi non biologici ci fa capire un po' di piú come un qualsiasi apparato, biologico o meno, possa provvedere all'immaginazione cosciente, e cosí ci fa progredire nel nostro tentativo di rispondere alla domanda fondamentale posta poc'anzi. Procedendo, non perderò di vista il fatto che i due saranno sempre diversi: il cervello vivo avrà una coscienza che ne riflette in gran parte la natura biologica; la macchina artificiale cosciente avrà una coscienza che, al confronto, potrebbe essere una cosa bizzarra, e che forse potrebbe non meritare affatto l'appellativo di cosciente. Ma è il meccanismo comune a entrambi ciò che «ci fa capire un po' di piú». Sebbene io non proponga di trapiantare silicio nel cervello, rifletto sul fatto che i pazienti con il cuore di plastica sopravvivono grazie alle proprietà comuni al cuore biologico e a quello artificiale. Allo stesso modo, ora che ha inizio il viaggio per arrivare a comprendere l'immaginazione e la coscienza, prenderò in considerazione tutto ciò che conosco del mondo artificiale che possa essere comune anche al mondo reale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 143

Capitolo decimo

Iniziare la settimana con la coscienza


Studio radiofonico.

Non sono in molti a conoscere l'ingresso posteriore, in Hallam Street, del grandioso edificio che ospita la BBC, ma è l'entrata agli studi di produzione di programmi come Start The Week [Iniziare la settimana]. Mi trovavo là per altri scopi, ma qualcuno mi disse che vi sarebbe stato un ritardo e mi invitò gentilmente a sedermi. Non avrei dovuto aspettare per piú di una mezz'ora. Uhm... Mi vennero in mente alcune vecchie puntate del programma e le molte discussioni vivaci. Ora il programma non era piú organizzato nello stesso modo. Ma, stranamente, quando la giovane ricercatrice tornò, disse: «Può entrare, ora. Melvyn e gli altri sono già nello studio».

Iniziare il millennio.

«Siete tutti comodi? - domandò Melvyn Bragg. - Dopo le notizie, si comincia». Tutt'intorno al grande tavolo ricoperto di panno e decorato di microfoni difesi da schermi di plastica colorata, i partecipanti mandarono un vago borbottio di accordo. Il commentatore ricapitolò l'ultimo scandalo e segnalò l'ennesima vittima del problema dell'anno 2000: alle Ferrovie Meridionali Britanniche era stato venduto il genere sbagliato di computer - cosí sostenevano loro - che, però, fortunatamente, avrebbe soltanto contrassegnato come «in orario» tutti i treni con meno di un'ora di ritardo, quindi sarebbe stato inutile disturbarsi a chiedere un rimborso...

Bragg Buongiorno e benvenuti alla prima puntata di Start the Week del nuovo millennio. Iniziamo la settimana e iniziamo il millennio, quindi. L'argomento di oggi è probabilmente il piú grosso enigma dell'ultimo millennio, che non dà segno di ridursi in questo: la coscienza è al sicuro nelle mani degli scienziati? Abbiamo riunito molti fra coloro che hanno scritto sull'argomento ed espresso la propria opinione ai riguardo, a volte con grande clamore sui media.

Susan Greenfieid insegna farmacologia a Oxford e sta tenendo, alla Royal Institution, una serie di conferenze dal titolo What Happens to Consciousness When We Go Bunjee-Jumping? [Che cosa accade alla coscienza quando pratichiamo il bunjee-jumping?] Roger Penrose è Rouse Ball Professor of Mathematics all'Università di Oxford e ha appena pubblicato un nuovo libro intitolato Non-Computation: An Essential Science [Non Computazione: Una scienza essenziale]. Steven Rose insegna biologia alla Open University. La conferenza che terrà questa settimana alla Royal Society è intitolata Filing Cabinets Cannot Be Conscious [Gli archivi non possono essere coscienti]. Margaret Boden è psicologa, filosofa e autrice prolifica specializzata nella spiegazione e nell'analisi della filosofia degli scienziati nei domini dell'Intelligenza Artificiale e della Vita Artificiale. Il suo ultimo libro è intitolato The Neural Coincidence [La coincidenza neurale]. Aaron Sloman, filosofo, è anche docente di Intelligenza Artificiale e Scienze Cognitive all'Università di Birmingham e ha appena pubblicato Ethics for Conscious Computers [Etica per computer coscienti]. Igor Aleksander è docente di Ingegneria Neurale all'Imperial College e nei prossimi mesi pubblicherà il libro How to Build a Mind [Come si costruisce una mente].

Ma questo è soltanto il contingente inglese. Dagli Stati Uniti abbiamo importato Francis Crick, Premio Nobel, che insieme a Christof Koch ha appena pubblicato il libro Astonishingly Conscious Neurons [Neuroni sorprendentemente coscienti]. Daniel Dennett è un filosofo della Tufts University di Boston, autore di una serie di programmi televisivi intitolata The Myth of the Cartesian Theatre [il mito del teatro cartesianol, che in questo periodo sta onorando gli schermi inglesi. Steven Pinker è uno psicologo dei MIT il cui ultimo libro Consciousness for the Masses [Coscienza per le masse] - un imponente volume di mille pagine - ha battuto tutti i record di vendita.

Abbiamo un'ora e comincerò introducendovi uno alla volta. Poi vedremo come si svilupperanno le cose. Francis Crick, in passato lei ha rivolto aspre critiche ai filosofi e alle loro imprese. Qual è la sua posizione oggi?

Crick Può ben darsi che i filosofi siano stati i primi a subire il fascino di ciò che hanno chiamato «anima» e in seguito «coscienza». Ma è stato cosí anche per la natura della materia, il moto dei corpi stellari e la crescita delle piante. Ciò nondimeno, sono stati i fisici, i cosmologi e i biologi a scoprire le leggi che spiegano questi fenomeni e ci permettono di controllare la nostra esistenza fra gli elementi. Tristemente, l'operato dei filosofi negli ultimi duemila anni è un insieme tanto misero che non posso sperare granché in un loro importante contributo alla soluzione del problema della coscienza. I filosofi sono bravi a porre domande interessanti, alcune delle quali possono puntare nella direzione giusta, ma la storia ha mostrato che non hanno tecniche per rispondere in modo davvero soddisfacente. Il prossimo libro di Christof Koch cercherà di delineare il problema in termini scientifici, ma siamo ancora lontani dall'intravvedere le risposte, per non parlare di fornire quelle corrette.

Bragg Il misero operato dei filosofi? Margaret Boden, lei sta sullo spartiacque tra filosofia e scienza. I filosofi hanno bisogno di essere educati?

Boden La filosofia è viva e vegeta e, lasciatemelo dire, abbastanza robusta da resistere a questi attacchi. Ciò non significa che quel che fanno gli scienziati sia inutile - certo, scoprono le leggi della fisica, della chimica e della neurofisiologia, ma la coscienza è molto piú difficile da spiegare. Non possono spiegare tutto. Nessuno si rivolgerebbe a uno scienziato per ottenere la spiegazione delle cause della povertà in India o dell'inizio della Prima Guerra Mondiale... La coscienza è essenzialmente un costrutto nello studio dell'umanità. Ciò che fanno Francis e i suoi colleghi è semplicemente studiare gli elementi essenziali che rendono possibile la coscienza. Per essere cosciente e intelligente, un essere umano ha indubbiamente bisogno di un cervello che funziona.

Dunque, è possibile che i neurofisiologi sappiano dire che cosa costituisce un cervello che funziona e che cosa accade in presenza di deficit. Se osservano che il sangue fluisce in un particolare pezzettino dei cervello quando il soggetto è cosciente di qualcosa di specifico, è soltanto una misura di correlazione e non una spiegazione di come il soggetto possa sentire quel che sente. Misurare il flusso di benzina in una parte specifica di una macchina non spiega come funziona la macchina. Ma, nel caso della macchina, esiste l'ingegneria meccanica che fornisce una spiegazione completa. Per la verità, nella cara vecchia Intelligenza Artificiale vi sono la logica e la programmazione che definiscono un'azione intelligente, come giocare a scacchi. E non si basano sull'ingegneria dei microchip dei computer. Ma per spiegare la coscienza non esiste l'equivalente della logica e della computazione. Soltanto nell'arco di molti anni, o forse mai, si svilupperà una scienza completamente nuova e oggi inimmaginabile che riuscirà a spiegare la coscienza.

Bragg Daniel Dennett, mi sembrava che alle parole di Margaret lei iniziasse ad agitarsi. È chiaro, lei ha scritto un libro intitolato La coscienza spiegata. Allora, l'ha decifrata?

Dennett Non è cosí difficile, Melvyn. Non si sbagli, io sono un filosofo. Ed è precisamente adottando alcuni modelli computazionali che io, come filosofo, trovo un linguaggio che esprime che cos'è la coscienza. Il pensiero di mettersi ad aspettare che qualcuno inventi una nuova scienza che colmi qualche strana lacuna altro non è che il buon vecchio dualismo! È proprio lo stesso errore che commise Cartesio, e che commettono oggi molti altri, discutendo della coscienza. L'idea che la coscienza sia come un film proiettato nella testa (quello che chiamo «teatro cartesiano») e che il proprietario della testa sia l'unico elemento dei pubblico, genera ovviamente il problema di una regressione infinita. Qual è la coscienza con la quale l'osservatore guarda il film? Non vi è alcun teatro cartesiano e io non sono il primo a dirlo: a sostenerlo con maggior vigore è stato Wittgenstein.

Il cervello è uno strumento assai raffinato ed evoluto, composto da molte parti specializzate. Si consideri la metafora di una redazione che produce un quotidiano in modo continuo, con i redattori che rivedono e preparano i pezzi man mano che arrivano le notizie. In maniera simile, gli agenti computazionali virtuali generati dal nostro cervello curano il giornale della coscienza. La coscienza non è altro che uno stato di parte di questo processo computazionale che è analogo allo stato corrente del giornale. Ma questo stato non ha bisogno di essere «letto»; è lo stato corrente di parte del cervello. Ma io ho detto che tutti questi redattori e il giornale sono «virtuali». Formano quello che gli informatici chiamano un sistema a molti agenti. Posso premere un tasto sul mio computer e, guarda guarda, sullo schermo appare una calcolatrice. Posso premerne i tasti con il mouse e ottenere il risultato, proprio come faccio con la calcolatrice. Il mio modello di coscienza è una macchina virtuale a molti agenti che gira su un substrato neurale, forgiata dall'evoluzione per rivedere continuamente le bozze di una storia in parallelo con l'esperienza sensoriale. Non esistono lacune, non esistono speciali entità interne inesplicabili come i «qualia». Non è affatto necessario scoprire una scienza che spieghi qualcosa che è un'invenzione della logica erronea dei filosofi.

Bragg Non sono sicuro di capire tutto. Aaron Sloman, lei è un filosofo, ma anche un esperto di Intelligenza Artificiale. Ci può districare un poco la matassa?

Sloman In realtà, la «spiegazione» di Daniel non mi pare una spiegazione. È piuttosto una dichiarazione di intenti, o una cornice di riferimento: un linguaggio per una spiegazione. È una struttura nel cui ambito, con una gran quantità di duro lavoro, si potrebbe dar forma a una spiegazione. Dire che un'auto è un veicolo spinto da un motore a combustione alimentato a benzina non spiega come funziona l'auto; indica soltanto qualche altra scienza (la progettazione e il funzionamento dei motori a combustione interna) che consente di spiegare che cosa fa muovere un'auto. Gli agenti virtuali sono soltanto metafore che fanno riferimento ad alcuni stili di programmazione; sono espressioni di un problema che il programmatore ha compreso ed è riuscito faticosamente a risolvere. Un agente virtuale è soltanto un pezzo di programma che sta in piedi da solo e che ha un comportamento ben definito.

Ma la faticosa risoluzione dei problema è ancora da realizzare. E questa è la mia ricerca. Nel mio lavoro, tento, per quanto possibile, di definire e rifinire i requisiti di un programma che racchiuda tutto ciò che si sa di cose quali l'attenzione e il riconoscimento e persino di emozioni come l'«amore». Ne deriva un sistema composto da molti programmi interagenti, che nel suo complesso potrebbe avere alcune delle caratteristiche dell'agglomerato di cose che chiamiamo «coscienza». L'idea del giornale e dei redattori come modello della coscienza è una metafora divertente, ma non mi aiuta nel mio lavoro. Quando avrò completato ciò che sto cercando di realizzare, non si può escludere che avremo un computer che esprime un senso di sé in modo sufficientemente forte da far credere ai suoi amici, insegnanti, alunni, impiegati e colleghi che abbia una qualche forma di coscienza. Potrebbe anche accaderci di dover riflettere attentamente a quali diritti potrebbe e dovrebbe rivendicare.

Bragg Roger Penrose, mi aspetto che lei non sia d'accordo.

Penrose Per la verità, nutro grosse riserve per qualsiasi forma di spiegazione che lasci intendere che il cervello può essere paragonato a un computer o che un computer può emulare il modo in cui il cervello ci dota della coscienza. Una delle tante caratteristiche affascinanti della coscienza è ciò che potremmo chiamare «intuizione»; questa discende dalla capacità di affrontare, mentalmente, diverse alternative allo stesso tempo e di saltare a un pensiero adeguato in un modo impossibile per un computer. Per esempio, è facile che un brillante studente di geometria domandi: «Come faceva Euclide a sapere quali sono i passi per dimostrare un teorema?» Questa domanda è fondamentale in relazione a quanto ha affermato Gödel sulla dimostrazione dei teoremi in generale. In riferimento a un sistema formale, come la geometria euclidea, Gödel fa vedere che per dimostrarne tutti i teoremi l'essere umano deve uscire dal sistema formale e avere intuizioni che non si possono ricavare nell'ambito del sistema. Ora, Turing ha mostrato che un computer può soltanto fare meno di - o, nella migliore delle ipotesi, tanto - quanto si possa fare nell'ambito di un sistema formale creato da un programmatore. Ne concludo, quindi, che qualsiasi scienza che sostenga di spiegare la coscienza dovrà andare oltre ciò che si può calcolare, poiché dovrà combinare il fatto di essere allo stesso tempo dentro e fuori il sistema formale.

Vi è soltanto un angolo della fisica in cui si può calcolare qualcosa di simile ed è il campo della fisica quantistica. In questo contesto, è normale considerare un sistema complesso come qualcosa che si trova in una varietà di stati fino a quando non si effettua una misura. Lo stato neurale dei cervello, cosí come lo stato di un computer, non rivela questa proprietà. Mi è quindi difficile credere che la risposta sia contenuta in spiegazioni della coscienza che si basano esclusivamente sul funzionamento dei neuroni del cervello. Essi sono vincolati dalle stesse leggi che governano i computer. Nelle cellule nervose, tuttavia, vi sono strutture in cui possiamo sperare di trovare tali effetti quantistici. Si chiamano «microtubuli». Senza approfondire, devo far osservare che, anche nell'ipotesi che i microtubuli abbiano le giuste caratteristiche quantistiche e siano in grado di entrare in uno dei numerosi stati potenziali, il processo non può essere un processo casuale. Alcuni affermano semplicemente che il libero arbitrio deriva da un rumore casuale proveniente dai neuroni. La volontà è libera, ma non è casuale. I principi scientifici pertinenti sono al momento sconosciuti.

La coscienza è troppo importante perché si possa credere che sia qualcosa che viene creato magicamente e accidentalmente dalla computazione nel cervello.

Bragg Allora, Margaret e Roger pensano entrambi che non abbiamo ancora gli strumenti per spiegare la coscienza. Ciò che mi preoccupa è che tutto lo sforzo che stanno compiendo in questo momento i neurobiologi e quanti elaborano modelli neurali potrebbe rivelarsi una perdita di tempo. Igor Aleksander, il suo lavoro diventerà superfluo?

Aleksander Non nel giro di pochi giorni, spero. Tutti noi, alla fin fine, per riuscire ad avere intuizioni sulla coscienza, usiamo metodi personali che si basano sulla preparazione e sulle capacità individuali. A mio giudizio, l'indagine dei neurobiologi sulla relazione tra gli eventi fisici, spudoratamente neurali e non microtubulari, che accadono nel cervello e la sensazione riferita dal soggetto è il mezzo piú sensato per riuscire a ottenere intuizioni utilizzabili su come vengono generate queste stesse sensazioni. Fornisce dati preziosi per guidare e verificare le nostre simulazioni.

La natura computazionale delle teorie o delle simulazioni di questi processi non è un fattore vincolante; anzi, ha il potere di spiegare la natura dell'«intuizione» ricercata da Roger. Prevede il verificarsi di certe sensazioni e indica le condizioni in cui emergono. Non è affatto impossibile che lo stato complessivo di una rete neurale rappresenti diverse soluzioni di un problema, ma che poi la rete salti in avanti nel modo appropriato. L'attacco di Roger ai limiti computazionali della macchina di Turing è del tutto corretto, ma fuori luogo: usato come simulatore, un computer può rappresentare sia un sistema formale sia il modo in cui può trovare le soluzioni, il quale non può essere dimostrato nell'ambito del sistema. In altre parole, ci permette di studiare sistemi, come le reti neurali complesse, che davvero «saltano alle conclusioni». Usare la parola «coincidenza» o «correlazione» tra il comportamento neurale e la sensazione, come fa Margaret, crea una lacuna tra i due che non è necessaria. È da tempo che disponiamo di teorie che li collegano, come spiego nell'ultimo capitolo dei libro che sto scrivendo.

Bragg Dovremo trattenere il respiro! Steven Pinker, sembrava impaziente mentre parlava Roger.

Pinker Si, penso che Igor sia stato troppo gentile con Roger. Come ho spiegato nei miei libri, le sue idee non sono valide. Penrose confonde il comportamento di un matematico idealizzato con quello di un vero matematico, vivo e cosciente, che può essere influenzato dalle analogie, dalle preferenze personali e dall'esperienza, che nulla hanno a che fare con i teoremi che sta cercando di dimostrare. L'intuizione, quindi, deriva in gran parte dall'esperienza e non è soggetta ai limiti gödeliani sui quali Roger basa il suo argomento. Inoltre, non ha accennato minimamente a come possa emergere la coscienza dalla meccanica quantistica.

Ma neanche con lgor sono d'accordo. Igor cade nella trappola in cui sono finiti tutti i neuroscienziati: fa confusione tra spiegare in che modo il cervello consente l'accesso all'esperienza e spiegare la «facoltà di sentire», l'«io» della coscienza. Quando avremo verificato tutte le previsioni neurali-teoriche, l'enigma della sensibilità non sarà piú tale? Per mille diavoli, no! Non verrà neanche scalfito. Le piú importanti domande in attesa di risposta rimarranno tali. Se la simulazione di Igor andrà tanto bene da prevedere ciò che sente una persona quando diamo un pizzicotto ai suoi neuroni, questa sua macchina virtuale sarà cosciente? La sua esperienza del rosso, Bragg, potrebbe essere identica alla mia del verde? Possono esistere gli zombie, potrebbe esistere un mio modello artificiale, fedele in ogni dettaglio e programmato ad agire come me, che non sente e non vede alcunché? Che cosa si prova a essere un pipistrello? Bragg, se sostituisco, uno alla volta, ogni suo neurone con una copia fedele, fatta di silicio, a che punto lei diventa un automa, una cosa priva di coscienza?

Non potrei rispondere a questi interrogativi neanche se Igor mi fornisse una teoria predittiva completa di ciò che causa le rappresentazioni all'interno della testa. Può darsi semplicemente che siamo costruiti in modo tale che, nonostante i progressi della scienza, mai si riuscirà a rispondere a queste domande. E potrebbe anche essere un bene: questa incapacità potrebbe far parte delle caratteristiche mentali indispensabili per apprezzare una barzelletta, per provare entusiasmo per una nuova esecuzione del concerto per violino di Prokofiev o per assaporare un vino. Potrebbe essere la caratteristica che fa si che valga la pena avere una mente. Vi è una grossa differenza tra spiegare come funziona la mente, che è un processo evoluto con forti caratteristiche computazionali, e spiegare come essa ci sembra quando è in piena attività.

Bragg Steve Rose, lei ha manifestato un briciolo di opposizione alle concezioni di Steve Pinker quando ha recensito i suoi libri, allora, che cosa ne pensa?

Rose Mentre approvo la posizione di Steve in merito al fatto che con le spiegazioni meccanicistiche molte questioni rimangono insolute, rabbrividisco quando usa la parola «evoluto», tornando cosí a una visione dei funzionamento della mente del genere «coltellino svizzero»: uno strumento computazionale per ogni cosa che si accompagna a un gene per ogni cosa. Questo è determinismo genetico selvaggio. Di fatto, la formazione di ciò che chiamiamo «mente» è il risultato di una mirabile interazione tra i geni e la superba capacità dei meccanismi cerebrali di cambiare e svilupparsi nel corso della vita. Trasformarlo in un modello computazionale è un'idea profondamente scorretta.

Per comprendere com'è che nel cervello i cambiamenti avvengono in modo finalizzato è necessario conoscere in che modo i processi evolutivi vengono influenzati dall'emozione, dalle questioni sociali e dai significati che da queste vengono imposti. Non è affatto necessario modellare tutto ciò in un mezzo estraneo come la computazione, ottenendo come unico risultato una concezione disumanizzata di noi stessi. In ultima analisi, per comprendere il cervello dobbiamo studiare il cervello. La macchina di Igor non sarà mai «cosciente» in un qualsiasi modo significativo, la mente di Pinker non è un prodotto meccanicistico dell'ontogenesi e Daniel Dennett non sarebbe l'autore elegante che è se dovesse contare soltanto su una certa macchina evoluta, a molti agenti, che produce un giornale.

Ma vorrei concludere con un attacco al mio bersaglio preferito: il modo in cui le neuroscienze assumono il carattere di uno strumento di potere. Vi è il pericolo che alcuni degli aspetti piú riduzionistici delle neuroscienze abbiano il potenziale di regolare i nostri tratti mentali affinché si adeguino al mondo. Coloro che esaminano i geni sono sempre piú fiduciosi di riuscire a spiegare in funzione dei geni lo stress, il crimine, l'ansia, l'alcolismo, l'orientamento sessuale e persino la povertà. Il pericolo di questo presupposto è che, attraverso un'accettazione di questi modelli, si possano controllare le menti, regolare le coscienze e far sottomettere le persone, grazie alla manipolazione chimica, al capriccio di qualche inesorabile forza politica.

Bragg Susan Greenfield, lei è farmacologa e quindi il momento non potrebbe essere piú appropriato per introdurla nella discussione.

Greenfield Grazie. Sí, davvero affascinante. Tutto ciò conferma un punto che io sostengo spesso. I suoi ospiti hanno tutti opinioni diverse su come la mente emerge dal cervello, il che dimostra che nessuno ha una risposta inequivocabilmente accettabile. Quindi non ci siamo ancora arrivati. Di fatto, potremmo essere molto lontani da una qualsiasi cosa che somigli a una comprensione della coscienza accettata da tutti. L'essenza della scienza è l'oggettività. Una teoria della coscienza deve comprendere la soggettività; è per questo motivo che l'establishment scientifico è pronto ad attaccare chiunque sostenga di essere interessato all'argomento. Ma la risposta deve stare nei neuroni. Non nelle reti neurali artificiali di Igor. Armeggiare con i computer non porta da nessuna parte.

Sono d'accordo con Steve: per scoprire la coscienza, è necessario studiare il cervello in tutta la sua gloria chimica, umida e molliccia. Vi è un epicentro in cui entra la sensazione. A tal fine, vengono reclutati eserciti di neuroni. Noi sentiamo le cose in sequenza, quindi la coscienza è spazialmente molteplice e temporalmente unitaria. Nella coscienza vi è un continuum dal minimale al profondo. Un bambino è cosciente, ma non nel modo sofisticato di George Bernard Shaw né, verso l'estremo opposto, come un ratto. La coscienza di un essere umano adulto cambia dal mattino alla sera. Non è la stessa durante un rave e in un rapporto sessuale. I raggruppamenti di neuroni possono essere piccoli e portare a una profonda ossessione legata agli ingressi sensoriali; forse quel che accade nella schizofrenia. Ma possono anche essere grandi, e portare a visioni distanti e offuscate del mondo. Quindi concludo che non vi è alcuna magia. Riusciremo ad avere grandi intuizioni quando potremo misurare effettivamente le dimensioni e il comportamento degli insiemi neuronali attivi e metterli in relazione con la sensazione provata dal soggetto. Prevedo che, con l'aumento della risoluzione temporale e spaziale nelle tecniche di produzione di neuroimmagini, i miei modelli verranno confermati, offrendoci un punto d'appoggio per raggiungere una vera scienza della coscienza.

Bragg Bene, dopo questa nota positiva e ottimistica, apro la discussione. Non ci resta molto tempo, quindi vi chiedo di contribuire alla discussione, senza dimenticare gli ascoltatori. Qui dalla mia posizione, percepisco una importante linea di demarcazione tra quanti ritengono che la scienza abbia una certa comprensione della coscienza e quanti pensano che la conoscenza sia soltanto parziale o, nella peggiore delle ipotesi, impossibile. Ora sarei lieto di sentirvi dire come si potrà ridurre in futuro tale separazione, oppure se essa è inerente al concetto, se è un prodotto della differenza tra una personalità e l'altra.

Penrose Sono ottimista per quanto riguarda il futuro. La sterilità delle impostazioni attuali ci spinge a ricercare nuove intuizioni. Per tale ragione, quanti offrono oggi una spiegazione della coscienza non dovrebbero temere di affrontare le limitazioni di quanto affermano.

Boden Direi che in questo gruppo vi è un buon accordo sul fatto che la filosofia è utile per mantenere vivi alcuni problemi reali, mentre la scienza è inadeguata.

Crick Sciocchezze! La scienza è capacissima di mantenere in vita i problemi reali e, alla fine, di risolverli, anche se un piccolo aiuto da parte dei filosofi potrebbe essere bene accetto. Quel che è necessario è soprattutto fare meno discorsi e piú esperimenti pertinenti e - punto ancor piú importante - disporre di metodi sperimentali nuovi e migliori. Avremo anche bisogno di nuove idee, ma sono abbastanza dubbioso che si tratterà di idee radicali come quelle, per esempio, di Penrose.

Greenfield Non si troverà mai una bella equazione che elimina il problema. Anche l'attuale mania di fare scienza premendo tasti sui computer è qualcosa che dovremo abbandonare. Molto semplicemente, crea un muro di Berlino tra la realtà dell'esigenza di comprendere le basi biochimiche dei qualia e l'elaborazione di qualche vago modello che non fa altro che riformulare il problema. Lo studio della coscienza è fortemente disapprovato dall'establishment scientifico e cosí quanti fra noi se ne occupano seriamente vengono confusi con i progettisti di modelli che non fanno nulla.

Sloman Se mai ho sentito qualcuno ammettere di non capire il processo di modellizzazione, è stato ora. Come possiamo sostenere che l'establishment scientifico non ci capisce quando ci gettiamo fango l'un l'altro? Piú i cosiddetti scienziati «naturali» si renderanno conto che i modelli al computer sono uno dei tanti strumenti di straordinaria potenza di cui dispongono per arrivare a una comprensione dei grandi interrogativi, prima inizieremo a raccogliere le risposte. I modelli al computer non sono diversi dai modelli che i buoni ricercatori di fisica e chimica hanno elaborato per secoli.

Rose Neanche a me piacciono i computer. Ci distolgono dal punto che la coscienza è una domanda umana che si pone in riferimento a esseri viventi.

Dennett Questa potrebbe essere semplicemente invidia. Sí, molti interrogativi rimangono senza risposta, ma probabilmente lo scienziato esperto di computer o di matematica è riuscito a decifrare sistemi complessi quali il cervello piú di quanto abbia mai fatto qualsiasi biologo o filosofo di mia conoscenza.

Pinker Sí, ma il mago dei computer che ignora i dati di fatto - nel settore dei linguaggio, per esempio - produrrà modelli inutili. Quanti fra noi si trovano sullo spartiacque tra natura e computazione sono in una posizione vantaggiosa per fare progressi e rendersi conto di che cosa è ancora necessario dire.

Bragg Non vedo piú mani alzate, soltanto volti preoccupati. Abbiamo forse concluso che non vi è nessun accordo e quindi nessun paradigma in vista? Igor Aleksander, lei è sempre rimasto tranquillo. Tocca a lei.


Rimasi impalato. Mi girava la testa. Nove paia di occhi mi stavano fissando. Nessuno sembrava morire dalla voglia di sentir parlare delle proprietà emergenti dei sistemi complessi, di come la coscienza potrebbe essere una di tali proprietà dei cervello, o del fatto che le macchine per la comprensione potrebbero essere un mezzo per arrivare a capire questo punto. Sapevo che qualsiasi cosa avessi detto non avrei fatto altro che compattare gli altri nella condanna della parola «emergente». Con voce roca dissi: «Non ora... Leggete l'ultimo capitolo...»

 

| << |  <  |  >  | >> |

Riferimenti


    Bibliografia essenziale


    Tecnologia dei sistemi neurali

Aleksander, I. e Morton, H., Introduction to Neural
    Computing, Thompson International Press, London 1995.


    Modelli neurali del pensiero

Aleksander, I., Impossible Minds.  My Neurons, My
    Consciousness, Imperial College Press, London 1996.


    Biografie nel settore delle reti neurati

Anderson, J. e Rosenfeld, E. (a cura di), Talking Nets.  An
    Oral History of Neural Networks, Mit Press, Cambridge
    Mass. 1998.


    Una storia critica della filosofia

Russell, B., A History of Western Philosophy, Unwin
    University Books, London 1961 [trad. it. Storia della
    filosofia occidentale, Longanesi, Milano 1983].


    Testi sulla mente in generale

Blakemore, C., The Mind Machine, BBC Books, London, 1998.
Gregory, R. (a cura di), The Oxford Companion to the Mind,
    Oxford University Press, Oxford 1987 [trad. it.
    Enciclopedia Oxford della mente, (edizione italiana a
    cura di B. Saraceno e E. Sternai), Sansoni, Firenze
    1991].


    Coscienza

Penrose, R., Shadows of the Mind, Oxford University Press,
    Oxford 1994 [trad. it. Ombre della mente, Rizzoli,
    Milano 1996].
Dennett, D., Consciousness Explained, Little, Brown and
    Company, Boston 1991 [trad. it. Coscienza. Che cos'è,
    Rizzoli, Milano 1993].
Crick, F., The Astonishing Hypothesis: The Scientific Search
    for the Soul, Simon and Schuster, London 1994.
Chalmers, D., The Conscious Mind. In Search of a Fundamental
    Theory, Oxford University Press, Oxford 1996 [trad. it.
    La mente cosciente, McGraw-Hill, Milano 1999].


    Cognizione

Bruce, V. (a cura di), Unsolved Mysteries of the Mind.
    Tutorial Essays in Cognition, Erlbaum (UK), Taylor and
    Francis, London 1996.


    Memoria

Rose, S., The Making of Memory, Bantam Press, London 1992
    [trad. it. La fabbrica della memoria: dalle molecole
    alla mente, Garzanti, Milano 1994].


    Neurologia

V. S. Ramachandaran e S. Blakeslee, Phantoms in the Brain.
    Human Nature and the Architecture of Mind, Fourth
    Estate, London 1999.
 

| << |  <  |