Copertina
Autore Anonimo
Titolo Thérèse philosophe
Sottotitoloo Memorie
EdizioneES, Milano, 1999, Ars amandi 16 , Isbn 978-88-86534-75-8
OriginaleThérèse philosophe ou Mémoires [1748]
PrefazionePhilippe Roger
TraduttoreGiulio Coppi
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe classici francesi , erotica
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


THERESE PHILOSOPHE

PRIMA PARTE                              9

Thérèse philosophe

SECONDA PARTE                           91
    Storia di madame Bois-Laurier       93
    Seguito della storia di Thérèse    119

LA FELICITA' DELLE SAGGE DAME
di Philippe Roger                      133


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

Realmente volete, signore, che io scriva la mia storia, realmente desiderate che vi ritragga le scene mistiche tra mademoiselle Éradice e il reverendissimo padre Dirrag, che vi riferisca le avventure di madame C*** con l'abate T***, realmente chiedete a una giovane, che non ha mai scritto nulla, particolari che esigono ordine nella narrazione? Realmente desiderate un quadro in cui le scene di cui già v'ho parlato, o quelle che noi stessi abbiamo vissuto non perdano nulla in lascivia, che i ragionamenti metafisici conservino tutta la loro forza? In verità, caro conte, tutto questo mi sembra superiore alle mie forze. E inoltre Éradice mi è stata amica, padre Dirrag fu il mio direttore spirituale, e nutro sentimenti di riconoscenza per madame C*** e l'abate T***. Dovrei tradire la fiducia proprio di coloro verso cui ho i maggiori obblighi, giacché furono le azioni degli uni e le sagge riflessioni degli altri a dissigillarmi gradatamente gli occhi sui pregiudizi della mia fanciullezza? Ma, potreste obiettarmi, se l'esempio e i ragionamenti hanno fatto la mia felicità, perché non cercare di contribuire a quella di altri per le stesse vie? Perché temere di metter per iscritto verità utili al bene della società? Ebbene, mio diletto benefattore, non intendo più resistervi: scriverò, la mia ingenuità varrà quanto uno stile puro per i lettori accorti, e non temo gli sciocchi. No, non subirete mai l'affronto di un rifiuto dalla vostra tenera Thérèse, che vi aprirà i recessi del suo cuore dalla più tenera infanzia, e tutta la sua anima si dispiegherà nella narrazione delle sue pur modeste avventure che l'hanno condotta, passo dopo passo e come suo malgrado, al culmime della felicità.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 12

RIFLESSIONI DI THERESE SULL'ORIGINE
DELLE PASSIONI UMANE


Stolti mortali! voi presumete d'esser padroni di spegnere le passioni che la natura ha posto in voi, e che sono opera di Dio. Volete distruggerle, costringgerle entro angusti limiti. Uomini insensati! Pretendete forse d'esser dei secondi creatori, più potenti del primo? Non v'accorgete dunque che tutto è come ha da essere, che tutto è bene, che tutto proviene da Dio, e da voi nulla, e che creare un pensiero è arduo come creare un braccio o un occhio?

L'intera mia vita è un'incontrovertibile prova di codeste verità. Sin dalla più tenera infanzia non hanno fatto che parlarmi d'amore per la virtù e d'orrore per il vizio. «Potrete esser felice» mi si diceva «solo praticando le virtù morali e cristiane: tutto quel che le contrasta è vizio, e il vizio attira l'altrui disprezzo, e il disprezzo genera la vergogna e i rimorsi, sue conseguenze inevitabili». Persuasa della fondatezza di questi ammaestramenti, ho cercato in buona fede, fino ai miei venticinque anni, di comportarmi secondo tali principi. Vedremo con quali risultati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 49

CONSIGLI SALUTARI DI QUEL CONFESSORE A THERESE


[...]

Parliamo ora, bambina mia, di quell'incontenibile prurito che vi tormenta così spesso in quella parte che avete sfregato contro la colonna del vostro letto: sono bisogni del temperamento altrettanto naturali della fame e della sete. Non bisogna né cercarli né eccitarli, ma quando vi opprimono troppo vivamente non v'è alcun male nel servirvi della mano per alleviare quel tormento. Però vi proibisco espressamente d'introdurre il dito all'interno: vi basti, per ora, sapere che così facendo potreste un giorno apparire in colpa agli occhi di colui che sposerete. Quanto al resto, ve lo ripeto, si tratta di un bisogno che le leggi immutabili della natura suscitano in noi, ed è proprio dalle mani della natura che noi possiamo ricevere il rimedio che vi ho indicato per alleviarlo. Ora, poiché abbiamo la certezza che la legge naturale è d'origine divina, come oseremmo temere di offender Dio alleviando i nostri bisogni con i mezzi che ha posto in noi, che sono opera sua, soprattutto se tali mezzi non turbano in nulla l'ordine stabilito nella società? Non si può certo dire la stessa cosa, cara figliola, di quel che padre Dirrag faceva a mademoiselle Éradice: ha infatti ingannato la sua penitente, ha rischiato di renderla madre sostituendo al falso cordone di san Francesco il membro naturale dell'uomo, che serve alla generazione. In questo modo ha peccato contro la legge naturale che ci prescrive di amare il nostro prossimo come noi stessi. E significa forse amare il prossimo porlo, come lui ha fatto con mademoiselle Éradice, nella condizione di perder l'onore e la reputazione? L'introduzione e i movimenti che avete visto fare al membro del padre nella parte naturale della sua penitente, cara figliola, sono il meccanismo generativo dell'umanità, lecito soltanto nello stato matrimoniale. In una ragazza da marito, questa azione può nuocere alla tranquillità delle famiglie e turbare l'interesse pubblico, che va sempre rispettato. Così, sin quando non sarete legata dal sacramento del matrimonio, guardatevi bene dal permettere un'operazione simile a qualsiasi uomo, in qualsiasi posizione. Vi ho indicato un rimedio che modererà l'eccesso dei vostri desideri e che ridimensionerà il fuoco che li eccita.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 56

DIMOSTRAZIONE DI QUANTO SIA RIDICOLA LA GELOSIA


«Avete perfettamente ragione, madame» disse l'abate. «Sono due passioni che tormentano in pura perdita tutti coloro che non son nati per usare la ragione. Bisogna tuttavia distinguere l'invidia dalla gelosia. L'invidia è una passione innata nell'uomo, fa parte della sua essenza: persino i neonati sono invidiosi di quel che si dona ai loro simili. Solo l'educazione ha il potere di moderare gli effetti di una simile passione che noi riceviamo dalle mani stesse della natura. Lo stesso non può dirsi della gelosia considerata in rapporto ai piaceri amorosi. Una tale passione è prodotta dall'amor proprio e dal pregiudizio. Conosciamo interi popoli in cui gli uomini offrono ai loro ospiti le proprie donne in dono come noi potremmo offrire ai nostri il miglior vino delle nostre cantine. E mentre uno accarezza l'amante che gode degli abbracci della sua donna, i compagni applaudono, si felicitano con lui. Un francese invece, in un caso analogo, tiene il broncio, e gli altri lo additano, si burlano di lui. E un persiano si spinge al punto di pugnalare l'amante e l'amata, e tutti applaudono il duplice assassinio.

Appare dunque evidente che la gelosia non è una passione naturale: sono l'educazione, i pregiudizi del paese che la fanno nascere. Fin dall'infanzia una fanciulla, a Parigi, legge, sente dire che è umiliante subire un'infedeltà dal proprio amante. E si insegna a un giovane che un'amante o una moglie infedele ferisce l'amor proprio, disonora l'innamorato o il marito. Da tali principi, succhiati, per così dire, con il latte, nasce la gelosia, questo mostro che tormenta gli umani senza contropartita alcuna per un male che non ha nulla di reale.

Dobbiamo tuttavia distinguere l'incostanza dall'infedeltà. Amo una donna che ricambia il mio amore, il suo carattere si armonizza con il mio, il suo aspetto, il suo godimento costituiscono la mia felicità. Lei mi lascia: il dolore che ne provo non è più effetto del pregiudizio, è ragionevole, io perdo un bene reale, un piacere a cui ho ormai fatto l'abitudine e le cui dolcezze non sono certo di poter rimpiazzare totalmente. Ma un'infedeltà passeggera, originata soltanto dal piacere, dal temperamento, talvolta dalla riconoscenza, o da un cuore tenero e sensibile alla pena o al desiderio altrui, quali inconvenienti potrebbe causarmi? In verità, qualunque cosa se ne dica, bisogna proprio essere stolti per inquietarsi di quel che giustamente viene definito un colpo di spada nell'acqua, ossia di un qualcosa che non ci procura né bene né male».

«Oh! siete venuto al punto» l'interruppe madame C***. «Quel che avete detto m'annuncia molto dolcemente che, per bontà d'animo o per far piacere a Thérèse, voi sareste disposto a impartirle una piccola lezione di voluttà, un piccolo, amabile clistere che, secondo quanto avete appena detto, non mi farebbe né bene né male. E allora fallo, mio diletto abate,» continuò lei «io acconsento con gioia: vi amo entrambi, ed entrambi avrete un vantaggio da questa mia prova in cui io non perdo nulla. Perché dovrei oppormi? Se m'addolorasse, potresti ragionevolmente concludere che amo solo me stessa, la mia soddisfazione personale, che intendo accrescere persino a spese di quella che tu potresti gustare altrove, e questo non è assolutamente vero: io so trarre la mia felicità indistintamente da tutto quel che può contribuire ad accrescere la tua. Così tu potrai, mio diletto amico, strapazzare come meglio vorrai la fichetta della povera Thérèse, la qual cosa peraltro le farà un gran bene».

«Che follia!» disse l'abate. «Io non penso assolutamente a Thérèse, ve lo giuro. Ho desiderato unicamente illustrarvi il meccanismo attraverso cui la natura...».

«Ebbene! non se ne parli più» l'interruppe madame C***. «Ma, a proposito di natura, [...]

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 63

DEFINIZIONE DI QUEL CHE SI DEVE
INTENDERE PER NATURA


«Di Madre Natura?» riprese l'abate. «Tra poco, ve l'assicuro, ne saprete quanto me. La natura è un essere immaginario, una parola vuota di senso. I primi capi religiosi, i primi politici, non sapendo bene quale concezione imporre riguardo al bene e al male morali, hanno concepito un essere intermedio tra Dio e noi, rendendolo l'autore delle nostre passioni, delle nostre malattie, dei nostri delitti. Senza questo soccorso come avrebbero potuto, in effetti, conciliare il loro sistema con la bontà infinita di Dio? Da dove avrebbero detto che proveniva la voglia di rubare, di calunniare, di uccidere? E perché tante malattie, tante infermità? Che cosa ha fatto a Dio quell'infelice nato senza gambe, condannato a strisciare sulla terra sino alla fine dei suoi giorni? Allora un teologo ci ha detto: tutto questo proviene dalla natura. Ma che cos'è mai codesta natura? E' forse un altro dio che noi non conosciamo? Agisce da sola e indipendentemente dalla volontà di Dio? No, dice ancora seccamente quel teologo. Poiché Dio non può essere l'autore del male, il male non può esistere che per causa della natura. Che assurdità! E' del bastone che mi colpisce che devo lamentarmi? O non piuttosto di colui che ha inferto il colpo? Non è forse lui il responsabile del dolore che provo? Perché non convenire una buona volta che la natura è un essere prodotto dalla ragione, una parola vuota di senso, che tutto proviene da Dio, che il male fisico che nuoce agli uni serve alla felicità degli altri, che tutto è bene, che non c'è niente di male nel mondo rispetto alla Divinità, che tutto quel che si chiama bene o male morale non è che relativo agli interessi delle società istituite dagli uomini, ma che è indifferente rispetto a Dio per volontà del quale noi agiamo necessariamente secondo le prime leggi, secondo i primi principi del movimento che lui ha immesso in tutto quel che esiste? Un uomo ruba: fa del bene in rapporto a se stesso, del male perché infrange una regola della convivenza sociale, ma non fa né del bene né del male in rapporto a Dio.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 124

DIMOSTRAZIONE SULL'IMPOTENZA
IN CUI SI TROVA L'ANIMA
DI AGIRE E DI PENSARE
IN UN DATO MODO


In altre circostanze mi spiegavate, approfondendo le lezioni troppo brevi che avevo ricevuto dall'abate T***:

«Lui v'ha insegnato che non è in nostro potere pensare in un dato modo, o avere una data volontà, più di quanto non si sia padroni di avere o no la febbre. In realtà,» aggiungevate «possiamo constatare con osservazioni chiare e semplici che l'anima non è padrona di nulla, che agisce unicamente attraverso le sensazioni e le facoltà del corpo, che le cause in grado di sconvolgere gli organi sconvolgono l'anima stessa e alterano lo spirito, e che un vaso capillare, una fibra, rovinati nel cervello possono rendere idiota l'uomo più intelligente. Sappiamo che la natura agisce solo per le vie più semplici, per un principio uniforme. Ora, poiché risulta evidente che non siamo liberi in particolari azioni, di conseguenza non lo siamo in nessuna.

Bisogna inoltre aggiungere che qualora le anime fossero puri spiriti, sarebbero tutte identiche tra loro. Ed essendo identiche, qualora avessero la facoltà di pensare e di volere, penserebbero e agirebbero, in circostanze analoghe, nello stesso modo. Ma questo non accade. Dunque, esse sono determinate da qualche causa esterna, e questa causa può esser solo la materia, poiché i più creduli non concepiscono che lo spirito e la materia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 125

RIFLESSIONI SULLA NATURA DELLO SPIRITO


Ma domandiamo a questi creduloni cosa sia lo spirito. Può forse esistere e non essere in alcun luogo? Se è in un luogo, deve occupare spazio; se occupa spazio, è esteso; se è esteso, ha delle parti; se ha delle parti, è composto di materia. Lo spirito è dunque una chimera, oppure fa parte della materia.

Da tali ragionamenti, ne converrete, devono necessariamente dedursi due conclusioni: la prima è che noi pensiamo in un dato modo unicamente in rapporto alla nostra organizzazione corporea, congiuntamente alle idee che ci formiamo attraverso il tatto, l'udito, l'odorato e il gusto; la seconda, è che la felicità o l'infelícità dipendono dalle trasformazioni della materia e dalle suddette idee, per cui gli uomini saggi non si affanneranno, non si preoccuperanno mai abbastanza di diffondere idee che siano in grado di contribuire efficacemente al bene pubblico, e soprattutto a quello di coloro che amano. E cosa non devono fare a tal riguardo i padri e le madri verso i figli, e i governanti, i precettori verso i discepoli?».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 127

EFFETTI DELLA PITTURA E DELLA LETTURA


Ordinaste che tutto fosse portato in camera mia. Divorai con gli occhi o, per meglio dire, percorsi durante i primi quattro giorni la storia del Portier des Chartreux, quella de La Tourière des Carmèlites, L'Académie des Dames, Les Lauriers ecclésiastíques, Thémidore, Frétillon, e numerose altre dello stesso genere soltanto per esaminare con avidità dei quadri in cui le posture più lascive erano rese con un colorito e un'espressione che mi riempivano le vene di un fuoco bruciante.

Il quinto giorno, dopo un'ora di lettura, caddi in una specie di estasi. Sdraiata sul mio letto, con le cortine aperte su ogni lato, avevo la prospettiva di due quadri, le Fétes de Priape e gli Amours de Mars et de Vénus. Con l'immaginazione infiammata dalle scene che vi erano rappresentate, mi sbarazzai delle lenzuola e delle coperte, e senza badare che la porta della camera fosse ben chiusa, mi misi a imitare tutte le posture che ammiravo. Ogni figura m'ispirava il sentimento che il pittore gli aveva conferito. Due atleti, nella parte sinistra delle Fétes de Priape, mi incantavano, mi trasportavano per la somiglianza del gusto della fanciulla al mio. Macchinalmente la mia mano destra si portò là dove era posta quella dell'uomo e stavo per affondare il dito quando la riflessione mi trattenne. Uscii dal mio fantasticare e il ricordo delle condizioni della nostra scommessa mi costrinse a lasciar perdere.

Com'ero lontana dal credervi spettatore delle mie debolezze, se questa dolce inclinazione della natura deve esser considerata tale, e com'ero folle, grandi numi, a resistere ai piacerí inesprimibili di un godimento reale! Tali sono gli effetti del pregiudizio: sono i nostri tiranni. Altre parti di quel primo quadro eccitavano di volta in volta la mia ammirazione e la mia pietà. Finalmente rivolsi lo sguardo al secondo. Quanta lascivia nella postura di Venere! Mi stesi mollemente come lei. Con le cosce leggermente dischiuse, le braccia voluttuosamente aperte, ammirai la splendente postura del dio Marte. Il fuoco da cui i suoi occhi, ma soprattutto la sua lancia, sembravano animati mi penetrò nel cuore. Scivolai sotto il lenzuolo, mentre le mie natiche si agitavano voluttuosamente come per portare avanti la corona destinata al vincitore.

«Come!» esclamai «le divinità stesse fanno la loro felicità con un bene che io rifiuto? Ah! diletto amante! Io non resisto più. Vieni, conte, non temo più il tuo dardo, puoi trafiggere, la tua amante, puoi anche scegliere dove colpire, mi va bene tutto, e soffrirò i tuoi colpi con fiducia, senza protestare. E per assicurare il tuo trionfo, guarda! Ecco il mio dito in posizione».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 131

RIASSUME TUTTO QUEL CHE
HA RACCHIUSO NEL SUO LIBRO


Ve lo ripeto dunque, censori rosi dalla bile, noi non pensiamo mai come vorremmo. L'anima non ha volontà, è determinata solo da sensazioni, dalla materia. La ragione ci illumina, ma non può determinarci. L'amor proprio (il piacere auspicato o il dispiacere deprecato) è il motore primo di tutte le nostre decisioni. La felicità dipende dalla conformazione degli organi, dall'educazione, dalle sensazioni esterne, e le leggi umane sono tali che l'uomo può esser felice solo rispettandole, solo vivendo onestamente. C'è un Dio, e noi dobbiamo amarlo in quanto sovranamente buono e perfetto. L'uomo dotato di ragione, il filosofo, deve contribuire alla pubblica felicità con la morigeratezza dei suoi costumi. Non serve il culto, Dio basta a se stesso: le genuflessioni, le giaculatorie, le fantasie umane non possono accrescere la sua gloria. Il bene e il male morale esistono solo in rapporto agli uomini, non in rapporto a Dio. Se il male fisico nuoce agli uni, favorisce gli altri: il medico, il procuratore, il finanziere vivono dei mali altrui, tutto è armonizzato. Le leggi stabilite in ogni paese per rinsaldare i legami sociali vanno rispettate, e chi le infrange deve esser punito poiché, dato che l'esempio reprime gli uomini malamente organizzati, malvagiamente intenzionati, è giusto che la punizione del colpevole contribuisca alla serenità universale. Infine, i re, i principi, i magistrati, tutte le autorità di diverso grado che assolvono i doveri loro assegnati, devono essere amati e rispettati poiché tutti operano per contribuire al bene universale.

FINE

| << |  <  |