Copertina
Autore Giuseppe Ardolino
Titolo Modigliani e gli altri
SottotitoloPittori italiani a Parigi
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2007 , pag. 160, ill., cop.fle., dim. 16,8x24x1,4 cm , Isbn 978-88-7226-987-9
LettoreSara Allodi, 2007
Classe storia dell'arte , arte , biografie
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Indice


Premessa                              7

De Nittis                            11

Zandomeneghi                         27

Boldini                              41

Severini                             55

Modigliani                           67

De Chirico                           93

De Pisis                            105

Savinio                             117

Album                               129

A Parigi pare che ci siano
un centinaio di pittori italiani... 145

Bibliografia essenziale             157



 

 

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Pagina 67

MODIGLIANI


Mentre per delineare i profili degli artisti di cui qui si parla è stato necessario consultare epistolari, memorie, interviste, saggi e articoli, per ottenere un ritratto attendibile di Amedeo Modigliani la prima preoccupazione è stata togliere le incrostazioni apocrife e leggendarie di giornalisti, romanzieri, gente di cinema e teatro.

Le fotografie del periodo parigino ci mostrano "un giovane dai bei lineamenti e dall'aria serena, né alto né basso, slanciato e vestito con molta eleganza", per usare le parole di Ardengo Soffici. Ma nel corpo Modigliani conservava traccia di due episodi riguardanti la sua salute avvenuti nel periodo dell'adolescenza: il tifo, che allora spesso portava a morte, e una grave pleurite. Quando supera queste malattie non vuol riprendere studi regolari, perché ha scoperto la vocazione all'arte. La madre, che nella vita e nella sua educazione ha avuto un ruolo molto importante, accoglie con ammirazione e affetto la svolta del figlio: "Dedo ha rinunciato agli studi e non fa più che della pittura, ma ne fa tutto il giorno e tutti i giorni con un ardore sostenuto che mi stupisce e mi incanta". La storia, raccontata da André Salmon nelle pagine de La vie passionée de Modigliani, di un ragazzo Modigliani in contrasto con la famiglia che voleva destinarlo agli affari e al commercio è una delle tante inesattezze e invenzioni che la figlia Jeanne ha corretto con caparbietà nel suo Modigliani sans légende. In verità la famiglia Modigliani apparteneva a un ambiente intellettuale dove la madre, perfetta conoscitrice del francese, traduceva D'Annunzio e la zia Laura leggeva Kropotkin e Nietzsche e ne discuteva con il nipote. E il suo trasferimento in Francia avviene in pieno accordo con i familiari.

Giunge a Parigi con un po' di denaro in tasca e scende in un dignitoso albergo nell'elegante quartiere di Madeleine. Era una delle abitudini, o forse manie, di Modigliani, quando si spostava in una nuova città, di concedersi qualche giorno di grande confort. Ma presto i soldi finiscono e si sposta a Montmartre, dove non trova di meglio che affittare una vecchia rimessa nei pressi del Bateau Lavoir. A Montmartre, accanto agli studi dei pittori più vivaci del tempo, Picasso, Braque, Juan Gris, Suzanne Valadon, prosperavano ancora teatri, caffè e cabarets. Modigliani è di natura un solitario ma frequenta qualcuno di questi locali, in particolare il famoso Lapin Agile. È il ritrovo preferito da scrittori e artisti, vi si può trovare Francis Carco che un giorno rievocherà quei momenti nel suo libro De Montmartre au Quartier Latin, André Salomon, che porrà i fasti della vita di Montmartre come sfondo alle vicende della sua Négresse du Sacré-Coeur. E poi vi si ritrovano i componenti della "petite bande d'italiens", Gino Severini, Leonardo Dudeville, Anselmo Bucci, che alterna alla pittura una certa attività letteraria, e altri ancora. La Butte, la collinetta di Montmartre, sta perdendo il suo aspetto di luogo fuori mano con i campi coltivati e i mulini a vento ancora presenti al tempo di Toulouse-Lautrec e di Van Gogh. Anche se c'è ancora qualche orto e qualche vigna, la zona si sta urbanizzando e vie e piazzette diverranno l'esclusiva fonte di ispirazione per quello che sarà il più fedele amico di Modigliani, Maurice Utrillo. Un amico del tempo in cui studiava all'Accademia di Venezia, il pittore cileno Manuel Ortiz de Zarate, gli aveva dato una lettera di presentazione per lo scultore Granowski, ma il colloquio tra i due è penoso perché Granowski parlava a mala pena il francese mentre Modigliani lo aveva appreso in modo soddisfacente dalla madre. Anni dopo Granowski ricorderà questo ragazzo timido, vestito bene e lontano dal vizio del fumo e del bere. Modigliani fa amicizia con il pittore tedesco Ludwig Meidner, destinato a divenire un giorno figura notevole dell'espressionismo e che ci lascia del Modigliani di quegli anni un preciso ritratto: "Nel primo decennio del nostro secolo sopravviveva ancora il gusto di quella vita bohémienne che aveva alimentato qui a Parigi il XIX secolo; l'ultima fioritura di quel mondo era rappresentata da alcuni figli raffinati e viziati della vecchia borghesia. Il nostro Modigliani era un rappresentante caratteristico e molto dotato della bohème di Montmartre, probabilmente era l'ultimo vero bohémien". L'ultimo bohémien ma insieme anche un vero dandy; un "dandy maremmano", come è stato detto. Lo aiutava il suo bell'aspetto, il fisico asciutto, il volto intensamente espressivo e l'abbigliamento caratterizzato da giacche di velluto, cappello a larghe falde e grandi foulard rossi. E quel "Modì", come lo chiamavano, aveva una certa assonanza con l'espressione "peintre maudit".

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Pagina 86

Si tratta di figure femminili in pose varie e meditate, in piedi, rannicchiate, distese, qualche volta assopite, qualche volta con la schiena allo spettatore. Alcune sono sedute con le mani in grembo, ricordo forse di un motivo di Fattori e di altri toscani. Un ruolo importante giocano le braccia che si aprono per conquistare lo spazio, si dispongono come un'ampia cornice triangolare intorno al capo e altre volte lo rinchiudono come in una nicchia. E ancora si stendono a prolungare la linea del corpo, o si allungano a coprire il ventre o a reggere la testa. Queste pose cancelleranno definitivamente la rappresentazione accademica del nudo. Le figure sono spesso circoscritte da un segno nero, come il cloison che contorna le figure delle vetrate, ma dentro i raffinati arabeschi palpitano corpi di cui il caratteristico color ramato di Modigliani esalta la carnalità, la sensualità, e che ha gradi e sfumature diverse per ogni modella di cui il pittore indaga l'anima e il carattere. Gli studiosi fanno i nomi di Giorgione e Tiziano, di Goya e Manet per individuare i richiami culturali di queste rappresentazioni.

Riguardo al periodo della creazione dei nudi più fitta e meno credibile fiorisce la leggenda. Si racconta che il mercante d'arte Chévron costringeva Modigliani a lavorare dopo averlo chiuso in uno scantinato e fornito di una bottiglia di cognac e di una splendida modella di nome Gaby, ma in realtà Modigliani non ha mai lavorato per questo Chévron e la bella Gaby non è riconoscibile in nessuno dei suoi nudi. Sul nudo denominato Elvira è sorto il racconto fantastico per cui il pittore avrebbe avuto una relazione tumultuosa con una ragazza di nome Elvire la Quique, figlia di una prostituta marsigliese e di un padre ignoto, vittima della cocaina e finita fucilata come spia in Germania. Con lei Modì avrebbe diviso la droga e un amore forsennato che li aveva portati una notte a ballare nudi nel giardinetto di piazza Clément. Tutto ciò era stato raccontato a un credulo biografo di Modigliani da una amica della Quique, in stato di semiubriachezza. La figlia di Modigliani aveva poi conosciuto nel secondo dopoguerra una ancora bella signora parigina di nome Elvira che sosteneva di aver posato per vari nudi del pittore.

Durante la Grande Guerra Modigliani rimane in Francia. Non potrebbe comunque essere arruolato a causa della sua salute. Nella primavera del 1917 fa la sua comparsa nella vita del pittore una ragazza di diciannove anni, Jeanne Hébuterne. La chiamano Noce di cocco per via dei suoi capelli scuri che risaltavano sulla pelle delicata del viso illuminato da grandi occhi verdi. Di carattere è timida, introversa, con una certa tendenza alla tristezza. Anche lei ha interessi artistici, studia disegno nell'Atelier Colarussi che anche Modigliani aveva frequentato. Si conoscono durante il carnevale, a un ballo mascherato. Jeanne si è vestita, in modo approssimativo, da contadino russo: ai piedi lunghi stivali e addosso un lenzuolo con un buco al centro per rappresentare il camicione bianco usato dai mugichi.

Sulle vicende dei genitori ha indagato con scrupoloso rigore, una trentina di anni dopo, Jeanne Modigliani, riuscendo anche a raccogliere le dichiarazioni di alcuni testimoni superstiti. Amedeo e Jeanne decidono di andare a vivere insieme e Zborowski procura loro uno studio in Rue de la Grande Chaumiére. Modigliani ritrae la sua compagna in almeno una dozzina di quadri, di profilo, di fronte, i chiari occhi spalancati. Ma in uno gli occhi sono scuri, ardenti. Avrà voluto informarci che dietro la delicata timidezza della fanciulla era viva una fiammella di passionalità? Anche la Hébuterne disegna e dipinge. La figlia troverà un giorno un fascio di disegni che una amica di gioventù, Germaine Wild, aveva conservato gelosamente e dei quadri di gusto fauve. I genitori della fanciulla, molto perbene, molto conservatori, accolgono malissimo il fatto che la figlia si sia legata a un pittore senza soldi, sregolato, e per di più ebreo.

Nel tentativo di recuperare una salute compromessa, su consiglio dell'amico Zborowski, Modigliani si trasferisce per un certo tempo, insieme a Jeanne, sulla Costa Azzurra. A Nizza ritrovano vari amici che hanno lasciato Parigi, dove è difficile vivere per i bombardamenti e per le difficoltà di procurarsi i viveri: il pittore russo Léopold Survage che in quegli anni era interessato all'esperienza del cubismo, Blaise Cendrars e la moglie, che in una lettera alla madre di Amedeo descrive Jeanne Hébuterne come una bella fanciulla dall'aria stanca, che portava due trecce intorno alla testa come una corona.

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