Copertina
Autore Giovanni Arrighi
CoautoreBeverly J. Silver
Titolo Caos e governo del mondo
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2003, Sintesi , pag. 376, cop.fle., dim. 145x210x21 mm , Isbn 978-88-424-9135-4
OriginaleChaos and Governance in the Modern World System [1999]
TraduttoreMichele Alacevich, Luigi Caranti, Raffaella Chelotti, Marinella Giambò
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe storia , politica , economia politica , globalizzazione
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

VII     Premessa

  1    Introduzione
       di Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver

  3    Quattro controversie sul futuro dell'economia
       politica mondiale
  4    La geografia del potere mondiale
  7    Il potere degli stati contro il potere del capitale
 12    Gli stati, il capitale e il potere dei gruppi
       subordinati all'interno della società
 18    Trasformazioni nei rapporti di forza tra civiltà
 25    Transizioni egemoniche: concetti per l'analisi

 43 1. Geopolitica e alta finanza
       di Giovanni Arrighi, Po-keung Hui, Krishnendu Ray,
          Thomas Ehrlich Reifer

 45    Dall'egemonia olandese a quella britannica
 67    Dall'egemonia britannica a quella statunitense
102    La biforcazione del potere militare e finanziario
       globale

113 2. La trasformazione dell'impresa
       di Giovanni Arrighi, Kenneth Barr, Shuji Hisaeda

115    L'ascesa del capitalismo delle grandi imprese
       di stile olandese
133    Dal capitalismo familiare al capitalismo delle
       grandi imprese di stile statunitense
162    La doppia crisi del capitalismo delle grandi
       imprese di stile statunitense

175 3. Le origini sociali delle egemonie mondiali
       di Beverly J. Silver, Eric Slater

177    L'ascesa delle classi possidenti
204    L'ascesa del movimento dei lavoratori e dei
       movimenti di liberazione nazionale
243    Un'accelerazione della storia sociale?

251 4. Le egemonie occidentali in una prospettiva
       storica mondiale
       di Giovanni Arrighi, Iftikar Ahmad, Miin-wen Shih

253    L'ascesa del dominio occidentale in Asia
278    Le reazioni dell'Asia al dominio occidentale
306    E dopo le egemonie occidentali?

315    Conclusioni
       di Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver

316    Primo enunciato
319    Secondo enunciato
324    Terzo enunciato
328    Quarto enunciato
333    Quinto enunciato

339    Bibliografia

371    Indice dei nomi

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 1

Introduzione

di Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver


Nel sistema sociale del mondo moderno, così come si è storicamente determinato, è in atto un cambiamento di enormi proporzioni. Eric J. Hobsbawm definisce gli anni settanta e ottanta del Novecento - la fase conclusiva del suo "secolo breve" (1914-1991) - «un periodo di crisi universale o mondiale». Secondo la sua analisi, il crollo dei regimi comunisti «ha [...] prodotto incertezza politica, instabilità, caos e guerra civile su un'area enorme del pianeta». Ancora peggio, questo crollo «ha anche distrutto il sistema che aveva stabilizzato le relazioni internazionali negli ultimi quarant'anni [...] e messo a nudo la precarietà degli assetti politici interni dei singoli stati, che si basavano essenzialmente su quella stabilità internazionale». [Hobsbawm, 1995, p. 23]

Le stesse unità basilari della vita politica, gli stati nazionali indipendenti che esercitavano la loro sovranità su un certo territorio, sono state frantumate dalle forze di un'economia sovranazionale e transnazionale e dalle spinte secessionistiche di particolari regioni e gruppi etnici. Alcune di queste regioni - ironia della storia - hanno preteso di ottenere per sé lo status giuridico, del tutto illusorio e anacronistico, di stati nazionali sovrani, sia pure in miniatura. Il futuro della politica è oscuro, ma la crisi della politica alla fine del "secolo breve" è palese. [Hobsbawm, 1995, p. 23]

Egualmente palese era la crisi degli assunti razionalistici e umanistici, condivisi dal capitalismo liberale e dal comunismo, «sui quali la società moderna si è fondata da quando i Moderni vinsero la loro famosa battaglia con gli Antichi all'inizio del Settecento». [Hobsbawm, 1995, p. 23] In un'ottica simile, Immanuel Wallerstein ha dichiarato che il 1989 segna «la fine di un'era politico-culturale - un'era di spettacolare progresso tecnologico - in cui gli slogan della Rivoluzione francese rivelavano, per la maggioranza degli individui, un'ineludibile verità storica, che si sarebbe realizzata adesso o nell'immediato futuro». Come Hobsbawm, Wallerstein colloca gli sconvolgimenti del 1989 nel contesto del crescente, autoalimentantesi disordine dei due decenni precedenti. Ma, in contrasto con Hobsbawm, egli interpreta questo disordine come una forma di caos sistemico, provocato «dal fatto che le contraddizioni del sistema [capitalistico mondiale] sono arrivate al punto in cui nessuno dei meccanismi per ristabilire il normale funzionamento del sistema può essere ancora efficace». [Wallerstein, 1999, p. 268]

In questo senso, la crisi attuale segna la fine non solo della particolare epoca politico-culturale avviata dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese, ma anche del sistema mondiale moderno così come venne alla luce nel corso del "lungo" sedicesimo secolo. «Proprio come [il sistema mondiale dell'economia moderna] venne alla luce cinque secoli fa come stadio finale del dispiegarsi della "crisi del feudalesimo", così questo stesso sistema, ora diffuso su tutto il globo e i cui progressi tecnico-scientifici passano da un trionfo all'altro, è in crisi sistemica». [Wallerstein, 1988] Partendo da premesse differenti, James Rosenau concorda con questa conclusione. Nella sua ottica, i parametri che per secoli hanno fornito le coordinate per l'azione nell'ambito del sistema internazionale sono stati trasformati così profondamente «da dar vita alla prima vera turbolenza nel sistema politico mondiale, da quando una trasformazione dall'intensità simile non culminò nel trattato di Vestfalia del 1648» [Rosenau, 1990, p. 10]

Quale che sia l'epoca a cui si pensa possa mettere fine - quella della guerra fredda, la più lunga epoca del "liberalismo" e dell'Illuminismo, o quella ancora più lunga del sistema degli stati nazionali - l'incertezza inghiotte il presente e l'immediato futuro. «Mentre i cittadini di questa fine di secolo cercano nella nebbia globale che li avvolge la strada per avanzare nel terzo millennio» osserva Hobsbawm «tutto ciò che sanno con certezza è che un'epoca della storia è finita. La loro conoscenza non va oltre». [Hobsbawm, 1995, p. 645]

Alcuni hanno persino pensato che fosse finita non solo un'epoca, ma la storia stessa. E hanno pensato che fosse arrivata alla fine non con la crisi, bensì con il trionfo del capitalismo liberale. Con il collasso del comunismo, ha dichiarato Francis Fukuyama, «la democrazia liberale [...] rimane la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse dell'intero pianeta». Due generazioni fa «erano molte le persone di buon senso che si aspettavano un futuro socialista radioso, in cui la proprietà privata e il capitalismo sarebbero stati aboliti. [...] Al contrario, oggi noi riusciamo a malapena a immaginarci un mondo migliore del nostro, o un futuro che non sia sostanzialmente democratico e capitalista». [Fukuyama, 1992, pp. 11, 67]

Elaborata all'interno del Dipartimento di stato negli anni di Reagan, la prima versione di questa tesi [Fukuyama, 1989] trovò un'eco e un'applicazione immediate nella visione di un "nuovo ordine mondiale" che il presidente Bush evocò di fronte all'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. La spettacolare vittoria degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite nella guerra del Golfo diede credito all'idea che un nuovo ordine mondiale fosse davvero in costruzione. Tuttavia, alla luce delle diffuse e crescenti violenze di matrice etnica, quell'idea si rivelò ben presto, secondo le parole di John A. Hall, «uno scherzo di cattivo gusto». Il detto dello storico australiano Geoffrey Bainey per cui «il periodico ottimismo è un essenziale preludio alla guerra» sembrava ancora una volta confermato dai fatti. [Hall, 1996, p. XII]


Quattro controversie sul futuro dell'economia politica mondiale

Il proposito di questo libro è di dissipare almeno un po' della "nebbia globale" che ci circonda, investigando le dinamiche del cambiamento sistemico in due precedenti periodi di trasformazione del mondo moderno, che assomigliano al presente per alcune caratteristiche chiave. Se, come proveremo a sostenere, quella attuale è un'epoca di declino e di crisi dell'egemonia mondiale statunitense, allora condivide importanti analogie con i due precedenti periodi di transizione dell'egemonia mondiale - la transizione dall'egemonia mondiale olandese a quella britannica nel XVIII secolo, e la transizione dall'egemonia mondiale britannica a quella statunitense nell'ultimo scorcio del XIX secolo e all'inizio del XX. Confrontare le somiglianze e le differenze tra queste due transizioni ormai concluse ci aiuterà a far luce sulle dinamiche delle attuali trasformazioni.

Quattro controversie tra loro collegate inquadrano la nostra indagine. La prima riguarda i cambiamenti negli equilibri di potere tra gli stati, e in particolare se è probabile o no che emerga un nuovo stato egemonico. La seconda riguarda gli equilibri di potere tra stati e imprese, e in particolare se la "globalizzazione" abbia irrimediabilmente minato alle fondamenta il potere degli stati. La terza riguarda la forza dei gruppi subordinati, e in particolare se ci troviamo in piena "caduta libera" nelle condizioni di lavoro e di vita. La quarta si riferisce ai cambiamenti negli equilibri di potere tra civiltà occidentali e non occidentali, e in particolare se ci stiamo avvicinando alla fine di cinque secoli di predominio occidentale nel sistema mondiale moderno. Ciascun capitolo analizzerà le due passate transizioni egemoniche tenendo presente una delle quattro questioni. Dovremo quindi innanzitutto esporre più in dettaglio le quattro controversie sul presente che ispirano la nostra investigazione del passato. Nella seconda parte di questa introduzione, chiariremo quali sono i concetti centrali e la cornice teorica su cui si basa la nostra ricerca. Nella conclusione torneremo ad affrontare queste controversie con la nuova comprensione derivataci dal nostro viaggio nel passato.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 25

Transizioni egemoniche: concetti per l'analisi

Per parafrasare Hobsbawm, sembra davvero esserci poco accordo su tutto, tranne sul fatto che sia finita un'epoca. Non c'è accordo su quale stato - sempre che vi sia - abbia tratto maggiori vantaggi dal confronto della guerra fredda e sia ora in grado di scalzare il predominio degli Stati Uniti nella politica e nell'economia globale. Non c'è accordo sull'ipotesi che il proliferare della varietà e del numero delle multinazionali e il formarsi di mercati finanziari globali stiano erodendo le capacità degli stati e, nel caso, quanto ampiamente e stabilmente. Non c'è accordo sull'ipotesi che la classe operaia mondiale sia una specie in pericolo, o stia semplicemente cambiando colore e paesi di residenza. Non c'è accordo sull'ipotesi che la modernizzazione stia rafforzando i confini tra civiltà, li stia ammorbidendo, oppure stia ristabilendo quell'equilibrio delle forze tra diverse civiltà che caratterizzava i tempi premoderni. Soprattutto, non c'è accordo su che tipo di ordine mondiale, se mai ve ne sarà uno, ci possiamo aspettare dalla combinazione dei mutamenti che stanno di fatto avendo luogo nella configurazione globale del potere.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 26

La nostra indagine ha cercato di capire quali possano essere queste strutture di fondo nell'attuale disordine, svelando le strutture fondamentali di casi paragonabili di trasformazione sistemica del passato. Il risultato è la ricostruzione dell'espansione del sistema mondiale moderno fino alle sue attuali dimensioni globali attraverso una serie di radicali riorganizzazioni. Queste riorganizzazioni sono occorse in periodi di transizione egemonica, definita come un momento di cambiamento sia dell'attore che guida i processi di accumulazione del capitale su scala mondiale, sia delle strutture politico-economiche in cui questi processi sono inseriti.

Si ritiene, quindi, che la formazione e l'espansione del sistema mondiale moderno avanzino non lungo un unico sentiero aperto quattro o cinque secoli fa, bensì attraverso molti bivi che danno vita a nuovi sentieri, aperti da specifici blocchi di organizzazioni governative e imprenditoriali. Per prendere a prestito un'espressione da Michael Mann, [1986, p. 28] questi blocchi che detengono di volta in volta il ruolo di guida - il blocco olandese nel XVII secolo, il blocco britannico nel XVIII secolo, e il blocco statunitense nel XX secolo - hanno tutti agito da "apripista". [Taylor, 1994, p. 27] Guidando il sistema verso una nuova direzione, nello stesso tempo lo trasformavano. Con la pace di Vestfalia, sotto la leadership olandese, venne formalmente istituito il sistema allora nascente degli stati europei. Sotto la leadership britannica, il sistema di stati sovrani imperniato sull'Europa si trasformò in un sistema di dominio globale. Infine, sotto la leadership statunitense, il sistema perse la propria eurocentricità, per svilupparsi ulteriormente in portata e profondità. [Arrighi, 1990, 1996; Hopkins, 1990]

La leadership da parte di un particolare attore istituzionale e una concomitante trasformazione sistemica sono componenti essenziali del concetto di egemonia mondiale su cui si appoggia la nostra indagine. Come ha fatto notare John Ruggie [1983] in un esame critico della teoria della politica internazionale di Kenneth Waltz, [1987] le teorie sistemiche come quella di Waltz, o sotto questo punto di vista come quella di Wallerstein, sono importanti correttivi dell'errore che consiste nei tentativi di conoscere una totalità attraverso lo studio delle sue parti. Le totalità, infatti, hanno particolari proprietà ("proprietà sistemiche") che agiscono, nelle parole di Waltz, «come una forza che vincola e indirizza le unità che interagiscono al loro interno». I sistemi, quindi, "producono" essi stessi processi al livello delle unità, e non ne sono solo il "prodotto". [citato in Ruggie, 1983, p. 263] Nel ristabilire l'equilibrio, comunque, le teorie sistemiche possono facilmente correre il rischio di andare troppo oltre, e ritenere che i processi al livello delle unità non producano nulla, e siano totalmente un prodotto.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 175

3. Le origini sociali delle egemonie mondiali

di Beverly J. Silver, Eric Slater


Questo capitolo focalizza l'attenzione sulle basi sociali delle egemonie mondiali. Il punto fondamentale è che le espansioni dell'intero sistema riguardanti il commercio e la produzione, che hanno caratterizzato ciascun periodo di egemonia, si sono fondate su patti sociali tra gruppi dominanti e subordinati. I periodi di egemonia sono stati caratterizzati da un "circolo virtuoso", con pace sociale ed espansioni del commercio e della produzione che si rafforzavano reciprocamente. I periodi di transizione egemonica, al contrario, sono stati caratterizzati da un "circolo vizioso" in cui una crescente competizione tra stati e tra imprese si intreccia con una conflittualità sociale sempre più esplosiva che conduce a periodi di ribellioni al livello del sistema, crolli dello stato e rivoluzioni.

Questo capitolo integra i due precedenti mostrando come l'intensificazione della competizione tra stati e imprese capitaliste durante ciascuna delle transizioni egemoniche abbia indebolito le condizioni necessarie per la riproduzione dei patti sociali esistenti. In particolare, si mostra come la crescente finanziarizzazione dei processi di accumulazione durante ciascuna transizione sia andata di pari passo con una rapida ed estrema polarizzazione della ricchezza, che a sua volta ha indebolito il consenso della "classe media" su cui si fondava l'ordine egemonico mondiale. In parte, la spinta che sta dietro il crescente conflitto sociale dei periodi di transizione viene dagli sforzi di questi strati "medi", finalizzati a difendere i privilegi di cui godevano all'interno del patto sociale egemonico.

Il capitolo pone l'accento su come le stesse espansioni sistemiche abbiano indebolito le basi sociali delle varie egemonie mondiali, trasformando l'equilibrio su scala mondiale delle forze di classe. Durante i periodi di espansione sistemica nuovi gruppi e classi sociali - esclusi dai benefici del patto sociale egemonico in vigore - crebbero in dimensioni e potere distruttivo. Le lotte di questi gruppi per vedere riconosciuti i loro diritti sono state sia la causa che la conseguenza della crescente concorrenza tra stati e tra imprese.

Infine, i periodi di transizione egemonica sono stati caratterizzati da un crescente conflitto interno alle élites, come reazione, da una parte, all'intensificazione della rivalità tra stati e imprese, e, dall'altra, alla crescente inquietudine sociale delle classi inferiori. Nelle passate transizioni il risultato di questi processi nel loro insieme è stato il verificarsi di lunghi periodi di turbolenza sociale, durati mezzo secolo o più. Questi periodi hanno giocato un ruolo decisivo, non solo nella distruzione delle basi sociali dell'ordine egemonico in declino, ma anche nella formazione della natura del nuovo ordine egemonico mondiale.

Il consolidamento di ciascuna egemonia mondiale si è realizzato attraverso lo stabilirsi di nuovi "compromessi storici" capaci di riportare sotto controllo il conflitto sociale. La cooptazione dei gruppi sociali in ascesa è stata cruciale: i coloni che si insediavano nelle Americhe e la classe media possidente europea nella transizione dall'egemonia olandese a quella britannica, le élites del mondo non occidentale e le classi lavoratrici del mondo occidentale nella transizione dall'egemonia britannica a quella statunitense. Ma, in entrambe le transizioni, l'allargarsi delle basi sociali del blocco egemonico è stato accompagnato (e spesso, in realtà, preceduto) da un fenomeno di estrema rilevanza: l'esclusione, de jure o de facto, della maggioranza della popolazione mondiale dall'accesso agli stessi diritti e e agli stessi privilegi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 315

Conclusioni

di Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver


La storia delle transizioni egemoniche, delineata per approssimazioni successive nei quattro capitoli di questo libro, evidenzia aspetti differenti del processo di trasformazione del moderno sistema di stati sovrani da un mondo (europeo) fra altri mondi nel sistema storico-sociale di tutto il mondo. Ciascun capitolo ha dimostrato che questo processo di globalizzazione del sistema mondiale imperniato sull'Europa non ha seguito un singolo percorso di sviluppo all'interno del quale gli stati di volta in volta egemoni ascendono e declinano. Al contrario, le espansioni sistemiche sotto la leadership di ciascuno stato egemonico si sono sempre concluse in una crisi e in un crollo del sistema stesso. E l'espansione è ripresa solo quando un nuovo stato egemonico ha inaugurato un differente percorso di sviluppo, riorganizzando il sistema in modo da risolvere i problemi e le contraddizioni incontrati lungo la via aperta dai suoi predecessori.

La globalizzazione del sistema mondiale moderno è dunque avvenuta attraverso una serie di fratture nei modelli stabiliti di governo, di accumulazione e coesione sociale, nel corso delle quali si è avuta la decadenza di un ordine egemonico istituito, mentre un nuovo ordine emergeva interstizialmente fino a diventare, nel corso del tempo, egemone. «L'intervallo tra la decadenza del vecchio e la costituzione e istituzione del nuovo» osserva John Calhoun, «costituisce un periodo di transizione che è sempre e necessariamente di incertezza, confusione, errore e selvaggio e feroce fanatismo». [citato in Harvey, 1989, p. 119] La nostra tesi è che a partire all'incirca dal 1970 noi stiamo vivendo uno di questi periodi, come testimoniano, tra l'altro, le difficoltà degli osservatori nel concordare sulla direzione e il significato delle trasformazioni in corso dell'economia politica globale. Parte integrante della nostra tesi è però anche l'idea che l'analisi delle transizioni egemoniche passate ci permetta di individuare modelli di ricorrenza ed evoluzione che ci aiutano a meglio comprendere la natura e le probabili conseguenze di queste trasformazioni. Questa migliore comprensione può essere sintetizzata in cinque enunciati correlati, che noi avanziamo come ipotesi che potranno essere respinte se smentite dai fatti, o, se non respinte, potranno servire da strumenti per monitorare il mutamento sistemico in atto.


Primo enunciato

L'espansione finanziaria globale degli ultimi vent'anni circa non è né un nuovo stadio del capitalismo mondiale, né il prodromo di una "imminente egemonia dei mercati globali". Piuttosto, è il segno più chiaro del fatto che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi egemonica. In quanto tale, l'espansione può essere considerata un fenomeno temporaneo che si concluderà più o meno catastroficamente, a seconda di come la crisi sarà affrontata dalla potenza egemonica in declino.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 328

Quarto enunciato

La perdita di potere dei movimenti sociali - in particolare del movimento operaio - che ha accompagnato l'espansione finanziaria globale degli anni ottanta e novanta è un fenomeno in larga misura congiunturale, Essa è il segno delle difficoltà che comporta il mantenimento delle promesse del New Deal globale patrocinato dagli Stati Uniti. Una nuova ondata di conflitti sociali è probabile e si può prevedere che rifletterà la maggiore proletarizzazione, la crescente femminilizzazione e i mutamenti della configurazione spaziale ed etnica della forza-lavoro mondiale.

Come abbiamo sostenuto nel capitolo 3, in entrambe le passate transizioni egemoniche le espansioni finanziarie dell'intero sistema contribuirono a una escalation del conflitto sociale. La massiccia redistribuzione dei redditi i cambiamenti nella scala sociale provocati dalle espansioni finanziarie provocarono movimenti di resistenza e ribellione da parte di gruppi e strati sociali i cui modelli di vita erano sotto attacco. Interagendo con le lotte di potere tra gli stati, questi movimenti finirono per costringere i gruppi dominanti a formare un nuovo blocco sociale egemonico che incluse in maniera selettiva gruppi e strati sociali precedentemente esclusi.

Nella transizione dall'egemonia olandese a quella britannica, l'aspirazione delle classi possidenti europee a una maggiore rappresentazione politica e l'aspirazione delle borghesie dei coloni delle Americhe all'auto determinazione furono conciliate in un nuovo blocco sociale dominante. Non lo furono invece le aspirazioni delle classi nullatenenti europee e quelle degli schiavi africani nelle Americhe, nonostante il loro rispettivo contributo alle sollevazioni che trasformarono il blocco sociale dominante.

Sotto l'egemonia britannica, la schiavitù fu lentamente ma definitivamente abolita, ma i conseguenti benefici per l'uguaglianza razziale furono più che compensati dall'espansione europea in Asia e in Africa e da nuove forme di effettiva subordinazione degli schiavi liberati nelle Americhe. La graduale conciliazione delle aspirazioni delle classi nullatenenti europee fu strettamente legata a entrambi gli sviluppi. In questo periodo, come mai prima o dopo di allora, l'Europa si stava veramente «godendo il mondo» (l'espressione è di Goran Therborn). Non solo la Gran Bretagna poteva scaricare gli oneri del suo liberismo unilaterale sui lavoratori e contribuenti indiani, procurando così mezzi di sostentamento a basso prezzo al suo crescente proletariato industriale e mercati remunerativi alle borghesie dei coloni delle Americhe (cfr, i capitoli 1 e 2). Ma, cosa più importante, l'Europa in generale e la Gran Bretagna in particolare godettero di sbocchi praticamente illimitati per l'emigrazione dei diseredati o degli avventurieri locali. «Anche il centro inglese dell'industria globale era un'area di emigrazione [...] Secondo una stima moderata, circa 50 milioni di europei emigrarono dal continente nel periodo 1850-1930: vale a dire il 12% circa della popolazione del continente nel 1900». [Therborn, 1995, p. 40] Uno dei principali sbocchi di questo esodo furono gli Stati Uniti in via di rapida industrializzazione, che quindi godettero di riserve di forza-lavoro praticamente illimitate e di uno strumento estremamente efficace per tenere la popolazione degli ex schiavi ai margini del corpo centrale della loro classe operaia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 331

Alle radici della crisi attuale possiamo individuare un problema sociale fondamentale a livello del sistema. Concordiamo con il giudizio di Wallerstein che il capitalismo mondiale nella sua struttura attuale non è in grado di conciliare «le domande combinate delle classi lavoratrici del terzo mondo (per avere relativamente poco a persona, ma per molte persone) e del mondo occidentale (per relativamente poche persone, ma molto per ogni persona)» (cfr. l'introduzione).

L'espansione finanziaria e la ristrutturazione dell'economia politica globale che ne è alla base sono indubbiamente riuscite a disorganizzare le forze sociali che erano portatrici di queste richieste nelle sollevazioni della fine degli anni sessanta e degli anni settanta. Ma il processo sta creando nuove forze sociali che l'ordine egemonico in declino avrà ancora maggiori difficoltà a conciliare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 333

Quinto enunciato

Lo scontro tra civiltà occidentali e non occidentali è alle nostre spalle più che di fronte a noi. Ciò che abbiamo di fronte sono le difficoltà della trasformazione del mondo moderno in una comunità di civiltà, che rifletta il cambiamento in atto dell'equilibrio di potere fra civiltà occidentali e non occidentali, in particolare la riemergente civiltà imperniata sulla Cina. Quanto drastica e dolorosa sarà questa trasformazione - o, per meglio dire, se finirà per portare a una comunità piuttosto che alla reciproca distruzione delle civiltà mondiali - dipende in definitiva da due condizioni: in primo luogo, quanto intelligentemente i centri principali della civiltà occidentale saranno capaci di adattarsi a una posizione meno eminente; e in secondo luogo, se i centri principali della riemergente civiltà imperniata sulla Cina sapranno collettivamente mostrarsi all'altezza del compito di fornire soluzioni a livello di sistema ai problemi a livello di sistema lasciati in eredità dall'egemonia statunitense.

Come abbiamo sostenuto nel capitolo 4, lo scontro tra civiltà occidentali e non occidentali è stato una costante del processo storico attraverso il quale il sistema mondiale moderno da europeo si trasformò in globale. La transizione dall'egemonia olandese a quella britannica fu contraddistinta dalla conquista violenta o dalla destabilizzazione dei sistemi-mondo indigeni dell'Asia. La transizione dall'egemonia britannica a quella statunitense fu caratterizzata prima da un'ulteriore estensione degli imperi territoriali occidentali in Asia e in Africa e, successivamente, da una rivolta generale contro la dominazione occidentale.

Sotto l'egemonia statunitense la mappa del mondo fu ridisegnata per conciliare le richieste di autodeterminazione nazionale. Questa nuova mappa rifletteva il retaggio del colonialismo e dell'imperialismo occidentale, inclusa l'egemonia culturale che portò le élites non occidentali a rivendicare per sé stesse "stati-nazione" più o meno autosufficienti, a immagine delle organizzazioni politiche metropolitane dei loro ex padroni imperiali. Ci fu tuttavia un'importante eccezione alla regola: l'Asia orientale. Tranne alcuni stati alle sue frange meridionali (specialmente l'Indonesia e le Filippine), la mappa della regione rifletteva principalmente il retaggio del sistema-mondo imperniato sulla Cina, che l'ingerenza occidentale aveva destabilizzato e trasformato ai margini, ma non era mai riuscita a distruggere e a ricreare sul modello occidentale. Tutte le più importanti nazioni della regione, che furono formalmente incorporate nel sistema allargato di Vestfalia - da Giappone, Corea e Cina a Vietnam, Laos, Cambogia e Tailandia - erano tutte già diventate nazioni molto prima dell'arrivo degli europei. E quel che è più importante, erano tutte nazioni legate l'una all'altra, direttamente o attraverso il perno cinese, da relazioni diplomatiche e commerciali e unite da una visione comune dei principi, norme e regole che disciplinavano le loro reciproche interazioni di mondo fra altri mondi.

Questo relitto geopolitico del cataclisma globale europeo risultò difficile da integrare nell'ordine mondiale statunitense del periodo della guerra fredda, così come lo era stato per l'ordine mondiale britannico. Le linee di frattura tra le sfere di influenza statunitense e sovietica nella regione cominciarono a crollare poco tempo dopo che erano state stabilite, prima per la ribellione cinese contro la dominazione sovietica e poi per il fallimento del tentativo degli Stati Uniti di spaccare la nazione vietnamita lungo la linea di demarcazione della guerra fredda. In seguito, mentre le due superpotenze intensificavano la loro rivalità nella stretta finale della seconda guerra fredda, i vari pezzi del puzzle dell'Asia orientale si ricomposero, formando il centro più dinamico dei processi di accumulazione su scala mondiale.

La stupefacente rapidità con cui questa struttura regionale è diventata il nuovo laboratorio e salvadanaio del mondo sotto la leadership "invisibile" di uno stato simile a un'azienda (il Giappone) e di una diaspora commerciale (i cinesi d'oltremare) ha contribuito a diffondere nei principali centri della civiltà occidentale la "paura di cadere". Una caduta più o meno imminente dell'Occidente dai vertici del sistema capitalistico mondiale è possibile e anche probabile. Non è affatto chiaro però che cosa si dovrebbe temere da una simile eventualità.

| << |  <  |