Copertina
Autore Brigitte Aubert
Titolo La morte taglia e cuce
EdizioneVoland, Roma, 2005 [2003], intrecci 35 , pag. 186, cop.fle., dim. 145x205x12 mm , Isbn 978-88-88700-35-9
OriginaleLe couturier de la mort
EdizioneSeuil, Paris, 2000
TraduttoreGuia Boni
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe narrativa francese , gialli
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Il vento caldo sollevava vortici di pioggia unta. La gente correva, i leggeri abiti estivi incollati al corpo. Il cielo si era oscurato all'improvviso, pesanti nubi nere, tuoni lontani. I ragazzini, con i sandaletti di plastica fluorescenti, saltavano a piedi uniti nella venerabile fontana che abbelliva il centro della piazza. Il gelataio, sorpreso dal temporale, cominciò a metter via in fretta il suo armamentario.

Piove, si è messo a piovere improvvisamente, piacevole, come una mano fresca sul viso. L'autobus non arriva. Le mie gambe parallele, ben piantate per terra, muovo la destra, muovo la sinistra, sono mie, obbediscono. Le dita, strette intorno ai manici della busta di plastica, dita mie, fedeli soldati, fate ondeggiare il sacchetto con noncuranza e voi, labbra mie, dalla docile duplicità, fischiettate "Tiens, voilà du boudin", mentre i miei occhi, preziosi mirini da predatore, fissano quel povero idiota in uniforme in mezzo a un ingorgo, stoico sotto l'acquazzone.

Il poliziotto Marcel Blanc era stanco. Sfinito. Guardava le auto girargli intorno senza posa come in una giostra, i pedoni passare in nugoli stridenti, con grandi sospiri. Aveva una gran sete, troppo caldo, i piedi in fiamme e voglia di pisciare. Aveva detto a Madeleine che quella sera sarebbe rientrato verso le otto. Lei lo avrebbe aspettato brontolando, i ragazzini si sarebbero beccati un paio di sberle, la televisione a tutto volume... Bisognava resistere ancora tre mesi prima della sentenza di divorzio, sospirò tra sé, lisciandosi i baffi, rossi come i capelli ricci tagliati cortissimi.

Zuppo di pioggia, il poliziotto Marcel Blanc, mentre osservava automaticamente gli andirivieni della gente intorno a lui — la commessa della libreria che rideva garrula con due giovani tedeschi che esibivano piercing e jeans bucati, il direttore del cinema accanto che chiacchierava con la direttrice del negozio di biancheria — sognava di fuggire alle Bahamas con la bella bruna del Roi du Charolais e di rotolarsi nudo insieme a lei sulla sabbia tiepida di spiagge deserte e non inquinate.

L'autobus finalmente arrivò, si fermò in una pozzanghera e vomitò passeggeri carichi di pacchi, che si disperdevano sotto la pioggia. Ne scese anche una giovane donna dai folti riccioli castani, la fronte ornata da un piccolo tatuaggio blu. Teneva per mano un bambinetto di quattro o cinque anni, riccio e dall'aria furba. Gonna e gilet neri, stretti da una cintura di cuoio borchiata, mettevano in risalto la vita e il seno sodo.

Per puro caso, gli occhi neri della giovane donna incrociarono di sfuggita quelli grigi di Marcel, prima di ritornare sul bambino. Suo malgrado, Marcel la seguì con lo sguardo. Nei tratti angolosi e fieri, nell'andatura elastica, c'era qualcosa che lo attirava. Il suo sguardo sfiorò senza fermarsi l'ometto che faceva dondolare una busta di plastica. Era troppo affascinato dalla ragazza. La vedeva passare tutti i giorni. Il tatuaggio blu sulla fronte evocava l'Africa del Nord. Il vento del deserto... "Sì, ma le ragazze del deserto non sono fatte per i Blanc" avrebbe detto Jean-Mi, il cameriere del Claridge.

Un vociare lo ridestò dal suo sogno a occhi aperti. Una donna in tailleur Chanel stava insultando un giovanotto che per poco non l'aveva centrata, aprendo lo sportello del suo furgoncino. Marcel si sentì in dovere di intervenire. La donna scosse l'imponente chignon grigio, borbottò qualcosa su quei "cacasotto di sbirri" e si allontanò, graffiando subdolamente la carrozzeria del furgoncino con la punta del suo ombrello firmato.

Marcel sospirò. Gli mancava un anno e poi, forse, avrebbe superato il concorso interno per tenente. Intanto, in mancanza del diploma ("I diplomi, roba per fannulloni" farfugliava suo padre tra un litro e l'altro di vino rosso), manteneva la quiete pubblica dalle otto alle dodici ore al giorno, visto che in estate gli effettivi scarseggiavano.

L'ometto tirò fuori qualcosa dalla busta di plastica e la portò alla bocca, furtivo.

Marcel consultò l'orologio e si disse che aveva una fame da lupo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 45

Tony Costello procedeva con cautela sul marciapiede torrido. Impossibile circolare in auto, tutta la città era un enorme ingorgo. Andava di veterinario in veterinario con un taccuino blu in mano, la penna placcata oro nel taschino della camicia bianca, indifferente al riflesso che gli rimandavano le vetrine. Come tradurre la musicalità di Brouillards, montez! Versez vos cendres monotones avec de longs haillons de brume dans les cieux nella lingua di Omero?

Ramirez sudava, sventolandosi con il taccuino decorato da tante Formula 1. L'unico vantaggio di questa indagine era che poteva sbirciare le straniere, le ragazze in pantaloncini o minigonna; quest'anno, per di più, grazie a quel tessuto aderente che andava di moda, non portavano gli slip.

Si grattò i peli del petto, sospirando, immaginando di invitare una Ingrid o una Glenda a mangiare la pizza. Certo che in quel sogno a occhi aperti non era né padre né marito. Vedovo, forse. Con una garηonière. Dove Glenda e Ingrid si sarebbero spogliate, sorridenti davanti a un grande specchio.

Alcuni ragazzini con i pattini lo urtarono, spezzando l'incantesimo. Il viso da bambola con i bigodini della signora Ramirez sostituì quello delle piacevoli signorine. Giaceva nel suo letto di ospedale con la vestaglia a fiori rosa e gli lanciava uno sguardo di rimprovero: "Tu no, Raymond!" Si scosse. In quel momento gli venivano in mente solo stupidaggini.

Al canile gli diedero l'elenco degli animali registrati da due mesi. Tra i tanti, solo due chihuahua.

— Dato che corrono poco, sono bestie difficili da perdere — fece notare l'impiegato, un tale Martin, Luc Martin.

— E adesso dove sono le bestiole? — chiese Ramirez, cercando di non restituire lo sguardo a un vecchio spaniel lacrimante, col naso dietro le sbarre.

— Kaputt! — fu la risposta. — Mandati nel paradiso dei cani, perché la scadenza era stata largamente superata.

— Che razza di mestiere il vostro — disse Ramirez, immaginandosi una splendente camera a gas in miniatura dove lo spaniel sarebbe senz'altro approdato.

— Siamo costretti, non ci divertiamo mica! — rispose Martin, che sembrava un tipo a modo.

Né grande né piccolo, né grasso né magro, capelli dritti, mento quadrato, jeans e maglietta Nice Jazz Festival 97.

— Le piace il jazz? — chiese Ramirez per semplice educazione

— Eh? Ah, la maglietta, me l'ha data una mia amica — rispose Martin con un sorriso vanesio. — No, io preferisco il nu skool puro, — continuò — Carl Craig, Terranova, roba del genere.

Con un cenno di intesa del capo e non sapendo bene se il nu skool fosse una di quelle nuove scuole erotiche che i media cercano sempre di far passare come pratiche religiose, Ramirez annotò in silenzio il numero di tatuaggio dei due cagnetti e se ne andò.

Si stava meglio fuori!

Chissà se a sua moglie sarebbe piaciuto avere un cane? No, certo che no, non le piaceva chi perdeva il pelo. Sgridava anche lui, Ramirez, quando si pettinava e qualche capello cadeva per terra.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 85

Ramirez trascinava i piedi. Di laboratori ne aveva già visti quattro. Interesanti, però, tutte quelle ricerche. A Ramirez la scienza piaceva. Se ci si pensa un momento, siamo veramente poca cosa... Forse cavie per il buon Dio? Questo pensiero atroce lo fece rabbrividire malgrado il caldo. Insomma, alla fine aveva fatto il suo lavoro. Jean-Jean sarebbe stato contento. E lui, Ramirez, tranquillo.

I risultati delle analisi non avevano fornito indizi. Bisognava cercare altrove. "Pensare diversamente." Jean-Jean scorse l'elenco dei nomi che Ramirez gli tendeva. La lista degli impiegati licenziati dai laboratori di ricerca in vivo negli ultimi cinque anni. Be', bisognava verificare i nomi, indirizzi, ecc., la solita routine. Ma Jean-Jean sentiva che erano vicini.


L'ometto era nervoso. Aveva fame. Una fame divorante. Girava in tondo nel soggiorno cosparso di lattine vuote. Aveva bisogno di muoversi. Prese le chiavi posate sul tavolo. Uscì. La notte era calda. Appiccicosa. Raggiunse il quartiere del porto.

Boccali di birra rotti davanti a un locale. Musica house che proveniva a ondate tonanti da una decappottabile. Visi lucidi di sudore e trucco. Tedeschi ilari. Motociclisti nervosi sull'orlo di una rissa. Zingarelli con le braccia piene di rose che ripetevano la solita filastrocca con voce monocorde. Un tipo che sbraitava musica folk con voce in falsetto, coperto da un sassofonista che suonava davanti al bar accanto. Rombi di motorini. Richiami. Colpi di fischietto. Un bambino piangeva.

L'ometto registrava tutto, camminando tranquillo. All'improvviso rallentò. Interessante... Un vecchietto gobbo, quasi nano, barcollava in mezzo alla strada, cantando a squarciagola un'aria da opera. Lo sguardo dell'ometto passò dal gobbo a una bionda scultorea in minigonna rossa, seduta davanti a un cocktail. Quasimodo ed Esmeralda fusi in una sola creatura, il sogno di qualunque scultore!

Il gobbo si era fermato per accendere una sigaretta con uno di quegli accendini con sopra una ragazza nuda che dice I love you. Conoscerai l'amore e la fusione totale, eccome! si disse l'ometto, toccandosi automaticamente la medaglietta di San Cristoforo.

Il vecchio mise in tasca a fatica l'accendino con mano tremante e si allontanò, un passo a destra, un passo a sinistra, come un pattinatore gobbo che andasse alla deriva sull'asfalto prima di inoltrarsi nel bar della Marine, una bettola fumosa in fondo al porto.

L'ometto, soddisfatto, diede un altro tiro alla sigaretta, poi la buttò e si diresse verso la biondona. Sorseggiava l'ennesimo caffe, tamburellando sul tavolino di plastica gialla con le sue lunghe dita smaltate. La bionda alzò gli occhi sul mostriciattolo, sbuffando tra le labbra imbronciate con aria esasperata. Aveva gli zigomi duri, la bocca rosso vivo, occhiaie bluastre, denti quadrati ben piantati in una larga mascella.

L'ometto tirò fuori il portafoglio e con fare distratto contò una mazzetta di banconote senza guardare la ragazza. Immediatamente, lei spense la sigaretta e si alzò. Lui cominciò a camminare lungo la banchina. Lei lo seguiva senza smettere di brontolare a bassa voce. La minigonna beccheggiava come un veliero scosso dai marosi. E il mio giorno poetico, pensò l'ometto sghignazzando.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 127

Il vecchio Georges sorrise amabilmente a Caró, che gli offrì una limonata ghiacciata:

– Con questo caldo, non posso rifiutare... Si dedica al cucito?

Indicò la grande macchina da cucire, le stoffe, il manichino di vimini.

– Sì, un po', per arrotondare. E poi a Jacky, mio marito, piace che vada vestita bene. Costa di meno se lo faccio da me.

– La conosce bene Madeleine?

Max soffocò un rutto discreto. Si stava addormentando. Avevano interrogato Elsa Da Costa, la moglie di Jean-Mi, il barman, e una schiera di grosse signore in collant in una palestra, poi erano andati a pranzo in una birreria che Georges conosceva. Pasta all'aglio con cozze, annaffiata da un rosé bello fresco, buono, ma pesante! Tanto più che Max di solito prendeva un'insalata niηoise e un'acqua Vichy. Sperava proprio che la ritrovassero, quella donna, così avrebbe potuto tornarsene a casa e mettersi comodo.

Caró inghiottì un sorso di limonata, prima di rispondere.

— Sì, insomma, la vedevo con gli altri. Θ soprattutto Marcel a essere amico di mio marito.

— Siete un gruppo di amici, mi dica...

— Sì.

— E non pensa che... insomma, è una cosa delicata... Madeleine avrebbe potuto, con uno di voi...

Max sollevò una palpebra gonfia. I vecchi avevano sempre idee disgustose. Sta scherzando? - protestò Caró. — Jean-Michel Da Costa, che lavora al Claridge, non è proprio un apollo, semmai il dio del vino, Bacco, e Jacky... Non credo pensiate che Jacques, mio marito...

— No, no, certo — protestò soave Georges.

— Quanto a Paulo e a Ben, no, non credo che siano i tipi di Madeleine. A Madeleine piacciono gli uomini ben messi, come Marcel, e loro sono piuttosto magrolini, capisce quello che voglio dire.

— Capisco — disse Georges, che vedeva profilarsi il momento di ritornarsene a casa. — Bene, ce ne andiamo... Max!

Max sussultò, si raddrizzò. Georges si alzò, Max lo imitò, dissimulando uno sbadiglio.

— Contadini e Lebec sono entrambi celibi, credo?

— Sì. Lavorano al garage Palace.

– Θ lì che facciamo riparare le nostre macchine.

– Lo so.

— Contadini, aggiunse Georges sognante, mi dice qualcosa... Ho già sentito questo nome...

Caró sorrise educatamente al vecchio poliziotto. Doveva ancora occuparsi di due vestiti. Max si dondolava sui suoi piedoni, stoico.

— Allora andiamo, ci scusi per il disturbo — concluse Georges, salutando.

Uscirono nella canicola, colpiti da una sferzata di calore.

Caró restò sull'uscio fino a quando non girarono l'angolo. Ma che cosa era successo a Madeleine? Si era suicidata? Quel povero Marcel doveva essere preoccupatissimo.


Marcel era preoccupatissimo. Aveva preso servizio senza nemmeno rendersene conto. Impossibile mettersi in contatto con Nadja. Madeleine non poteva essersi volatilizzata. Se avesse avuto un amante, non avrebbe smesso da mesi di prendere la pillola. Le era successo qualcosa. Ma cosa?

Grondante di sudore, immobile in mezzo al rumore dei clacson, Marcel guardava i veicoli surriscaldati srotolarsi in lunghi nastri di metallo stridente. Qualunque cosa fosse successa a Madeleine, era grave, abbastanza grave perché lei non desse segno di vita ai bambini.

Nessun segno di vita.

Marcel sentì un brusco dolore al plesso solare. E se Madeleine giacesse morta da qualche parte? Schiantata da un infarto?

| << |  <  |