Autore Marc Augé
Titolo Piccole felicità
SottotitoloMalgrado tutto...
EdizioneCastelvecchi, Roma, 2020, Nodi , pag. 46, cop.fle., dim. 13,4x19x0,5 cm , Isbn 978-88-3282-911-2
OriginaleEspace et bonheur
TraduttoreCristina Guarnieri
LettoreGiangiacomo Pisa, 2020
Classe antropologia , sociologia , psicologia












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


INTRODUZIONE. Lo spazio della felicità
di Paolo Quintili                                        5


Piccole felicità. Malgrado tutto...                     21

    1.  Dov'è la felicità?
        La felicità ha un luogo proprio?                23

    2.  Le felicità malgrado tutto,
        il tempo e lo spazio                            35

    3.  Urbanizzazione del mondo
        = globalizzazione                               41

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 23

1. Dov'è la felicità?
La felicità ha un luogo proprio?



Negli stereotipi più diffusi la felicità non ha soltanto un luogo, ma anche una forma: quella della casetta destinata a ospitare una felicità intima e segreta ("due cuori e una capanna"), che rappresenta al tempo stesso il più diffuso, il più modesto ("per piccina che tu sia" si dice a volte di questi rifugi anonimi) e il più ambizioso degli ideali. Il più ambizioso perché si basa sulla convinzione che la ricetta della felicità sarebbe a portata di mano se solo si avesse la saggezza di credere in se stessi, di rinunciare alle ambizioni superficiali e di accontentarsi delle poche cose essenziali: l'amore, l'amicizia, la sobrietà.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 26

Per approfondire la questione della felicità comincerei ritornando sul tema dello spazio. Da quando ho proposto la distinzione tra luogo e non-luogo, un'interpretazione affrettata ha talvolta presentato il luogo come la quintessenza della perfezione sociale e il non-luogo come la negazione dell'identità individuale e collettiva. Le cose sono però meno nette e più complesse. Ricordo ancora una volta la mia definizione di luogo: uno spazio su cui è possibile decifrare le relazioni sociali (che, letteralmente, vi si inscrivono), i simboli che uniscono gli individui e la storia che condividono. In un non-luogo questa lettura non è possibile. Ma da ciò non consegue che il luogo sia per definizione uno spazio di felicità. Soltanto gli individui possono giudicare se sono felici o meno e la perfezione delle relazioni sociali sarebbe chiaramente un limite all'iniziativa dei singoli. Nelle società tribali africane, ad esempio, ogni individuo è sotto gli occhi di tutti ed è soggetto alle interpretazioni che il suo comportamento può suscitare. I sospetti e le accuse di stregoneria hanno la loro origine in questa intimità e sorveglianza reciproche. Ne sappiamo qualcosa anche noi se pensiamo ai nostri piccoli paesi e sappiamo bene che nel secolo scorso per molti giovani contadini l'emigrazione verso la città rappresentava un passo verso la libertà.

D'altra parte, però, l'individualità assoluta è impensabile. Nessuna identità senza alterità, nessun individuo senza relazioni. Il senso sociale è dalla parte della relazione; la libertà da quella dell'individuo. Ma una libertà assoluta e un'assenza di relazioni sono impensabili tanto quanto sono intollerabili un insieme di relazioni prescritte o la cancellazione dell'esistenza individuale. Sono due forme simmetriche e rovesciate di follia. Storicamente, i regimi autoritari hanno imposto le relazioni, mentre la lotta per la democrazia si è sempre identificata con la difesa dell'individuo.

Resta il fatto che all'esistenza individuale è necessario un minimo di senso sociale. Tradizionalmente, l'individualità si afferma al crocevia di quattro parametri antropologici: filiazione, alleanza, residenza e generazione. L'antropologia, nella sua forma generalista, dà molta importanza alla dimensione relativa dell'individualità. In alcune società della Costa d'Avorio orientale le regole di filiazione, alleanza e costituzione delle classi di età erano così strettamente intrecciate fra loro che la nozione di libertà individuale non aveva alcun senso. Ma le definizioni di filiazione e di alleanza possono essere più o meno flessibili e infinitamente di più può esserlo la nozione di generazione, dal momento che le categorie generazionali possono anche essere sostituite dalla libera scelta dell'amicizia e del cameratismo.

La modernità è caratterizzata da una crescente emancipazione dell'individuo rispetto alle determinazioni strutturali collettive. È sempre la combinazione di identità e alterità a conferire all'individuo la sua piena esistenza e a condizionare quella che chiamerei la sua capacità di felicità. È possibile percepire l'altro - direttamente, nel ricordo o nell'immaginazione del futuro - soltanto attraverso lo spazio e il tempo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 38

A questo punto sorge un'ulteriore questione: quella delle felicità della creazione. La creazione dell'attore in scena, "supportata" dal pubblico. Quella dell'autore che ha bisogno di sapere che le sue opere sono lette almeno da qualche persona per trovare la sua felicità nella scrittura e, se è fortunato o ha talento, delle "felicità di scrittura" che alcuni dei suoi lettori potranno apprezzare al punto da farle proprie.

Perché questo è uno dei miracoli della creazione letteraria: i lettori si appropriano dei passaggi da cui sono toccati, tanto da interpretarli in modo personale e "spossessare" così il loro autore o, più precisamente, sentirsene autori loro stessi. Allo stesso modo, canticchiare un ritornello significa, in un certo senso, farlo proprio.


Da ultimo, un apparente paradosso: l'età non è una condanna a non vivere più momenti felici. Forse è addirittura una condizione necessaria per ritrovarne qualcuno, una volta messe da parte le promesse del Giudizio universale, della resurrezione della carne e dei corpi gloriosi. L'età rende possibile un'esperienza di felicità condivise tra le generazioni che è una prova tangibile dell'esistenza dell'uomo generico, indipendentemente dall'origine, dal sesso e dalla data di nascita. Si potrebbe quindi tentare di fare un inventario delle felicità legate all'età che non sarebbero espressione di uno stato di senilità, come affermava Cioran con gioioso pessimismo.

Invecchiare significa vivere l'esperienza rinnovata dello sguardo degli altri. Essi pensano di vederci cambiare ma, in realtà, sono loro a cambiare e a doversi adattare nel frequentare una persona più anziana. Si produce così un rinnovamento delle relazioni, talvolta verso il peggio, ma altre volte anche verso il meglio. L'esperienza dell'età è quindi un'esperienza degli altri e può essere un'occasione di felicità allo stato puro.

| << |  <  |