Autore Marc Augé
Titolo Il tempo senza età
SottotitoloLa vecchiaia non esiste
EdizioneCortina, Milano, 2014, Temi , pag. 104, cop.fle., dim. 12x19,5x1 cm , Isbn 978-88-6030-693-7
OriginaleUne ethnologie de soi. Le temps sans βge
EdizioneSeuil, Paris, 2014
TraduttoreDaniela Damiani
LettoreMargherita Cena, 2015
Classe etnologia , antropologia , salute , psicologia












 

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Indice


La saggezza del gatto                        7

Il sopraggiungere dell'età                  17

Quanti anni hai?                            27

Autobiografia ed etnologia di sé            35

La classe                                   55

Immagini di Ιpinal                          61

Dimostrare la propria età                   69

L'età delle cose e l'età degli altri        75

Invecchiare senza età                       83

Nostalgie                                   93

Tutti muoiono giovani                      101


 

 

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Pagina 11

In queste pagine non si troveranno né un diario, né Memorie e, ancor meno, una confessione, bensì un proposito personale, partendo dalla mia esperienza e dalle mie letture. Per ciascuno di noi la vita rappresenta una lunga e involontaria indagine. Io ho tentato in questo libro di dare sostegno a una conclusione che confermerà certamente l'intuizione di alcuni e stupirà altri, visto che considera in senso opposto i luoghi comuni della saggezza popolare quali "Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait" ... sta a dire "Se i giovani sapessero, se i vecchi potessero". Come fonte di sapere o accumulo di esperienze, la vecchiaia non esiste e per rendersene conto basta arrivarci. Certamente, i malanni e le debolezze che si accompagnano alla vecchiaia si presentano – eccome! – più o meno presto, più o meno crudeli, ma non aspettano sempre l'età per colpire e lo fanno iniquamente sugli uni o sugli altri.

Quanto agli stati d'animo e al comportamento degli anziani si constata spesso quanto siano "patinati" dal linguaggio dei meno anziani, anche, e soprattutto, se questi hanno buone intenzioni. All'epoca, si è sottolineato il linguaggio paternalistico di certi colonizzatori che non sempre erano i più cinici, ma di certo i più miopi. Quale aggettivo trovare per definire chi è a volte responsabile delle persone anziane che si indicano come "dipendenti" in modo da poter loro dimostrare la propria attenzione? Penso ad alcune persone ben intenzionate – uomini o donne che siano –, infermieri, paramedici o ausiliari nell'ambito medico, per esempio, che si prendono delle libertà rivolgendosi alle persone di cui si occupano con un "nonnino" o "nonnina". In una sorta di inversione del ruolo linguistico così facendo tendono paradossalmente a infantilizzare quelle persone – uomini o donne che siano – di cui appaiono come i nipoti. Lo sdrucciolamento dei termini "Nonnino! Nonnina!" nel termine generico (i nonnini e le nonnine) segue la stessa ottica. La gentilezza e l'affetto possono avere effetti avvilenti su chi ne è l'oggetto: donne o uomini che siano, li invitano e li incitano a penetrare in una categoria esclusiva e che esclude, una sorta di casa di riposo semantica all'interno della quale si sentiranno passivi, tranquilli e comodi, ma in ogni caso alienati agli occhi degli altri.

[...]

Nell'ottica contraria abbiamo da tempo testimonianze che sopravvalutano le virtù della vecchiaia. Ormai da molto gli stereotipi sulla saggezza che scaturisce dall'esperienza fanno parte della retorica dell'età. L'allungamento della durata media della vita ha inferto un colpo fatale: almeno in Occidente, l'età avanzata è divenuta banale e ha perso la sua caratteristica di eccezionalità. Non è più la sola a detenere prestigio. Per ottenere un beneficio mediatico, nella nostra società che verte sull'immagine, è necessario battere dei record di longevità (gloria effimera per definizione), o giungere a prestazioni – siano sportive, teatrali, letterarie o politiche – malgrado l'età – e fatta eccezione per alcuni che confermano, tutto sommato, la regola comune del nonnino/nonnina. Oggigiorno il vegliardo prestigioso non deve dimostrare la sua età. Si colloca immediatamente sotto il segno del diniego.

Senza negare alcunché e, soprattutto, non certo l'evidenza, non si può mettere dunque in questione una, diciamo, categoria di pensiero – l'età – che sotto le vesti di un'obiettività correlata alla quantificazione può sfociare in esclusioni drastiche dalla vita sociale effettiva, cioè del singolo e consapevole. Θ forse possibile sentenziare sulla lucidità e l'intelligenza di un essere umano?


La questione dell'età, vissuta da tutti sotto ogni aspetto... e in qualunque età... rappresenta l'esperienza umana essenziale, il luogo di incontro tra noi stessi e gli altri ed è comune a tutte le culture. Resta tuttavia un luogo complesso e contraddittorio, in cui ciascuno di noi — ammesso che ne avesse la pazienza e il coraggio – potrebbe commisurare le mezze-menzogne e le mezze-verità che affollano la sua vita. Prima o poi, ognuno è condotto a interrogarsi sulla sua età, che sia sotto un aspetto o un altro, e dunque a diventare così l'etnologo della sua propria vita.

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Pagina 66

Il tema delle età della vita può comunque ispirare e condurre ad altre considerazioni. Esse si succedono come le stagioni, e qui sta il punto che l'espressione suggerisce: questo plurale invita di sicuro a vedere l'invecchiare come qualcosa di ineluttabile. Tuttavia, la metafora delle stagioni ha una risonanza particolare: si sa, la primavera succede all'inverno. Da un lato, essa implica che una parte di ciò che scompare ritornerà – un tema spesso oggetto delle rappresentazioni politeiste e pagane. Da un altro, che le nuove generazioni "raccolgono il testimone" dando il cambio ai predecessori – un tema, questo, che può ben coniugarsi con il primo e sul quale ci dilunghiamo volentieri nel corso di conversazioni un po' oziose che ci capita di intavolare sul soggetto. Nell'uso del termine "età" al plurale si trova, dunque, un fondo di ottimismo in netto contrasto con il suo uso al singolare che lo correla a una fatalità, a un destino senza futuro. Suggerire che le generazioni si succedano come le stagioni significa sottintendere che hanno in comune l'appartenenza al genere umano; significa affermare un umanesimo dell'ereditarietà che si deve affrancare da qualunque riferimento all'eredità, basta che non gli si assegni come limite lo stretto perimetro rappresentato dalla famiglia e dalla riproduzione biologica.

Tra il termine al singolare e quello al plurale, tra "l'età" e "le età", esiste, in fondo, una differenza assoluta e al contempo un'intima complementarietà. Le età della vita possono essere evocate a prescindere dalla concatenazione correlata alla progressione degli anni, grazie alla scappatoia dell'anticipazione che disegna il futuro o del ricordo che ricrea il passato e, in ogni caso, lasciando che l'immaginazione giochi con il tempo.

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Pagina 69

Dimostrare la propria età



                                               "Non gli do più di quarant'anni."



Le parole, le espressioni — come si dice — fatte, la dicono lunga... come si usa anche dire. Troppo lunga, forse, per non contraddirsi con la baldanza dei più ingenui o dei più scaltri. "Non dimostri la tua età", un'affermazione che si sente di tanto in tanto e che dovrebbe rendere felici le persone a cui la si rivolge, uomini o donne che siano. L'espressione affermativa alla terza persona, invece — qualcuno che "fa" la propria età —, è più spesso formulata, con un tono confidenziale ispirato in qualche modo dalla pietà, nei confronti di un assente: lui (o lei) "dimostra la sua età" o, ancora con tono meno leggero, "dimostra tutta la sua età". Il verbo dimostrare/fare, utilizzato relativamente all'età, sembra essere un controsenso. Dimostra e "fa" la sua età chi la subisce, chi sopporta passivamente l'azione del tempo e il cui aspetto fisico ne accusa il peso, lo esprime chiaramente o addirittura l'anticipa. Chi dimostra la sua età l'accetta supinamente, è passivo e subisce: dimostrare la propria età significa lasciarle prendere le leve del comando. Ci si aspetta invece che chi non la dimostri abbia una vita attiva e sana, un'energia che ne attenua o rallenta gli effetti. Faccio moto ed esercizio fisico per non dimostrare la mia età; tiro indentro la pancia, seguo una dieta e faccio talassoterapia; mi rivolgo a creme e fondotinta, mi trucco per "far giovane", più giovane, cioè più giovane della mia età.

Non si "prendono" anni come si prende il largo, íl coraggio o il proprio destino in mano, ma, piuttosto, come si prende freddo o ci si prende paura. I due principali verbi d'azione, "fare" e "prendere", sono ambivalenti e basta cambiare il complemento oggetto per farli scivolare semanticamente nella forma passiva. Questo gioco sull'attivo e passivo è presente e più chiaramente espresso in altri casi: si avanza negli anni come si avanza verso qualcuno, ma, all'arrivo, è l'età stessa che si dice "avanzata", quasi fosse un mezzo di trasporto privato: "la sua auto ha preso un posto avanzato". L'abbinamento delle due metafore conduce quasi a un'immagine di collisione nel momento in cui diciamo che qualcuno "ha raggiunto un'età avanzata".

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Pagina 85

Tuttavia, quando mi guardo allo specchio e mi dico che sono invecchiato, sebbene interpelli il mio riflesso dandogli del tu, ricompongo e riunifico il mio corpo e i diversi "me" in un'improvvisa consapevolezza. Paradossalmente questo ritorno alla fase dello specchio mi libera dalle aporie della consapevolezza riflessiva. Invecchio, dunque vivo. Sono invecchiato, dunque sono.

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Pagina 89

Si dice che la solitudine sia uno dei mali più crudeli dell'età avanzata: in realtà, più il tempo passa più si sciolgono, o almeno si allentano, quei legami che ci tenevano ancorati alla riva. Il pensionamento, a cui tuttavia alcuni aspirano, impone e crea di colpo una distanza dalle familiarità quotidiane, una distanza che può inquietare tanto è forte la sua somiglianza con una specie di morte. Eppure a volte si celebra quell'avvenimento con una cerimonia che evoca un servizio funebre, con i suoi discorsi, i fiori e la sincera emozione di qualcuno.

Il problema della solitudine che l'età comporta sta nel fatto che essa non soltanto si impone come evidenza intima, ma anche come evidenza esteriore: gli altri tradiscono, disertano, si ritirano, sprofondano nella malattia o muoiono. Non si può invecchiare a lungo senza vedere molti amici cari allontanarsi o scomparire.

Il peggio è che ci si abitua. O, almeno, che sembra ci si abitui, come se, non per indifferenza ma bensì per pudore, si rifiutasse di considerare abominevole quella sorte che sappiamo essere comune. Parimenti, esiste anche un'indifferenza crescente nei confronti della storia attuale, nei confronti degli altri, perfino dei più cari, che Léo Ferré ha cantato così: "... E ci si sente assolutamente soli, forse, ma tranquilli...".

Solitudine subita, imposta dalla scomparsa dei coetanei e dallo sguardo degli altri; solitudine voluta, come per un riflesso di difesa o una forma di sfida. Tutte queste solitudini sono l'ineluttabile prezzo della vecchiaia?

Non è detto. Che la si "dimostri" o meno, certamente abbiamo la nostra età, noi l'abbiamo, sì, ma è lei al timone. Eppure, "avere" la nostra età significa vivere e i suoi segni sono dunque segni di vita. Dietro i pretesti proclamati di chi si mostra attento al proprio corpo possiamo scoprire — al di là di una certa civetteria — la voglia di vivere pienamente come invitava a fare Cicerone. Il vivere pienamente è un ideale che molti non hanno avuto la possibilità di raggiungere durante la loro vita definita "attiva", a causa di differenti obblighi che li vincolavano e pesavano su di loro. Succede dunque che il pensionamento sia effettivamente vissuto come liberazione e rinascita, come l'occasione di prendersi finalmente il tempo di vivere — vivere senza scadenze, di prendersi il proprio tempo senza più preoccuparsi dell'età.

Forse è una questione di fortuna: alcuni sono afflitti meno di altri dai malanni dell'età, o, almeno, lo sono ma più avanti negli anni. All'improvviso sopravviene la saggezza del gatto e domandano al loro corpo solo quello che è in grado di fare: vi si identificano e astutamente si risparmiano. Queste persone rappresentano proprio l'esempio che può essere contrapposto a qualunque analisi pessimistica evocata dal naufragio dell'età avanzata. Di tanto in tanto ci stupiamo dell'ottimo umore dimostrato senza dissimulazione dagli anziani, che, per potersi godere la vita, sembrano aver atteso fino alla fine. In qualche modo è ciò che sintetizza lo spesso citato aforisma lapalissiano: "Cinque minuti prima di morire, Monsieur de La Palisse era ancora in vita". In effetti...

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