Copertina
Autore Paul Auster
Titolo L'invenzione della solitudine
EdizioneEinaudi, Torino, 1997 [1993], Tascabili Letteratura 485
OriginaleThe Invention of Solitude [1982]
TraduttoreMassimo Bocchiola
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa statunitense
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al sito dell'editore








 

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Indice


p.  1   Ritratto di un uomo invisibile

   71   Il libro della memoria


  181   Fonti citate nel testo

 

 

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Pagina 3 [ inizio libro ]

Un giorno c'è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com'era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all'altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d'improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità. La morte dopo lunga malattia possiamo accettarla con rassegnazione. Anche la morte accidentale si può attribuire al destino. Ma che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è uomo, ci spinge cosí vicino all'invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo. La vita si fa morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento.

La notizia della morte di mio padre mi ha raggiunto tre settimane fa. Era una domenica mattina, e stavo in cucina a preparare la colazione per il piccolo Daniel, mio figlio. Di sopra, mia moglie era ancora a letto che si godeva qualche ora di sonno supplementare al caldo delle coperte. Inverno in campagna: un mondo di silenzio, legna fumante, bianco.

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Pagina 12

Nell'armadio della sua camera da letto ho trovato centinaia di foto: ammucchiate in buste scolorite di carta grezza, attaccate alle nere pagine di album incurvati, sparse in disordine nei cassetti. Dal modo di conservarle ho dedotto che non le guardava mai, probabilmente non ricordava nemmeno che esistessero. Un album molto grande, con una lussuosa legatura di pelle e il titolo dorato in copertina (Questa è la nostra vita: Gli Auster) all'interno si rivelò completamente vuoto. Qualcuno, probabilmente mia madre, si era tolto lo sfizio di comprarlo, ma poi nessuno l'aveva riempito.

Al mio ritorno a casa, mi soffermai su quelle foto, in una trance quasi maniacale. Le trovavo irresistibili, preziose, pari a sacre reliquie. Sembravano dovermi dire cose che non avevo mai saputo, rivelarmi verità nascoste, e le esaminai febbrilmente una per una, assimilandone i minimi dettagli, le ombre piú insignificanti, finché tutte le immagini divennero parte di me. Volevo che nulla andasse perduto.

La morte sottrae all'uomo il suo corpo. In vita, uomo e corpo sono sinoninii; in morte, c'è un uomo e c'è il suo corpo. Diciamo: «Questo è il corpo di X», come se quel corpo, che un tempo è stato l'uomo stesso (non qualche cosa che lo rappresentava o gli apparteneva, ma propriamente l'individuo di nome X), di colpo non avesse alcun rilievo. Quando un uomo entra in una stanza e gli stringiamo la mano, non abbiamo l'impressione di stringerla alla mano stessa o al corpo, ma a lui. La morte modifica questa condizione. Questo è il corpo di X, non X. La sintassi cambia completamente: ora parliamo di due cose invece che di una, postulando che l'uomo continui a esistere, ma solo come idea, come insieme d'immagini e memorie nella mente di altri uomini. Quanto al corpo, non è che carne e ossa, un ammasso di pura materia.

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Pagina 13

Gran parte delle foto non mi dissero nulla di nuovo ma mi aiutarono a colmare lacune, a confermare impressioni, a fornire prove dove non ne esistevano. Una serie di istantanee scattate quando era scapolo, probabilmente in un arco di parecchi anni, resero chiara testimonianza di alcuni aspetti della sua personalità che poi, durante il matrimonio, sarebbero rimasti in ombra. Era un lato di lui che avevo cominciato a conoscere solo dopo il divorzio: mio padre buontempone, gaudente, tiratardi. Una dopo l'altra, le foto lo ritraevano in compagnia di donne, per lo piú due o tre, tutte in pose giulive: lo abbracciavano, gli sedevano sulle ginocchia a due per volta, lanciavano baci plateali nella generica direzione del fotografo. Sullo sfondo: montagne, campo da tennis, in qualche caso piscina o casa di tronchi. Erano le foto dei weekend trascorsi nella zona turistica di Catskill, in compagnia degli amici dell'epoca prematrimoniale: partite a tennis, ragazze a bizzeffe. Aveva continuato cosí fino a trentaquattro anni.

Quella vita gli si confaceva, e capivo perché a matrimonio fallito l'avesse ripresa. E' naturale che un uomo che sopporta la vita solo a patto di restarle in superficie si accontenti di non offrire agli altri piú che la superficie stessa. Ci sono poche esigenze da soddisfare, non ci si pone in gioco. Al contrario, il matrimonio sbarra le uscite: l'esistenza rimane confinata in uno spazio ristretto, dove si è costretti a rivelarsi in continuazione e, di conseguenza, continuamente forzati a guardarsi dentro, esplorando i propri anditi. Finché l'uscita resta aperta non ci sono problemi: si può sempre scappare. Possiamo evitare confronti spiacevoli, sia con noi stessi sia con gli altri, soltanto allontanandoci.

La capacità di evasione di mio padre era praticamente illimitata. Dato che per lui il territorio degli altri era irreale, le sue incursioni in esso erano condotte da una parte di sé che considerava altrettanto irreale, un altro io a cui aveva insegnato a recitare affinché lo rappresentasse nella vacua commedia del mondo in generale. Quell'io surrogato era fondamentalmente un seccatore, un bimbo iperattivo, un mitomane. Non riusciva a prendere sul serio niente.

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Pagina 17

A volte ci penso, a come fui concepito in quell'hotel delle cascate del Niagara per coppie in luna di miele. Non che il luogo dove è accaduto abbia importanza. Ma il pensiero che quell'amplesso sia stato privo di passione, nient'altro che un cieco e diligente acchiapparsi fra le fredde lenzuola di un albergo, mi ha sempre umiliato con l'evidenza della mia accidentalità. Le cascate del Niagara. O l'alea di due corpi che si congiungono; e quindi io, l'homunculus casuale, una specie di uomo proiettile sparato sopra le cascate.

Poco piú di otto mesi dopo, la mattina del suo ventiduesimo compleanno, mia madre si alzò e disse a mio padre che il bambino stava arrivando. Ridicolo, fece lui, è previsto fra tre settimane... e ipso facto uscí per andare al lavoro, lasciandola appiedata.

Mia madre attese. Pensò che forse aveva ragione lui. Attese ancora un po', poi chiamò una cognata chiedendole di portarla in ospedale. Mia zia le tenne compagnia tutto il giorno, telefonando a mio padre ogni poche ore per chiedergli di raggiungerle. Piú tardi, rispondeva lui, adesso ho da fare, vengo appena posso.

Poco dopo mezzanotte feci capolino nel mondo, a sedere avanti, sicuramente urlando come un'aquila.

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Pagina 36

Ai margini di questi articoli riesco faticosamente a decifrare alcune cronache minori, di avvenimenti dell'epoca quasi relegati nell'ombra dalla concorrenza dell'omicidio. Per esempio: il ritrovamento del cadavere di Rosa Luxemburg nel Landwehr Canal. Per esempio: la conferenza di pace di Versailles. E cosí via, giorno dopo giorno, notizia dopo notizia: il caso Eugene Debs; una nota sul primo film di Caruso «Sembra che... le situazioni siano altamente drammatiche e colme di toccanti sentimenti»); corrispondenze di guerra sulla Rivoluzione Russa; i funerali di Karl Liebknecht e di altri trentatre spartachisti («Piú di cinquantamila persone marciarono nel corteo che si snodava per cinque miglia. Almeno il venti per cento recavano corone. Non si udirono né grida né applausi»); la ratifica dell'emendamento nazionale sul proibizionismo («William Jennings Bryan - l'uomo che ha reso celebre il succo d'uva - presenziò con grandi sorrisi»); lo sciopero dei tessili a Lawrence, Massachussetts, capeggiato dagli Industrial Workers of the World; la morte di Emiliano Zapata, «capo dei banditi del Messico del Sud»; Winston Churchill; Béla Kun; il capo del governo Lenine (sic); Woodrow Wilson; il match Dempsey-Willard.

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Pagina 37

I titoli del primo giorno, 24 gennaio, occupano piú di un terzo della prima pagina.
   HARRY AUSTER ASSASSINATO
   LA POLIZIA ARRESTA LA MOGLIE

Ex importante agente immobiliare ucciso a colpi di pistola nella cucina di sua moglie la notte di giovedí, dopo una lite familiare dovuta a questioni di denaro... e a una donna.

LA MOGLIE DICHIARA: FU SUICIDIO

La vittima era ferita al collo e al fianco destro. La moglie ammette che la pistola che sparò è di sua proprietà. Il mistero potrà essere svelato dal figlio di nove anni che ha assistito alla tragedia.

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Pagina 54

Per tutta la vita sognò di diventare milionario, di essere l'uomo piú ricco del mondo. Non desiderava tanto il denaro in sé, ma ciò che esso rappresentava: non solo il successo agli occhi del mondo, ma uno strumento per rendersi intoccabile. Possedere denaro non significa soltanto la possibilità di comprare le cose, ma anche la certezza che il bisogno universale non ti toccherà mai. Denaro come protezione, dunque, non come voluttà. La povertà sofferta da bambino, e la conseguente vulnerabilità ai capricci del mondo, gli resero la ricchezza sinonimo di immunità dal male, dalle sofferenze, dall'essere vittima. Non cercava tanto di comprarsi la felicità quanto l'assenza di infelicità, e i soldi divennero la panacea, l'oggettivazione dei suoi desideri piú profondi e inesprimibili. Non ambiva a spenderli, ma a possederli, alla certezza di poter contare su di loro. Insomma, il denaro non era un elisir, ma un antidoto: la bottiglietta che ti porti in tasca avventurandoti nella giungla... nel caso ti mordesse un serpente velenoso.

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Pagina 70

Trovati in casa: un orologio, dei maglioni, una giacca, una sveglia, sei racchette da tennis e una vecchia Buick rugginosa che fatica a camminare. Un servizio di piatti, un tavolino da caffè, tre o quattro lampade. Statuetta da bar di johnnie Walker per Daniel. Album familiare spoglio, Questa è la Nostra Vita: gli Auster.

All'inizio pensavo che conservare questi oggetti sarebbe stato un sollievo, che mi avrebbero ricordato mio padre, facendomi pensare a lui nei successivi momenti della sua vita. Ma poi gli oggetti sono soltanto oggetti. Mi ci sono abituato ormai, comincio a sentirli miei. Guardo l'ora sul suo orologio, indosso i suoi maglioni, guido la sua auto: e tutto questo non è che un'illusione di intimità. Mi sono già impadronito delle sue cose, e mio padre è sparito da esse per tornare invisibile. E presto o tardi anche loro morranno, andranno a pezzi e bisognerà buttarle via. Dubito che sembrerà un gesto importante.

«... qui appare giusto che solo chi lavora mangi del pane, solo chi ha conosciuto le tribolazioni trovi riposo, solo chi è sceso nel mondo degli inferi ne riporti l'amata, solo chi ha sguainato il coltello riabbia Isacco... Colui che non lavorerà si annoti quanto è scritto delle vergini di Israele, poiché genererà vento, ma colui che lavorare vuole, genererà il suo stesso padre» (Kierkegaard).

Oltre le due del mattino. Il portacenere colmo, una tazza di caffè vuotata e un gelo d'inizio primavera. Poi un'immagine di Daniel al piano di sopra, addormentato nel suo lettino. Basta, è ora di smettere.

Chiedersi che farà di queste pagine quando sarà abbastanza grande per leggerle.

E l'immagine del suo corpo dolce e feroce, al piano di sopra, addormentato nel lettino. Basta, è ora di smettere. [1979].

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Pagina 71

Il libro della memoria


Stende sul tavolo davanti a sé un pezzo di carta bianca e con la penna scrive queste parole. E' stato. Non sarà mai piú.

Lo stesso giorno, piú tardi, torna nella sua stanza. Prende un nuovo foglio e lo stende sul tavolo davanti a sé. Scrive finché non ha riempito la pagina di parole. Poi, quando legge quel che ha scritto, fatica a decifrarle. Quelle che gli riesce di comprendere non sembrano dire ciò che pensava di avere scritto. Poi esce dalla stanza per cenare.

La notte si dice che domani è un altro giorno. Nuove parole cominciano a risuonargli in mente, ma lui non le trascrive. Decide di chiamarsi A. Cammina avanti e indietro fra tavolo e finestra. Accende la radio. La spegne. Fuma una sigaretta.

Poi scrive. E' stato. Non sarà mai piú.

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Pagina 76

Il solstizio d'inverno: è il periodo piú buio dell'anno. Non fa in tempo a svegliarsi la mattina che già sente il giorno scivolargli via. Non c'è luce dove affondare i denti, né sensazione del tempo che si apre. Al contrario, un'eco di porte che si chiudono, di serrature che scattano. E' una stagione ermetica, un lungo momento introverso. Il mondo esterno, il tangibile mondo della materia e dei corpi, non sembra piú nient'altro che un'emanazione del suo spirito. Ha l'impressione di scivolare tra gli avvenimenti, di incombere sulla propria presenza come uno spettro, quasi stesse vivendo in un punto adiacente a lui stesso... non proprio lí, ma nemmeno altrove. L'impressione di essere stato segregato, e al contempo di passare attraverso le pareti. A un certo punto postilla a margine di un pensiero: tenebra nelle ossa; prendere nota.

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Pagina 85

La sua vita non sembrava piú svolgersi nel presente. Ogni volta che vedeva un bambino, cercava di immaginarsi che aspetto avrebbe avuto da adulto. Ogni volta che vedeva un vecchio, provava a immaginarsi che aspetto avesse avuto da bambino.

Con le donne era peggio, specie quando erano giovani e belle. Non poteva fare a meno di guardare attraverso la pelle del loro volto, immaginando il teschio anonimo che celava. E piú bello era il viso, piú strenuo lo sforzo di cercarvi le tracce invasive dei futuro: rughe incipienti, preannunci di lassità del collo, un lampo d'amarezza negli occhi. Sovrapponeva l'uno all'altro viso: una donna a quarant'anni, la stessa a sessanta, la stessa a ottanta; come se, proprio mentre viveva nel presente, si sentisse obbligato a porsi sulle tracce del domani, a stanare la morte che abita in ognuno di noi.

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Pagina 178 [ fine libro ]

Ultime frasi per Il libro della memoria.

Da una lettera di Nadezda Mandel'stam a Osip Mandel'stam, datata 22 ottobre 1938 e mai spedita.

«Amore mio, non ho parole per scrivere questa lettera... la sto scrivendo nel vuoto dello spazio. Forse al tuo ritorno non mi troverai. Allora questa lettera sarà per te il mio unico ricordo... La vita può davvero essere lunga. Com'è duro e lento per noi questo destino di morire soli. Come può un simile destino toccare a due esseri inseparabili? Cuccioli e infanti, quando ce lo siamo meritato? Tu hai meritato questo, angelo mio? Tutto continua come prima. Non so nulla. Sí, invece, so tutto... ogni giorno, ogni ora della tua vita mi appaiono chiari e distinti come in un delirio... Nel mio ultimo sogno ti compravo del cibo in un sordido ristorante d'albergo. Gli uomini intorno a me erano perfetti sconosciuti. Dopo averlo comprato, mi rendevo conto che non sapevo dove portarlo, perché non so dove sei... Quando mi sono svegliata ho detto a Sura: "Osia è morto". Io non lo so se tu vivi ancora, ma dopo quel sogno ho perduto ogni tua traccia. Non so dove ti trovi. Mi puoi sentire? Sai quanto ti amo? Non potrei mai dirti quanto ti amo. Neanche ora riesco. Parlo con te, solo con te. Tu mi sei sempre accanto, e io che sempre sono stata cosí dura e irascibile, e non ho mai saputo piangere semplici lacrime... ora io piango e piango e piango ancora... Sono io: Nadia. Dove sei tu?»

Stende un pezzo di carta sul tavolo davanti a sé e con la penna scrive queste parole.


Il cielo è azzurro e nero e grigio e giallo. Il cielo non c'è, ed è rosso. Tutto questo tu ieri. Tutto questo avvenne cento anni fa. Il cielo è bianco. Esso odora di terra, e non c'è. Il cielo è bianco come la terra, e odora di ieri. Tutto questo avvenne domani. Tutto questo fu tra cento anni. Il cielo è del colore del limone, e della rosa, e della lavanda. Il cielo è la terra. E' bianco, e non c'è.

Si sveglia. Fa avanti e indietro fra il tavolo e la finestra. Si siede. Si alza. Va avanti e indietro dalla sedia al letto. Si sdraia. Guarda il soffitto. Chiude gli occhi. Li apre. Cammina avanti e indietro fra tavolo e finestra.


Poi trova un foglio vergine. Lo stende sul tavolo davanti a sé e con la penna scrive queste parole.

E' stato. Non sarà mai piú. Ricorda. [1980-1981].

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Pagina 181

Fonti citate nel testo
  p. 6 Samuel Beckett, Finale di partita.
    27 Vincent Van Gogh, Tutte le lettere.
    53 Karl Marx, Manosctitti economico-
       filosofici del 1844.
    61 Isaak Babel', L'Armata a cavallo.
    62 Marcel Proust,
       All'ombra delle fanciulle in fiore.
    64 Maurice Blanchot, L'Arrét de mort.
    70 Soren Kierkegaard, Timore e tremore
    74 Blaise Pascal, Pensieri.
    80 Marco Tullio Cicerone, L'oratore.
    81 Israel Lichtenstein's Last
       Testament, in (a cura di L. S.
       Dawidowicz) A Holocaust Reader.
    86 Gustave Flaubert, Lettere.
    87 Agostino, Confessioni.
    94 Marina Cvetaeva, Insinuarsi e
       Poema della fine.
 94-95 Gregory Altschuller, Marina
       Tsvetayeva: A Physician's Memoir in
       « SUN » vol.IV, n.3, 1980o.
    96 Christopher Wright,
       Rembrandt and his Art.
    97 Anne Frank, Diario.
    98 Friedrich Hólderlin, Lettera a
       Casimir Ulrich Bóhlendorff.
    98 Friedrich Hólderlin, A Zimmer.
   100 San Gerolamo, commento al Libro di
       Giona.
   100 Friedrich Hölderlin,
       In lieblicher Bläue.
   110 Stéphane Mallarmé, Lettera a Henry
       Roujon.
111-13 Stéphane Mallarmé,
       Pour un tombeau d'Anatole.
   114 Gottfried W. Leibniz, Monadologia.
   121 Blaise Pascal, Pensieri.
   125 Il libro di Geremia.
125-27 Il libro di Giona.
   130 B. [André du Bouchet],
       Hölderlin aujourd'hui.
133-36 Carlo Collodi, Le avventure di
       Pinocchio. Storia di un burattino.
   140 Blaise Pascal, Pensieri.
   143 Ibid.
   143 Edward A. Snow, A Study of Vermeer.
   146 Vincent Van Gogh, Tutte le lettere.
   151 Lev Toistoj, Guerra e pace.
   152 Sigmund Freud, Il perturbante.
154-58 Le mille e una notte.
   160 Fëdor Dostoevskij,
       I fratelli Karamazov.
   160 Jim Harrison cit. in William
       Shawcross, The End of Cambodia,
       «New York Review of Books»
       24 gennaio 1980.
   167 Marcel Proust, Dalla parte di Swann
   162 Anne Frank, Diario.
163-64 Il libro di Giona.
   166 Gottfried W. Leibniz, Monadologia.
   167 Blaise Pascal, Pensieri.
   168 Carlo Collodi, Le avventure di
       Pinocchio. Storia di un burattino.
   170 Sigmund Freud,
       Il poeta e la fantasia.
   178 Nadezda Mandel'stam,
       Le mie memorie.

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