Copertina
Autore Paul Auster
Titolo Uomo nel buio
EdizioneEinaudi, Torino, 2008, Supercoralli , pag. 154, cop.ril.sov., dim. 14,5x22,2x1,4 cm , Isbn 978-88-06-19474-1
OriginaleMan in the Dark [2008]
TraduttoreMassimo Bocchiola
LettoreRenato di Stefano, 2008
Classe narrativa statunitense
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Pagina 3

Sono solo nel buio a rigirarmi il mondo nella testa mentre attraverso con fatica un'altra crisi d'insonnia, un'altra notte in bianco nei grandi spazi selvaggi d'America. Di sopra, mia figlia e mia nipote dormono ognuna nella propria stanza, sole anche loro: la mia unica figlia Miriam, di quarantasette anni, che dorme sola da cinque, e la sua unica figlia Katya, di ventitre, che dormiva con un ragazzo di nome Titus Small, ma ora Titus è morto e Katya dorme sola col suo cuore spezzato.

Luce intensa, poi buio. Il sole che entra da ogni angolo di cielo seguito dal nero della notte, le stelle silenziose, il vento che fa stormire i rami. È la norma. Abito in questa casa da piú di un anno - cioè da quando mi hanno dimesso dall'ospedale. Miriam aveva insistito che venissi qui, e all'inizio eravamo noi due soli piú un'infermiera diurna che mi accudiva quando Miriam era al lavoro. Poi, tre mesi dopo, la disgrazia si abbatté su Katya e lei lasciò la scuola di cinema di New York per tornare a vivere con sua madre nel Vermont.

I genitori lo avevano chiamato come il figlio di Rembrandt, il bambino dei quadri, il piccolo con la chioma d'oro e il cappello rosso, lo scolaretto sognante che si arrovella sulla lezione: il bambino, insomma, che diventò un ragazzo dilaniato dalla malattia e mori nei suoi vent'anni, proprio come il Titus di Katya. È un nome maledetto, un nome che si dovrebbe mettere al bando per sempre. Ripenso spesso alla morte di Titus, all'orrore di quella morte, alle sue immagini, alle sue conseguenze disastrose per la mia disperata nipote, ma ora non voglio andare su quel terreno, non posso andarci, devo tenerlo il piú lontano possibile. La notte è ancora giovane, e mentre sto supino con gli occhi che guardano nel buio, un buio cosí nero che non si vede il soffitto, comincio a ricordarmi il racconto che ho iniziato la notte scorsa. Quando il sonno non vuole venire faccio cosí. Rimango steso a letto e mi racconto storie. Forse vorranno dire poco, ma fino a quando sono al loro interno mi impediscono di pensare alle cose che preferirei scordare. Restare concentrato, però, può essere dura, e il piú delle volte la mia mente finisce per scivolare dalla storia che cerco di raccontare alle cose cui non vorrei pensare. Non posso farci nulla. Fallisco a ripetizione, sono piú i fallimenti dei successi, ma questo non significa che non faccia il possibile.

Lo metto in una buca. Mi sembra buono come inizio, un modo promettente per avviare le cose. Metti un uomo che dorme in una buca e vedi che succede quando si sveglia e cerca di tirarsi fuori. Parlo di una buca nel terreno, profonda, due metri e mezzo o anche tre, scavata in modo da formare un cerchio perfetto, con pareti a novanta gradi di terra densa, compattissima, cosí dura che la sua superficie è liscia come ceramica o addirittura vetro. In altre parole, quando l'uomo nella buca aprirà gli occhi non sarà in grado di venirne fuori. A meno che non abbia un equipaggiamento da alpinista, per esempio un martello e dei chiodi di metallo, o una fune per prendere al laccio un albero vicino; ma quest'uomo non ha nessun attrezzo, e al risveglio capirà subito la natura della situazione problematica in cui si trova.

Bene, ora succede. L'uomo riprende i sensi e scopre di essere disteso supino, lo sguardo alzato a un cielo serale senza nuvole. Il suo nome è Owen Brick e non ha idea di come sia finito in questo posto, non ricorda di essere caduto in questa buca cilindrica del diametro - a occhio - di circa quattro metri. Si alza a sedere. Con sua sorpresa, veste una divisa militare di ruvida lana grigio-opaco. Ha un berretto in testa, ai piedi un paio di anfibi in pelle nera, decisamente usati, allacciati ben stretti sopra le caviglie con un doppio nodo. Sulle maniche della giacca ha due «baffi» di stoffa, quindi la divisa appartiene a qualcuno con il grado di caporale. Quel qualcuno potrebbe essere Owen Brick, ma l'uomo nella buca che si chiama Owen Brick non ricorda di aver fatto il soldato o combattuto una guerra in nessun momento della sua vita.

In mancanza di altre spiegazioni pensa di aver preso una botta in testa, con temporanea amnesia. Quando però si tocca il cranio con la punta delle dita e comincia a cercare bernoccoli o tagli, non trova alcun segno di gonfiore, né abrasioni, né lividi: nessun indizio che abbia avuto simili ferite. E allora, cos'è stato? Forse ha subito un trauma debilitante che gli ha annebbiato ampie porzioni di cervello? Può darsi. Ma a meno che d'un tratto non gli torni il ricordo di quel trauma, non lo potrà sapere. Poi comincia a esplorare l'eventualità di essere addormentato, a casa, nel suo letto, preso in un sogno di una lucidità soprannaturale, cosí intenso e realistico che il confine tra sogno e coscienza sembra quasi svanito. Se questo fosse vero, allora non dovrebbe fare altro che aprire gli occhi, saltare giú dal letto e andare in cucina a prepararsi il caffè mattutino. Ma come puoi aprire gli occhi quando sono già aperti? Sbatte le palpebre per un po' di volte, pensando come un bambino che magari cosí spezzerà l'incantesimo - però non c'è un incantesimo da spezzare, e il letto magico non si materializza.

In alto passa una frotta di storni, che entrano per cinque o sei secondi nel suo campo visivo e poi vanno a scomparire nel crepuscolo. Brick si alza in piedi per ispezionare i dintorni, e nel gesto si accorge di un oggetto che gli gonfia la tasca anteriore sinistra dei calzoni. L'oggetto è un portafoglio, il suo portafoglio che, oltre a settantasei dollari americani, contiene una patente di guida rilasciata dallo Stato di New York a un certo Owen Brick, nato il 12 giugno 1977. Una conferma di quanto Brick sa già: cioè che sta per compiere trent'anni e vive a Jackson Heights, nel Queens. Sa anche di essere sposato con una donna di nome Flora e di aver svolto negli ultimi sette anni la professione di prestigiatore - soprattutto alle feste di compleanno dei bambini in giro per la città - col nome d'arte di Il Grande Zavello. Questi dati non fanno che infittire il mistero. Se è cosí certo della propria identità, come mai è finito in fondo a questa buca, vestito nientemeno che con una divisa da caporale, senza documenti né piastrina, e senza una carta d'identità militare che ne certifichi la condizione di soldato?

Non gli ci vuole molto per capire che la fuga è impossibile. Il muro circolare è troppo alto, e quando gli dà un calcio con lo scarpone nella speranza di scalfire la superficie creando una specie di tacca per il piede che lo aiuti a salire, l'unico risultato è un alluce dolente. La notte sta calando veloce e nell'aria c'è freddo, un freddo umido primaverile che gli penetra nel corpo; e anche se Brick ha cominciato a preoccuparsi, per adesso è ancora piú sconcertato che impaurito. Comunque non riesce a trattenersi dal chiamare aiuto. Finora attorno a lui tutto è stato silenzioso, da far pensare che si trovi in una campagna remota, spopolata, senza altri rumori che un grido d'uccello ogni tanto e il fruscio del vento. E invece quasi a comando, come per una qualche logica sghemba di causa-effetto, nel momento in cui grida la parola AIUTO, in lontananza esplode un fuoco di cannoni e il cielo dell'imbrunire è illuminato da sfreccianti comete di distruzione. Brick sente mitragliatrici, scoppi di bombe a mano e, in sottofondo, senza dubbio a chilometri di distanza, un coro soffocato di voci umane ululanti. Capisce che questa è una guerra e lui è un soldato di questa guerra, ma senza armi con sé, senza alcun modo di difendersi da un attacco, e per la prima volta dal risveglio nella buca ha veramente paura.

Gli spari continuano per piú di un'ora, poi man mano si placano in silenzio. Poco dopo Brick sente un debole suono di sirene e immagina che siano le autopompe che accorrono verso gli edifici danneggiati nell'attacco. Quindi tacciono anche le sirene e la quiete ridiscende su di lui. Oltre che infreddolito e spaventato, Brick è esausto, e dopo essersi aggirato dentro i confini del suo carcere cilindrico finché nel cielo non appaiono le stelle, si sdraia a terra e finalmente riesce ad addormentarsi.

La mattina presto è svegliato da una voce che lo chiama da sopra la buca. Brick alza gli occhi e vede la faccia di un uomo che si sporge sull'orlo: non vedendo nient'altro che il viso suppone che l'uomo sia steso a pancia in giú.

Caporale, dice l'uomo. Caporale Brick, è ora di muoversi.

Brick si alza in piedi e, adesso che i suoi occhi sono soltanto a un metro dalla faccia dello sconosciuto, vede che è un uomo bruno, col mento squadrato, una barba di due giorni e un berretto militare identico al suo. Prima che Brick possa far presente che muoversi gli piacerebbe eccome, ma non è affatto in condizione di farlo, il viso dell'uomo sparisce.

Non temere, lo sente dire. Fra un attimo ti tiriamo fuori.

Passa qualche secondo e poi si sente il rumore di un martello, o un mazzuolo di ferro, che batte su un oggetto metallico, e poiché il rumore a ogni colpo diventa meno sonoro, Brick ipotizza che l'uomo stia piantando un picchetto. E se fosse un picchetto, forse tra poco ci attaccheranno una fune, e con quella fune Brick ce la farà ad arrampicarsi fuori dalla buca. Il baccano finisce, passano altri trenta o quaranta secondi e poi, come previsto, una fune cala fino ai suoi piedi.

Brick è un prestigiatore, non un culturista, e anche se salire circa un metro di fune non è un'impresa epica per un trentenne in buona salute... be', ha il suo daffare a issarsi fino in cima. La parete non gli è di alcun aiuto perché le suole degli anfibi continuano a scivolare sulla superficie liscia, e quando cerca di stringere la fune tra i piedi non trova una presa salda, quindi deve contare soltanto sulla forza delle braccia; ma dato che le sue braccia non sono né muscolose né potenti, e il materiale ruvido della fune gli sfrega i palmi, questa semplice operazione si trasforma in una specie di battaglia. Quando finalmente si avvicina all'orlo e l'altro uomo lo afferra per la mano destra issandolo all'altezza del suolo, Brick è senza fiato, e si vergogna di se stesso. Dopo una prestazione cosí misera, si aspetta di essere deriso per la sua inettitudine, ma miracolosamente l'uomo si astiene da commenti sprezzanti.

Mentre si alza faticosamente in piedi, Brick nota che la divisa del suo salvatore è identica alla sua, con l'unica eccezione che sulle maniche della giacca non ci sono due strisce, ma tre. C'è una fitta nebbia, e stenta a capire dove si trova. Qualche punto isolato nella campagna, come sospettava, ma la città o cittadina che è stata attaccata nella notte non si vede da nessuna parte. Le uniche cose che riesce a distinguere con una certa chiarezza sono il paletto di metallo cui è annodata la fune e una jeep infangata a tre metri dall'orlo della buca.

Caporale, dice l'uomo salutando Brick con una stretta di mano ferma e calorosa. Sono Serge Tobak, il tuo sergente. Piú noto come Serge Serge.

Brick abbassa lo sguardo su quell'uomo, che è almeno quindici centimetri piú piccolo di lui, e ripete il nome sottovoce: Serge Serge.

Lo so, fa Tobak. È un nome troppo ridicolo, ma mi è rimasto appiccicato, e non posso farci niente. Se non puoi batterli unisciti a loro, giusto?

Cosa ci faccio qui?, chiede Brick, cercando di dominare l'ansia nella sua voce.

Vedi di calmarti, ragazzo. Stai combattendo una guerra. Cosa credevi che fosse? Un luna park?

Quale guerra? Vuoi dire che siamo in Iraq?

Iraq? E che c'importa dell'Iraq?

L'America sta combattendo una guerra in Iraq. Lo sanno tutti.

Che si fotta, l'Iraq. Qui siamo in America, e l'America combatte contro l'America.

Che cosa dici?

Guerra civile, Brick. Non sai niente? È il quarto anno, ormai. Ma ora che sei arrivato tu, finirà presto. Sei l'uomo della svolta.

Come sai il mio nome?

Appartieni al mio plotone, scemo.

E la buca? Cosa ci facevo li dentro?

È la procedura. Tutte le nostre nuove reclute arrivano cosí.

Ma io non ho firmato. Non mi sono arruolato.

Certo. Nessuno si arruola. Ma funziona in questo modo. Sei li che stai vivendo la tua vita e poi... zac; ti ritrovi nella guerra.

Brick è cosí sconcertato dalle parole di Tobak che non sa cosa rispondere.

La situazione è questa, continua a blaterare il sergente. Tu sei il cretino che hanno scelto per il lavoro grosso. Non chiedermi perché, ma lo stato maggiore ti crede l'uomo ideale per questo incarico. Forse perché nessuno ti conosce, o forse perché hai questa... questa che cosa? quest'aria insulsa, e nessuno sospetterebbe che tu sia un sicario.

Sicario?

Esatto, sicario. Ma io preferisco usare il termine liberatore. O pacificatore. Comunque ti vada di chiamarti, senza di te la guerra non finirebbe mai.

Brick vorrebbe scappare via all'istante, ma essendo disarmato non gli vengono in mente altre soluzioni che stare al gioco. E chi dovrei uccidere?, domanda.

Non è tanto un chi, quanto un che cosa, risponde il sergente, enigmatico. Non siamo neanche certi del suo nome. Potrebbe essere Blake. Potrebbe essere Black. Potrebbe essere Bloch. Ma abbiamo un indirizzo, e se a quest'ora non se l'è già filata, non dovresti avere problemi. Ti organizziamo un contatto in città, ti metti sotto copertura e fra qualche giorno tutto sarà finito.

E come mai quest'uomo merita di morire?

Perché possiede la guerra. L'ha inventata lui, e tutto quello che succede o succederà sta dentro la sua testa. Elimina quella testa e la guerra finisce. Semplice.

Semplice? Da come ne hai parlato, sembra Dio.

Non Dio, caporale... solo un uomo. Sta tutto il giorno seduto in una stanza a scrivere, e quello che scrive si avvera. Secondo i rapporti dell'intelligence è tormentato dal senso di colpa, ma non può fermarsi. Se quel bastardo avesse il fegato di farsi saltare le cervella, ora non saremmo qui a fare questi discorsi.

Mi dici che è una storia... che un uomo sta scrivendo una storia, e che tutti ne facciamo parte.

Piú o meno.

E quando sarà morto, cosa succederà? La guerra finirà, ma che sarà di noi?

Tutto tornerà normale.

O forse spariremo.

Forse. Però è un rischio che dobbiamo correre. Agire o morire, figliolo. Ci sono stati oltre tredici milioni di morti. Se le cose continuano cosí ancora per molto, metà della popolazione resterà uccisa prima che tu te ne accorga.

Brick non ha intenzione di uccidere nessuno, e piú ascolta Tobak piú è sicuro che sia un pazzo scatenato. Ma per ora non ha altra scelta che fingere di capire, di comportarsi come se fosse ansioso di portare a termine la missione.

Serge Serge si avvicina alla jeep, prende dal sedile posteriore una sacca di plastica bella gonfia e la porge a Brick. I tuoi nuovi vestiti, dice; e ordina al prestigiatore, li, all'aperto, di togliersi la divisa e indossare i panni civili contenuti nella sacca: un paio di jeans neri, una camicia Oxford azzurra, un golf scollato a V, una cintura, un giubbotto di pelle marrone e scarpe di pelle nera. Poi gli consegna uno zaino di nylon verde con dentro altri vestiti, l'occorrente per radersi, uno spazzolino e un dentifricio, una spazzola, una rivoltella calibro 38 e una scatola di proiettili. Infine Brick riceve una busta con venti banconote da cinquanta dollari e un foglietto con nome e indirizzo del suo contatto.

Lou Frisk, dice il sergente. Brava persona. Appena arrivi in città vai da lui e ti dirà tutto ciò che devi sapere.

Di quale città parli?, chiede Brick. Non ho la minima idea di dove siamo.

Wellington, risponde Tobak, girando sui tacchi verso destra e indicando la densa nebbia mattutina. Venti chilometri a nord. Resta su questa strada e a metà pomeriggio ci sarai.

Ma devo andare a piedi?

Mi spiace. Ti darei un passaggio, però vado nella direzione opposta. I miei uomini mi aspettano.

Senza fare colazione? Venti chilometri a stomaco vuoto...

Scusami anche di questo. Avrei dovuto portarti un tramezzino con l'uovo e un thermos di caffè, ma mi sono dimenticato.

Prima di partire per tornare dai suoi, Serge Serge tira su la fune dalla buca, svelle il paletto dal terreno e getta il tutto sul sedile posteriore della jeep. Poi si mette al volante e accende il motore. Nel salutare Brick militarmente, aggiunge: Non mollare, soldato. A me non sembri troppo un killer, ma cosa ne so io? Io ho sempre torto su tutto.

Senza aggiungere altro, Tobak preme il piede sull'acceleratore e dopo un attimo non c'è più, è già sparito nella nebbia. Brick non si muove. È infreddolito e affamato, sconcertato e atterrito, e per oltre un minuto resta lí, in mezzo alla strada, a domandarsi cosa farà adesso. Alla fine comincia a rabbrividire nell'aria gelida. Ed è questo che gli fa prendere la decisione. Deve muovere le gambe per scaldarsi e cosí, senza nessuna idea di quello che lo aspetta, si volta, mette le mani in tasca e si incammina verso la città.

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