Copertina
Autore Paul Auster
Titolo Viaggi nello scriptorium
EdizioneEinaudi, Torino, 2007, Supercoralli , pag.114, cop.ril.sov., dim. 14x22x1,3 cm , Isbn 978-88-06-18349-3
OriginaleTravels in the Scriptorium [2006]
TraduttoreMassimo Bocchiola
LettoreRenato di Stefano, 2007
Classe narrativa statunitense
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Pagina 3

Il vecchio è seduto sull'orlo del piccolo letto con le mani appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bassa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pensare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una macchina fotografica. A ogni secondo l'otturatore fa uno scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. E anche se il vecchio sapesse che lo stanno guardando, non cambierebbe nulla. La sua mente è altrove, arenata tra le immagini fittizie che gli affollano il cervello mentre cerca una risposta alla domanda che lo ossessiona.

Chi è lui? Cosa ci fa qui? Quando è arrivato, e fino a quando resterà? Con un po' di fortuna, il tempo ci dirà tutto. Per ora, nostro unico compito è studiare con la massima attenzione le immagini senza voler dedurre conclusioni premature.

Nella stanza c'è un certo numero di oggetti, e sulla superficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro adesivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per esempio, sul comodino c'è la parola COMODINO. Sulla lampada c'è la parola LAMPADA. Anche sul muro, che non sarebbe a rigore un oggetto, c'è una striscia di nastro con scritto MURO. Per un attimo il vecchio alza gli occhi, vede il muro, vede il nastro attaccato al muro e dice piano la parola muro. Quello che a questo punto non possiamo sapere è se stia leggendo la parola sul nastro o se si riferisca soltanto al muro in sé. Può darsi che abbia disimparato a leggere, ma riconosca ancora le cose per quello che sono, e sappia chiamarle con i loro nomi; o che, invece, abbia perso la capacità di riconoscere le cose per quello che sono, ma sappia ancora leggere.

Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzurre e un paio di ciabatte di pelle nera. Dove sia esattamente, non gli è chiaro. Nella stanza, d'accordo, ma in quale edificio si trova la stanza? In una casa? In un ospedale? In una prigione? Non ricorda da quanto tempo sia qui, né la natura delle circostanze che sono precipitate nel suo trasferimento. Forse è sempre stato in questo luogo; forse ci vive dal giorno della sua nascita. Sa soltanto di avere il cuore gonfio per un implacabile senso di colpa. E nel contempo non riesce ad allontanare l'idea di essere vittima di una terribile ingiustizia.

Nella stanza c'è una finestra, ma ha la tendina abbassata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori. Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcellana. È chiuso dentro, o è libero di andare e venire come vuole? Su questo il vecchio deve ancora indagare - perché, come già si è detto nel primo paragrafo, la sua mente è altrove, alla deriva nel passato, mentre lui vaga tra i fantasmi che gli affollano il cervello, spremendosi per rispondere alla domanda che lo ossessiona.

Le immagini non mentono, ma neppure raccontano la storia per intero. Sono mere testimoni, evidenze esteriori del tempo che passa. Per esempio, non è facile stabilire l'età del vecchio dalle immagini un po' sfocate in bianco e nero. L'unica conclusione che si può trarre con sicurezza è che non è giovane, ma la parola vecchio è un termine flessibile, che può descrivere una persona di qualsiasi età compresa fra i sessanta e i cent'anni. Dunque d'ora in poi smetteremo l'epiteto di vecchio chiamando l'individuo nella stanza Mr Blank. Per il momento, basterà il cognome.

Infine Mr Blank si alza dal letto, si sofferma brevemente per trovare l'equilibrio e poi ciabatta fino alla scrivania all'altro capo della stanza. Si sente stanco come se si fosse appena svegliato da una notte di sonno agitato e insufficiente, e il rumore delle suole delle ciabatte sull'assito nudo gli ricorda il raschiare della carta vetrata. Remoto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio che contiene la stanza, sente il richiamo fioco di un uccello - un corvo, forse, o un gabbiano, non sa dire.

Mr Blank abbassa il suo corpo sulla sedia della scrivania. Decide che è una sedia comodissima, rivestita di morbida pelle marrone e provvista di ampi braccioli per l'appoggio di gomiti e avambracci, senza parlare dell'invisibile congegno a molla che gli consente di dondolarsi avanti e indietro a piacere: esattamente questo inizia a fare nel momento in cui si siede. Dondolandosi avanti e indietro Mr Blank si rasserena, e mentre continua a concedersi queste simpatiche oscillazioni ricorda il cavallo a dondolo che aveva da bambino nella sua cameretta; e comincia a rivivere alcuni viaggi immaginari che faceva sempre su quel cavallo, il cui nome era Whitey e che, nella mente del piccolo Mr Blank, non era un pezzo di legno pitturato di bianco, ma un essere vivente, un cavallo vero.

Dopo la breve puntata nella sua infanzia, Mr Blank sente l'angoscia che torna a salirgli nella gola. Ad alta voce, dice stancamente: Non posso permettere che succeda questo. Poi tende il collo per esaminare i mucchi ordinati di fogli e fotografie appoggiati sul piano della scrivania di mogano. Prima prende le foto, tre dozzine di ritratti in bianco e nero formato 20 X 25 di uomini e donne di diverse razze ed età. La prima ritrae una ragazza sui vent'anni. Ha i capelli scuri tagliati corti, e gli occhi guardano la lente con un'espressione intensa e preoccupata. È in piedi all'aperto, in una città: forse una città dell'Italia o della Francia, visto che si trova davanti a una chiesa medievale; e dato che indossa una sciarpa e una giacca di lana, si può sensatamente dedurre che sia stata fotografata in inverno. Mr Blank fissa gli occhi della ragazza sforzandosi di ricordare chi è. Dopo una ventina di secondi, sente se stesso dire una sola parola: Anna. E si sente travolto da un'ondata di amore. Si domanda se Anna sia una donna con cui è stato sposato; o, invece, se non stia guardando una foto di sua figlia. Un attimo dopo aver formulato questi pensieri è invaso da un nuovo senso di colpa e capisce che Anna è morta. Peggio, sospetta di essere lui il responsabile della sua morte. Può anche darsi, dice fra sé, che l'abbia uccisa io.

Mr Blank geme di dolore. Guardare le foto è troppo per lui, quindi le mette da parte e rivolge l'attenzione ai fogli. Ce ne sono quattro risme in tutto, alte una quindicina di centimetri. Senza nessun particolare motivo di cui sia cosciente, prende la prima pagina dell'ultima risma a sinistra. Le parole, manoscritte in uno stampatello simile a quello delle strisce di nastro adesivo, dicono cosí:

Vista dalle piú remote distanze spaziali, la Terra non è piú grande di un granello di polvere. Ricordatevelo, la prossima volta che scriverete la parola «umanità».

Dal disgusto che si diffonde sul suo volto mentre esamina queste frasi, possiamo essere abbastanza sicuri che Mr Blank non ha disimparato a leggere. Ma chi possa essere l'autore delle frasi, resta ancora da scoprire.

Mr Blank prende la seconda pagina della risma e vede che si tratta di un testo dattiloscritto. Il primo paragrafo dice:

Nel momento in cui ho cominciato a raccontare la mia storia, mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a darmi calci in testa. Quando mi sono rialzato e ho ripreso a parlare, uno di loro mi ha colpito alla bocca, e un altro mi ha sferrato un pugno nello stomaco. Sono andato giú. Sono riuscito a rialzarmi di nuovo, ma proprio mentre cominciavo per la terza volta a raccontare, il Colonnello mi ha sbattuto contro il muro e ho perso i sensi.

La pagina contiene altri due paragrafi, ma Mr Blank non fa in tempo a mettersi a leggere il secondo che squilla il telefono. È un modello nero, a disco, di fine anni Quaranta, o inizio Cinquanta, e sta sul comodino, quindi Mr Blank deve alzarsi dalla sedia di pelle morbida e ciabattare all'altro capo della stanza. Alza il ricevitore al quarto squillo.

Pronto, dice Mr Blank.

È Mr Blank?, chiede la voce in linea.

Se lo dice lei.

È sicuro? Non posso correre rischi.

Io non sono sicuro di niente. Se mi vuole chiamare Mr Blank, risponderò a quel nome di buon grado. Con chi parlo?

Sono James.

Non conosco nessun James.

James P. Flood.

Mi faccia ricordare.

Sono venuto a trovarla ieri. Abbiamo passato due ore insieme.

Oh. Il poliziotto.

Ex poliziotto.

Ah, già. L'ex poliziotto. Cosa posso fare per lei?

Vorrei rivederla.

Non le è bastata una conversazione?

Oh, no. So di essere solo un personaggio secondario in questa faccenda, ma mi hanno detto che avevo diritto di vederla due volte.

Mi sta dicendo che non ho scelta.

Temo di no. Ma non è necessario che parliamo nella stanza se non lo desidera. Se preferisce possiamo uscire e andarci a sedere nel parco.

Non ho niente da mettere. Sono qui in pigiama e ciabatte.

Guardi nell'armadio. Ha tutti i vestiti che le servono.

Ah, l'armadio. Grazie.

Ha già fatto colazione, Mr Blank?

Non credo. Mi è permesso mangiare?

Tre pasti al giorno. Dunque... è ancora un po' presto, ma fra poco dovrebbe arrivare Anna.

Anna? Ha detto Anna?

È la persona che si cura di lei.

Credevo fosse morta.

Non direi proprio.

Forse è un'altra Anna.

Ne dubito. Di tutte le persone coinvolte in questa storia, lei è l'unica che sia al cento per cento dalla sua parte.

E gli altri?

Diciamo solo che c'è un bel po' di astio in giro, e fermiamoci qui.


Bisogna osservare che, oltre alla macchina fotografica, c'è anche un microfono dissimulato in una delle pareti, e ogni rumore fatto da Mr Blank viene riprodotto e conservato da un registratore digitale a nastro ad alta sensibilità. Il minimo gemito o singhiozzo, il minimo colpo di tosse o la flatulenza piú tenue che gli fuoriesca dal corpo sono dunque anche loro parte integrante della nostra cronaca. Inutile dire che questi dati acustici comprendono anche le parole in vario modo borbottate, dette o gridate da Mr Blank, come per esempio la telefonata di James Flood riportata sopra. Il colloquio termina con Mr Blank che cede a malincuore alla richiesta dell'ex poliziotto di andarlo a visitare in mattinata. Posata la cornetta, Mr Blank si siede sull'orlo del lettino in posizione identica a quella descritta nella frase iniziale di questa cronaca: a palmi aperti sulle ginocchia, testa bassa, occhi al pavimento. Si chiede se non dovrebbe alzarsi in piedi e cercare l'armadio di cui ha parlato Flood; e se non farebbe bene a togliersi il pigiama e indossare qualche vestito, purché l'armadio esista e, se esiste, purché contenga dei vestiti. Ma Mr Blank non ha fretta di dedicarsi a queste banalità. Vuole tornare al dattiloscritto che aveva iniziato a leggere prima di essere interrotto dal telefono. Perciò si alza dal letto e fa un primo passo esitante verso l'altro capo della stanza, sentendo nel frattempo un improvviso capogiro. Capisce che se si ostina a stare ritto cadrà, ma anziché tornare al letto e sedercisi sopra fino a quando la crisi non sarà finita, accosta la mano destra al muro, vi si appoggia con tutto il peso e piano piano scende fino a terra. Ora in ginocchio, Mr Blank si lascia cadere in avanti e pianta contro il pavimento anche i palmi delle mani. Malgrado il capogiro, è talmente risoluto a raggiungere la scrivania che ci arriva carponi.

Quando riesce a issarsi sulla sedia di pelle, si dondola qualche secondo avanti e indietro per distendere i nervi. Malgrado gli sforzi fisici, si rende conto che riprendere a leggere il dattiloscritto gli fa paura. Come mai lo abbia colto questa paura è una cosa che non sa spiegare. Sono solo parole, dice fra sé, e da quando le parole hanno il potere di spaventare quasi a morte un uomo? Non riuscirà, mormora a voce bassa, quasi impercettibile. Poi, per tranquillizzarsi, ripete la medesima frase urlando con quanto fiato ha nei polmoni: NON RIUSCIRÀ!

Inspiegabilmente, l'improvvisa esplosione sonora gli dà il coraggio di continuare. Respira a fondo, ferma gli occhi sulle parole davanti a lui e legge i due paragrafi seguenti:

Da allora mi hanno sempre tenuto in questa stanza. Da quel che posso capire, non si tratta di una classica cella, e non sembra appartenere al carcere militare o alla prigione di zona. È un piccolo spazio chiuso, piú o meno tre metri e mezzo per quattro e mezzo, e data la semplicità della costruzione (pavimento di terra, spessi muri di pietra), ho idea che un tempo possa essere servito da magazzino per derrate alimentari, magari sacchi di farina o granaglie. C'è un'unica finestra con le sbarre alla sommità del muro occidentale, ma è troppo in alto perché possa mettervi mano. Dormo in un angolo, su una stuoia di paglia, e mi danno due pasti al giorno: porridge freddo al mattino, minestra tiepida e pane duro alla sera. Secondo i miei calcoli, mi trovo qui da quarantasette notti. Ma potrei sbagliarmi. Nei primi giorni in cella ho subito numerosi pestaggi, e non ricordando quante volte ho perso i sensi - né la durata dei periodi di incoscienza quando mi è capitato - può darsi che a un certo punto abbia perso il conto e non mi sia accorto del sorgere di un sole o del tramonto di un altro.

Il deserto inizia appena fuori dalla mia finestra. Ogni volta che il vento spira da ovest, sento il profumo dei cespi di salvia e di ginepro, la vegetazione minima di quelle aride distese. Là fuori io ho vissuto solo, per quasi quattro mesi, vagando liberamente da un luogo all'altro, dormendo all'aperto con ogni clima, e non mi è stato facile fare ritorno dalla vastità di quelle lande ai miseri confini di questa stanza. Posso resistere alla forzata solitudine, alla mancanza di colloquio e contatti umani, ma spasimo per vivere di nuovo nell'aria e nella luce, e passo i giorni affamato di qualcosa da guardare oltre questi rugosi muri di pietra. Di tanto in tanto dei soldati camminano sotto la mia finestra. Sento i loro scarponi scricchiolare sui terreno, gli scoppi irregolari delle loro voci, il frastuono dei carri e dei cavalli nella calura del giorno inaccessibile. Questa è la guarnigione di Ultima: la propaggine piú occidentale della Confederazione, il posto al limite del mondo conosciuto. Qui siamo a oltre duemila miglia dalla capitale, affacciati sulle distese incognite dei Territori alieni. Per legge, a nessuno è permesso di andarci. Io l'ho fatto perché me l'avevano ordinato, e ora sono tornato per fare il mio rapporto. Mi ascolteranno o non mi ascolteranno, poi mi accompagneranno fuori e sarò fucilato. Di questo ora sono quasi sicuro. L'importante è non illudere me stesso, non farmi tentare dalla speranza. Quando infine mi metteranno al muro e punteranno i fucili contro il mio corpo, l'unica cosa che chiederò loro sarà di togliermi la benda dagli occhi. Non perché mi interessi vedere gli uomini che mi uccideranno, ma perché voglio guardare ancora il cielo. I miei desideri attuali sono tutti qui. Stare fuori, all'aperto, e alzare gli occhi all'immenso cielo azzurro sopra di me, per guardare un'ultima volta l'infinito che urla.

Mr Blank smette di leggere. Anziché impaurito ora si sente confuso, e anche se fino a qui ha compreso ogni parola del testo, non sa cosa pensarne. È un vero rapporto?, si domanda; e che dire del paese detto la Confederazione, con la sua guarnigione di Ultima e i misteriosi Territori alieni...? e perché questa prosa in stile ottocentesco? Mr Blank sa bene di non avere affatto la mente a posto, sa di non sapere un bel niente del luogo in cui si trova e dei motivi per cui vi si trova, ma è abbastanza sicuro che il momento attuale si collochi grossomodo agli inizi del XXI secolo, e di vivere in un paese chiamato Stati Uniti d'America. Quest'ultimo pensiero gli ricorda la finestra, o a essere precisi la tendina della finestra, su cui è stata attaccata una striscia di nastro adesivo bianco con la parola TENDINA. Premendo le piante dei piedi sul pavimento e le braccia sui braccioli della sedia di pelle, ruota di novanta-cento gradi a destra per dare un'occhiata alla tendina suddetta - perché la sedia può non solo dondolare avanti e indietro, ma anche girare in tondo. Quest'ultima scoperta fa talmente piacere a Mr Blank che al momento dimentica perché prima volesse guardare la tendina della finestra, e si abbandona al tripudio per la finora ignota prerogativa della sedia. Gira in tondo una volta, poi due volte, poi tre, e nel frattempo ricorda quando era bambino e si sedeva sulla sedia del barbiere, e anche il barbiere Rocco lo faceva girare in questo modo prima e dopo avergli tagliato i capelli. Fortunatamente, quando Mr Blank si calma la sedia è circa nella stessa posizione dell'istante in cui aveva cominciato a girare in tondo, quindi si trova a guardare di nuovo la tendina della finestra: e ancora Mr Blank, dopo questo piacevole Intermezzo, si domanda se non tarebbe meglio ad accostarsi alla finestra stessa, ad alzare la tendina e a guardare fuori per vedere dov'è. Forse non è piú in America, dice fra sé, ma in qualche altro paese, rapito a notte fonda da agenti segreti che lavorano per una potenza straniera.

D'altra parte la triplice rivoluzione sulla sedia gli ha lasciato un bel capogiro, e Mr Blank è titubante a muoversi dal suo posto, temendo il ripetersi dell'episodio che pochi minuti prima lo ha costretto ad attraversare la stanza carponi. Ciò che Mr Blank adesso ancora non sa è che la sedia di pelle, oltre a basculare avanti e indietro e a girare in tondo, è anche dotata di quattro rotelle che gli renderebbero possibile transitare fino alla tendina della finestra senza il problema di alzarsi. Ignaro di poter disporre di altri mezzi di propulsione oltre alle gambe, Mr Blank resta li dov'è, seduto sulla sedia, dando la schiena alla scrivania, gli occhi sull'ex bianca ma ora sempre piú ingiallita tendina della finestra, tentando di ricordare la sua conversazione pomeridiana con l'ex poliziotto James P. Flood. Esplora la sua mente in cerca di un'immagine, di qualche indizio sull'aspetto dell'uomo; ma la mente, anziché evocare qualche figura distinta, è di nuovo sopraffatta da una paralizzante sensazione di colpa. Tuttavia, prima che questa nuova ondata di tormento e terrore possa lievitare in panico vero e proprio, Mr Blank sente che qualcuno sta tamburellando alla porta, e poi un rumore di chiave entrata nella serratura. Significa che Mr Blank è prigioniero nella stanza, impossibilitato a uscirne se non per grazia e carità di altri? Non necessariamente. Può anche darsi che Mr Blank abbia chiuso la porta dall'interno, e che la persona che ora cerca di entrare nella stanza debba far scattare la serratura per varcare la soglia, risparmiando cosí a Mr Blank la noia di alzarsi per aprire lui stesso.

Sia come sia, la porta ora si apre ed entra una donna piccola, di età indefinibile - tra i quarantacinque e i cinquant'anni, a occhio di Mr Blank, ma è difficile essere sicuri. Porta i capelli grigi corti, un paio di calzoni blu e una camicetta di cotone azzurra; e la prima cosa che fa una volta entrata nella stanza è sorridere a Mr Blank. Questo sorriso, che sembra unire tenerezza e affetto, scioglie le sue paure ponendolo in uno stato di sereno equilibrio. Mr Blank non ha idea di chi lei sia, ma è comunque contento di vederla.

Ha dormito bene?, gli chiede la donna.

Non so, risponde Mr Blank. A essere sincero, non mi ricordo se ho dormito o no.

Bene. Significa che la cura sta facendo effetto.

Anziché commentare questa frase enigmatica, Mr Blank studia in silenzio la donna per qualche istante e poi le chiede: Mi scusi se le sembro sciocco, ma lei per caso si chiama Anna?

La donna gli rivolge un altro tenero e affettuoso sorriso. Sono contenta che l'abbia tenuto a mente, dice. Ieri continuava a scordarselo.

All'improvviso perplesso e irrequieto, Mr Blank ruota sulla sedia di pelle fino a trovarsi davanti alla scrivania, poi prende il ritratto della ragazza dal mucchietto delle foto in bianco e nero. Prima che possa voltarsi di nuovo a guardare la donna il cui nome risulta essere Anna, lei è ritta accanto a lui con la mano delicatamente posata sulla sua spalla, e a sua volta osserva la foto.

Se lei si chiama Anna, dice Mr Blank con la voce tremante di emozione, questa chi è? Si chiama Anna anche lei, non è vero?

Sí, risponde la donna scrutando il ritratto come se ricordasse qualcosa con sentimenti uguali ma contrari, di ripulsa e nostalgia. Questa è Anna. E anch'io sono Anna. Questa è una mia foto.

Ma, balbetta Mr Blank, ma... la ragazza nella fotografia è giovane. E lei... lei ha i capelli bianchi.

È il tempo, Mr Blank, dice Anna. Lei capisce il significato del tempo, non è vero?

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