|
|
| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 11 1. Il Kitàb al-gifà' e le altre opere filosofiche di Avicenna 18 2. Avicenna tra Occidente ed Oriente: l'appartenenza della tradizione aristotelica e la «filosofia orientale» 26 3. Il Kitàb al-Sifà': contenuto e stile 34 4. Avicenna e la tradizione aristotelica 42 5. L'Ilàhiyyàt: l'interpretazione avicenniana della Metafisica di Aristotele 78 6. La ricezione latina dell'Ilàhiyyàt: 88 7. Conclusione 91 Nota biografica 93 Nota bibliografica 111 La presente edizione 131 Abbreviazioni usate nell'introduzione, note ed indici della traduzione LIBRO DELLA GUARIGIONE LE COSE DIVINE 136 Invocazione iniziale e titolo 137 Primo trattato 138 [1] Capitolo riguardante l'inizio della ricerca del soggetto della filosofia prima, affinché risulti chiara la sua qualità distintiva tra [i soggetti de] le scienze 151 [2] Capitolo riguardante la determinazione del soggetto di questa scienza 163 [3] Capitolo riguardante l'utilità di questa scienza, il suo rango e il suo nome 175 [4] Capitolo riguardante tutto ciò di cui si discute in questa scienza 181 [5] Capitolo riguardante il [modo di] significare «esistente», «cosa» e le loro prime divisioni tramite ciò che contiene una rammemorazione di ciò che si intende [significare] 196 [6] Capitolo riguardante l'inizio della trattazione dell'Esistente Necessario e dell'esistente possibile: l'Esistente Necessario non ha nessuna causa, mentre l'esistente possibile è causato; l'Esistente Necessario non è pari a nient'altro nell'esistenza e, quanto ad essa, non dipende da nient'altro 205 [7] Capitolo riguardante il fatto che l'Esistente Necessario è unico 213 [8] Capitolo riguardante il chiarimento del vero e del veridico, e la difesa della prima proposizione tra le premesse vere 227 Secondo trattato 228 [1] Capitolo riguardante la notificazione della sostanza e delle sue divisioni in termini generali 235 [2] Capitolo riguardante l'accertamento della sostanza corporea e di ciò da cui essa risulta composta 250 [3] Capitolo riguardante il fatto che la materia corporea non può spogliarsi della forma [corporea] 261 [4] Capitolo riguardante l'anteriorità della forma rispetto alla materia nel rango dell'esistenza 275 Terzo trattato 276 [1] Capitolo riguardante l'indicazione di ciò che occorre indagare riguardo allo stato delle nove categorie ed alla loro accidentalità 281 [2] Capitolo riguardante la discussione dell'uno 290 [3] Capitolo riguardante l'accertamento dell'uno e del molteplice, ed il chiarimento del fatto che il numero è un accidente 299 [4] Capitolo riguardante il fatto che le estensioni sono accidenti 311 [5] Capitolo riguardante l'accertamento della quiddità del numero, la distinzione delle sue specie, ed il chiarimento dei suoi principi 318 [6] Capitolo riguardante l'opposizione tra l'uno ed il molteplice 329 [7] Capitolo riguardante il fatto che le qualità sono accidenti 337 [8] Capitolo riguardante la conoscenza ed il fatto che essa è un accidente 343 [9] Capitolo riguardante la discussione delle qualità che si trovano nelle quantità e la prova della loro esistenza 353 [10] Capitolo riguardante il relativo 365 Quarto trattato 366 [1] Capitolo riguardante ciò che è anteriore, ciò che è posteriore e l'iniziare ad esistere 376 [2] Capitolo riguardante la potenza e l'atto, la forza e la debolezza, e la prova del fatto che ogni cosa che viene generata possiede una materia 400 [3] Capitolo sul perfetto, l'imperfetto, ciò che è al di sopra della perfezione, il tutto e l'intero 409 Quinto trattato 410 [1] Capitolo riguardante le cose comuni e la modalità della loro esistenza 428 [2] Capitolo riguardante il modo in cui l'universalità appartiene alle nature universali (completamento della discussione su questo tema), e la distinzione del tutto e della parte dall'universale e dal particolare 438 [3] Capitolo riguardante la distinzione tra il genere e la materia 448 [4] Capitolo riguardante la modalità secondo la quale le nozioni esterne al genere rientrano nella natura del genere 460 [5] Capitolo riguardante la specie 462 [6] Capitolo riguardante la determinazione e l'accertamento della differenza specifica 471 [7] Capitolo riguardante la determinazione della relazione reciproca tra la definizione e la cosa che viene definita 481 [8] Capitolo riguardante la definizione 489 [9] Capitolo riguardante la relazione reciproca tra la definizione e le sue parti 497 Sesto trattato 498 [1] Capitolo riguardante i [vari] tipi di cause ed i loro stati 512 [2] Capitolo riguardante la soluzione delle obiezioni che vengono mosse ai cultori del vero quando sostengono che ogni causa è simultanea al suo causato; accertamento di ciò che si deve dire a proposito della causa agente 520 [3] Capitolo riguardante la relazione reciproca tra le cause agenti ed i loro causati 538 [4] Capitolo riguardante le altre cause: materiali, formali, finali 548 [5] Capitolo in cui si stabilisce [l'esistenza] del fine e si risolvono le difficoltà che vengono sollevate per smentirne l'esistenza; distinzione tra il fine e ciò che è necessario; determinazione del modo in cui il fine è anteriore alle altre cause e del modo in cui è posteriore ad esse 575 Settimo trattato 576 [1] Capitolo riguardante gli attributi dell'unità, cioè l'identità e le sue divisioni, gli attributi della molteplicità, cioè la diversità e la differenza, ed i tipi di opposizione noti 588 [2] Capitolo riguardante il resoconto particolareggiato delle dottrine dei sapienti antichi a proposito delle idee e degli enti matematici e della causa che [li] ha indotti a [sostenere] ciò; chiarimento della ragione ultima dell'ignoranza che è loro occorsa, a causa della quale hanno errato 600 [3] Capitolo riguardante la confutazione di ciò che è stato detto [dai filosofi antichi] a proposito degli enti matematici e delle idee 613 Ottavo trattato, riguardante la conoscenza del Principio Primo di tutta l'esistenza e la conoscenza dei Suoi attributi 614 [1] Capitolo riguardante la finitezza delle cause agenti e [delle cause] ricettive 622 [2] Capitolo riguardante le obiezioni che vengono mosse a ciò che è stato detto [nel capitolo precedente], e la loro soluzione 637 [3] Capitolo riguardante la chiarificazione della finitezza delle cause finali e formali; la prova dell'esistenza del Principio Primo in senso assoluto; la distinzione di ciò che si deve dire a proposito della Causa Prima in senso assoluto da ciò che si deve dire a proposito della causa prima in senso determinato; chiarimento del fatto che ciò che è Causa Prima assoluta è causa delle altre cause 642 [4] Capitolo riguardante gli attributi primi del Principio [Primo che è] l'Esistente Necessario 652 [5] Capitolo che è come una conferma ed una ripetizione di ciò che è stato detto in precedenza riguardo all'unicità dell'Esistente Necessario e riguardo a tutti i Suoi attributi negativi, a mo' di conclusione 660 [6] Capitolo riguardante il fatto che [l'Esistente Necessario] è perfetto, anzi più che perfetto, buono e datore di ogni cosa che viene dopo di Esso; che Esso è vero; che è un intelletto puro ed intende ogni cosa; come ciò avvenga, come conosca Se stesso, come conosca le cose universali e quelle particolari, e sotto quale rispetto non si può dire che Esso le comprenda 674 [7] Capitolo riguardante la relazione degli intellegibili rispetto ad Esso; chiarimento del fatto che i suoi attributi affermativi e negativi non determinano in Esso alcuna molteplicità, e del fatto che Esso possiede lo splendore supremo, la gloria somma e la maestà infinita; resoconto dettagliato dello stato del piacere intellettuale 687 Nono trattato, riguardante la provenienza delle cose dall'ordinamento primo ed il [loro] ritorno ad esso 688 [1] Capitolo riguardante l'attributo attivo del Principio Primo 703 [2] Capitolo riguardante il fatto che il motore prossimo delle cose celesti non è una natura né un intelletto, ma un'anima, mentre il [loro] principio remoto è un intelletto 721 [3] Capitolo riguardante il modo secondo il quale le azioni emanano dai principi celesti, affinché con ciò si sappia ciò che occorre sapere riguardo ai motori separati, intelligibili di per sé e desiderati 736 [4] Capitolo riguardante l'ordinamento dell'esistenza delle intelligenze, delle anime celesti e dei corpi superiori a partire dal Principio Primo 750 [5] Capitolo riguardante il modo in cui gli elementi si generano dalle cause prime 759 [6] Capitolo riguardante la provvidenza; chiarimento del modo in cui il male rientra nel piano divino 774 [7] Capitolo riguardante il ritorno [delle anime umane a Dio] 791 Decimo trattato 792 [l] Capitolo riguardante l'origine [delle cose dal Principio Primo] ed il [loro] ritorno [ad Esso] in termini riassuntivi; le ispirazioni, le preghiere esaudite e le punizioni celesti; gli stati della profezia; lo stato dell'influsso degli astri [sulle cose terrene] 801 [2] Capitolo riguardante la prova dell'esistenza della profezia ed il modo in cui il profeta predica Dio ed il ritorno a Lui [dopo la morte] 806 [3] Capitolo riguardante le azioni cultuali e la loro utilità nella vita presente ed in quella futura 811 [4] Capitolo riguardante l'istituzione della città, l'istituzione della casa, cioè del matrimonio, e le leggi universali che li regolano 818 [5] Capitolo riguardante il califfo e l'imam e l'ubbidienza dovuta loro. Indicazioni riguardanti le modalità del governo, i rapporti sociali ed i caratteri morali INDICI 829 Indice dei principali termini filosofici arabi, con i corrispondenti italiani e latini 835 Indice degli autori e delle opere citati da Avicenna |
| << | < | > | >> |Pagina 9L' Ildhiyyàt ([Scienza de] le Cose Divine), qui tradotta in italiano, è una delle opere filosofiche più importanti di Avicenna (Ibn Sìnà), forse il maggiore filosofo arabo medievale ed una delle figure di spicco della storia del pensiero di tutti i tempi. Quest'opera costituisce la parte conclusiva della summa di filosofia intitolata Kitàb al-Sifà (Libro della Guarigione) e prende in esame la metafisica, cioè quella branca fondamentale della filosofia che tratta del concetto di «essere in quanto essere» e di Dio come causa ultima dell'universo. L' Ilàhiyyàt viene comunemente considerata l'espressione più compiuta del pensiero metafisico di Avicenna. Avicenna nasce poco prima del 980 d.C. in una cittadina dell'odierno Uzbekistan, in Asia centrale, ovvero quasi un millennio e mezzo dopo Socrate ad una distanza da Atene pari all'incirca a quella di Capo Nord. Questa parte del mondo era entrata in contatto con la cultura greca fin dai tempi di Alessandro Magno (IV sec. a.C.); durante la dominazione islamica, gran parte del patrimonio filosofico e scientifico greco era stato reso disponibile ai lettori di lingua araba grazie ad un imponente movimento di traduzione (VIII-X sec.) di poco anteriore alla nascita di Avicenna. Questi trascorre la maggior parte della sua vita nell'odierno Iran, conducendo un'esistenza itinerante tra le maggiori città di quello che, prima dell'invasione musulmana, era stato il glorioso e secolare impero persiano. È non solo un acclamato filosofo, versato in tutti i campi di questa disciplina (logica, filosofia della natura, matematica, metafisica ed etica), ma anche un famoso medico. Proprio le sue competenze mediche, oltre che giuridiche ed astronomiche, gli assicurano accoglienza e sostegno finanziario presso le corti dei mecenati locali. Sebbene la sua lingua nativa sia il persiano, scrive quasi tutte le sue opere in arabo, lo strumento privilegiato di comunicazione culturale nei paesi sottoposti alla dominazione islamica. Il suo pensiero rappresenta la sintesi tra la razionalità greca, in particolare quella di Aristotele in filosofia e di Galeno in medicina, e la visione del mondo propria dell'Islam. La sue dottrine sia filosofiche sia mediche eserciteranno un'enorme influenza, oltre che sui filosofi arabi successivi, anche sui pensatori di lingua latina e di fede cristiana del Medioevo europeo. Il nome stesso con cui oggi è comunemente noto tra gli studiosi (Avicenna) è la forma latinizzata dell'ultima parte (Ibn Sìnà) del suo vero nome (Abù 'Alì Husayn Ibn 'Abd Allàh Ibn al-Hasan Ibn 'Alì Ibn Sìnà), grazie all'intermediazione del vernacolo dell'Andalusia (la Spagna musulmana), dove la maggior parte delle traduzioni latine delle sue opere furono eseguite a partire dal XII secolo. Un'influenza ugualmente profonda e pervasiva è riscontrabile sui filosofi medievali di lingua e religione ebraica. La vita, il pensiero e la fortuna di Avicenna testimoniano, dunque, una profonda interazione di culture diverse, o meglio l'assenza di qualsiasi distinzione tra quelle che oggi siamo soliti chiamare «civiltà» o «culture», sia dal punto di vista geografico, etnico e linguistico (la civiltà o la cultura greca, quella persiana, quella araba, quella ebraica e quella latina), sia dal punto di vista tipologico (il razionalismo filosofico, la fede religiosa, il pensiero tecnico-scientifico). L' Ilàhiyyàt di Avicenna è un esempio estremamente significativo di questa interazione di culture differenti sul piano più specifico della filosofia e della metafisica. In quest'opera, infatti, Avicenna armonizza la visione del mondo tipica della filosofia aristotelica e peripatetica (secondo cui l'universo dipende da una causa finale ultima che svolge la funzione di motore immobile ed è un puro intelletto che pensa se stesso), riletta alla luce della filosofia platonica e neoplatonica (secondo cui la molteplicità dell'universo fluisce dall'Uno, che ne è il primo principio efficiente, grazie ad un processo di emanazione originato dalla conoscenza che gli enti divini hanno delle cose), con l'immagine del mondo propria del monoteismo islamico (secondo cui l'universo è creato da un Dio che è assolutamente Uno, cioè unico ed unitario, conosce tutte le cose e ne ha cura). Questa sintesi tra la metafisica «laica» di origine greca e di stampo aristotelico e platonico, da una parte, e la metafisica «religiosa» di ispirazione islamica, dall'altra, costituisce, per un verso, un'applicazione della razionalità greca ad un contesto religioso che le è originariamente estraneo, ma anche, per un altro verso, un'interpretazione razionale dei capisaldi dell'Islam analoga a quella che la teologia musulmana si propone di fornire. Questa rielaborazione filosofica del monoteismo islamico eseguita da Avicenna spiega la calorosa accoglienza dell' Ilàhiyyàt non solo nella cultura arabo-islamica successiva, ma anche da parte dei filosofi delle altre due religioni monoteiste (cristiana ed ebraica) nel Medioevo. Essa investe non solo l'aspetto per così dire «dottrinale» dell'Islam (i dogmi riguardanti l'esistenza di Dio, i Suoi attributi essenziali, la creazione del mondo, l'onniscienza e la provvidenza divina, la vita ultraterrena, la profezia ecc.) ma anche il suo aspetto «pratico», cioè l'organizzazione sociale, economica e politica della comunità musulmana, un tema a cui Avicenna dedica la parte finale dell'opera. L' Ilàhiyyàt rappresenta, dunque, una versione «illuminata» degli aspetti sia dogmatici sia istituzionali della religione islamica, capace di fornire ad Islam, Cristianesimo ed Ebraismo un terreno comune di dibattito filosofico. | << | < | > | >> |Pagina 138Poiché Dio, fonte di misericordia e di prosperità, ci ha dato successo, ed abbiamo esposto a sufficienza le cose [riguardanti] le scienze logiche, naturali e matematiche, è opportuno cominciare a far conoscere [adesso] le cose riguardanti la sapienza. Iniziamo, invocando l'aiuto di Dio. [§ 1.1 Richiamo della divisione delle scienze filosofiche in scienze teoretiche e scienze pratiche] Noi diciamo che le scienze filosofiche, come è stato indicato altrove nei libri [precedenti di quest'opera], si dividono in [scienze] teoretiche e [scienze] pratiche. La distinzione tra questi due [tipi di scienze] è già stata indicata. È stato ricordato che le [scienze] teoretiche sono quelle in cui si ricerca la perfezione della facoltà teoretica dell'anima, [la quale si ottiene] grazie all'acquisizione dell'intelletto in atto. Ciò [accade] [A4] quando si acquisisce la conoscenza, per via di concettualizzazioni ed asseverazioni, di cose che sono ciò che sono non per il fatto di essere nostre azioni e nostri stati. Il fine [delle scienze teoretiche] è, dunque, l'acquisizione di un'opinione e di un convincimento che non sono un'opinione ed un convincimento riguardanti la modalità dell'azione, o la modalità del principio dell'azione in quanto principio dell'azione.
[È stato ricordato] che le [scienze] pratiche sono quelle in
cui si ricerca, in primo luogo, la perfezione della facoltà teoretica
[dell'anima] grazie all'acquisizione della conoscenza,
per via di concettualizzazioni ed asseverazioni, di cose che
sono ciò che sono per il fatto di essere nostre azioni — per
ottenere da queste scienze, in secondo luogo, la perfezione
della facoltà pratica [dell'anima] per mezzo dei caratteri morali.
[§ 1.2 Richiamo della divisione delle scienze teoretiche in scienza della natura, matematica e metafisica] È stato ricordato che le [scienze] teoretiche sono riducibili a tre gruppi, e cioè le [scienze] naturali, le [scienze] matematiche e le [scienze] divine. Il soggetto delle [scienze] naturali sono i corpi dal punto di vista del loro essere in moto e in quiete. L'indagine che esse svolgono riguarda gli accidenti che ineriscono di per sé ai corpi da questo punto di vista. Il soggetto delle [scienze] matematiche o è una quantità astratta dalla materia di per sé, oppure è qualcosa dotato di quantità. Il loro oggetto di indagine sono gli stati che ineriscono alla quantità in quanto quantità; nelle definizioni di questi [stati] non viene assunta nessuna specie di materia e nessuna potenza di movimento. Le [scienze] divine indagano le cose separate dalla materia nella sussistenza e nella definizione. Hai appreso anche che la [scienza] divina è quella in cui si indagano le cause prime dell'esistenza naturale, [dell'esistenza] matematica e di ciò che dipende da queste, e la Causa delle cause ed il Principio dei principi, cioè la divinità.
[A5] Questo è quanto sei venuto a sapere nei libri precedenti [di
quest'opera].
[§ 2.1 Quale sia il soggetto della metafisica]
Ma da ciò non ti è risultato chiaro quale sia in verità il
soggetto della scienza divina, ad eccezione di un'indicazione
che si trova nel Libro della dimostrazione in logica, se la ricordi: che, cioè,
in tutte le scienze hai qualcosa che è il soggetto, alcune cose che sono ciò che
viene ricercato [a proposito del soggetto], ed alcuni principi che vengono
ammessi e da cui si formano le dimostrazioni. Ora, pertanto, non sei in
grado di accertare in maniera assolutamente veritiera quale sia il soggetto di
questa scienza, se, cioè, esso sia la Causa
Prima stessa — in modo tale che l'intento [di questa scienza]
sia conoscere i Suoi attributi e le Sue azioni — oppure un'altra cosa.
[§ 2.2 Quale sia il rapporto della metafisica, intesa come scienza divina, con la filosofia prima e la sapienza] Hai anche già udito che vi è una filosofia della verità ed una filosofia prima; che essa fornisce la convalida dei principi delle altre scienze; che essa è la sapienza della verità. Talora hai udito che la sapienza è la scienza più nobile dello scibile più nobile, talora che è la conoscenza più vera e più perfetta, talora che è la scienza delle cause prime di tutto [ciò che esistei].
Ma non sapevi che cosa fosse questa filosofia prima, che
cosa fosse questa sapienza, e se le tre definizioni e caratteristiche [della
sapienza] appartenessero ad un'unica disciplina,
oppure a discipline differenti ognuna delle quali era detta
«sapienza». Noi adesso ti mostreremo che questa scienza di
cui ci stiamo occupando è la filosofia prima; che essa è la
sapienza assoluta; e che le tre caratteristiche con le quali la
sapienza è stata descritta sono [tre] caratteristiche di un'unica
disciplina, cioè della presente disciplina.
[§ 3.1 Argomentazione] Si è già appreso, dunque, che ogni scienza ha un soggetto che le è proprio. Indaghiamo adesso, pertanto, quale sia il soggetto della presente scienza, ed esaminiamo se il fatto che Dio esiste sia il suo soggetto, oppure non lo sia, ma sia piuttosto una delle cose che essa ricerca. Noi diciamo che [il fatto che Dio esiste] non può essere il soggetto [di questa scienza]. Il soggetto di ogni scienza, infatti, è qualcosa la cui esistenza viene ammessa nella scienza in questione, e di cui si indagano solo gli stati, [A6] come si è appreso altrove. Ma l'esistenza della divinità non può venire ammessa in questa scienza in qualità di soggetto; al contrario, vi viene ricercata. | << | < | > | >> |Pagina 498Abbiamo discusso dello stato delle sostanze e degli accidenti, di come debba essere intesa a loro riguardo l'anteriorità e la posteriorità, e di come si possa conoscere la corrispondenza reciproca tra le definizioni e le cose definite, sia universali che particolari.
È opportuno discutere adesso della causa e del causato.
Anch'essi, infatti, rientrano tra gli attributi dell'esistente in
quanto esistente.
[§ 2.1 Enumerazione delle cause] Le cause, come hai udito, sono la forma, la materia, l'agente ed il fine. Noi diciamo: Intendiamo per «causa formale» la causa che è parte della sussistenza di una cosa e grazie alla quale la cosa [in questione] è ciò che è in atto. [Intendiamo] per «materia» la causa che è parte della sussistenza di una cosa, grazie alla quale la cosa [in questione] è ciò che è in potenza, e nella quale risiede la potenza della sua esistenza. [Intendiamo] per «agente» la causa che conferisce un'esistenza distinta da se stessa, nel senso che la causa agente stessa non è, in prima istanza, il ricettacolo di ciò che da essa ottiene di esistere come una cosa la cui forma è dovuta alla causa agente (in modo tale che nella causa agente stessa si trovi la potenza dell'esistenza della cosa in questione), se non per accidente. Oltre a ciò, è necessario che quell'esistenza non sia a vantaggio dell'agente in quanto agente, ma, se proprio deve [essere a vantaggio dell'agente], lo è secondo un aspetto diverso [da quello secondo cui l'agente è tale]. I filosofi divini, infatti, non intendono per agente il principio del movimento soltanto, come fanno i [filosofi] naturali, ma il principio dell'esistenza e ciò che la conferisce, come il Creatore rispetto al mondo. Quanto alla causa agente naturale, essa non conferisce nessun'altra esistenza tranne il movimento, secondo uno dei modi di quest'ultimo. Nelle cose naturali, perciò, ciò che conferisce l'esistenza è principio di movimento.
Intendiamo per «fine» la causa in vista della quale si realizza l'esistenza
di una cosa che è distinto da essa. [A258]
[§ 2.2 Classificazione delle cause e determinazione del loro numero] È evidente che non vi è nessun'altra causa all'infuori di queste. Noi diciamo, infatti, che delle due cose l'una: o [(a)] la causa di una cosa è intrinseca alla sussistenza di quest'ultima ed è parte della sua esistenza, oppure [(b)] no. [(a)] Se è intrinseca alla sussistenza di questa cosa e parte della sua esistenza, o [(aa)] è quella parte dalla cui sola esistenza non discende necessariamente che la cosa in questione esista in atto, ma solo in potenza, ed è detta «hyle»; oppure [(ab)] è quella parte la cui esistenza coincide con il divenire in atto della cosa in questione, e si tratta della forma. [(b)] Se [la causa] non è parte dell'esistenza di questa cosa, o [(ba)] è ciò in vista di cui questa cosa è, oppure [(bb)] no. [(ba)] Se è ciò in vista di cui questa cosa è, si tratta del fine. [(bb)] Se, invece, non è ciò in vista di cui questa cosa è, delle due l'una: o [(bba)] l'esistenza della cosa deriva da essa senza che essa si trovi nella cosa se non accidentalmente, nel qual caso si tratta dell'agente; oppure [(bbb)] l'esistenza della cosa deriva da essa per il fatto che essa si trova nella cosa, nel qual caso si tratta ancora della materia o del soggetto. Complessivamente, quindi, i principi sono per un conto cinque, per un altro conto quattro. Se, infatti, assumi la materia che è ricettiva e non è parte della cosa [causata] come diversa dalla materia che [ne] è parte, i principi sono cinque. Se, invece, assumi entrambe come qualcosa di unico, per il fatto che sono accomunate dalla nozione di potenza e di predisposizione, in tal caso [i principi] sono quattro. | << | < | > | >> |Pagina 811[§ 1.1 Organizzazione politica della città]
L'intento primo del legislatore quando promulga le leggi è
disporre la città in tre parti, [cioè] i governanti, gli operai ed i
difensori; porre in ciascuno di questi generi [di persone] un
capo a cui sono subordinati [altri] capi che sono prossimi a
lui, ai quali [a loro volta] sono subordinati [altri] capi che
sono loro prossimi a loro, fino ad arrivare alle persone più
umili, in modo tale che nella città non vi sia nessuna persona
inoperosa priva di un ruolo determinato, ma in essa, al contrario, ciascuna
persona abbia una funzione [precisa]; vietare
l'ozio e l'inattività; fare sì che nessuno riesca ad ottenere da un
altro la parte di beni di cui ogni persona ha bisogno, dato che
al mancato svolgimento del suo ruolo non consegue alcun
inconveniente. È necessario, infatti, che [il legislatore] trattenga queste
persone [dal restare inattive] con tutti i mezzi
[possibili]: se esse non si trattengono [dal restare inattive], egli
le espellerà dal territorio; se, invece, la causa della loro inattività è una
malattia o un difetto fisico, egli riserverà ad essi un luogo in cui quelli come
loro risiederanno, sorvegliati da un custode.
[§ 1.2 Organizzazione finanziaria della citta] Nella città dovrà esservi un fondo comune di ricchezza. Parte di esso proverrà dalle tasse imposte sui redditi, sia acquisiti che naturali, come i frutti e gli animali nati da altri animali. Un'altra parte proverrà dalle ammende comminate. Un'altra parte proverrà dalle ricchezze confiscate a coloro che resistono alla [diffusione della] legge; si tratta dei bottini di guerra. Questo fondo sarà uno strumento per far fronte ai bisogni comuni, per sopperire alle necessità dei difensori, i quali non si occupano di nessuna professione, e per sostentare coloro che a causa di malattie e disturbi cronici non possono in alcun modo guadagnarsi [da vivere].
Alcune persone ritengono che sia opportuno uccidere coloro che si trovano in
uno stato di salute disperato. Ma ciò è riprovevole: il loro sostentamento,
infatti, non crea pregiudizio alla città. Ma se hanno dei parenti che sono
soliti ostentare disponibilità di mezzi, verrà imposto loro di farsene carico.
[A448]
[§ 1.3 Organizzazione giuridica della città] Non tutte le multe verranno comminate a colui che ha commesso il crimine. Alcune, al contrario, dovranno essere comminate ai suoi parenti ed ai suoi familiari, che non lo hanno prevenuto e controllato. Ma la multa comminata loro verrà mitigata dilazionando la richiesta di risarcimento. Ciò avverrà a proposito dei crimini commessi per errore, i quali, sebbene avvengano per errore, non possono essere trascurati. Come è necessario che venga proibito l'ozio, così è necessario che vengano proibite quelle professioni nelle quali proprietà o cose utili passano [ad una persona] senza che a ciò corrisponda alcun vantaggio [che la persona in questione arreca], come il gioco d'azzardo: il giocatore d'azzardo, infatti, prende [la vincita] senza fornire [in cambio] alcun servizio. È necessario, invece, che chi prende [qualcosa] lo faccia in virtù di una professione grazie alla quale egli fornisce [ad un altro] una cosa utile che è il corrispettivo [di ciò che ha preso]; il corrispettivo in questione può essere un oggetto, oppure un servizio, oppure un buon ricordo [della persona da cui si è preso], oppure una delle altre cose che vengono annoverate tra i beni umani. Analogamente devono essere proibite quelle professioni che inducono al contrario di ciò che è vantaggioso o utile [per la città], come la conoscenza del furto, della rapina, del modo di dirigere [una banda criminale] e così via. Verranno proibiti anche quei mestieri, come l'usura, per i quali gli uomini non hanno bisogno di conoscere le arti che appartengono al consorzio umano. L'usura, infatti, è la ricerca di un sovrappiù di guadagno che non viene prodotto da nessun'arte, sebbene corrisponda ad un servizio [che viene offerto].
Verranno anche proibiti quei comportamenti, come l'adulterio e la sodomia,
che, se tollerati, conducono al contrario di ciò su cui si fonda la città. Essi,
infatti, inducono a considerare superfluo il pilastro più importante della
città, cioè l'unione coniugale.
[§ 2.1 Il vincolo matrimoniale deve essere manifesto e stabile] La prima cosa riguardo alla quale [il legislatore] deve legiferare è lo stato dell'unione coniugale, la quale conduce alla procreazione. Egli deve indurre ed incitare [le persone] ad abbracciarla. Grazie ad essa, infatti, si ha la permanenza delle specie, la quale è un segno dell'esistenza di Dio. Egli deve [anche] far sì che l'unione coniugale avvenga in maniera manifesta, in modo tale che non insorga nessun dubbio a proposito della discendenza e che, per questo motivo, non vi sia nessun disordine nella trasmissione delle eredità, le quali {A449] sono i fondamenti delle ricchezze. La ricchezza, infatti, è indispensabile per la sopravvivenza, ed ha un fondamento ed una conseguenza. Il [suo] fondamento è un'eredità, o un lascito, o una donazione. Tra questi tre, tuttavia, il fondamento più proprio [della ricchezza] è l'eredità. L'eredità, infatti, non dipende dalla fortuna e dal caso, ma procede in maniera ordinata, al pari di ciò che è naturale. Ma ciò – vale a dire il carattere non manifesto dei matrimoni — comporta disordini anche in altri rispetti, come, ad esempio, riguardo al supporto che una persona deve dare ad un'altra, all'aiuto che due persone devono prestarsi vicendevolmente, e ad altre cose [simili], che colui che è intelligente comprende [subito] quando vi riflette.
[Il legislatore] deve assicurare anche ciò che riguarda la
stabilità di questo legame, in modo tale che ogni capriccio
non determini una separazione [dei coniugi] e ciò non conduca alla rottura
dell'unione generale tra i figli ed i genitori ed al
rinnovarsi del bisogno che ogni uomo ha dell'unione coniugale. Questa
situazione, infatti, produrrebbe numerosi danni.
Anche perché la causa maggiore di benessere è l'amore, l'amore non si crea se
non con la familiarità, la familiarità non si ottiene se non con l'abitudine [a
stare insieme], e l'abitudine [a stare insieme] non si ottiene se non con la
lunga frequentazione. Relativamente alla donna, la stabilità del matrimonio è
assicurata quando non le è permesso di separarsi [dal marito]: essa, infatti, è
realmente debole di intelletto e pronta ad ubbidire alla passione ed all'ira.
[§ 2.2 Cause e modalità del divorzio] [Per i coniugi], tuttavia, deve esservi una via per separarsi, e la separazione non deve essere impedita in maniera assoluta. La completa eliminazione delle cause che permettono di giungere alla separazione, infatti, comporta molteplici danni e disordini. Uno di essi è che tra le nature [umane] ve ne sono alcune incompatibili con altre: tenerle assieme per forza produce un male ed un conflitto maggiore [di quello costituito dalla loro separazione] e le vite [dei coniugi ne] vengono sconvolte. Un altro danno è che alcune persone non tollerano un coniuge che non sia loro pari e non abbia una buona condotta matrimoniale, o che risulti odioso a causa della ripugnanza della [sua] natura; ciò spinge a desiderare un altro coniuge (dato che il desiderio è naturale) e conduce talvolta ad esiti distruttivi. Talvolta i coniugi non sono adatti l'uno all'altra per procreare, ma, se uno di essi viene sostituito da un altro, lo diventano. È necessario dunque che vi sia una via per separarsi, ma la separazione deve essere resa difficile. [A450] A quello tra i due coniugi che ha un intelletto più imperfetto ed è maggiormente incline alla discordia, alla promiscuità ed alla volubilità non verrà concesso nessun potere di separarsi; la decisione sarà invece demandata ai giudici, in modo tale che, dopo aver accertato il cattivo trattamento ricevuto dall'altro coniuge, siano essi ad ordinare la separazione. Per quanto riguarda l'uomo, se si separa dalla moglie gli sarà comminata una multa, in modo tale che ricorra alla separazione solo quando ne è pienamente convinto e la ritiene opportuna sotto ogni rispetto.
È opportuno, tuttavia, che [il legislatore] lasci una possibilità di
riconciliazione, senza, però, spingere troppo le persone
in questa direzione ed evitando che ciò diventi una ragione di
condotta frivola; al contrario, egli dovrà rendere la condizione
del ricongiungimento più gravosa di quella dell'unione originaria. Ciò che il
più eccellente dei legislatori ha ordinato è
che dopo il terzo [ripudio] la moglie non possa più lecitamente tornare dal
marito, a meno che questi prima non acconsenta a bere il calice più amaro che vi
sia, a permettere, cioè, ad un altro uomo di sposare la propria moglie con un
vero matrimonio ed avere dei reali rapporti sessuali con lei. Se il
marito ha davanti agli occhi una prospettiva come questa non
ricorrerà alla separazione avventatamente, senza prima essersi risolto per una
separazione definitiva, a meno che [la sua]
non sia una natura depravata che non disdegna un'umiliazione associata ad un
piacere. Ma il benessere di persone come queste non merita di essere ricercato.
[§ 2.3 La condizione della moglie]
Dal momento che la donna ha diritto ad essere protetta,
dato che viene desiderata da più uomini, è molto attraente e,
oltre a ciò, può essere ingannata più facilmente ed è meno
portata ad ubbidire all'intelletto; [e dal momento che] il fatto
che essa abbia relazioni con più uomini le arreca biasimo e
grande ignominia, cose notoriamente dannose, mentre il fatto
che un uomo abbia relazioni con più donne non gli arreca
ignominia, ma invidia, e l'invidia non deve essere presa in
considerazione, perché è obbedienza a Satana; [per questi motivi] è opportuno
che sia stabilito per legge che essa deve
portare il velo e rimanere reclusa. È necessario, perciò, che la
donna non sia una delle persone che [si] guadagnano [di che
vivere], come fa l'uomo, ma deve essere stabilito per legge che
essa riceva dall'uomo tutto ciò che le serve.
[§ 2.4 La condizione del marito]
All'uomo, dunque, spetta il sostentamento della donna. Per
questo, però, deve ricevere un compenso, il fatto, cioè, di poter
disporre di essa, mentre essa non può disporre di lui. [A451]
La donna, pertanto, non può essere unita in matrimonio con
un altro uomo [contemporaneamente], mentre l'uomo non ha
restrizioni a questo riguardo, sebbene gli sia vietato di unirsi
in matrimonio con un numero di donne troppo grande perché
egli possa assolvere al suo dovere di fornire [loro] il sostentamento. Il
possesso degli organi genitali della donna è il [compenso che egli riceve come]
corrispettivo di ciò. Per «possesso
degli organi genitali» non intendo il coito; il godimento che si
ha nel coito, infatti, è condiviso dall'uomo e dalla donna, ed è
maggiore nella seconda che nel primo; lo stesso vale per la
gioia e la soddisfazione che si hanno per i figli. [Intendo] piuttosto che
nessuno tranne l'uomo può utilizzare gli organi genitali della donna.
[§ 2.5 La condizione dei figli]
Riguardo ai figli, verrà stabilito per legge che ciascuno dei
genitori si occupi di allervarli: la madre con l'affetto che dà
loro, il padre con il sostentamento. Ai figli verrà imposto per
legge di servire, ubbidire, onorare e lodare i genitori. I genitori,
infatti, sono la causa della loro esistenza ed, inoltre, provvedono a fornire
loro il vitto, com'è evidente e non deve essere spiegato.
|