Copertina
Autore Stefano Bagnasco
CoautoreAndrea Ferrero, Beatrice Mautino
Titolo Sulla scena del mistero
SottotitoloGuida scientifica all'indagine dei fenomeni inspiegabili
EdizioneSironi, Milano, 2010, Galápagos 44 , pag. 204, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,3 cm , Isbn 978-88-518-0134-2
LettoreCorrado Leonardo, 2010
Classe scienze improbabili , epistemologia , esoterismo , misteri
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Indice


I ferri del mistero                              7



L'albero dei mysteri                            17

Mysteri leggendari                              17
Mysteri col trucco                              24
Mysteri soggettivi                              32
Mysteri naturali                                36
Mysteri col botto                               39


Inizia l'indagine                               42

La letteratura e le fonti                       45
La costruzione di un'ipotesi                    56
L'indagine sul campo                            58
Le testimonianze                                63
La raccolta delle prove                         71


Ipotesi, teorie, esperimenti                    76

Dalla teoria ai fatti                           76
Dai fatti alla teoria                           82
Riprodurre per spiegare                         83
Il rasoio di Ockham                             88
La logica della scoperta scientifica            90
Teorie in competizione                          96
Scienza e pseudoscienza                        101


La verifica sperimentale                       105

Qualche obiezione all'astrologia               106
Ci vuole un esperimento                        111
Usare la statistica                            113
Il campione di controllo                       115
Il protocollo cieco                            118
Un esperimento astrologico                     120
Il valore del risultato                        125


Investigare mysteri storici                    132

Cercare le prove                               133
Il Contestualizzatore                          138
Cinque piccoli indizi                          152
Non solo bufale                                155


Vedere oltre i mysteri                         161

Il complotto satanista                         162
Complottismo e negazionismo                    165
La guerra dell'AIDS                            170
La cassetta degli attrezzi                     180
La cultura del sospetto                        186
Strumenti alla prova                           188

Conclusioni                                    189

Ringraziamenti                                 193

Letture consigliate                            195

Indice analitico                               197

 

 

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Pagina 7

Introduzione


I FERRI DEL MISTERO



Nulla mi sconvolge: sono uno scienziato. Indiana Jones


Pasadena, California, 1933. Fritz Zwicky è un brillante ma scorbutico astronomo svizzero, arrivato nel 1925 al California Institute of Technology, il prestigioso Caltech, grazie a una borsa della Rockefeller Foundation. In particolare sta studiando l'ammasso di galassie nella Chioma di Berenice, cercando di stimare la loro massa. Fino a quel momento, questa veniva calcolata a partire dalla luminosità (più luminosa appare una galassia, più è grande): Zwicky prova invece a determinarla in base alle velocità relative delle galassie dell'ammasso, che ha già misurato. Ma i conti non tornano: le masse trovate in funzione delle velocità hanno valori molto più grandi di quelli stimati in funzione della luminosità. Θ il primo indizio dell'esistenza di una materia invisibile nell'Universo, una materia oscura che si fa sentire attraverso i suoi effetti gravitazionali ma non emette o riflette alcun tipo di luce.

Gli scienziati lì per lì non danno grande importanza alla scoperta, perché ci potrebbero essere spiegazioni alternative meno misteriose: per esempio, come suggerisce lo stesso Zwicky, nubi di polvere ancora non osservate potrebbero assorbire una parte della luce proveniente dalle galassie lontane, portando a sottostimarne la luminosità e, quindi, la massa.

Dopo circa trent'anni verrà però alla luce un indizio che avvalora ancor più l'ipotesi della materia oscura.

Le stelle che compongono una galassia ruotano intorno al suo centro, più o meno come i pianeti ruotano intorno al Sole. Nel Sistema Solare, la grande maggioranza della massa è concentrata nel Sole, al centro del sistema, mentre i pianeti ne costituiscono solo una piccola frazione. In un sistema fatto così, la legge della gravitazione impone che gli oggetti più lontani dal centro si muovano più lentamente di quelli vicini. In effetti, Plutone orbita a una velocità molto inferiore di Mercurio: in caso contrario, Plutone sarebbe stato sparato via dalla forza centrifuga o Mercurio sarebbe caduto rapidamente sul Sole. La stessa cosa succede, anche se non così drasticamente, nelle galassie: la maggior parte della massa è concentrata nella regione centrale (il nucleo galattico). Di conseguenza le stelle alla periferia di una galassia dovrebbero ruotare a velocità inferiore di quelle vicino al nucleo.

Nel 1970 Vera Rubin e Ken Ford, astronomi della Carnegie Institution di Washington, riescono a misurare con precisione la velocità di stelle e gas nei bracci della galassia di Andromeda, e scoprono con sorpresa che le stelle alla periferia galattica ruotano quasi alla stessa velocità di quelle vicino al nucleo. Negli anni successivi, i ricercatori continueranno a rilevare la stessa cosa in altre galassie.

Per conseguenza, si è potuto ipotizzare che le galassie siano formate da una piccola frazione di materia visibile (forse il 10%) e da moltissima misteriosa materia oscura. Potrebbe anche essercene altra nello spazio intergalattico, ma nessuno lo sa. Di che si tratta? Che proprietà ha? Questo è forse il più grande mistero della fisica moderna: scienziati di tutto il mondo lavorano ogni giorno per cercare di capire cosa sia la materia oscura, finora senza successo.


Olancha, California, 1961. Il luogo non è dei più vivaci oggi, figuratevi allora: provate a cercarlo su Google Earth, le coordinate sono grosso modo 36,29°N 118,01°W. La Valle della Morte non è lontana, siamo in pieno deserto. Wallace Lane, Virginia Maxey e Mike Mikesell gestiscono il LM&V Rockhounds Gem and Gift Shop, un negozio di minerali. Quel giorno sono a caccia di merce: hanno lasciato la macchina a qualche miglio dalla strada per esplorare le montagne desertiche che sovrastano il letto dell'Owens Lake, prosciugato nel 1924 per alimentare l'acquedotto di Los Angeles. Stanno cercando in particolare geodi, noduli di roccia che nascondono all'interno una cavità foderata di cristalli.

Il giorno dopo Mikesell, sezionando i geodi raccolti per portare alla luce le cavità all'interno, rischia di rovinare una sega diamantata praticamente nuova: uno dei noduli non racchiude una cavità, ma qualcosa di molto più strano che non dovrebbe in alcun modo trovarsi lì. La sezione della roccia mostra al suo ìnterno quella di un oggetto perfettamente cilindrico, di materiale bianco e molto duro, simile alla porcellana. Al centro del cilindro si può notare una specie di filo metallico, dotato di proprietà magnetiche. Lo spessore più esterno del geode contiene ciottoli e frammenti fossili, ma anche due oggetti simili a un chiodo e a una rondella. Tra il cilindro interno in similporcellana e la superficie esterna si trova un sottile strato di rame in disfacimento.

Le radiografie dell'oggetto rivelano dettagli ancora più insoliti: nella parte alta dell'oggetto si trova una specie di elica, in quella inferiore una guaina di metallo, probabilmente rame. In una lettera a Desert, un giornale locale, Virginia Maxey scrive che un geologo ha datato l'oggetto a 500.000 anni prima, e successivamente afferma che si potrebbe trattare di «un mezzo di comunicazione o un ricercatore direzionale o qualche strumento fatto per utilizzare principi energetici a noi sconosciuti». Altre ipotesi parlano di un'antenna di qualche tipo, un condensatore o addirittura un superconduttore, proveniente da civiltà tecnologiche di cui abbiamo perso ogni traccia o da visitatori alieni arrivati sulla Terra in un remoto passato.

In ogni caso, un oggetto di origine chiaramente tecnologica racchiuso in una roccia vecchia di mezzo milione di anni è un mistero che le nostre conoscenze attuali non sanno spiegare. L'oggetto comincia a diventare celebre: è chiamato Geode di Coso, dalle montagne dove è stato rinvenuto.


Un enigma astronomico e un oggetto inspiegabile. Nessuno ha dubbi sul fatto che il primo sia un vero mistero scientifico, che meriterebbe uno speciale di Superquark, mentre il secondo sembra più materia per Voyager o Mistero. Invece che "misteri" chiameremo i casi di questo secondo genere "mysteri", in omaggio a Martin Mystère, il detective dell'impossibile creato da Alfredo Castelli. Se però proviamo a definire con precisione la differenza ci troviamo subito nei pasticci. La somiglianza di un mystero con gli enigmi al centro delle avventure di un personaggio dei fumetti basta a squalificarlo da argomento per scienza genuina a sciocchezza? La materia oscura sarebbe invece oggetto di buona scienza in quanto ne parlano scienziati autorevoli? Figuriamoci: il principio di autorità non vale nelle questioni scientifiche.

Come possiamo quindi distinguere tra i due casi misteriosi che abbiamo appena raccontato?

La risposta, come capita spesso, è che a priori non si può distinguere. Quello che fa la differenza non è l'argomento, ma il metodo usato per cercare la soluzione.

Prima di addentrarci nelle disquisizioni filosofiche, vediamo però di capire di che cosa parleremo, volendo occuparci di mysteri e non di misteri. Gli argomenti sono molto vari tanto che per farsene un'idea sommaria non sarebbe sufficiente un'intera stagione di Voyager. Perciò, ecco alcuni esempi.


Il sangue miracoloso

All'interno di una teca d'argento dotata di una lunga impugnatura, conservata nel Duomo di Napoli, si trovano due ampolle sigillate. Solo una delle due è ancora piena per due terzi di una sostanza bruna, mentre l'altra è ormai vuota da secoli. Secondo la tradizione, il contenuto dell'ampolla è il sangue di san Gennaro, raccolto da una donna di nome Eusebia al momento della decapitazione del martire, nel IV secolo d.C. Dall'epoca medioevale si ha notizia che la sostanza ritorna miracolosamente allo stato liquido, evento ritenuto di buon auspicio per la città. Ancora oggi, a maggio, settembre e dicembre, l'arcivescovo di Napoli celebra una solenne cerimonia religiosa durante la quale i fedeli e i curiosi possono di persona assistere alla liquefazione della sostanza contenuta nell'ampolla. Si tratta di un evento sovrannaturale? Come fa una sostanza solida a ritornare allo stato liquido, senza che il contenitore sia scaldato né aperto? Cosa c'è nell'ampolla?


I misteriosi poteri dei fachiri

Sembra che il corpo umano possegga potenzialità ancora inesplorate: per esempio, si dice che usiamo soltanto il 10% del nostro cervello e che se trovassimo il modo di attivarlo di più potremmo acquisire capacità oggi considerate sovrumane, come quella di comunicare o di muovere oggetti con il solo pensiero. Alcuni popoli antichi, a torto considerati primitivi, avrebbero conosciuto meglio di noi queste potenzialità riuscendo a fare cose per noi impossibili. Qualcosa di analogo accadrebbe a certi asceti orientali, come i fachiri, che avendo sviluppato particolari capacità riuscirebbero a camminare sul fuoco e a sdraiarsi su un letto di chiodi. Come è possibile compiere tali imprese? Quali misteriosi poteri hanno i fachiri?


Messaggi dall'infinito?

Che cosa sono le misteriose raffigurazioni che compaiono ogni estate nei campi di grano di tutto il mondo? Gigantesche figure perfettamente simmetriche o dalle bizzarre asimmetrie, comunque stranamente suggestive, appaiono nell'arco di una notte. Sono troppo grandi e precise per essere fatte da semplici esseri umani, per di più senza lasciare alcuna traccia. All'interno di queste figure le piante non sono spezzate ma piegate e intrecciate in modo diverso da quelle del resto del campo. In alcuni casi si sono potute attribuire all'opera di burloni, ma altre volte si sarebbero rilevate strane anomalie: insetti morti in modo misterioso, concentrazioni anomale di isotopi radioattivi, inquietanti caratteristiche nella morfologia delle piante. Si tratta di manifestazioni di un fenomeno atmosferico ancora inspiegato o messaggi da un'intelligenza non umana? Come possiamo decifrarli? E che relazione hanno con le misteriose sfere di luce che vengono spesso avvistate nelle loro vicinanze?


Il Teschio del destino

Nel 1926 l'esploratore inglese Frederick A. Mitchell-Hedges e sua figlia Anna visitano le rovine di Lubaantun, una città Maya del Belize (che allora si chiamava Honduras Britannico). Spostando quello che rimane di un altare crollato, trovano un teschio di cristallo di aspetto sinistro, perfettamente riprodotto a grandezza naturale. Ecco come lo stesso Mitchell-Hedges ne parla in un libro di memorie uscito nel 1954:

Portammo con noi anche il sinistro Teschio del destino, su cui molto è stato scritto. Ho delle buone ragioni per non rivelare come questo oggetto venne in mio possesso. Il Teschio del destino è fatto di puro cristallo di rocca e secondo gli scienziati ha richiesto l'opera di centocinquant'anni di lavoro per essere ultimato; generazioni dietro generazioni hanno dedicato tutti i giorni della loro vita per molare pazientemente l'enorme blocco di cristallo da cui è stato ricavato un cranio perfetto.

Il pezzo risale almeno a tremila e seicento anni fa. Secondo la leggenda, veniva usato dal grande sacerdote dei Maya per compiere riti esoterici. Pare che quando il sacerdote invocava la morte per mezzo del teschio, non ci fosse dubbio che la morte arrivasse. E stato descritto come la «rappresentazione del male», ma io non desidero spiegare questo fenomeno.

[...] parecchie persone che si presero gioco di queste affermazioni morirono, altre vennero colpite da gravi malanni.

Molti anni dopo il Teschio del destino, insieme con dodici altri teschi di cristallo conservati in diversi musei e collezioni, viene posto al centro di una profezia, collegata a quanto pare alle leggende che prevedono la fine del mondo per il 21 dicembre 2012:

«Quando i tredici teschi di cristallo saranno ritrovati e riuniti, inizierà un nuovo ciclo per il genere umano, un ciclo di grande conoscenza ed elevazione»: questa la leggenda che, attraverso una tradizione orale, dai Maya è giunta fino a noi.

Che origine ha il teschio? Quale scopo avevano i Maya nell'impegnarsi in un'impresa durata generazioni?


Arcane influenze celesti

L'astrologia è un'arte divinatoria antichissima, che interpreta le posizioni e i movimenti degli astri in relazione alla Terra per descriverne gli influssi su eventi particolari o su singoli individui. Praticamente ogni civiltà ha sviluppato una propria forma di astrologia; quella più diffusa in Occidente affonda le sue radici nelle tradizioni degli antichi popoli mesopotamici e si lega alla sapienza dell'ermetismo e della Tabula Smaragdina, opera del misterioso Ermete Trismegisto alla base del sapere degli alchimisti. Si legge infatti sulla Tabula: «Quod est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est inferius» (ciò che sta sotto è come ciò che sta sopra, e ciò che sta sopra è come ciò che sta sotto); in altre parole, il macrocosmo dell'Universo e il microcosmo della persona umana si rispecchiano. Lasciando perdere gli oroscopi che si trovano sui giornali, che gli stessi astrologi considerano un semplice passatempo, come è possibile che le posizioni dei pianeti, del Sole e della Luna al momento della nascita determinino o rispecchino il carattere e il destino di una persona?


Oggetti fuori dal tempo

Esattamente come il misterioso oggetto contenuto nel geode di cui abbiamo parlato all'inizio, esistono molti altri oggetti inspiegabili custoditi in collezioni e musei di tutto il mondo. A Baghdad è conservato un vasetto di terracotta di epoca partica (II secolo a.C.-III secolo d.C.) contenente un tubo di rame e una barretta di ferro: se riempito di un opportuno elettrolita acido, potrebbe funzionare perfettamente come una pila galvanica e generare una debole corrente elettrica. I Parti conoscevano forse l'elettricità? O la conoscevano addirittura gli antichi Egizi, che a Dendera hanno rappresentato su bassorilievi immagini che ricordano molto da vicino le moderne lampadine a filo incandescente? E cosa avevano cercato di raffigurare gli orafi precolombiani con un oggetto conservato al Museo del Oro di Bogotá, che assomiglia inequivocabilmente a un moderno caccia a reazione? A Palenque, nel Chiapas, una pietra tombale si direbbe senza dubbio ritrarre un pilota in un mezzo spaziale: cosa sapevano i Maya? Nel lontano passato, la Terra è stata visitata da ospiti extraterrestri o si tratta del remoto ricordo di un'antica civiltà tecnologica, scomparsa senza quasi lasciare tracce?


In questa "guida" ci occuperemo dunque di mysteri e non di misteri; con l'aiuto di questi esempi, proveremo a discutere come sia possibile affrontarli e spesso comprenderli e scopriremo che lo strumento giusto è il metodo scientifico.

Ci troviamo di nuovo nei guai, però: come vedremo proseguendo nella discussione, non tutti gli scienziati (per non parlare dei filosofi) sono d'accordo su cosa sia esattamente e come funzioni il metodo scientifico. In più, gli scienziati lo usano con sfumature diverse, adattate alle particolarità delle varie discipline: il metodo usato in fisica e chimica non è identico a quello usato in archeologia o in psicologia sociale. Non solo: incontreremo anche le pseudoscienze, discipline che si presentano come scientifiche per beneficiare dell'autorevolezza e dell'attendibilità che normalmente si attribuiscono alla scienza, ma che in qualche aspetto cruciale trascurano di applicarne il metodo.

Proviamo allora a dare una definizione ridotta all'osso che, senza troppi problemi filosofici, ci permetta di metterci al lavoro. Chiameremo per ora "metodo scientifico" un processo di indagine che consiste nella rigorosa e sistematica osservazione di un fenomeno, nella formulazione di ipotesi sulle sue possibili cause e nel controllo, per esempio attraverso un esperimento, di tali ipotesi.

Questa definizione, naturalmente, è troppo semplificata (qual è l'esatto procedimento per formulare un'ipotesi, o per progettare un esperimento?) e qualcuno potrebbe giustamente obiettare che non si applica a molti campi della scienza: come si fa un esperimento in astrofisica? Per di più, enunciare una definizione di metodo scientifico non fa di noi né scienziati né investigatori del mystero. Ma non vi preoccupate: useremo il resto del libro per capire come applicarla a vari casi mysteriosi e provare a capirli. Strada facendo vedremo molti più dettagli e sfumature, cercheremo di capire dove stanno i problemi e impareremo anche alcuni trucchi del mestiere che potranno renderci la vita più facile.

Ci ritroveremo alla fine con una cassetta degli attrezzi per investigatori del mystero: un po' caotica, conterrà strumenti affilati come il rasoio di Ockham insieme ad aggeggi semplici ma fondamentali come il campione di controllo. Scopriremo così che i ferri del mystero somigliano molto a quelli che un bravo scienziato usa nel suo lavoro tutti i giorni.

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Il rasoio di Ockham

Quasi negli stessi anni in cui il sangue di san Gennaro cominciava a liquefarsi in pubblico, un frate francescano inglese scriveva trattati rivoluzionari, anche affrontando accuse di eresia. Si chiamava Guglielmo di Ockham. Si scontrò con il papa soprattutto perché sosteneva il principio della povertà apostolica. Per sfuggire a una imminente condanna per eresia, lasciò la sede pontificia di Avignone e si rifugiò presso l'imperatore Ludovico il Bavaro, prima a Pisa e poi a Monaco. Fu scomunicato da papa Giovanni XXII e venne riabilitato dalla Chiesa solo dopo la morte.

Il pensiero scientifico moderno è debitore di Ockham in alcune importanti questioni. Secondo Ockham, infatti, la sola conoscenza possibile è fondata sull'esperienza sensibile; non si può dunque conoscere il fine o la sostanza di qualcosa, ma solo la sua realtà empirica. Dunque, per esempio, le verità teologiche possono essere solo oggetto di fede. Per affermare il proprio empirismo, egli introduce un principio metodologico – noto come rasoio di Ockham – che serve appunto a "tagliare via" il superfluo: è inutile e dannoso introdurre più enti di quanto sia necessario. Ockham, aveva in mente la metafisica, ma noi usiamo il rasoio come criterio di economia più generale: per spiegare un determinato fenomeno non c'è motivo di formulare ipotesi aggiuntive se quelle iniziali sono sufficienti.

Nel nostro campo, vedremo che il rasoio di Ockham non viene applicato in tutti quei casi in cui, per spiegare un fenomeno più o meno misterioso, si postula l'esistenza di un altro fenomeno ancora più misterioso.

Nel caso del sangue di san Gennaro, la spiegazione su basi naturali e quella miracolosa hanno entrambe diritto di essere prese in considerazione, ma la prima ha il vantaggio di essere più semplice o, come si dice in questi casi, più "economica". Partendo da un fenomeno naturale, spiego un fenomeno sconosciuto (la liquefazione del "sangue") mediante un fenomeno già noto (la tissotropia); ipotizzando un miracolo, invece, spiego un fenomeno sconosciuto postulando l'esistenza di una classe di fenomeni (i miracoli) che a loro volta non sono dimostrati né tantomeno spiegati. Nel primo caso mi riconduco a conoscenze che ho già; nel secondo non risolvo alcun mistero, limitandomi a spostare il problema dalla liquefazione del sangue all'esistenza dei miracoli.

Nel caso dei cerchi nel grano, l'ente "inutile" introdotto dall'ipotesi paranormale sono le BOL, le sfere di luce che abbiamo incontrato parlando di letteratura scientifica. Fenomeni con queste caratteristiche non sono mai stati osservati in modo documentato: per affermare che siano la causa dei cerchi nel grano, quindi, bisognerebbe prima dimostrare che esistano.

Prima delle sfere di luce era di moda un'altra spiegazione, quella dei «vortici di plasma». Secondo questa ipotesi, proposta dal meteorologo Terence Meaden e poi ripresa da Levengood, i cerchi nel grano, o per lo meno i più semplici, sarebbero causati da vortici di plasma che, invece di tendere a salire, andrebbero dall'alto verso il basso, appiattendo quindi la vegetazione in maniera circolare. Ma il problema non cambia: anche i vortici di plasma, così come le BOL, non sono mai stati osservati.


La logica della scoperta scientifica

Abbiamo visto fin qui che le teorie si possono elaborare e poi mettere alla prova in diversi modi: ma quale procedimento corrisponde meglio al metodo scientifico? Di norma gli scienziati se ne infischiano e pensano a fare il loro mestiere, ma i filosofi della scienza ne discutono da più di un secolo senza riuscire a mettersi d'accordo. In generale l'idea è quella che nel nostro libro seguiamo fin dall'inizio, ossia che il metodo scientifico si basi sull'osservazione rigorosa di un fenomeno, sulla formulazione di ipotesi per spiegarne lo svolgersi e sul controllo sperimentale delle teorie; ma sui dettagli c'è da diventare matti. Senza entrare nei particolari più scabrosi della disputa, vediamo alcuni punti che ci potranno tornare utili più avanti.


Il problema dell'induzione

Fin dalla seconda metà dell'Ottocento, i filosofi della scienza erano abbastanza concordi nel vedere la ricerca scientifica come un processo prevalentemente induttivo. Pensavano cioè che il fulcro fosse la formulazione di teorie generali a partire da osservazioni empiriche specifiche: come abbiamo visto, questo è un procedimento induttivo che presenta dei limiti e all'inizio del Novecento è andato in crisi.

Come aveva già notato il filosofo scozzese David Hume nel XVIII secolo, estrarre da un numero finito di osservazioni del tipo: «I cerchi nel grano che ho visto erano opera umana» una legge universale valida in un numero infinito di casi, del tipo: «Tutti i cerchi nel grano sono opera umana» non è un'operazione giustificata dal punto di vista logico, perché in linea di principio è sempre possibile imbattersi in un cerchio nel grano con origine diversa. Questo è noto in filosofia come problema dell'induzione.

Al contrario, la conclusione di un ragionamento deduttivo, che da premesse generali P deriva conclusioni specifiche C, è certamente vera se sono vere le premesse:

— P: tutti gli uomini possono camminare sui carboni ardenti;

— P: Giucas Casella è un uomo;

— C: Giucas Casella può camminare sui carboni ardenti.

Viceversa, se si può dimostrare che la conclusione di un ragionamento deduttivo formalmente corretto è falsa, ciò significa che è necessariamente falsa una delle premesse. Ecco un esempio:

— P: i cerchi nel grano in cui le spighe non sono spezzate sono fatti dagli alieni;

— P: il cerchio di Cuneo ha le spighe non spezzate;

— C: il cerchio di Cuneo è stato fatto dagli alieni.

Ma il cerchio di Cuneo l'abbiamo fatto noi! Quindi non è vero che tutti i cerchi sono fatti dagli alieni, perché noi non siamo alieni.

Un altro limite del metodo induttivo sta nel presupporre che i fatti siano dati oggettivi, indipendenti da teoria e osservatore, e che i nostri sensi siano completamente affidabili: cioè che qualunque osservatore privo di pregiudizi vedrà lo stesso fenomeno. In realtà, abbiamo già visto parlando di Boyle e del limite ignoto che non possiamo iniziare un'osservazione senza una ipotesi di lavoro che ci dica che cosa conviene osservare e come osservare.

Per esempio, le osservazioni di Galileo che mettevano in dubbio la teoria geocentrica non erano state fatte per mezzo dei suoi soli sensi, ma con un telescopio. Alcuni dei suoi contemporanei erano molto scettici verso il nuovo strumento e in effetti Galileo non aveva ancora elaborato una teoria ottica con cui spiegare perché ciò che si vedeva attraverso il telescopio era un vero fenomeno celeste e non un effetto delle lenti.

Oggi capita sempre più spesso che l'oggetto dell'osservazione non possa essere percepito direttamente attraverso i sensi, e che la sua esistenza debba essere dedotta usando strumenti tecnologici anche estremamente complessi (pensate ai microscopi elettronici o agli acceleratori di particelle), che implicano un'enorme quantità di assunzioni teoriche. Per esempio, quando i medici dicono: «Dalla radiografia si vede una frattura», in realtà stanno dicendo: «I raggi X hanno attraversato il braccio e noi conosciamo con sufficiente precisione le leggi che regolano l'emissione dei raggi X, il loro assorbimento da parte dei vari tessuti, la formazione dell'immagine sulla lastra...» e si potrebbe andare ancora avanti. Insomma, fatti, teoria e osservazione sono sempre intrecciati fra loro.


Dedurre e falsificare

Karl Popper, a causa di questi problemi, riteneva poco realistica la descrizione basata sul metodo induttivo e ne propose una nuova che metteva l'accento sul processo deduttivo. Secondo Popper il cuore di quello che fanno davvero gli scienziati è formulare ipotesi generali e poi dedurre conclusioni in forma di predizioni, che si possono mettere alla prova facendo un esperimento. A differenza del metodo induttivo, quello deduttivo non dà una ricetta per formulare le ipotesi e quindi ha il vantaggio di lasciare spazio a diverse possibilità concrete, come la libera creatività (magari stimolata dalle molecole psicoattive), i colpi di fortuna eccetera.

La scoperta del pianeta Nettuno è un famoso esempio storico di scoperta basata sulla deduzione. Il moto dei pianeti nel Sistema Solare si può calcolare in base alla legge della gravitazione universale di Newton, tenendo conto degli influssi gravitazionali che esercitano tra loro. Nel 1845 gli astronomi avevano osservato nell'orbita di Urano irregolarità che non si potevano spiegare con la legge di Newton, pur tenendo conto dell'influenza dei pianeti allora noti. Due matematici, l'inglese John Couch Adams e il francese Urbain Le Verrier, provarono a spiegarle con la presenza di un ulteriore pianeta non ancora osservato. Entrambi fecero previsioni piuttosto accurate sull'orbita del nuovo pianeta e con un po' di fortuna Le Verrier riuscì a far arrivare per primo le proprie all'Osservatorio di Berlino. Nel 1846 fu scoperto, molto vicino alla posizione indicata dai calcoli, il pianeta che venne poi chiamato Nettuno. Uno a zero per la meccanica newtoniana.

La seconda idea importante di Popper è che è fin troppo facile cercare una conferma sperimentale alle proprie teorie: se la teoria non è proprio insensata, sono capaci tutti a confermarla così. Per esempio, abbiamo corroborato la teoria che i cerchi nel grano siano fatti da esseri umani facendone uno noi. Adesso potremmo andare avanti all'infinito a farne tanti altri grossi, piccoli, larghi e stretti, ma è chiaro che concluderemmo ben poco.

Al contrario, per Popper lo scienziato dovrebbe sfidare continuamente la sua teoria con esperimenti «rischiosi», che, in quanto possono davvero smentirla, sono anche gli unici che possono confermarla efficacemente. Portando questa considerazione alle sue logiche conseguenze si arriva al concetto di falsificazionismo: per quanto detto sopra su induzione e deduzione, sappiamo che un numero qualsiasi di prove a favore non potrà mai verificare – cioè comprovare definitivamente – una teoria, mentre in linea di principio una sola prova contraria è sufficiente per mostrarla falsa. Basta un cerchio fatto inequivocabilmente dagli alieni (magari perché li abbiamo beccati sul fatto) per smentire in via definitiva e senza rimedio la nostra teoria dell'origine esclusivamente umana.

Una teoria scientifica, secondo Popper, ha valore se permette di prevedere anche fatti che altrimenti non ci aspetteremmo; per acquistare credito deve superare indenne continui assalti e tentativi di confutazione. Perciò, tutte le conoscenze scientifiche non possono che essere provvisorie: le teorie scientifiche possono essere corroborate temporaneamente quando superano gli esperimenti, ma rimane sempre aperta la possibilità di confutarle.

Al contrario, se una teoria è formulata in modo tale che nessun controllo sperimentale possa mai falsificarla, essa non è mai pienamente scientifica. Popper nota che questa è proprio la caratteristica delle teorie pseudoscientifiche: ogni volta che sono smentite dai fatti, i loro autori costruiscono ipotesi ad hoc soltanto per stiracchiarle e renderle compatibili con le nuove scoperte.


Le ipotesi ad hoc sulla Sindone

Uno degli esempi di pseudoscienza che fa Popper è l'astrologia, di cui parleremo ampiamente nella prossima lezione.

Qui possiamo descrivere uno dei molti casi in cui la teoria in realtà non è falsificabile: la questione della Sindone. Consideriamo tre delle principali prove che fanno dubitare dell'autenticità della reliquia.

Primo: la Sindone non è citata in alcun documento fino al XIV secolo, quando compaiono i primi riferimenti, alcuni dei quali la descrivono come un falso dichiarato. Secondo: la figura sul telo è molto diversa da quella che si ottiene avvolgendo un essere umano in un lenzuolo. Per esempio il volto ha le proporzioni di un ritratto, mentre quando si avvolge un telo intorno a una testa e poi lo si distende si ottiene una figura deformata, con le orecchie molto più distanti che nella realtà e così via. Per verificarlo potete fare una prova: impiastricciatevi la faccia di colore e appoggiateci sopra un fazzoletto. Terzo: la datazione al carbonio 14 svolta nel 1988 da tre autorevoli laboratori indipendenti ha collocato l'origine della Sindone nel XIV secolo, con un margine di errore di poco più di cento anni.

La sindonologia è una disciplina che studia la Sindone partendo dal presupposto che sia l'autentico sudario di Cristo. I sindonologi affrontano questi tre problemi con quelle che Popper chiamerebbe ipotesi ad hoc.

Spiegano la mancanza di documenti anteriori al XIV secolo con due azzardate ipotesi non sostenute da altri dati storici: che la Sindone e il Mandylion (una reliquia molto più antica, andata perduta nella quarta crociata, che secondo la tradizione raffigurava il solo volto di Cristo) siano la stessa cosa e che il Mandylion venisse sempre mostrato ripiegato su sé stesso in modo da rendere visibile soltanto il volto.

L'incompatibilità dell'immagine con un volto umano è considerata dai sindonologi un problema aperto, oppure spiegata come il risultato di un misterioso flusso di energia radiante emessa dal corpo di Gesù durante la resurrezione. Come nel caso delle BOL di Haselhoff anche qui ci si dimentica del rasoio di Ockham: per spiegare un mistero si tira in ballo un mistero ancora più grande. L'ipotesi più semplice, ossia che l'immagine non sia l'impronta di un volto umano, non viene presa in considerazione.

Il problema della datazione medioevale viene spiegato in due modi. Alcuni sindonologi negano l'attendibilità del metodo del carbonio 14, che in ambito scientifico è considerato uno dei più precisi per la datazione di campioni relativamente recenti, come la Sindone. Altri ipotizzano che sia stato applicato su un campione prelevato da un rammendo molto meno antico del telo nella sua interezza (ma il cardinale di Torino e il suo consulente scientifico, presenti al momento del prelievo eseguito per gli studi del 1988, non potevano non accorgersi dell'errore).

Con argomentazioni così non c'è niente da fare: è evidente che nessuna nuova scoperta potrà far cambiare idea ai sindonologi. Nel linguaggio di Popper la loro teoria è infalsificabile e, quindi, non è scientifica. Θ un atteggiamento che si incontra molto spesso, quando si indaga su fenomeni cosiddetti misteriosi: i sostenitori di una tesi precostituita non sono mai disponibili a metterla in discussione.

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Lezione 5


INVESTIGARE MYSTERI STORICI



Ipotizzare va bene, ma scoprire è meglio. Mark Twain


Θ venuto il momento di togliersi il camice dello scienziato, rimettersi il cappello da Indiana Jones, lasciare l'aria condizionata del laboratorio e avventurarsi nelle giungle e negli altipiani del Sud America.

Rulli compressori a vapore, vecchi di secoli? Alcuni "recipienti in argilla" peruviani, riportati alla luce non lontano dall'altopiano di Nazca, mostrano delle sorprendenti analogie con le più moderne macchine a vapore. Gli oggetti sarebbero stati prodotti dalle cosiddette civiltà Vicús o Virú (che hanno vissuto fra il 400 a.C. e il 600 d.C.). Uno dei pezzi più belli si trova oggi nella Collezione Carmen Oechsle, esposta a Basilea e a Zurigo.

L'illustrazione che accompagna questo testo è chiarissima: un oggetto di terracotta che assomiglia in tutto e per tutto a un rullo compressore, con tanto di cabina di guida e fumaiolo (Figura 5). Tra l'altro, notate l'accenno all'altopiano di Nazca, quello delle famose raffigurazioni visibili solo dall'aereo: non c'entra nulla, ma aiuta a mettere l'oggetto di cui si parla in un contesto misterioso. Dovrebbe già farci sentire puzza di bruciato, e in effetti il libro da cui è tratta la citazione si intitola Archeologia misterica. Θ una raccolta di reperti archeologici, scoperte bizzarre e stranezze che non quadrano con quello che sappiamo: proseguendo in questa lezione ne incontreremo parecchie.

Qui il punto è: ammesso che il vasetto appartenga alla civiltà Vicús (ed è così), come possiamo corroborare o falsificare l'ipotesi che una civiltà precolombiana fosse molto più avanzata tecnologicamente di quanto abbiamo sempre pensato? O magari che sia stata visitata da esseri alieni portatori di innovazioni tecnologiche? Nella quarta lezione abbiamo visto molti esempi di come il momento cruciale di un'indagine scientifica sia il controllo delle ipotesi attraverso l'esperimento. In questo caso non possiamo certamente farne uno: dobbiamo rinunciare al nostro approccio scientifico?


Cercare le prove

In realtà, neanche nelle discipline scientifiche propriamente dette è sempre possibile fare un esperimento, per lo meno non in tutte. Lo è di sicuro nelle discipline più "dure" come chimica o fisica; ma che dire, per esempio, della paleontologia, della biologia evoluzionistica, della geologia o della stessa astronomia? Tutti sono perfettamente d'accordo che anche queste siano scienze nel senso pieno del termine, sebbene nessuna sia sperimentale in senso stretto: queste discipline si distinguono soprattutto per il loro approccio storico. Le scienze sperimentali indagano i fenomeni nel momento in cui avvengono, per mezzo di esperimenti a cui è possibile assistere, controllando anche in quali condizioni accadono e quali fattori potrebbero influenzarli. Le scienze storiche, invece, si occupano di ricostruire le cause che, in un passato più o meno remoto, hanno portato a un determinato fenomeno osservabile oggi, lasciando tracce non sempre evidenti.


La smoking gun

L'idea che le scienze storiche siano in qualche modo inferiori a quelle sperimentali è abbastanza diffusa, specialmente se andate a chiedere agli scienziati sperimentali. Massimo Pigliucci, per esempio, racconta che nel 1999 Henry Gee, uno degli editor di Nature, scrisse:

[Le ipotesi storiche] non possono mai essere messe alla prova sperimentalmente e sono perciò non scientifiche. [...] Nessuna scienza potrà mai essere storica.

Siamo d'accordo con Pigliucci: Gee si sbagliava in modo spettacolare.

Ci spiega il perché Carol Cleland, filosofa presso la University of Colorado, in un appassionato articolo sulla rivista della Geological Society of America in cui argomenta con grande chiarezza come, pur dovendo rinunciare a criteri semplici come il falsificazionismo rigoroso (che qualche problema comunque ce l'ha), sia sbagliato immaginare di non poter mettere alla prova ipotesi di carattere storico. Seguiamo il suo ragionamento.

Anche nelle scienze storiche, il cuore del metodo è il processo "osservazione, formulazione di ipotesi, controllo" che ormai conosciamo bene. Tuttavia, mentre gli scienziati sperimentali si concentrano generalmente su un'ipotesi alla volta, magari molto complessa, gli scienziati storici spesso procedono formulando diverse ipotesi e mettendole in competizione l'una con l'altra. Il grosso del lavoro di verifica consisterà nel cercare una smoking gun: l'indizio risolutivo, la "pistola fumante" che permetta di incastrare l'assassino o, nel nostro caso, di scegliere l'ipotesi che dia la migliore spiegazione dei fatti osservati.

Un classico esempio di questo procedimento viene dalla cosmologia. L'osservazione dello spettro della luce proveniente dalle galassie mostra che si stanno allontanando le une dalle altre: in pratica l'Universo si sta espandendo. Negli anni Trenta due teorie erano in competizione per spiegare questo fenomeno: quella dello stato stazionario e quella del Big Bang.

La prima, che aveva tra i suoi sostenitori principali l'astronomo inglese Fred Hoyle, prevedeva che l'Universo si espandesse attraverso la creazione continua di materia, secondo qualche meccanismo non ancora noto. Invece, secondo la teoria del Big Bang, formulata per la prima volta nel 1927 dal belga Georges Ιdouard Lemaitre (che era stato ufficiale di artiglieria in guerra ed evidentemente aveva un debole per le esplosioni) l'Universo ebbe origine da uno stato estremamente denso e caldo, tra i 13 e i 14 miliardi di anni fa, cominciando a espandersi in un grande botto. Nel 1948 George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman calcolarono che, se le cose stavano davvero così, l'Universo avrebbe dovuto essere permeato da una «radiazione fossile» con determinate caratteristiche: una specie di eco dell'antica esplosione. Dovettero passare quasi vent'anni, ma nel 1965 Arno Penzias e Robert Wilson, che in realtà non la stavano cercando, si guadagnarono un premio Nobel scoprendo proprio la smoking gun: la radiazione cosmica di fondo, che corrispondeva precisamente alle previsioni. Uno a zero per la teoria del Big Bang.

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Lezione 6


VEDERE OLTRE I MYSTERI



L'epidemiologia è come un bikini: quello che rivela è interessante, ma quello che nasconde è fondamentale. Peter Duesberg


Nelle lezioni precedenti ci siamo cimentati con fenomeni forse un po' frivoli, che spopolano su internet e nei palinsesti televisivi, ma che difficilmente sono percepiti come cruciali o gravi. Ora proveremo a fare un esercizio finale: usare gli attrezzi della nostra cassetta per investigare su questioni molto più serie, in particolare le teorie del complotto.

Con questa espressione indichiamo la posizione di quanti ritengono falsa la spiegazione "ufficiale" di un evento storico, supponendo che la vera causa sia una cospirazione – più o meno vasta ma sempre occulta – cui partecipano a seconda dei casi: multinazionali, governi, associazioni segrete e via così. Naturalmente le cospirazioni possono esistere davvero (basta pensare al tentato golpe Borghese o alla loggia P2 in Italia, o all'affare Iran-Contras negli Stati Uniti degli anni Ottanta) e non è detto a priori che le teorie del complotto siano infondate. Anche in questo caso bisogna indagare per farsi un'idea. Facciamo un primo esercizio con il satanismo.

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Complottismo e negazionismo

Il modello interpretativo del complotto si ritrova spesso anche in altri contesti, dove si intreccia con le problematiche del consenso scientifico e della comunicazione della scienza.

Gli studiosi raggruppano sotto il termine denialism, traducibile approssimativamente con "negazionismo", una varietà di movimenti che contestano le conoscenze acquisite in una determinata disciplina. Alcuni di questi attaccano le conoscenze mediche, sostenendo per esempio che i vaccini siano inutili o dannosi, oppure che non esista alcun legame tra il fumo e il tumore ai polmoni. Altri rifiutano teorie scientifiche di largo raggio, come quella dell'evoluzione o quella sull'origine antropica del riscaldamento globale. Altri ancora non mettono in dubbio teorie scientifiche, ma ricostruzioni di fatti storici o di cronaca, per esempio la Shoah, lo sbarco sulla Luna o gli attacchi terroristici dell'11 settembre.

Il punto interessante è che le tesi negazioniste non attaccano teorie scientifiche davvero incerte, magari perché all'inizio del loro sviluppo, ma teorie ormai corroborate da una grande quantità di prove empiriche e dotate di un vasto consenso da parte della comunità scientifica. Per esempio, la teoria che il riscaldamento globale esista e sia causato almeno in parte dalle attività umane è sostenuta da tutte le associazioni scientifiche internazionali più importanti, dalla stragrande maggioranza dei climatologi (il 97%, secondo un sondaggio della University of Illinois del 2009) e dalle principali riviste scientifiche.

Ponendosi in contrasto con idee generalmente accettate, i negazionisti hanno il problema di giustificare la loro posizione di minoranza: è qui che di solito entra in gioco, più o meno sfumata, una forma di teoria del complotto. Il complotto è il cuore delle argomentazioni di chi ritiene che gli sbarchi sulla Luna degli anni Sessanta e Settanta siano stati una enorme montatura; i creazionisti accuseranno la comunità scientifica atea di ostacolare le loro pubblicazioni e i negazionisti del riscaldamento globale accolleranno la responsabilità a una «lobby ambientalista» e così via.

La parola "negazionismo", come "pseudoscienza", ha una connotazione negativa e i negazionisti ovviamente non amano essere chiamati così: preferiscono dirsi "dissidenti", "scettici" o "indipendenti". Negli ultimi decenni approcci negazionisti si sono diffusi nei campi più disparati e i loro sostenitori – in passato gruppi marginali e folcloristici – sono diventati settori rilevanti dell'opinione pubblica.

A volte la controversia viene presentata dai media come un problema di dialettica interna alla comunità scientifica: per esempio, le teorie che negano la relazione tra AIDS e virus HIV o quelle che mettono in dubbio il riscaldamento globale.

In altri casi, come per l'11 settembre, le versioni negazioniste trovano meno spazio sui media e si diffondono soprattutto attraverso internet e le pubblicazioni di settore.


Il Contestualizzatore e l'Intelligent Design

Come primo esempio di negazionismo ci confronteremo con i sostenitori dell' Intelligent Design (Disegno intelligente), una versione evoluta del creazionismo che usa il linguaggio della scienza per tentare di screditare la teoria dell'evoluzione.

Il Disegno intelligente afferma che è possibile rilevare i segni di un progetto e di un progettista nelle strutture e nella fisiologia degli esseri viventi, in particolare della cellula. Secondo i suoi sostenitori il complesso sistema biochimico delle cellule non può essersi evoluto gradualmente, con le lievi e successive mutazioni teorizzate da Darwin, ma deve essere il frutto di un progetto, di una mente che l'abbia pensato in vista di un fine. Si tratterebbe secondo loro di una «complessità irriducibile».

Vediamone un esempio nelle parole di Harun Yahya, un creazionista turco noto per aver dato alle stampe e spedito agli insegnanti di scienze di tutta Europa, nonché a musei, biblioteche e alle più varie istituzioni, un libro di circa ottocento pagine e del peso di qualche chilogrammo:

Ci sono progetti straordinari persino nelle creature che gli evoluzionisti considerano "semplici". Il fiagellum batterico è uno degli innumerevoli esempi. I batteri si spostano nell'acqua muovendo l'organo sulla loro membrana. Quando i dettagli interni di questo organo noto furono rivelati, il mondo scientifico rimase molto sorpreso nello scoprire che i batteri hanno un motore elettrico straordinariamente potente. Il motore elettrico, che è formato da circa cinquanta diverse parti molecolari, è un miracolo della creazione.

La descrizione prosegue con l'elenco delle varie componenti del flagello: dall'albero motore al filamento propulsore, passando, ovviamente, per il rotore.

Tutte queste componenti sono indispensabili per il suo corretto funzionamento. Se si riuscisse a togliere in qualche modo l'albero motore il flagello collasserebbe; senza il filamento propulsore non sarebbe in grado di muoversi e senza rotore non potrebbe girare.

Motori, rotori, propulsori... vi viene in mente qualcosa? L'investigatore del mystero che è in voi sa che è giunto il momento per tirare fuori il Contestualizzatore. Parlando dello schiacciasassi precolombiano abbiamo visto che rimettere le cose nel loro giusto contesto permette di capirne lo scopo ed evita di prendere cantonate colossali. Vediamo ora come il Contestualizzatore può essere applicato anche ai flagelli dei batteri.

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La guerra dell'AIDS

Proseguiamo con i nostri esercizi. Abbiamo avuto a che fare con una teoria del complotto e una forma di negazionismo applicata alla teoria dell'evoluzione. Adesso, per complicare un po' le cose andiamo ad ascoltare di nuovo le parole di Kary Mullis, il premio Nobel convinto di essere stato rapito da un alieno con le sembianze di un procione luminoso.

Peter Duesberg mi piace e lo rispetto. Non credo che sappia necessariamente che cosa provochi l'AIDS; sulle cause non abbiamo le stesse convinzioni. Ma entrambi sappiamo con certezza che cosa non provoca l'AIDS.

In questa frase pubblicata nella prefazione del libro AIDS, il virus inventato, di Peter Duesberg, Mullis ha racchiuso l'essenza del poliedrico movimento che nega la relazione tra HIV e AIDS.

Che l'HIV sia la causa dell'AIDS lo sappiamo dai primi anni Ottanta, quando due gruppi di ricerca in Francia e negli Stati Uniti, guidati rispettivamente da Luc Montagnier e Robert Gallo, isolarono indipendentemente il virus dell'HIV in pazienti considerati malati o a rischio di ammalarsi di AIDS. Tuttavia, come spesso accade, la storia è leggermente più complicata di così.

La scoperta di Montagnier e Gallo arrivò a distanza di qualche anno dai primi casi riconosciuti di malattia, quando ormai l'epidemia si stava allargando e il bisogno di trovare un colpevole e una cura era urgente. Inizialmente si pensava che la malattia fosse dovuta a cause di tipo ambientale, come stili di vita, comportamenti sessuali promiscui e assunzione di droghe. Già alla fine del 1982 le ipotesi ambientali erano state accantonate per l'accumularsi delle prove della trasmissione in gruppi sociali molto differenti fra loro e l'aumentare del numero di casi in pazienti emofiliaci che avevano subito molte trasfusioni di sangue.

L'isolamento nel sangue dei malati di un virus in grado di attaccare cellule appartenenti al sistema immunitario sembrava la risposta tanto attesa: se Montagnier fi decisamente cauto, Gallo diede l'annuncio del probabile nesso tra il virus che aveva isolato e l'AIDS in una conferenza stampa internazionale. I media ripresero la notizia e il 23 aprile 1984 il mondo aveva finalmente il colpevole. Tutte le risorse disponibili, da lì in avanti, sarebbero state usate per cercare una cura.

Il coro delle critiche si fece sentire subito. A ridosso della conferenza stampa uno psichiatra, Casper Schmidt, pubblicò un articolo sul Journal of Psychohistory nel quale sosteneva che l'AIDS non fosse altro che una forma di isteria collettiva.

Nel 1983 il KGB, il servizio segreto sovietico, aveva fatto circolare la notizia che il virus era stato creato dagli americani. La campagna di disinformazione cessò solo nel 1988, in seguito al rifiuto del governo degli Stati Uniti di collaborare con i sovietici nella ricerca di una cura per la malattia. In quei cinque anni la falsa informazione ebbe modo di uscire dai confini sovietici, alimentandosi di sentimenti antiamericani e declinandosi nelle leggende che sono state tramandate fino a oggi. Lorenzo Montali, psicologo sociale all'Università di Milano Bicocca ed esperto di leggende metropolitane, ne ripercorre la nascita nel libro Leggende tecnologiche.

Nel 1994, secondo due sondaggi, negli Stati Uniti il 20% degli afroamericani pensava che il governo stesse usando l'AIDS per decimare le minoranze; la percentuale è aumentata al 50% nel 2005. A questo si aggiungeva la diffusa convinzione che la cura per la malattia esistesse, ma venisse tenuta nascosta per proteggere gli interessi delle multinazionali del farmaco.

All'inizio lo scetticismo era diffuso anche all'interno della comunità scientifica, in parte per il comportamento non proprio ortodosso del gruppo di Gallo che aveva dato l'annuncio della scoperta prima di aver pubblicato i risultati su una rivista scientifica. Se oggi questa è una pratica non rara, pur essendo ancora molto criticata, all'epoca l'azione fu vista come un tentativo di saltare le tappe della costruzione del consenso scientifico. Le riviste scientifiche pubblicarono editoriali piuttosto cauti che mettevano in luce i dubbi e le questioni ancora aperte. Comunque, verso la fine degli anni Ottanta, con moltissimi studi a supporto della teoria virale, la controversia a livello scientifico sembrava chiusa. Ma gli scienziati non avevano fatto i conti con un biochimico tedesco particolarmente agguerrito.

Nato in Germania nel 1936, Peter Duesberg si laureò e conseguì un dottorato in Biochimica all'Università di Francoforte. Nel 1970 si trasferì negli Stati Uniti e venne assunto alla University of California a Berkeley, dove iniziò a fare ricerca. Negli anni Settanta concentrò il suo lavoro sui retrovirus e sul loro possibile collegamento con il cancro, facendo numerose scoperte fondamentali per la biologia molecolare dei tumori, che gli portarono riconoscimenti prestigiosi e finanziamenti importanti.

Nel 1987 pubblicò un articolo critico su Cancer Research, una rivista con un buon impact factor, nel quale metteva in dubbio l'effettiva pericolosità di molti retrovirus. Con quell'articolo ridiscuteva buona parte della teoria che lui stesso aveva contribuito a formulare e, sorprendentemente, nella lista dei tanti virus innocui includeva l'HIV.

L'HIV, per Duesberg, è solo un virus passeggero, come quelli del raffreddore o dell'influenza, che colpisce individui con difese immunitarie ridotte, ma che non ha grosse conseguenze per la salute. La causa dell'AIDS sarebbe da cercare altrove: molto probabilmente – come ha illustrato poi nel corso degli anni – negli stili di vita, nell'assunzione di droghe o negli stessi farmaci usati per cercare di curarla. Proprio in quelle cause ambientali che erano state accantonate per andare alla ricerca del virus.

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L'argomento dell'incredulità

«Non vorrete farmi credere che quattro beduini col turbante siano riusciti a ingannare le difese del Paese più avanzato del mondo abbattendo le Torri Gemelle! Deve per forza essere successo qualcos'altro». Per smentire questa argomentazione, dovremmo riuscire a dimostrare che non è successo nient'altro. Abbiamo già incontrato questo tipo di ragionamento quando parlavamo del sangue di san Gennaro: ci stanno chiedendo un ragionamento per esclusione. Θ uno strumento troppo primitivo che, come abbiamo visto, non è affidabile nel mondo reale. Come ha fatto notare Popper, salvo in rari casi, non possiamo essere sicuri di aver preso in considerazione tutte le spiegazioni possibili. Potrebbe essercene qualcuna a cui non abbiamo pensato, magari per quel limite ignoto che ci impedisce di cercare qualcosa che non riusciamo a immaginare. Non solo, ma anche se fossimo sicuri di aver pensato a tutte le spiegazioni, per poter arrivare a una prova per esclusione dovremmo dimostrare con certezza che sono tutte false tranne una, cosa di solito difficile, se non impossibile. Non è detto che la smoking gun necessaria per dimostrare con certezza un'ipotesi o per escluderne un'altra sia disponibile, tanto che spesso dobbiamo limitarci a cercare di capire quale ipotesi sia la più probabile.

Le tesi negazioniste usano l'induzione per esclusione non perché sia corretta dal punto di vista logico, ma perché presenta diversi vantaggi dal punto di vista retorico, oltre a quello di fornire prove apparenti a congetture che non ne hanno di proprie: permette di non sbilanciarsi troppo su quale sia la propria versione dei fatti, esponendosi meno alle critiche. L'astrologia faceva (soprattutto in passato) affermazioni piuttosto precise sulla relazione tra la posizione degli astri e il carattere delle persone. Queste affermazioni si possono mettere alla prova, e, come è successo, si può dimostrare che non stanno in piedi. Invece le tesi negazioniste non sono così esplicite. Per esempio, non dicono quanti ebrei ritengono che siano effettivamente morti nella Shoah ma che non possono essere stati sei milioni; non dicono da chi pensano che siano stati organizzati gli attentati alle Torri Gemelle ma che non può averli compiuti Al Qaeda; non dicono quali meccanismi regolino l'evoluzione ma che non può essere la selezione naturale. Le parole di Mullis che abbiamo citato lo spiegano bene:

sulle cause [Duesberg e io] non abbiamo le stesse convinzioni. Ma entrambi sappiamo con certezza che cosa non provoca l'AIDS.

Infine, dire il meno possibile sulla propria versione dei fatti ha anche un altro vantaggio. Permette di tenere insieme opinioni incompatibili, che hanno in comune soltanto l'opposizione alla versione ufficiale, e quindi di aggregare gruppi con idee diverse in un unico movimento.

Per esempio, nel caso dell'AIDS, quella di Duesberg è soltanto una delle tesi che contestano le attuali conoscenze scientifiche sulla malattia. Ce ne sono molte altre, ognuna delle quali si concentra su punti lievemente diversi, ma tutte sostengono che la concezione scientifica dell'AIDS sia falsa e ingannevole. Alcune di queste tesi sono:

— l'AIDS non è una malattia ben definita, ma un'etichetta che raggruppa malattie diverse tra loro;

— l'esistenza del virus HIV non è mai stata dimostrata;

— il virus HIV esiste ma non si trasmette per via sessuale e non causa l'AIDS;

— il virus HIV esiste ed è stato inventato dall'uomo come arma biologica (contro l'Unione Sovietica, contro gli afroamericani, contro il Terzo Mondo ecc.);

— i farmaci antiretrovirali non sono solo inutili, ma provocano le morti erroneamente attribuite all'AIDS.

E si potrebbe ancora andare avanti. Duesberg è diventato il portavoce involontario di questo complesso movimento. Θ stato accolto come un eroe anche dal movimento omosessuale statunitense, almeno fino a quando non ha dichiarato che probabilmente l'AIDS era causata da particolari stili di vita. Alla carovana si sono aggregati anche gruppi di conservatori occidentali e i promotori delle medicine alternative, oppositori delle lobby farmaceutiche.

Allo stesso modo, nel negazionismo dell'evoluzione convivono le idee dei creazionisti che interpretano la Bibbia alla lettera, quelle dei sostenitori del Disegno intelligente e così via. Alcuni dei sostenitori di queste teorie sono scienzati, anche se di solito non specialisti del settore, ma più spesso si tratta di gruppi o singoli individui che non credono a certe scoperte scientifiche e diffidano della scienza in generale.


L'appello al buon senso

Grazie all'argomento dell'incredulità, la partita è truccata perché gli scienziati devono dimostrare che la teoria è ben fondata, con argomentazioni spesso complesse, specialistiche e difficili da seguire, mentre i negazionisti devono solo dire che la dimostrazione, qualunque essa sia, non è abbastanza convincente. Così il negazionista può presentare la propria versione come quella dettata dal buon senso e sostenere che le intricate risposte degli scienziati non siano altro che un arrampicarsi sugli specchi.

A volte i negazionisti citano Kuhn e dicono che la scienza sostiene una determinata versione perché è ancorata al vecchio paradigma e non riesce a tenere conto dei fatti che lo mettono in crisi. Ma si fermano al primo volume del manuale di filosofia della scienza e non arrivano, per esempio, a Lakatos: nessuno scienziato abbandona una teoria che funzioni, almeno fino a quando non ne venga proposta un'altra che dia una migliore descrizione della realtà e consenta ulteriori previsioni verificate sperimentalmente.

In una discussione equilibrata, bisognerebbe invece confrontare le prove a favore della teoria "ufficiale" e di quella alternativa, per cercare di capire quale delle due spieghi meglio i fatti. In questo modo la teoria negazionista alternativa mostrerebbe la sua inconsistenza: l'idea che un piccolo gruppo di terroristi sia riuscito a dirottare quattro aerei e a raggiungere con tre di essi il proprio obiettivo può essere difficile da mandare giù, ma l'idea che centinaia di migliaia di persone abbiano partecipato a un complotto per uccidere loro concittadini e che nessuno di loro abbia confessato è davvero più plausibile?

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