Copertina
Autore John D. Barrow
Titolo I numeri dell'universo
SottotitoloLe costanti di natura e le teorie del tutto
EdizioneMondadori, Milano, 2004, Oscar Saggi , pag. 326, cop.fle., dim. 134x200x18 mm , Isbn 978-88-04-53248-4
OriginaleThe Constant of Nature. From Alpha to Omega [2002]
TraduttoreTullio Cannillo
LettorePiergiorgio Siena, 2005
Classe fisica , astronomia , cosmologia
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Indice


  3       Prefazione
  7  I    Prima dell'inizio
 11  II   Viaggio verso la realtà ultima
 37  III  Standard extraumani
 57  IV   Nuove, più profonde, meno numerose:
          la ricerca di una Teoria del Tutto
 79  V    La sinfonia incompiuta di Eddington
 95  VI   Il mistero dei grandissimi numeri
115  VII  La biologia e le stelle
135  VIII Il principio antropico
171  IX   Modificare le costanti e riscrivere le storia
195  X    Nuove dimensioni
224  XI   Variazioni su un tema costante
242  XII  Arrivare al ciclo
266  XIII Altri mondi e grandi interrogativi

285       Note
317       Indice analitico

 

 

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Pagina 7

I
Prima dell'inizio



Identità

Il mutamento è una sfida. Viviamo nell'epoca di più rapida evoluzione della storia umana. Il mondo che ci circonda è sospinto da forze che rendono la nostra vita sempre più sensibile a piccoli cambiamenti e a improvvise reazioni. La creazione di Internet e i tentacoli del Worldwide Web ci hanno messo in contatto istantaneo con i computer e i loro proprietari in tutto il mondo. Lo sviluppo industriale incontrollato ha determinato danni ecologici e mutamenti ambientali che sembrano aggravarsi più rapidamente di quanto avessero previsto anche i più pessimisti profeti di sventura. I bambini sembrano crescere più in fretta. I sistemi politici si riconfigurano in modi nuovi e inattesi più celermente e più spesso di quanto abbiano mai fatto. Perfino gli esseri umani e l'informazione che essi assorbono sono sottoposti all'intervento correttivo della più ambiziosa chirurgia dei pezzi di ricambio o alla riprogrammazione di parti del codice genetico. Quasi ogni forma di progresso sta accelerando e parti sempre crescenti della nostra esperienza si interconnettono nella corsa a esplorare tutto ciò che è possibile.

Ma c'è un senso in cui tutti questi mutamenti e tutta questa impredicibilità sono un'illusione. Essi non esauriscono la natura dell'universo. La struttura profonda della realtà ha una faccia conservatrice accanto a quella progressiva. Nonostante il mutamento e la dinamica incessanti del mondo visibile, vi sono aspetti della struttura dell'universo che presentano una irremovibile costanza. Sono questi misteriosi aspetti immutabili che rendono il nostro universo quello che è e lo distinguono da altri mondi che potremmo immaginare. C'è un filo rosso che segna un elemento di continuità in tutta la natura: è quello che ci induce ad attenderci che certe cose altrove nello spazio siano uguali a come sono sulla Terra; che in altri tempi siano state e saranno uguali a come sono oggi; che certe cose non dipendano né dalla storia né dalla geografia. In effetti, in assenza di un simile sostrato di realtà immutabili, forse non potrebbero affatto esserci correnti superficiali di mutamento né complessità mentali e materiali di alcun genere.

Questi ingredienti fondamentali del nostro universo costituiscono l'oggetto del presente libro. La loro esistenza è uno degli ultimi misteri della scienza; un mistero che ha indotto una serie di grandi fisici a proporre spiegazioni del perché sono come sono. Siamo impegnati a scoprire che cosa sono, ma per molto tempo abbiamo saputo soltanto come chiamarli. Sono le costanti di natura. Esse sono alla base di ogni identità nell'universo: spiegano cioè perché ogni elettrone sembra essere identico a ogni altro elettrone.

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Pagina 30

Planck voleva invece vedere l'introduzione di unità di lunghezza, massa, tempo e temperatura che siano indipendenti da particolari corpi o sostanze e che mantengano necessariamente il loro significato in tutti i tempi e in tutti gli ambienti, terrestri e umani o di altro tipo.

Mentre Stoney aveva visto nella scelta di unità pratiche un modo per recidere il nodo gordiano della soggettività, Planck si serviva delle sue particolari unità, «che potevano, quindi, essere descritte come "unità naturali"», per dare una base non antropomorfica alla fisica. Il graduale disvelarsi di questa base era per lui il segno distintivo del vero progresso verso una separazione quanto più radicale possibile tra i fenomeni del mondo esterno e quelli della coscienza umana.

In accordo con la sua concezione universalistica, nel 1899 Planck propose che si costruissero unità naturali di massa, lunghezza e tempo sulla base delle più fondamentali costanti di natura: la costante di gravitazione G, la velocità della luce c e la costante di azione, h, che oggi porta il suo nome. La costante di Planck determina la quantità minima di cui può variare l'energia (il quanto). Inoltre, l'introduzione della costante di Boltzmann, k - che semplicemente converte unità di energia in unità di temperatura - gli consentì di definire anche una temperatura naturale. Le unità di Planck sono le uniche combinazioni che possono essere formate con queste costanti e che abbiano le dimensioni di una massa, di una lunghezza, di un tempo e di una temperatura.

[...]

Anche in questo caso è evidente un contrasto tra l'unità naturale di massa che è piccola, ma non esageratamente piccola, e le unità naturali di tempo, lunghezza e temperatura, che hanno valori assolutamente estremi. Per Planck queste grandezze avevano un significato extraumano. Esse erano connesse al livello fondamentale della realtà fisica:

Queste grandezze mantengono il loro significato naturale a condizione che la legge di gravitazione e quella di propagazione della luce nel vuoto e i due principi della termodinamica rimangano validi; esse devono quindi risultare sempre uguali anche se misurate dalle intelligenze più disparate e con i metodi più disparati.

Con le ultime parole Planck allude all'idea di osservatori situati altrove nell'universo che definiscono e valutano queste grandezze nel nostro stesso modo.

C'era qualcosa di molto strano, per quell'epoca, nelle unità di Planck, come del resto nelle unità di Stoney. Esse connettevano la gravita con le costanti che governano l'elettricità e il magnetismo. Quello della gravita era sempre stato un settore poco movimentato della fisica. Si riteneva che Newton avesse trovato la legge della gravità e che quindi in proposito ci fossero ben poche domande da porsi.

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Pagina 113

Nel XVII secolo il fisico inglese Robert Hooke fece un calcolo «delle idee distinte che la mente è in grado di tenere presenti». La risposta cui giunse era 3.155.760.000. Per quanto grande questo numero possa sembrare (non vi basterebbe tutta la vita per arrivarci contando!) oggi sarebbe considerato una clamorosa sottostima. Il nostro cervello contiene circa dieci miliardi di neuroni, da ciascuno dei quali si dipartono dei tentacoli, o assoni, che lo connettono a circa mille altri. Tali connessioni svolgono un ruolo nella generazione dei nostri pensieri e ricordi. Come ciò avvenga è ancora uno dei segreti più riposti della natura. Mike Holderness propone che uno dei modi per stimare il numero dei possibili pensieri che un cervello può concepire sia di contare tutte queste connessioni. Il cervello è in grado di fare molte cose contemporaneamente, per cui potremmo pensarlo come un certo numero - diciamo un migliaio - di piccoli gruppi di neuroni. Se ciascun neurone effettua un migliaio di differenti collegamenti con dieci milioni di altri nello stesso gruppo, allora il numero dei modi diversi in cui potrebbe formare connessioni nello stesso gruppo di neuroni è 10^7 x 10^7 x 10^7 x ... mille volte. Ciò fornisce 10^7000 possibili configurazioni di collegamento. Ma questo non è che il numero relativo a un solo neurone del gruppo. Il numero totale per 1O^7 neuroni è 10^7000 moltiplicato per sé stesso 10^7 volte. Ciò equivale a 10^70.000.000.000. Se i circa 1000 gruppi di neuroni possono operare in modo indipendente l'uno dall'altro, allora ciascuno di essi contribuisce al totale con 10^70.000.000.000 possibili connessioni, facendolo salire fino al numero di Holderness, 10^70.000.000.000.

Questa è la stima moderna del numero delle diverse connessioni elettriche che il cervello potrebbe contenere. In un certo senso è il numero dei differenti pensieri o idee possibili che un cervello umano potrebbe avere. Sottolineiamo il potrebbe. Questo numero è così enorme da far scomparire quello degli atomi nell'universo osservabile: un misero 1O^80. Ma a differenza di questo, esso non deriva la propria immensità dal fatto di riempire un volume enorme con oggetti piccoli. Il cervello ha dimensioni piuttosto modeste: contiene soltanto 1O^27 atomi circa. Il numero immenso dipende dalla potenziale complessità delle innumerevoli connessioni tra i suoi componenti. Questo è appunto ciò che intendiamo per complessità. Essa deriva dal numero dei modi differenti in cui i componenti possono essere connessi tra loro, piuttosto che dall'identità di tali componenti. E poiché questi numeri davvero grandi dipendono dal numero delle permutazioni possibili in una rete complessa di commutatori, essi non saranno spiegabili in termini delle costanti di natura nel modo in cui lo sono i grandi numeri dell'astronomia. Essi sono non soltanto più grandi; sono anche diversi.

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Pagina 159

Per un pelo?

Abbiamo detto che i valori delle costanti di natura sono piuttosto felicemente «scelti» in modo da consentire alla vita di evolversi e di durare. Consideriamo brevemente qualche altro esempio. La struttura degli atomi e delle molecole è controllata quasi esclusivamente da due numeri che abbiamo incontrato nel V capitolo; il rapporto tra le masse dell'elettrone e del protone, [beta], che è approssimativamente pari a 1/1836, e la costante di struttura fine [alfa], che vale all'incirca 1/137. Supponiamo di far variare i valori di queste due costanti in modo indipendente e ammettiamo altresì (per semplicità) che nessuna delle altre costanti di natura sia modificata. Che cosa accade al mondo se le leggi di natura rimangono le stesse?

Esaminando le conseguenze ci rendiamo ben presto conto che non c'è molto spazio di manovra. Se [beta] aumenta troppo, non possono esserci strutture molecolari ordinate perché è il piccolo valore di [beta] a garantire che gli elettroni occupino posizioni ben definite intorno al nucleo atomico e non si muovano troppo caoticamente: se lo facessero, processi a regolazione molto fine come la replicazione del Dna non potrebbero aver luogo. Il numero [beta] svolge un ruolo anche nei processi che generano l'energia che alimenta le stelle. Qui esso concorre con [alfa] a rendere il centro delle stelle abbastanza caldo da innescare le reazioni nucleari. Se [beta] fosse maggiore di 0,005[alfa]^2 circa non ci sarebbero stelle. Se le moderne teorie di .cor gauge di grande unificazione sono sulla via giusta, [alfa] deve giacere nella sottile striscia compresa tra 1/180 e 1/185, altrimenti i protoni decadrebbero molto prima che le stelle possano formarsi. Nella figura 8.7 è rappresentata con una linea tratteggiata anche la condizione di Carter. Tale linea individua i mondi in cui le stelle hanno regioni convettive esterne, che sembrano necessarie per la formazione di certi sistemi planetari. Nella figura sono indicate le regioni in cui i valori di [alfa] e di [beta] sono permessi e quelle in cui sono proibiti.

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Pagina 219

La conseguenza più interessante dell'aggiunta di dimensioni spaziali supplementari è che permette alle costanti di natura osservate di cambiare. Se il mondo ha realmente quattro dimensioni spaziali, le vere costanti di natura esistono in quattro dimensioni. Se noi ci muoviamo in tre sole dimensioni, vedremo o percepiremo solamente «ombre» tridimensionali delle vere costanti quadridimensionali. Ma tali ombre non devono necessariamente essere costanti. Se la dimensione aggiuntiva aumenta di grandezza, proprio come si espandono le tre dimensioni ordinarie dell'universo, allora le nostre costanti tridimensionali diminuiranno allo stesso ritmo. Ciò ci dice immediatamente che se qualcuna delle dimensioni aggiuntive sta cambiando, deve farlo piuttosto lentamente, altrimenti non avremmo neppure usato il termine «costanti».

Prendiamo una costante di natura tradizionale come la costante di struttura fine. Se la grandezza della dimensione aggiuntiva dello spazio è K, allora il valore della «costante» di struttura fine tridimensionale, [alfa], quando R cambia varierà proporzionalmente a 1/R^2. Immaginiamo di trovarci in un universo quadridimensionale in espansione, ma di poterci spostare soltanto in tre dimensioni. Le forze elettriche e magnetiche possono «vedere» tutte e quattro le dimensioni e constateremo che la nostra parte tridimensionale di esse si indebolirà via via che la quarta dimensione diventa più grande. Sappiamo che, se la costante di struttura fine tridimensionale sta cambiando, non può cambiare neppure lontanamente alla velocità con cui l'universo si espande. Ciò ci dice che qualunque quarta dimensione deve essere assai diversa dalle altre. L'idea di Klein era che sia molto piccola e statica. Qualche forza ulteriore intrappola le dimensioni aggiuntive e le mantiene piccole. Se esse non cambiano di grandezza in misura significativa, oggi non dobbiamo necessariamente osservare variazioni di nessuna delle nostre costanti. Un possibile scenario immagina che all'inizio dell'universo tutte le sue dimensioni spaziali si comportino in maniera democratica, ma che poi alcune di esse vengano intrappolate e da quel momento rimangano statiche e piccole, mentre solo tre diventano grandi, espandendosi fino a diventare l'universo astronomico che osserviamo oggi (fig. 10.13).

Nel 1982 i teorici delle corde proposero per la prima volta una soluzione stimolante di un vecchio problema: come coniugare la teoria quantistica della materia con la teoria della gravitazione di Einstein. Tutti i tentativi precedenti erano falliti miseramente: portavano invariabilmente alla predizione che qualche grandezza misurabile dovesse essere infinita. Gli «infiniti» affliggevano tutte le teorie con solo tre dimensioni spaziali e una temporale. Ma nel 1984 Michael Green e John Schwarz dimostrarono che il problema poteva essere risolto combinando due concetti basilari. Se si abbandona il presupposto che le entità fondamentali siano puntiformi, con dimensioni nulle, e si ammette che vi siano più di tre dimensioni spaziali, gli infiniti miracolosamente scompaiono elidendosi tutti.

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Pagina 259

Il nostro posto nella storia

Se le costanti di natura stanno lentamente mutando, potremmo essere su una china discendente che porta all'estinzione. Abbiamo visto come la nostra esistenza sfrutti molte peculiari coincidenze tra i valori di diverse costanti di natura e come i valori empirici delle costanti cadano in alcune finestre molto strette di opportunità per l'esistenza della vita. Se realmente i valori di tali costanti stanno variando, che cosa potrebbe accadere? Non potrebbero slittare fuori dell'intervallo in cui alla vita è permesso di esistere? Vi sono forse soltanto delle epoche particolari della storia cosmica in cui le costanti sono idonee per la vita?

Che cosa accade di questa storia se la costante di struttura fine cambia? L'espansione è praticamente insensibile alle variazioni della costante se queste sono piccole come l'osservazione suggerisce - un milione di volte più lente dell'espansione - ma influenza drasticamente il modo in cui la «costante» di struttura fine varia.

Hàvard Sandvick, Joào Magueijo e io abbiamo analizzato che cosa accadrebbe alla costante di struttura fine in miliardi di anni di storia cosmica. Le conclusioni sono state piuttosto sorprendenti ma di promettente semplicità. Durante l'era della radiazione non c'è alcuna significativa variazione. Ma una volta che inizia l'era della materia, quando l'universo ha circa 300.000 anni, la costante di struttura fine comincia ad aumentare molto lentamente di valore. Quando inizia un'era di curvatura oppure l'energia del vuoto comincia ad accelerare l'universo, l'aumento cessa. Questo andamento caratteristico è rappresentato nella figura 12.7 per un universo con materia, radiazione ed energia del vuoto pari a quelle che si osservano oggi nel nostro universo.

Ciò è molto interessante e produce una descrizione che si accorda piuttosto bene con tutti i dati di osservazione. Il nostro universo cominciò ad accelerare a un redshift pari a circa 0,5 e quindi non vi sarà alcuna variazione significativa della costante di struttura fine all'epoca del reattore dell'Oklo. Nell'intervallo di redshift corrispondente alle osservazioni dei quasar, le variazioni possono essere della forma indicata e la predizione è che [alfa] sia minore nel passato: proprio ciò che osserviamo. Se continuiamo a risalire all'indietro fino a valori di redshift intorno a 1100, ove la radiazione cosmica comincia a propagarsi liberamente verso di noi, la predizione è che la variazione di [alfa] dovrebbe essere molto inferiore alla sensibilità delle attuali osservazioni.

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Pagina 283

Riusciremo mai a spiegare i valori di tutte le costanti di natura? Finora la risposta non è chiara, ma la questione ha aspetti stimolanti. Le nostre teorie più profonde delle forze e delle strutture della natura suggeriscono che una Teoria del Tutto non sarà rigida in proposito. Non tutto sarà fissato dal vincolo della coerenza logica. Vi sono alcune costanti che sono libere di essere diverse; che sono scelte a caso; e che potrebbero rendere l'universo privo di vita e di luce per sempre se assumessero il valore sbagliato invece di quello giusto.

E che dire della natura di queste costanti? Sono veramente costanti, identiche ieri, oggi e per sempre, o semplicemente stanno diminuendo e aumentando lentamente con le maree del tempo? Osservando con i nostri strumenti più sofisticati abbiamo cominciato a scorgere i primi indizi rivelatori di una variazione di una delle più venerande costanti di natura nel corso dei miliardi di anni di storia cosmica. Che cosa significa per la nostra comprensione del puzzle che cerchiamo di comporre in un'immagine dell'universo? Cambieranno in avvenire le costanti e distruggeranno le coincidenze tra i loro valori, lasciando l'albero della vita senza foglie e senza vita nel futuro più remoto? Le nostre costanti sono connesse al ritmo globale di espansione dell'universo oppure sono veramente costanti, una sorta di isolamento dall'evoluzione della complessità, della vita e dal turbinio delle stelle e delle galassie che gravitano intorno a noi? Evolvono e variano forse da un ciclo all'altro dell'universo in una storia che non ha inizio né fine, spaziando su tutte le possibilità, generando un multiverso di mondi possibili, ciascuno coerente in un proprio modo, ma per lo più privi di vita e inconsapevoli della propria esistenza?

Questi sono grandi interrogativi che nascono da piccole domande. Passo dopo passo abbiamo ampliato la nostra visione della realtà fisica, approfondito la rete di connessioni tra sue parti che erano a prima vista differenti e scoperto che l'universo è modellato esclusivamente da numeri. E i numeri sono cose che comprendiamo, in parte. Per qualcuno potrebbe essere una delusione. Ma per quanto le costanti di natura siano numeri, non sono semplicemente numeri e non sono soltanto numeri. Sono i codici a barre della realtà fondamentale, i codici numerici che sveleranno i segreti dell'universo... un giorno.

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