Copertina
Autore Brunonia Barry
Titolo La ragazza che rubava le stelle
EdizioneGarzanti, Milano, 2010, Narratori moderni , pag. 396, ill., cop.ril.sov., dim. 15x22,2x3,8 cm , Isbn 978-88-11-68194-6
OriginaleThe Map of True Places [2010]
TraduttoreAlba Mantovani
LettoreAngela Razzini, 2011
Classe narrativa statunitense
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Pagina 11

PROLOGO



Negli anni in cui il suo soprannome era Guaio, Zee aveva l'abitudine di rubare barche. Il padre non ne aveva il minimo sospetto e le lasciava massima libertà in quei primi tempi dopo la morte della madre. E poi era occupato a impersonare il ruolo del pirata, un passatempo eccentrico per un uomo che aveva trascorso la vita a studiare letteratura. Ma quelli erano giorni disperati, ed entrambi erano stanchi di portare sulle spalle il peso della perdita, incapaci di scrollarselo di dosso se non nei fugaci momenti in cui riuscivano a buttarsi in qualcosa fuori dalla portata dei ricordi.

Nel mondo creato dalla sua fantasia, l'unico nel quale poteva perdonarsi per ciò che era successo quell'anno, a Zee piaceva pensare che il padre, Finch, sarebbe stato orgoglioso della sua abilità di ladra. E nei sogni più sfrenati se lo immaginava complice delle sue avventure: un bel salto per un professore, ma non per il pirata che stava rapidamente diventando.

Prediligeva i motoscafi veloci. Qualsiasi imbarcazione che facesse più di trenta nodi era una facile preda. Le misure di sicurezza erano scarse a quei tempi e le chiavi – se esistevano – erano quasi sempre nascoste sulla barca stessa, e di solito nei posti più ovvi.

Era facile come un gioco. Sceglieva un motoscafo dalla linea elegante e veloce, si dava esattamente cinque minuti di tempo per fare irruzione a bordo e mettere in moto, e si dirigeva fuori dal porto in pieno oceano. Superati i confini di Salem, dava gas al motore e puntava la prua in direzione di Baker's Island. Più tardi, la sera stessa, restituiva la barca rubata.

Il gioco aveva una sola regola: non doveva mai riportare un motoscafo allo stesso ormeggio dal quale lo aveva preso. Era una buona norma, non solo perché creava un'ulteriore sfida, ma anche perché era sensata. Se avesse riportato la barca al posto di partenza, avrebbe corso il rischio di essere arrestata. Tutti sanno che l'ultima cosa che fa un ladro in gamba è tornare sul luogo del delitto.

Di solito la lasciava a una delle banchine pubbliche disposte lungo il litorale di Salem, spesso quella davanti, a Salem Willows, il parco dei salici, la prima che si incontrava entrando nel porto. Ma quando i poliziotti avevano cominciato a darle la caccia, Zee aveva deciso di riportare le barche in posti meno ovvi. Talvolta occupava l'ormeggio di qualcun altro. Oppure abbandonava il motoscafo al Derby Wharf, il molo dal quale le era facile fuggire perché era vicinissimo a casa sua.

Le era capitato solo una volta di trovarsi in difficoltà perché aveva sbagliato a valutare il livello del carburante. Era nei pressi di Singing Beach, la spiaggia di Manchester-by-the-Sea, famosa per i suoni creati dal vento sulla sabbia, quando il motore si spense. All'inizio non pensò di essere a secco di benzina, ma appena controllò il serbatoio comprese il suo errore. Cercò di escogitare un piano per combattere il panico che si stava impadronendo di lei. Avrebbe potuto nuotare facilmente fino a riva, ma la barca sarebbe stata sospinta in alto mare dalla corrente, oppure si sarebbe sfracellata sulle rocce. Per la prima volta ebbe paura che la prendessero. Si sentì stranamente sollevata che intorno non ci fossero altre imbarcazioni, nessuno a cui chiedere aiuto. Non sapendo cos'altro fare, lasciò che il motoscafo andasse alla deriva.

Alzò lo sguardo al cielo senza luna: non aveva mai visto stelle più brillanti. Il riflesso si scioglieva nell'acqua intorno a lei come una medicina effervescente in grado di dissolvere anche le sue paure. Abbandonandosi al flusso della corrente e fissando il cielo, sentì che tutto sarebbe andato per il meglio. Quando riabbassò lo sguardo sulla linea dell'orizzonte per cercare di orientarsi, si accorse di essere stata trasportata verso riva. Con la coda dell'occhio vide un profilo scuro e si voltò per capire cosa fosse. Era un molo, con alle spalle una casa buia su una collina. Afferrò un remo e cominciò a dirigere la barca a terra, ma un'onda sulla fiancata la spinse verso il molo. Afferrò una cima e saltò sul pontile, scivolando e procurandosi una lieve distorsione alla caviglia, ma riuscendo a evitare che la barca vi sbattesse contro. Ormeggiò con cura fissando la prua e la poppa prima di scavalcare faticosamente le rocce per raggiungere la spiaggia. Poi prese la strada che saliva alla stazione ferroviaria, zoppicando un po' per il dolore alla caviglia. Tutto considerato, non era andata poi così male.

Voleva tornare a Salem, ma era mezzanotte passata e non c'erano più treni. Prese in considerazione l'idea di dormire sulla spiaggia. Era una notte tiepida e non c'erano pericoli, ma non intendeva dare un'altra preoccupazione al padre: ne aveva già abbastanza. E poi non voleva essere nelle vicinanze quando avrebbero trovato la barca rubata.

Così finì per fare l'autostop. Una decisione un po' imprudente, pensò mentre si avvicinava all'automobile che si era fermata una ventina di metri più avanti e stava facendo retromarcia.

Era una donna fra i quaranta e i cinquanta, leggermente sovrappeso, con i capelli lunghi e gli occhi azzurri che brillavano alla luce delle auto di passaggio. All'inizio le disse che poteva portarla solo fino a Beverly, ma poi cambiò idea e decise di accompagnarla a casa, perché temeva che la ragazza facesse ancora l'autostop e venisse raccolta da un assassino o uno stupratore. Mentre percorrevano la Route 127, la donna raccontò a Zee le storie più orribili che conosceva sugli autostoppisti e si fece promettere che non avrebbe mai più chiesto un passaggio a uno sconosciuto. Zee promise, giusto per farla tacere.

«Le ragazze promettono sempre, ma poi fanno di testa loro», disse la donna.

Zee avrebbe voluto replicare che non faceva mai l'autostop, che non era certo il tipo della vittima, e che quella sera aveva chiesto un passaggio solo per coprire un reato da lei stessa commesso: il furto di un motoscafo. Ma temeva che una simile confessione avrebbe dato il via ad altri racconti edificanti, perciò tenne la bocca chiusa.

Mentre scendeva dalla macchina, si voltò verso la sconosciuta per ringraziarla. Ma invece di dire «grazie», chiese con una voce che sembrava uscita da un cartone animato della sua infanzia: «Vuoi essere la mia mamma?».

Era solo un gioco, ma la donna ebbe un crollo nervoso. Cominciò a piangere come se non potesse più fermarsi.

Zee le spiegò che stava scherzando. Aveva già una madre, aggiunse, anche se non era vero, non più.

Niente di ciò che diceva riusciva a calmarla, e così alla fine pronunciò le parole che avrebbe dovuto dire fin dall'inizio: «Grazie per il passaggio».

Naturalmente non le aveva dato il suo vero indirizzo: non voleva che magari le venisse in mente di entrare in casa e parlare a Finch. Si sarebbe nascosta nell'ombra finché l'auto non fosse stata lontana e poi avrebbe attraversato i prati dei vicini per arrivare a casa. Ma alla fine decise che poteva tranquillamente camminare per la strada. La donna stava piangendo troppo forte per notare dove andava o come ci arrivava.


Dieci anni dopo, mentre faceva il tirocinio di psicoterapia – dopo essersi liberata del nomignolo Guaio –, la rivide in un gruppo in cura per gli attacchi di panico sotto la guida della sua mentore, la dottoressa Liz Mattei. La donna non si ricordava di lei, ma Zee l'avrebbe riconosciuta ovunque per i suoi luminosi occhi azzurri, ancora lucidi di pianto. Aveva perso una figlia adolescente che era scappata di casa, disse. Alla ragazza era stato diagnosticato un disturbo bipolare, come alla madre di Zee, ma si era rifiutata di continuare a prendere il litio perché la faceva ingrassare. Era stata vista per l'ultima volta mentre faceva l'autostop sulla Route 95, in direzione sud, con in mano un cartello scritto a mano su cui si leggeva NEW YORK. Era l'inverno del 2001 ed erano passati dieci anni da quando la donna aveva perso la figlia. Le Torri Gemelle erano crollate da poco. Il «gruppo attacchi di panico» era cresciuto, ma i pazienti originari erano stranamente diventati più calmi e si aiutavano l'un l'altro, come se la loro ansia fluttuante alla fine avesse preso forma, mentre il resto della nazione cominciava a sperimentare lo stesso terrore che loro avevano provato ogni giorno per anni. Era la prima volta, per quanto Zee poteva ricordare, che i pazienti si guardavano in faccia. E quando la donna parlò di sua figlia, come faceva ogni settimana da quando erano cominciati gli incontri, gli altri membri del gruppo finalmente la ascoltarono.

«Così può ribaltarsi il mondo, in un attimo!» disse la donna.

«In un battito di ciglia», aggiunse qualcuno.

Si passarono i fazzoletti e piansero insieme per la prima volta; piansero per la ragazzina e per l'inevitabile perdita dell'innocenza: la sua e, naturalmente, la loro.

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Pagina 82

8.



Il traffico del venerdì pomeriggio a nord di Boston era terribilmente lento. Zee fece per l'ennesima volta il numero di casa di Finch dal suo cellulare sperando che Melville rispondesse. Cominciava a essere davvero preoccupata per lui.

«È andato a trovare la famiglia?» chiese ancora al padre. I parenti di Melville – una sorella e due nipoti – abitavano da qualche parte nel Maine. Non erano molto legati fra loro, ma sapeva che andava a trovarli di tanto in tanto.

«No», disse Finch.

«E allora dove diavolo è?» Zee era scoraggiata. Lo aveva chiesto a Finch almeno dieci volte ed era stanca delle sue risposte a monosillabi.

Melville era rimasto al fianco di suo padre per gran parte degli ultimi vent'anni, una devozione di cui lei faceva fatica a capacitarsi in quell'epoca di convivenze di prova e divorzi in vertiginoso aumento. I due erano diventati una coppia molto prima che sua madre si suicidasse, anche se allora Zee era troppo giovane per rendersene conto. Finch le aveva spiegato che passavano così tanto tempo insieme perché Melville era il suo migliore amico e lei gli aveva creduto. Del resto non era una bugia, semplicemente non era tutta la verità.

Era stata la mamma a dirle che Finch preferiva gli uomini. Zee avrebbe compreso solo in retrospettiva il significato di quell'affermazione, come di molte altre confidenze che la madre le aveva fatto durante gli episodi maniacali. A quei tempi il padre aveva cominciato a trovarsi con lo zio Mickey e gli altri rievocatori dei pirati nel fine settimana e durante le vacanze scolastiche, e Zee aveva pensato che «preferire gli uomini» si riferisse a quello. Li vedeva spesso far baldoria insieme: i «pirati» bevevano e cantavano e Finch, che di solito mostrava la riservatezza quasi compassata tipica del New England, beveva e cantava con loro.

A volte, quando tornava a casa a notte fonda, lo sentiva intonare canzoni triviali e stereotipate che le ricordavano quelle dei vecchi film visti con la madre. Finch era il beone felice, che cantava e alzava il gomito, delle commedie degli anni Trenta. In certi momenti Zee pensava di capire perché gradisse di più la compagnia maschile, soprattutto quando contrapponeva la sua evidente gioia di vivere alla depressione crescente della madre. Gli uomini bevevano, cantavano e si divertivano. Il suo unico desiderio allora era poter essere anche lei uno di loro.

Maureen aveva finito per rivelarle gli intimi dettagli della predilezione di Finch per gli uomini. Ma solo molto tempo dopo, quando era diventata abbastanza grande per avere opinioni in proposito, aveva capito cosa intendesse esattamente sua madre e perché fosse tanto in collera quando gliene parlava. Finch aveva presentato un falso sé stesso a Maureen, e per lei era stato il più grande tradimento della vita.

Nei pensieri di Zee il sogno irrealizzato della madre era da sempre la possibilità di vivere quello che chiamava «il grande amore con la A maiuscola». Era ciò che desiderava di più e che aveva pensato di trovare in Finch quando si erano incontrati la prima volta e poi durante i primi mesi di matrimonio a Baker's Island. Maureen parlava spesso con nostalgia della notte in cui le aveva recitato i versi di Yeats. La prima notte di nozze Finch le aveva regalato una copia del volume da cui aveva tratto la poesia di Yeats, e quel libro era diventato uno dei tesori della sua vita. Lo teneva sotto chiave a Baker's Island nella stanza dove aveva trascorso quella prima notte e che in seguito era diventato lo studio nel quale scriveva. Non provare più la stessa passione nella vita di ogni giorno con Finch era il suo fardello. Maureen, da irlandese e cattolica quale era, conosceva anche troppo bene il concetto di croce da portare. La sua era quel matrimonio sempre più senza amore, prigioniero di una religione che disapprovava fortemente ogni idea di fuga.

Quando era stato chiaro che Finch aveva scelto gli uomini, Maureen si era rifugiata nella sua casa a Baker's Island e aveva cominciato a scrivere la storia che non era mai riuscita a finire e che aveva intitolato C'era una volta. Finch considerava quel momento come il primo segnale della sua latente follia, ma Zee, ripensandoci ora, lo interpretava piuttosto come una grave forma di depressione post partum dalla quale Maureen non era mai guarita.

Era stata una gravidanza difficile, e ancora più difficili erano stati il travaglio e il parto. Il fatto che Maureen non avesse creato un legame affettivo forte con la bambina che gli aveva dato non aveva preoccupato Finch: l'amore che provava lui bastava per tutti e due. E la nascita di Zee, la sua amata Hepzibah, era l'unico motivo per restare sposato, visto che, non essendo cattolico, era più incline della moglie a ritenere che l'errore fatto con quel matrimonio frettoloso potesse essere facilmente rimediato.

I giorni che avevano preceduto la morte di Maureen erano stati così terribili che Zee e il padre non ne avevano mai parlato. Lei lo aveva fatto molte volte con Liz durante le sedute, ma mai con Finch. Pensandoci adesso, si chiedeva cosa ricordasse veramente suo padre di quei giorni in cui si ubriacava fino all'incoscienza.

Zee si rammentava fin troppo bene di una notte, poco tempo prima che Maureen morisse, in cui Finch, ubriaco e vestito da pirata, aveva recitato Hawthorne in cucina con la voce tonante che usava nelle conferenze: «Nessuno può indossare troppo a lungo una faccia in privato e un'altra davanti alla gente, senza trovarsi alla fine a non sapere più quale sia quella vera». All'epoca aveva creduto che il padre parlasse della condizione di pirata, ma adesso, naturalmente, conosceva il vero significato di quella citazione.

Anche se forse lui non se ne rammentava più, Zee non avrebbe mai dimenticato la faccia di Finch il giorno del suicidio di Maureen. Mentre tornava a casa cantando dopo aver fatto baldoria, la sbornia gli era passata di colpo sentendo le grida della moglie. Si era precipitato su per le scale e aveva trovato Maureen inarcata all'indietro con la testa che quasi toccava terra. Aveva le braccia tese parallele al pavimento come se stesse eseguendo una prodezza ginnica di grande difficoltà. Finch era rimasto a fissarla dalla soglia finché l'aveva vista crollare. Era stata una visione così strana e spaventosa che Zee aveva pensato a una possessione demoniaca e persino ai processi di Salem alle streghe nel 1692.

Era rimasta lontana e impotente a pregare che l'ambulanza che aveva chiamato arrivasse in tempo. Non aveva avuto il coraggio di toccare il corpo della madre. Un attimo prima era stato il suo tocco a scatenare il terzo attacco di convulsioni, ne era certa. Zee e Finch erano rimasti immobili, inorriditi e inermi, a guardare Maureen che moriva. Per ironia, proprio la sirena dell'ambulanza in arrivo aveva dato il via alla convulsione finale.


Nei due anni successivi, prima che Melville andasse a vivere da loro, Finch aveva cercato di anestetizzarsi in ogni modo, lasciando che Zee badasse a sé stessa, ed era stato allora che lei aveva cominciato a rubare barche.

Non parlavano mai della morte di Maureen, non in modo diretto, per lo meno. Una sera, circa un anno dopo, per comunicare con la figlia Finch era ricorso a un'altra citazione di Hawthorne, che si riferiva al «pozzo di oscurità che sta sotto di noi, ovunque. La sostanza più solida della felicità umana non è che una crosta sottile che lo ricopre, con quel tanto di realtà che basta per sostenere lo scenario ingannevole nel quale ci aggiriamo. Non occorre un terremoto per aprire la voragine».

Finch era chiaramente sconvolto. E la vita familiare, che con Maureen era stata fuori dalla norma, adesso era diventata inesistente. Così, quando Melville era tornato ed era andato a vivere con loro, aveva portato con sé una tranquillità che Zee non aveva mai conosciuto. Finch aveva smesso di passare tutto il suo tempo con Mickey e i «pirati» e aveva ridotto il consumo di alcol a un livello accettabile per una città di mare del New England: un po' più di moderato senza essere eccessivo. Non cantava più, ma lei capiva che era veramente felice.

Nel suo primo anno alle superiori, un giorno rientrando a casa Zee aveva annunciato: «La mia amica Sarah Anne dice che la nostra casa non è un posto normale».

Finch aveva riflettuto per un lungo momento prima di rispondere. Questa volta, invece di Hawthorne, aveva citato Herman Melville: «Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai».

Zee aveva immediatamente riconosciuto la citazione. Benché il padre citasse più spesso Hawthorne, aveva istruito bene la figlia su tutti gli scrittori romantici americani, e Moby Dick era in assoluto il libro da lei preferito.

Zee doveva ammettere che, per quanto ricordasse, era la prima volta che la vecchia casa di Turner Street era abitata da una sembianza di famiglia. E per quanto potesse sembrare una situazione anomala, era molto più normale di tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento.

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12.



Maureen Amphitrite Doherty Finch era stata una scrittrice di racconti fantastici: non semplici fiabe del tipo «...e vissero felici e contenti» per far addormentare i bambini, ma storie inquietanti in cui il lieto fine non era per nulla plausibile e dipendeva spesso dall'improbabile liberazione da situazioni incredibili. Solo raramente questa avveniva per mano di un bel principe. Maureen diceva di essere «allergica» ai principi, per via del fatto che era celtica, irlandese e «fresca di sbarco». Per quanto ne sapeva Zee, la madre non era affatto appena sbarcata: era arrivata in America a sedici anni, dopo che suo fratello Liam era stato ucciso, e non per mare. Tutta la famiglia si era trasferita a Boston in aereo. Ma quando Maureen raccontava una storia non si poteva discutere.

Poiché era figlia di Finch oltre che di Maureen, ed era più razionale di quanto l'eredità materna potesse far supporre, Zee cercava di farle notare che c'erano principi celtici come Efflam e Treveur di cui avrebbe potuto narrare le leggende, e grandi re guerrieri come Cormac e Cadwallon fra i quali scegliere. Le suggeriva gli ultimi due perché sapeva della sua predilezione per i grandi combattenti. Ma Maureen le rispondeva sempre che gli irlandesi preferivano i poeti a principi e re.

A Zee piaceva ascoltare le sue storie. A quei tempi amava sentire la voce della madre. E durante le fasi maniacali, quando il bisogno di parlare sembrava sopraffare Maureen, lei era stata abbastanza acuta da capire che lasciarla sfogare con i suoi monologhi ininterrotti avrebbe bloccato la pulsione a compiere azioni improvvise e sconsiderate che a volte la assaliva. Di tanto in tanto la madre si interrompeva, sconvolta da qualcosa che aveva appena rivelato, e Zee, che sentiva le stesse storie da anni, la riportava ai suoi monologhi, evitando le parti che la turbavano, come un vecchio disco in vinile con un graffio che lo fa saltare alla canzone successiva.

Persino nei periodi maniacali, Maureen era molto meglio come narratrice che come scrittrice, e i racconti che Zee amava di più non erano quelli fantastici, ma quelli reali sulla vita della madre e sul suo incontro con Finch.


Maureen aveva detto a Zee di avere conosciuto Finch a Nahant Beach, la lunga spiaggia che univa quelle che una volta erano isole alla terraferma e in particolare a Lynn, dove la sua famiglia era andata a vivere in una casa di proprietà del patrigno di Maureen.

Lei aveva appena compiuto diciannove anni e stava festeggiando con le amiche, tre ragazze che lavoravano nella fabbrica di scatole da scarpe dove Maureen faceva l'ascensorista. Le altre stavano alla catena di montaggio, ma lei, più bella della gran parte delle operaie, era stata tolta da lì e addestrata per manovrare uno dei due ascensori che portavano i dirigenti ai loro uffici al settimo piano. Era brava nel suo lavoro, anche se non la entusiasmava. Non le piaceva stare rinchiusa in una scatola che si muoveva dentro un'altra scatola più grande, diceva. Ed era abituata, oltre che adatta, a lavori molto più faticosi. Tuttavia, capiva che essere scelti è un privilegio e, in ogni caso, le bastava ascoltare i racconti delle amiche, che ogni giorno le proponevano di fare cambio con il loro posto alla catena di montaggio, per rendersi conto di essere stata fortunata.

Il suo turno finiva alle tre. Ogni pomeriggio, d'inverno e d'estate, camminava a Lynn Beach, non sulla passeggiata dove andavano quasi tutti, ma sulla spiaggia di sabbia. Amava l'oceano. Vivere così vicino all'acqua rendeva sopportabile la lontananza dall'Irlanda, anche se avrebbe preferito essersi spostata a sud di Derry in qualche città della repubblica irlandese, magari a Ballybunion, dov'era stata con la famiglia quando il padre era ancora vivo e prima di perdere anche Liam. Tutto era terribilmente cambiato dopo, e i Doherty si erano trasferiti in America, su una costa che, per quanto così diversa e strana, faceva in fondo parte dello stesso oceano.

Quando Maureen aveva conosciuto Finch erano passati esattamente cinque anni dal giorno in cui si era affacciata con i fratelli alle scogliere di Ballybunion. Era il primo mattino d'estate, e la mancanza di una costa rocciosa era compensata dalla bellezza della spiaggia. Anche se l'acqua era fredda, lì si poteva nuotare, protetti dalla baia a mezzaluna che si estendeva verso Nahant. Le spiagge irlandesi che conosceva Maureen, con le ampie maree e le acque agitate, erano sempre state troppo pericolose per fare una nuotata.

Il giorno del suo incontro con Finch, però, si erano avventurate in mare solo due delle amiche di Maureen: per lei l'acqua era ancora troppo fredda. Avrebbe aspettato luglio per fare il primo bagno.

Lo aveva notato immediatamente: indossava pantaloni di lino e una camicia di cotone leggero, un abbigliamento più adatto a una festa in giardino che a una passeggiata sulla spiaggia. Aveva con sé l'attrezzatura da fotografo: una vecchia macchina fotografica a lastre e un logoro cavalletto di legno. Era vecchio stile, come il suo proprietario. Le amiche di Maureen definivano Finch «elegante». Avrebbe potuto essere un personaggio del Grande Gatsby, a suo agio negli anni Venti più che nei Settanta, ma non per questo meno attraente, forse anche di più per la sua originalità.

Finch aveva osservato tutte le ragazze, ma si era rivolto solo a Maureen.

«Posso farle una fotografia?» le aveva chiesto.

Le amiche avevano sorriso.

Maureen lo aveva fissato senza rispondere.

«Mi scusi», aveva ripetuto Finch, «mi domandavo se posso avere il privilegio di farle un ritratto fotografico.»

Le ragazze si erano messe a ridacchiare.

«Lei è un fotografo?» si era informata Maureen, non sapendo cos'altro dire.

«Oh cielo, no!» aveva esclamato lui.

Le altre erano scoppiate a ridere. «Oh cielo?» aveva ripetuto una di loro.

Finch era arrossito.

«Perché allora?» aveva chiesto Maureen, pur rendendosi conto che stava peggiorando la situazione.

«Può farla a me», gli aveva proposto la ragazza che si chiamava Kitty. «Può fotografarmi quando vuole.»

«Perché vuole farmi una foto?» aveva domandato Maureen di nuovo, ignorando l'amica.

«Perché lei è la ragazza più bella che abbia mai visto.»

Cresciuta con due fratelli maschi, Maureen non era abituata alla galanteria, e aveva pensato che la stesse prendendo in giro. Gli aveva voltato le spalle offesa per allontanarsi, ma aveva colto un'espressione così ferita sul suo viso che si era sentita stringere il cuore. Sembrava davvero affranto.

«Dovrebbe andarsene», gli aveva detto senza guardarlo negli occhi.

Ma le amiche erano state colpite dal suo sguardo, soprattutto Kitty. «Dovresti posare per lui», le aveva suggerito. «Forse potresti diventare una modella.»

Maureen l'aveva ignorata. Kitty era una sciocca e non era nella posizione di dare consigli di alcun genere. Finch stava ancora lì davanti a lei. Non si era mosso.

«Oh, avanti Maureen», era intervenuta l'altra ragazza. «Lasciati fare questa dannata fotografia!»

Maureen aveva confessato a Zee di essersi lasciata condurre da Finch in fondo alla spiaggia, dove crescevano alte canne e rose selvatiche. Le aveva spiegato che lì la luce era migliore e l'immagine avrebbe acquistato una texture particolare.

A questo punto del racconto Maureen si rivolgeva sempre alla figlia e le diceva: «Tu, mia cara, non dovrai mai lasciarti convincere da un ragazzo a seguirlo. Appartarsi in un luogo solitario con qualcuno che non conosci è una scelta avventata, di quelle che ti fanno finire stuprata e uccisa».

Era l'unico momento della storia che la lasciava ogni volta senza parole. Si ritrovava a trattenere il respiro finché Maureen proseguiva ridendo.

«Naturalmente allora non potevamo sapere – come avremmo potuto? – che Finch era del tutto innocuo da quel punto di vista.» A volte sembrava che le mancasse il fiato mentre lo diceva, altre sorrideva.

Finch era più vecchio di lei – riprendeva a raccontare –, doveva avere trentacinque anni allora, e sembrava di un'altra epoca. In seguito, dopo aver visto in che modo era cresciuto, Maureen aveva compreso perché. In un certo senso era un outsider, si teneva sempre un po' in disparte, e lei in questo lo capiva bene. In un mondo che cambiava rapidamente, sembravano appartenere entrambi a un altro tempo e a un altro luogo. L'aveva conquistata – ed era accaduto in fretta – non con la fotografia ma con la poesia. E non con Hawthorne ma con Yeats. Yeats faceva vibrare in lei le corde che Hawthorne faceva vibrare in Finch, e lui lo aveva intuito. Conosceva il suo cuore, diceva Maureen.

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23.



Hawk aveva in mente di andare da Zee quella sera dopo il lavoro per montare il corrimano, ma si era dimenticato di dover tenere la sua lezione.

Faceva parte del suo contratto di lavoro estivo: affiancare un altro istruttore in un corso di navigazione astronomica sponsorizzato dall'Ente dei parchi nazionali. Anche se la Friendship navigava quasi esclusivamente con dispositivi GPS, il capitano della nave voleva che il giornale di bordo fosse compilato come all'inizio dell'Ottocento, quando si navigava solo con l'aiuto delle stelle, e Hawk era l'unico membro dell'equipaggio che conosceva bene la navigazione astronomica.

Non era contrario a insegnare, ma molte lezioni, tenute al centro visitatori e non in mare, interferivano con lo svolgimento dei suoi compiti sulla nave. Quando aveva accettato l'incarico, era convinto che i corsi si sarebbero svolti sulla Friendship in navigazione, perché gli allievi imparassero a leggere le stelle del crepuscolo. Allora non sapeva, però, che la nave usciva raramente e, quando lo faceva, era per trasportare qualche personaggio famoso, ma quasi mai comuni passeggeri. Anche se era in possesso della licenza di navigazione della guardia costiera, per lo più stava ormeggiata in porto, tranne che in occasioni ufficiali in cui fungeva da nave ammiraglia della contea di Essex o del Servizio dei parchi nazionali per i festival marittimi che si svolgevano lungo la costa. Più spesso, tuttavia, era alla banchina, presa d'assalto tutto il giorno dai turisti che venivano a visitarla.

Recentemente era stata inoltrata alla guardia costiera la richiesta di armare la nave. Se fosse stata accettata, la Friendship avrebbe potuto portare al largo i passeggeri e far vivere agli studenti e a tutti gli interessati un'esperienza diretta della storia marittima di Salem, che non era possibile comprendere in nessun altro modo. Ma bisognava aspettare. Fino a quel momento Hawk aveva accompagnato a bordo la classe perché facesse pratica di osservazione solare e imparasse a determinare la latitudine, ma non era uscito in mare aperto. Così, il corso di navigazione astronomica era stato per lo più confinato in un'aula, una cosa assurda secondo lui, che non aveva esitato a esprimere la sua opinione.

Era stato altrettanto esplicito la sera della prima lezione, quando l'altro istruttore, che teneva quel corso da cinque anni, aveva sostenuto la teoria che bastava l'osservazione solare per navigare e che lui aveva attraversato l'Atlantico varie volte con il solo ausilio del sole.

«Quali altri strumenti avevi?» gli aveva chiesto Hawk con aria dubbiosa.

«Be', non avevo certo il GPS, se è questo che intendi», aveva risposto il collega in tono risentito.

Briggs, così si chiamava, era un signore più vecchio di lui, un veterano della navigazione con buone credenziali, che una volta aveva attraversato l'Atlantico in solitaria da Plymouth, Inghilterra, agli Stati Uniti, con un catamarano di venti metri. Hawk aveva pensato che era stato fortunato a farcela. Non lo aveva criticato davanti alla classe, ma dopo la lezione aveva espresso con forza la sua convinzione che gli allievi dovessero imparare a usare più di una tecnica. L'osservazione solare faceva parte della navigazione astronomica quanto l'osservazione della luna, dei pianeti e delle stelle, e Hawk non poteva concepire un corso che non le comprendesse tutte.

«Impareranno come si usa un sestante», aveva replicato Briggs. «E per dei principianti l'osservazione solare è più che sufficiente.»

In modo imprevisto, la classe di quell'anno era interamente femminile. Gli altri membri dell'equipaggio avevano preso in giro Hawk perché la brochure del corso sul sito mostrava le fotografie dei due istruttori, e loro erano certi che le sue foto fossero il motivo principale dell'iscrizione in massa delle donne.

«Sembra George Clooney da giovane», aveva detto uno dei marinai.

«Sta' zitto», gli aveva intimato Hawk.

Avrebbe voluto mollare il corso dopo la prima lezione. Non solo gli sembrava ridicolo che si tenesse in un'aula, ma la sovrapposizione con il suo turno sulla Friendship lasciava la nave sguarnita. E c'era anche un'altra ragione. La maggior parte delle allieve non gli creava problemi, però ce n'era un gruppetto, che l'altro istruttore già conosceva bene, soprannominate dall'equipaggio «cacciatrici di uomini da yacht club». Alla prima lezione erano in tre, alla seconda erano diventate sette. Non aveva niente contro di loro, anche se tendevano a fare comunella e avevano la parlantina sciolta, il che tratteneva le allieve meno estroverse dal fare domande. Il vero problema era che le loro battute, spesso piuttosto spinte, erano tutte dirette a Hawk. Lui le avrebbe anche trovate divertenti se non avessero reso Briggs invidioso e polemico. Dopo un episodio particolarmente spiacevole, aveva deciso di parlarne al capo. Contratto a parte, per il corso non c'era affatto bisogno di due istruttori, che oltretutto non andavano per niente d'accordo. Hawk era disponibile a rinunciare.

Ma Briggs lo aveva battuto sul tempo. «Non posso lavorare con lui», gli aveva sentito dire per caso al loro capo. «Dovrai scegliere uno di noi due, ma lascia che ti ricordi non solo che sono il più anziano in servizio, ma anche che negli anni la mia famiglia ha fatto parecchie donazioni a favore di questo progetto.»

Hawk aveva lasciato l'incarico. Ma alcune settimane dopo il capo si era rifatto vivo. Avevano ricevuto delle lamentele dagli iscritti, che erano assolutamente d'accordo con lui sulla necessità di tenere almeno una parte delle lezioni in mare.

«Ottima idea», aveva commentato Hawk, soddisfatto che gli allievi ottenessero finalmente un'istruzione adeguata al costo del corso. «Ma perché lo stai dicendo a me?»

«Abbiamo un priblema», aveva risposto il suo capo.

«Davvero? E qual è?»

«Sembra che Briggs soffra improvvisamente di mal di mare.»

«Stai scherzando.» Hawk non aveva potuto fare a meno di sorridere.

«Speravamo che tu accettassi di portarli fuori con la tua barca. Sarebbe solo per una lezione. E devo ricordarti che hai firmato un contratto.»

Hawk sapeva bene che non gli avevano decurtato la paga anche se non teneva più il corso. «D'accordo», aveva risposto. «Di quale lezione si tratta?»

«Quella sull'osservazione dei corpi celesti al crepuscolo. L'abbiamo intitolata "Fai oscillare il tuo sestante". Le iscrizioni sono già al completo.»

«Non ne dubito», aveva commentato Hawk guardando alcuni membri dell'equipaggio che ridacchiavano. «Voi non c'entrate con quel titolo, vero?» aveva chiesto a uno di loro.

«Siamo innocenti», aveva risposto il suo amico Josh. «Ma se cerchi volontari che ti diano una mano con le "cacciatrici di uomini", conta su di noi.»

«Molto divertente.»

«Allora accetti?» aveva chiesto il capo.

«Ho un'alternativa?»

«No, se vuoi la paga intera.»


Hawk organizzò l'uscita in mare sulla sua barca, un'aragostiera del 1941 lunga tredici metri, che aveva restaurato durante l'estate e che adesso era ormeggiata qualche banchina più in là della Friendship.


I due momenti migliori della giornata per l'osservazione astronomica sono l'alba e il tramonto. Gli avvistamenti crepuscolari avvengono appena prima che l'orizzonte stia per sparire nella luce o nell'oscurità, in quei pochi minuti in cui i pianeti e le stelle guida sono ancora visibili. È un attimo, e richiede pratica. Soprattutto per i principianti era importante trovare una posizione dalla quale le stelle fossero visibili sulla linea dell'orizzonte. Hawk sapeva dove portarli, ma bisognava allontanarsi dalla costa.

Partirono un'ora prima del tramonto per riuscire ad arrivare in tempo in mare aperto. Era una serata relativamente tranquilla e la sua barca era stabile: avrebbero avuto poca maretta. Era contemporaneamente un bene e un male. Il sestante è uno strumento resistente costruito per misurare gli angoli verticali da un'imbarcazione in movimento. Uno dei motivi dell'uscita in mare era quello di abituare gli allievi al rollio e a fare le misurazioni anche in condizioni critiche.

Le signore arrivarono in anticipo con cestini da picnic e bottiglie di vino.

«Spero che abbiate portato anche i vostri taccuini per gli appunti e il sestante», disse Hawk vedendo spuntare le bottiglie dalle borse di tela.

Si diressero fuori dal porto, passando prima accanto al piccolo faro dì Winter Island, poi davanti a Willows Park con i pescatori di branzini americani allineati sulla lunga darsena. Appena superato il confine di Salem, Hawk diede gas al motore e passò fra le isole Misery e Children's Island, puntando il più possibile al largo nelle acque protette fra Salem e Cape Ann.

«Dove stiamo andando?» chiese una delle «cacciatrici di uomini».

«Dobbiamo essere lontani dalla terraferma al momento del crepuscolo.»

Rimasero sedute a poppa in silenzio finché Hawk spense il motore in un punto che conosceva bene, dove il rollio non sarebbe stato troppo forte. Dietro di loro, la costa nord svaniva in lontananza e verso sud si intravedeva ancora vagamente il profilo di Boston. Ma diritto davanti a loro c'era la nitida linea dell'orizzonte.

«Il mare è un po' agitato qui», osservò una delle donne.

«No, per niente», ribatt Hawk.

«E sse fossimo in mezzo a una rotta di navigazione?»

«A volte è il posto migliore in cui trovarsi», rispose lui ridendo.

Si guardarono tutte intorno nervosamente.

«Tranquillizzatevi, non siamo su una traiettoria navale.»

Sospiro di sollievo.

«Qualcuna sa dirmi quando potrebbe essere utile trovarsi su una rotta di navigazione?»

Si guardarono reciprocamente.

Alla fine fu una delle allieve più timide a rispondere.

«Quando si ha un problema, come un guasto al motore, e si ha bisogno di soccorso.»

«Abbiamo un guasto?» domandò una di loro spaventata.

«Tranquille, signore, non siamo su una rotta e nemmeno in avaria. Ma sono lieto di constatare che qualcuna di voi ha letto il manuale.»

Una delle «cacciatrici» aveva tirato fuori una bottiglia e stava cercando un cavatappi.

«Non sapevo che fossimo a un party», disse Hawk.

«Di solito mi piace bere un bicchiere di vino prima di far oscillare il mio sestante», rispose quella ammiccando.

Le amiche ridacchiarono e lui sperò di non essere arrossito.

«Voi donne non date mai tregua», commentò Hawk.

«Preferiamo pensare di essere "concentrate sull'obiettivo"», intervenne un'altra.

«Vi concentrerete meglio senza vino.»

«Non sa stare al gioco.» La cacciatrice sembrava delusa. «Prima il dovere, poi il piacere», replicò Hawk togliendole la bottiglia di mano e rimettendola nella borsa.

Tirarono fuori i taccuini e i sestanti di plastica, che Hawk non sopportava pur dovendo ammettere che erano adeguati a una classe di principianti. Persino lui ne teneva uno di scorta, anche se, in caso di necessità, era in grado di fare una rilevazione senza sestante. Gli orologi erano un altro discorso. Per una misurazione corretta bisognava avere l'ora del meridiano di Greenwich precisa al secondo. Chi passa molto tempo per mare deve essere pronto ad affrontare la peggiore evenienza possibile. Hawk conosceva almeno tre marinai che avevano da raccontare storie drammatiche su strumenti GPS che non avevano funzionato. Fra queste c'erano anche delle leggende, ma lui sapeva per certo che alcune erano vere.

Quella sera tutte le signore avevano al polso orologi al quarzo, una rarità dopo l'avvento dei cellulari. Hawk accese la radio a onde corte sulla stazione nazionale WWV per sincronizzarsi sull'ora del meridiano di Greenwich. Quando fu annunciata l'ora, le allieve controllarono i loro orologi sotto gli occhi attenti di Hawk. Sembrava che sapessero cosa dovevano fare. Un buon segno, pensò.

Solo una non aveva l'orologio e lui le passò il suo in silenzio. Ne aveva almeno altri due in cabina: anche quello rientrava nei preparativi. Si poteva calcolare l'ora del meridiano di Greenwich anche osservando la luna, ma era difficile e poco preciso, e Hawk lo faceva solo in casi di emergenza. Non aveva nemmeno intenzione, quella sera, di menzionare l'osservazione lunare. Non voleva confondere loro le idee. Dovevano prima imparare a usare bene il sestante.

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