Copertina
Autore Paul Begg
Titolo Jack lo Squartatore: la vera storia
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006 , pag. 314, ill., cop.ril.sov., dim. 155x237x25 mm , Isbn 978-88-02-07255-5
OriginaleJack the ripper. The definitive history
EdizionePearson Education, London, 2004
TraduttoreDavide Panzieri
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe storia sociale , storia criminale , citta': Londra , paesi: Gran Bretagna , gialli
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Indice

 IX Introduzione

  3 Capitolo 1  L'East End

 25 Capitolo 2  Emma Elizabeth Smith

 30 Capitolo 3  Il grido disperato

 47 Capitolo 4  Martha Tabram

 53 Capitolo 5  Brancolare nel buio e pescare a caso

 76 Capitolo 6  Mary Ann Nichols

 92 Capitolo 7  Il tributo degli innocenti

119 Capitolo 8  «Sul cratere di un vulcano»

137 Capitolo 9  Annie Chapman

155 Capitolo 10 Il duplice evento: Elizabeth Stride

172 Capitolo 11 Catharine Eddowes

183 Capitolo 12 Caro Boss

211 Capitolo 13 Mary Jane Kelly

232 Capitolo 14 Il grande mistero vittoriano: chi era
                Jack the Ripper, lo Squartatore?

263 Capitolo 15 Altri sospetti


279             Note

 

 

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Pagina IX

Introduzione



Perché Jack lo Squartatore esercita un simile fascino?

La risposta facile e immediata è che il mistero sulla sua identità sfida la curiosità e stimola la fantasia dell'investigatore "a tavolino". Ma questa risposta semplice, seppure vera, elude la questione. I crimini insoluti sono tanti, ma nessuno attira quanto quelli di Jack lo Squartatore. Il fatto che rimangano insoluti non spiega perché continuino ad affascinare. L'orrenda brutalità degli omicidi è una risposta ancor meno convincente. È arduo concepire un omicida più brutale di Jack, eppure la storia recente ha sfornato assassini la cui ributtante depravazione ha superato di gran lunga le mutilazioni post mortem di Jack; quindi neppure lo sgomento e l'orrore per i suoi crimini spiegano tanta notorietà. Come dice Jack lo Squartatore nel film del 1979 di Nicholas Mayer L'uomo venuto dall'impossibile, «Novant'anni fa ero un fenomeno. Oggi sono un dilettante».

Occorre inoltre osservare che il «grande mistero vittoriano», come sono stati battezzati i suoi crimini, non ha sempre suscitato il grande interesse e stimolato le ricerche approfondite di oggi. La libreria di un appassionato del mistero dello Squartatore potrebbe ospitare facilmente oltre ottanta libri di saggistica, che propongono quasi tutti una teoria sull'identita dell'assassino. Va pero sottolineato che quasi tutti sono stati pubblicati dopo il 1960. Pertanto, la risposta alla domanda sul fascino esercitato da Jack lo Squartatore parrebbe avere a che fare non solo con ciò che avvenne allora, ma anche con quanto è accaduto nel o intorno al 1960, che ha innescato un piccolo boom editoriale durato quarant'anni e che non accenna a esaurirsi.

Alla fine del 1959 uno dei primi giornalisti televisivi, Daniel Farson, conduceva una serie intitolata Farson's Guide to the British e fu presentato a Lady Aberconway, la figlia minore di Sir Melville Macnaghten, già Assistant Commissioner del CID, Scotland Yard. Ella era in possesso di alcuni documenti del padre, compresa la trascrizione di un memorandum che aveva scritto nel febbraio 1894, in cui citava tre uomini sospettati di essere Jack lo Squartatore, uno dei quali era il suo «candidato» preferito. Il programma di Farson andò in onda il 12 novembre 1959 e il sospetto di Macnaghten era identificato solo con le iniziali «MJD»; nel 1965 Tom Cullen, un autore nato in America, ne rivelò per esteso il nome: Montague John Druitt; nel 1972 Farson pubblicò le proprie indagini. Per la prima volta sembrava possibile dare un volto all'ignoto Jack lo Squartatore, e l'interesse per il mistero cominciò a lievitare.

Crebbe ulteriormente con la pubblicazione dell'articolo del Dr. Thomas Eldon Stowell, Jack the Ripper — A Solution? su «The Criminologist» del novembre 1970. Stowell affermava di aver scoperto nelle carte di Sir William Gull che lo Squartatore era il principe Albert Victor, nipote della regina Victoria. Sebbene «The Criminologist» fosse una rivista relativamente oscura, la storia ispirò titoloni sui quotidiani di tutto il mondo. Gente che fino a quel momento non aveva avuto alcun interesse per lo Squartatore, che non ne aveva neppure sentito parlare, ne rimase di colpo affascinata, e le storie si moltiplicarono. Nel 1973, in una serie televisiva della BBC intitolata Jack the Ripper, Joseph Sickert raccontò che al matrimonio tra il principe Albert Victor e una commessa cattolica di nome Annie Crook aveva assistito Mary Kelly, che in seguito, insieme con altre prostitute, aveva cominciato a ricattare il governo. Il Primo Ministro Lord Salisbury chiese aiuto ai massoni e Sir William Gull rintracciò e uccise le cospiratrici. La storia venne ripresa da altri autori, in particolare Stephen Knight nel libro Jack the Ripper: The Final Solution, Frank Spiering in Prince Jack, Melvyn Fairclough in The Ripper and the Royals e Jean Overton Fuller in Sickert and the Ripper Crimes. I puristi tuonano contro questo modo assai fantasioso di formulare teorie, ma il fatto è che quei racconti d'effetto hanno divulgato il mistero dello Squartatore, creando a loro volta un pubblico per la miriade di libri pubblicati da allora, comprese le teorie più serie e il numero crescente di libri specialistici.

Naturalmente, ci si ricordava di Jack lo Squartatore prima del 1960, seppure in modo diverso. Per motivi che costituiscono in sostanza la raison d'étre di questo libro, poco dopo la fine degli omicidi e probabilmente mentre ancora venivano commessi — Jack lo Squartatore subì una singolare trasformazione da assassino in carne e ossa a spauracchio degli incubi. Si dice che le madri ammonissero i figli a «comportarsi bene altrimenti Jack the Ripper ti porterà via». Jack diventò l'incarnazione stessa della malvagità umana, «in agguato nell'ombra», la personificazione dell'ignoto e di ciò che fa paura. L'immagine è rispecchiata in numerosi racconti che risalgono alla Lulu di Frank Wedekind d'inizio Novecento, in cui la predatoria Lulu finisce vittima del predatore Jack lo Squartatore. Riferimenti a Jack si trovano anche in proposte diverse come Iwo Jima deserto di fuoco (1949), un film sul riuscito attacco lanciato dagli americani nel 1945 per conquistare l'isoletta di Iwo Jima, 660 miglia a sud di Tokyo. In una scena verso l'inizio del film, due soldati si lamentano del sergente di ferro dei marines John Stryker (John Wayne). Uno dei due dice, come attenuante: «Ma almeno conosce il suo mestiere»; l'altro, nient'affatto impressionato, replica: «Anche Jack lo Squartatore». Non è un momento memorabile nella storia del cinema, ma dimostra che Jack lo Squartatore era entrato nel linguaggio comune come icona del male. Non era necessario dire chi fosse, che cosa avesse fatto o quando; non era neppure necessario sapere se fosse realmente esistito. Gli spettatori capivano perché sapevano che cosa rappresentava. La domanda è: perché? Perché Jack lo Squartatore è assurto a questo status quasi mitico? Che cosa lo distingueva da altri assassini dell'epoca?

È questa la domanda alla quale il libro cerca di dare una risposta; la mia tesi è che Jack lo Squartatore sarebbe probabilmente stato dimenticato se avesse colpito in qualche altro luogo o in un altro periodo o se avesse ucciso signore altolocate anziché infime prostitute. Ma Jack uccise nell'East End di Londra, uno scenario bell'e pronto per qualche evento sensazionale. Questo libro cerca di spiegare perché fosse bell'e pronto. Che ci sia riuscito o meno è cosa che deciderà il lettore, ma combinando gli omicidi con gli eventi storici cruciali che ne costituirono il fondale spero di offrirgli l'occasione di ricostruire tutto il quadro nella sua ampiezza.

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Pagina 3

Capitolo 1
L'East End



Un rivoltante plesso di tuguri che nascondono cose umane striscianti; in cui uomini e donne sozzi vivono a forza di gin, in cui colletti e camicie pulite sono convenienze ignote, in cui ogni cittadino mostra un occhio nero e nessuno si pettina i capelli.

Ho visto il selvaggio polinesiano nella sua condizione primitiva, prima che arrivassero il missionario, il mercante di schiavi o il giramondo bianco. Con tutta la sua selvatichezza, non era selvaggio, sporco o irrecuperabile neppure la metà dell'inquilino di una catapecchia dell'East End.


Negli anni Ottanta dell'Ottocento, l'East End suscitava forti timori nell'opinione pubblica a causa della disoccupazione, del sovraffollamento, dei tuguri, delle malattie e dell'assoluta immoralità. Si temeva che la plebaglia si lanciasse fuori da quei vicoli bui e dalle sue squallide tane, straripasse dagli argini e sommergesse la società civilizzata. La sommossa, la rivoluzione della classe operaia era immaginata come una realtà che aspettava dietro l'angolo. Jack lo Squartatore diede forma e sostanza, carne e ossa a quelle paure, in quanto era un prodotto degli «inferi» che avrebbe potuto uscire - e in un caso in minima parte lo fece - dal recinto di tane e vicoli per entrare nella città civile. Se poteva farlo Jack, potevano farlo anche i selvaggi infetti, propugnando il socialismo, invocando lavoro e salari equi, istruzione e alloggi decenti e mettendo fine al mondo così come lo conosceva il ceto medio vittoriano.

Non è un'esagerazione, né un tentativo di rendere Jack più importante di quanto meriti. Molti vedevano nei crimini dello Squartatore la mano del riformatore sociale, primo tra tutti George Bernard Shaw, di cui è citata sovente la lettera al quotidiano «The Star»:

Sir, mi permetterà di fare un commento sul successo dell'omicida di Whitechapel nel richiamare per un momento l'attenzione sulla questione sociale? Meno di un anno fa, la stampa del West-End, guidata dalla «St.James's Gazette», dal «Times» e dalla «Saturday Review», invocava letteralmente il sangue del popolo, braccando Sir Charles Warren affinché spazzasse via la feccia che osava lamentarsi perché moriva di fame – sommergendo di insulti e calunnie spudorate chi intercedeva per le vittime – plaudendo con clamore all'aperto pregiudizio di classe di quei magistrati e giudici che facevano con zelo del loro peggio nei procedimenti penali che ne seguirono – comportandosi, in breve, come sempre fa la classe possidente quando gli operai la gettano nel terrore azzardandosi a mostrare i denti. Ignoravano, questi giornali e i loro lettori, le rimostranze indignate, i ragionamenti, i discorsi e i sacrifici, gli appelli alla storia, alla filosofia, biologia, economia e statistica; i riferimenti ai rapporti di ispettori, assistenti medici, missionari urbani, commissioni parlamentari e giornali; tutta l'evidenza dei cinque sensi ad ogni angolo; e le indagini casa per casa sulla condizione dei disoccupati, tutte senza risposta e irrefutabili, tutte che andavano nella stessa direzione. La «Saturday Review» era fermamente intenzionata a far impiccare gli appellanti; e il «Times» li denunciava come «peste della società». Questo era il tono della stampa di classe ancora durante lo sciopero delle ragazze di Bryant e May. Adesso è cambiato tutto. L'impresa privata è riuscita là dove il socialismo aveva fallito; mentre noi socialdemocratici tradizionali sprecavamo il nostro tempo su istruzione, agitazione e organizzazione, un genio indipendente ha preso in mano la faccenda e, semplicemente ammazzando e sbudellando quattro donne, ha convertito la stampa dei possidenti a una specie annacquata di comunismo. La morale è chiara e gli Insorti, i Dinamitardi, gli Invincibili e l'estrema sinistra del partito anarchico non tarderanno a trarla. «Umanità, scienza politica, economia e religione», diranno, «sono tutte marce; l'unico argomento che tocca voi signore e signori è il coltello». È una cosa davvero piacevole per il partito della Speranza e della Perseveranza nella sua dura lotta con il partito della Disperazione e della Morte!»

Lo Squartatore non era un riformatore sociale, né Bernard Shaw intendeva suggerire che lo fosse, ma si riconobbe, allora e da allora in poi, che i delitti provocarono una reazione scandalizzata da parte di chi fino a quel momento aveva trascurato o ignorato gli appelli dei riformatori tradizionali; per un breve momento suscitarono una richiesta di cambiamenti che, nel suo piccolo, avrebbe prodotto sia mutamenti sociali sia cambiamenti della struttura stessa della zona, ad esempio accelerando la distruzione di famigerati bassifondi. Ha scritto Jerry White:

Dunque, nel giro di sei anni Jack lo Squartatore aveva fatto più di cinquant'anni di costruzione di strade, sgombero dei tuguri e incessante pressione della polizia, [interventi degli] amministratori della legge per assistere i poveri, parrocchie e ufficiali sanitari, per distruggere le case fatiscenti di Flower and Dean St.

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Pagina 12

La storia del rapido sviluppo che trasformò l'East End in quella terra incognita – e di come Jack lo Squartatore contribuì a trasformare il paesaggio – affascinerà chiunque desideri conoscere l'origine dei luoghi che associamo a Jack e alle sue vittime. Ma delimitare l'East End è tutt'altra faccenda. A rigor di termini, esso era la zona della City cinta dalle mura presso la porta orientale, Aldgate; è ciò che afferma l'Enciclopedia Britannica, secondo cui l'East End cominciava in un luogo definito Aldgate Pump, «una fontana di pietra costruita accanto a un pozzo alla confluenza di Fenchurch Street e Leadenhall Street; quella attuale si trova a qualche iarda a occidente dell'originale». A detta di altri, il vero East End inizia nel punto in cui si incontrano Whitechapel Road e Commercial Road, per molto tempo conosciuto come Gardiner's Corner dal nome di un grande magazzino che dominava la zona, oggi demolito. Ma il vero problema è stabilire dove finisse l'East End e quale territorio delimitasse, poiché non solo sembra che i confini si allarghino o restringano a piacere, a seconda dei testi consultati, ma per molti l'East End non è solo un contesto geografico. Alcuni commentatori gli attribuivano Bermondsey e Rotherhithe sulla sponda meridionale del fiume, altri ritenevano con qualche ragione, sul piano sociale ma non geografico, che indicasse esclusivamente i quartieri lungo il fiume a nord del Tamigi, altri ancora includevano West Ham e East Ham in Essex. Questa diversità spiega perché ciascuna zona avesse un proprio «sapore particolare». Secondo William Booth, «sembra di percepirlo nelle strade. Può essere nei volti della gente [...] o può trovarsi nei rumori che si odono o nel carattere della gente». Ma l'opinione invalsa vuole che l'East End sia l'area delimitata a est dal fiume Lea, che confluisce nel Tamigi a Poplar e un tempo segnava il confine tra Middlesex e Essex, a ovest dalle mura cittadine, a nord da Clapton Common e a sud dal Tamigi. A tutti gli effetti esso comprende i tre vecchi Metropolitan Boroughs di Stepney, Poplar e Bethnal Green e coincide in sostanza con l'area di Tower Hamlets. Occorre però precisare che il vero East End è la comunità immediatamente all'interno e all'esterno delle porte orientali, in primo luogo Spitalfields e Whitechapel: il territorio di Jack lo Squartatore.

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Il 1875 fu un anno di legislazione sociale, definito l' annus mirabilis della riforma sociale di Disraeli. Richard Asherton Cross, uno dei più grandi ministri dell'Interno della storia britannica, portò avanti diverse leggi importanti, in particolare due relative all'occupazione e al sindacalismo, un Sale of Food and Drugs Act e lo Artisans' Dwellings Act – poi conosciuto come Cross Act – che permettevano alle autorità locali di 87 città dell'Inghilterra e del Galles di individuare, demolire e ricostruire intere zone. Nel 1879 furono approvati un secondo Cross Act e un secondo Torrens Act; tuttavia, pur essendo attuati, in specie da Joseph Chamberlain che all'epoca era sindaco di Birmingham e ripulì ben 40 o 50 acri di catapecchie, conferivano poteri al governo locale senza imporgli di usarli. Nel 1881 solo 10 delle 87 autorità locali avevano sfruttato concretamente questi poteri, sicché fu istituita una commissione d'inchiesta della Camera dei Comuni, cui seguì una nuova legge nel 1882. Il gran parlare degli orrori delle abitazioni dei bassifondi, che si trattasse di rapporti del parlamento o degli innumerevoli articoli usciti sulla stampa sia popolare sia specializzata, tra cui una serie di brillanti resoconti sul «Pictorial World» di George R. Sims (definito «il Dante dei bassifondi di Londra»), rese cosciente dei problemi qualunque persona capace di leggere e scrivere. Gli articoli sul tema erano così tanti che nel 1880 un autore ritenne di doversi scusare per aver allungato la lista, scrivendo: «Al giorno d'oggi sembra superfluo dilungarsi sull'argomento o entrare in dettagli penosi ormai ben noti e profondamente deplorati». Eppure il tema non suscitava grande interesse, preoccupazione o partecipazione. Il fatto che la gente fosse costretta a vivere in condizioni tanto spaventose, che i genitori dovessero restare svegli tutta la notte per evitare che il figlioletto venisse divorato vivo dai topi non sembrava importare granché, a meno che malattie, crimine, immoralità o uno dei mali concomitanti, che ignoravano i confini sociali, si riversassero nelle zone rispettabili. Ma la situazione cambiò a metà ottobre del 1883.

La London Congregational Union, una delle chiese dissidenti, pubblicò un opuscoletto da poche lire che non aveva molto di originale e attingeva a piene mani dal lavoro di altri, in particolare George R. Sims, ma al pari di Jack lo Squartatore comparve proprio al momento giusto e con un titolo provocatorio, ovvero The Bitter Cry of Outcast London.

Fu pubblicato in forma anonima e la sua paternità fu oggetto di innumerevoli congetture, tanto da essere attribuito di volta in volta, tra gli altri, al Rev. William C. Preston, Arnold White, G.E. Sims e W.T. Stead. Ma nel dicembre 1883, nell'introduzione a un articolo pubblicato sulla «Contemporary Review», il Rev. Andrew Mearns, segretario della London Congregation Union, ne rivendicò la paternità:

Vorrei chiarire che non nutro alcun desiderio di figurare come l'autore di The Bitter Cry of Outcast London, ma avendo visto pubblicate affermazioni che attribuiscono l'opuscolo a due altre persone che mi hanno fatto da assistenti, sembra necessario precisare che l'impulso è stato interamente mio, l'indagine è stata condotta sotto la mia direzione e l'opuscolo è stato redatto secondo le mie istruzioni e sottoposto alla mia revisione. Nell'indagine sono stato ben coadiuvato dal Rev. James Munro, in passato a Limerick, e nel lavoro letterario dal Rev. W.C. Preston, in passato a Hull, verso i quali ho un debito. Altri hanno dato un contributo, ma di minore entità.

William Preston avrebbe potuto contestare quest'affermazione e con qualche ragione – aveva scritto lui l'opuscolo – ma certo non poteva avanzare le stesse pretese di Mearns sulla sua proprietà intellettuale. A lui spetta il merito del titolo, cui si deve gran parte del successo di The Bitter Cry, e può darsi perfino che, insieme con Mearns, fosse l'artefice del taglio giornalistico «scandalistico». Sorvolava sul pericoli delle case in rovina, sull'infestazione dei parassiti, sul rischio di diffusione delle malattie ed evitava gran parte degli appelli alla coscienza pubblica che caratterizzavano gli scritti di altri attivisti; puntava invece sull'apatia religiosa degli abitanti dei bassifondi, l'assenza drammatica di valori morali e altri abomini che, per riguardo verso i sentimenti dei lettori, l'autore si vedeva costretto a tacere – sebbene l'ammissione che «l'incesto è comune» bastasse a scandalizzare sinceramente la nazione, spingendola a chiedersi quali mai potessero essere gli altri abomini. Una Royal Commission on the Housing of the Working Classes cercò di scoprirlo, restando alquanto delusa. Nondimeno, «il fatto che peccati condannati tra i selvaggi venissero commessi nel cuore dell'impero fu un duro colpo per molti vittoriani e li spronò a metter mano alle riforme».

Va detto tuttavia che se The Bitter Cry piantò i suoi semi nella coscienza sociale, essi germogliarono, crebbero e maturarono per merito di W.T. Stead, fiammeggiante pioniere del New Journalism e direttore della «Pall Mall Gazette» impegnata nella campagna sociale. La diffusa immoralità dei bassifondi sovrappopolati, in cui i ricchi sfruttavano i poveri e gli indifesi, era una combinazione perfetta di sensazione, sesso e analisi sociale. «Se si può scegliere una data d'inizio del New Journalism di Stead, forse è quella di martedì 16 ottobre 1883», quando egli fece eco a The Bitter Cry pubblicando un compendio dell'opuscolo di Mearns sfrondato di tutto il suo evangelismo e accompagnandolo con un editoriale energico che condannava i padroni di casa, la Chiesa, i ricchi, gli intellettuali e i politici. L'articolo di Stead fece sensazione, arrivò a molti lettori influenti e, osserverebbe un cinico, aumentò la tiratura del suo giornale. Stead puntava il dito anche contro i padroni di quelle proprietà, scrivendo: «Si dice che questi ricettacoli di febbre siano la proprietà più redditizia di Londra, e che i padroni (che, se si facesse giustizia, sarebbero condannati ai lavori forzati) ricavano dal 50 al 60 per cento sugli investimenti in proprietà da affittare nei bassifondi». Già nel 1892 si riconosceva che Stead aveva contribuito a cambiare la situazione nell'East End: un contemporaneo si chiedeva «quanta attività sociale rigenerante sarebbe stata profusa a East London se non fossero stati scritti gli articoli [di Stead] e l'opuscolo fosse arrivato solo a coloro che leggono queste cose?». Ma se Stead puntò il dito contro i padroni di quelle catapecchie, qualche anno dopo Jack lo Squartatore li avrebbe messi in croce, in particolare la famiglia Henderson, proprietaria delle fatiscenti case di Flower and Dean Street.

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Capitolo 9
Annie Chapman



Il numero 29 di Hanbury Street corrispondeva a un anonimo edificio di tre piani attaccato a quelli adiacenti, largo l'equivalente di due camere, costruito probabilmente da un falegname di nome Daniel Marsillat, che aveva affittato il terreno nell'ottobre 1740 dal proprietario, Granville Wheler. Nel 1888 le sue otto camere ospitavano 17 persone, tra cui John Davis, che abitava con la moglie e i tre figli nella camera al terzo piano che dava sulla strada. Verso le 5.45 del mattino dell'8 settembre 1888, si alzò, si preparò una tazza di tè e verso le 6 scese le scale e uscì nel cortile dietro la casa.

Vidi una donna stesa in terra, i vestiti sollevati fino alle ginocchia, la faccia coperta di sangue [...]. Non posso descrivere ciò che c'era accanto a lei – era una parte del suo corpo. Non esaminai la donna, ero troppo terrorizzato da quello spettacolo spaventoso.

Il corpo era quello di Annie Chapman.

Prima dei numerosi figli di un soldato, George Smith, e della moglie Ruth Chapman, Annie Eliza Smith venne alla luce nel settembre 1841. Crebbe ricevendo probabilmente un'educazione decorosa e il 1 maggio 1869 sposo un cocchiere di nome John Chapman. Una fotografia di Annie Chapman di quel periodo – l'unica foto di una delle vittime di Jack lo Squartatore in vita – ci mostra una coppia dall'espressione piuttosto seria, elegante, evidentemente abituata a un discreto tenore di vita. La coppia ebbe tre figli, due femmine nate nel 1870 e 1873 e un maschio nato nel novembre 1880. Per gran parte di quel periodo John Chapman lavorò per un nobile che abitava in Bond Street, ma a quanto pare già allora Annie non godeva di una reputazione impeccabile, almeno se si vuole credere a una sua amica, Mrs. Pearcer, secondo la quale John Chapman era stato costretto a licenziarsi a causa della disonestà della moglie. Riuscì a trovare lavoro come cocchiere e domestico presso Josiah Weeks, ma sembra che l'indole della moglie li avesse di nuovo traditi: in seguito si disse che «le sue [di Annie] abitudini dissolute resero assolutamente necessario trasferirsi in un luogo diverso dalla proprietà del gentiluomo». Secondo un rapporto della polizia, si separarono a causa della sua abitudine di bere e della sua «condotta immorale», ed era nota alla polizia di Windsor, che l'aveva anche arrestata per ubriachezza. Nel o intorno al 1884 i due si separarono formalmente. Da allora John Chapman versò regolarmente alla moglie un assegno settimanale di 10 scellini, riscuotibile all'ufficio postale di Commercial Road. Questi versamenti continuarono fino alla sua morte, avvenuta il giorno di Natale del 1886.

In quel periodo Annie Chapman aveva una relazione con uno stagnino di nome Jack Sivvey e viveva con lui in una pensione al 30 di Dorset Street. Poco dopo ebbe una relazione con un manovale, Edward Stanley, soprannominato «The Pensioner», che aveva conosciuto quando abitava a Windsor. Nel maggio o giugno 1888 Annie era andata ad abitare alla pensione Crossingham's al 35 di Dorset Street.

Secondo i suoi conoscenti, Annie Chapman andava pazza per il rum, a volte beveva troppo – come dimostra l'arresto per ubriachezza a Windsor – e si ubriacava regolarmente il sabato sera (come facevano e tuttora fanno molti), ma restava sobria il resto della settimana. Non sembra che si fosse data alla prostituzione prima della morte del marito e la cessazione dei versamenti, in seguito alle quali aveva cercato di mantenersi facendo qualche lavoro all'uncinetto e vendendo fiori o fiammiferi.

Anche Annie stava morendo a causa di una malattia polmonare e cerebrale in fase avanzata.

Secondo le descrizioni, era alta un metro e 52, aveva capelli scuri ondulati, occhi azzurri e il naso grosso e nel 1888 era una donna robusta e ben proporzionata. Il rapporto della polizia dichiara che le mancavano due denti sulla mascella inferiore, ma non quelli davanti. Il medico che esaminò il cadavere e depose all'inchiesta dichiarò che non le mancava nessuno dei denti davanti, che anzi erano perfetti fino al primo molare ed erano belli.

Durante la prima settimana di settembre, la Chapman si lamentò con alcuni amici di non sentirsi bene e probabilmente trascorse due giorni al pronto soccorso, dove le diedero una bottiglietta di medicinale che fu poi trovata nella pensione di Dorset Street. L'amica Amelia Farmer vide Annie verso le 5 di pomeriggio del 7 settembre in Dorset Street; la Chapman lamentò di nuovo di sentirsi poco bene, troppo malata per fare alcunché, ma aggiunse: «Non posso mollare. Devo rimettere insieme i pezzi, uscire e racimolare qualche soldo, altrimenti non avrò un letto». Alle 23.30 non aveva il denaro, ma chiese all'affittacamere, Timothy Donovan, se poteva entrare in cucina. William Stevens la vide lì poco dopo mezzanotte. Tirò fuori da una tasca una confezione di pillole che però si ruppe, sicché le avvolse in un pezzo di un involucro che trovò sulla mensola del caminetto. Quindi uscì e Stevens pensò che fosse andata a letto. In realtà, probabilmente andò a bere al Ringers (un pub d'angolo che si chiamava Britannia ma era stato ribattezzato Ringers dal nome dell'oste). Ritornò alla pensione verso la 1.35 e fu vista da John Evans, il guardiano notturno. Non aveva abbastanza soldi per un letto, ma li avrebbe avuti presto. Uscì di nuovo. Evans dichiarò di averla vista entrare in Paternoster Row e camminare in direzione di Brushfield Street, e quella fu l'ultima volta in cui Annie Chapman fu vista con certezza viva.


La signora Amelia Richardson era la proprietaria della casa al 29 di Hanbury Street e occupava da 15 anni la camera al primo piano che dava sulla strada, che allora divideva con un nipote di 14 anni. Affittava la cantina dell'edificio e il cortile posteriore, dove gestiva un'impresa che fabbricava casse da imballaggio. Tra le 4.40 e le 4.45 suo figlio John Richardson fece un salto li mentre si recava al lavoro allo Spitalfields Market. Qualche mese prima, qualcuno si era intrufolato in cantina e aveva rubato alcuni attrezzi, sicché da allora egli aveva l'abitudine di controllare la porta della cantina. Verificato che il lucchetto fosse a posto, aprì la porta che dava sul cortile ed esaminò uno stivale che gli faceva male, tagliandone via una striscia di cuoio. Era certo che si sarebbe accorto se ci fosse stato qualcosa di insolito, ma non notò nulla.

Alle 5.15 Albert Cadosch, che abitava lì accanto, entrò nel cortile di casa sua e sentì qualcuno che parlava, a quanto pareva nel cortile del numero 29, ma l'unica parola che riuscì ad afferrare fu «No». Rientrò in casa, ma quando uscì di nuovo in cortile poco dopo senti un rumore come di qualcosa o qualcuno che cadeva contro la recinzione. Non ci fece caso e andò al lavoro, senza vedere nessuno in Hanbury Street. Alle 5.30 Elizabeth Long, che viveva con il marito James Long, guardiano di parco, al 32 di Church Street, camminava lungo Hanbury Street per andare allo Spitalfields Market. Era sicura dell'ora perché l'orologio del birrificio aveva appena rintoccato. Si trovava sul lato destro della strada – lo stesso del numero 29 – e davanti a quella casa vide un uomo e una donna che parlavano sul marciapiedi, molto vicini alle imposte del numero 29. La signora Long non riuscì a vedere l'uomo in volto perché era girato dall'altra parte, ma vide piuttosto bene la donna, che successivamente identificò come Annie Chapman. Sentì l'uomo dire «Va bene?» e la donna rispondere «Sì». Quindi la signora Long proseguì per la sua strada. Pur non avendo visto il volto dell'uomo, dichiarò che sembrava uno straniero, definizione che a quell'epoca significava di solito un ebreo. Era sui quarant'anni e indossava un soprabito scuro e un berretto alla Sherlock Holmes ed aveva «un aspetto povero ma dignitoso». Era poco più alto della donna, il che, se si trattava di Annie Chapman, significa che era alto tra 1 metro e 52 e 1 metro e 70.

Alle 6 John Davis scese dalla sua camera al terzo piano fino al corridoio lungo sette metri e mezzo che attraversava la casa dalla porta d'ingresso al cortile. Alla fine del corridoio c'erano due gradini che portavano nel cortile di circa quattro metri quadrati, al fondo del quale si trovava una tettoia; non vi era altra uscita. Tra i gradini e la recinzione vecchia e sgangherata c'era una nicchia in cui giaceva il corpo di Annie Chapman.

Davis ripercorse il corridoio per tornare in strada; dapprima richiamò l'attenzione di Henry John Holland, che passava di lì per andare a lavorare, e poi si rivolse ad alta voce a due uomini, James Green e James Kent, fermi davanti al Black Swan Public House al 23 di Hanburv Street. «Ehi! Venite qui!», gridò. «Date un'occhiata. Dev'essere stata uccisa una donna!» Il rumore dei passi nel vicolo svegliò una certa signora Hardyman al pianterreno, che destò il figlio perché andasse a vedere che cosa succedeva. Egli tornò dicendo che una donna era stata uccisa nel cortile.

James Kent osservò il corpo e poi andò a cercare un poliziotto, ma non lo trovò e allora optò per un brandy, di cui probabilmente aveva bisogno, per poi andare a prendere un telo con cui coprire il cadavere. Anche Henry John Holland andò a cercare un poliziotto e ne trovò uno allo Spitalfields Market, che però era in servizio fisso – non doveva cioè lasciare il suo posto in nessun caso – e disse a Holland di cercare un altro agente. Irritato, Holland nel pomeriggio avrebbe presentato un reclamo formale contro il poliziotto presso il posto di polizia di Commercial Street. Frattanto, qualcuno fece circolare la notizia in tutta la strada dal mercato fino al posto di polizia di Commercial Street, all'ispettore Chandler, H Division, il quale si recò immediatamente sulla scena del delitto. Nel vicolo c'era un sacco di gente, ma nessuno nel cortile. L'ispettore Chandler mandò a chiamare il medico divisionale, dottor George Bagster Phillips, il cui studio si trovava al numero 2 di Spital Square, e dal posto di polizia di Commercial Street giunse un'ambulanza accompagnata da altri agenti che Chandler usò per sgombrare l'area dagli astanti. Un vicino gli fornì un telo con cui coprire il corpo.

Il dottor Phillips arrivò ed esaminò il cadavere, che fu quindi portato dal sergente Edmund Berry all'obitorio di Old Montague Street nella stessa cassa usata per portare Mary Ann Nichols. Davanti alla casa si erano radunate varie centinaia di persone che sembravano molto eccitabili. L'ispettore Chandler perquisì il cortile e trovò un pezzo di mussola grezza, un pettinino da tasca, un foglietto di carta appallottolato contenente due pastiglie e un pezzo di una busta su un lato del quale c'era la lettera «M» tracciata da una mano maschile e un timbro postale, «Londra, 28 agosto 1888». Sull'altro lato c'era il sigillo del Sussex Regiment.

Alle sette del mattino Robert Mann, che lavorava come sorvegliante dell'obitorio e che aveva accolto il cadavere della Nichols, accolse ora quello di Annie Chapman. L'ispettore Chandler arrivò all'obitorio più o meno contemporaneamente e, controllato che fosse tutto a posto, affidò il cadavere all'agente Barnes. Due infermiere dell'ambulatorio, Mary Elizabeth Simonds e Frances Wright, furono incaricate di spogliare il corpo (Mann lasciò l'obitorio mentre lo facevano). All'inchiesta la Simonds dichiarò di aver avuto l'incarico dall'Ispettore Chandler, ma egli negò di aver dato una disposizione del genere e l'assistente del coroner disse che era stato fatto per ordine del funzionario del Board of Guardians, il comitato di pubblica assistenza. Le infermiere spogliarono il corpo e ammucchiarono i vestiti in un angolo, lasciando però un fazzoletto intorno al collo della Chapman, dopo di che lavarono il cadavere.

Frattanto, il detective sergente Thicke, il sergente Leach e altri agenti investigativi erano arrivati in Hanburv Street ed era stato inviato un telegramma all'ispettore Abberline a Scotland Yard. Il sergente Thicke andò all'obitorio e fece una descrizione scritta del cadavere, che fu poi diffusa; il sostituto sovrintendente West, che era a capo della H Division, riferì a Scotland Yard che in assenza dell'ispettore locale Reid, che era in vacanza, le indagini erano state affidate all'ispettore Chandler e ai sergenti di polizia Thicke e Leach. Chiese che l'ispettore Abberline,

che conosce bene la H Division, sia incaricato di svolgere questa indagine, giacché ritengo sia già stato impegnato nel caso dell'omicidio di Buck's Row che parrebbe essere stato commesso dalla stessa persona di quello di Hanbury Street.

Abberline discusse la situazione con il sostituto sovrintendente West e l'ispettore Helson della J Division, dove era stata trovata la Nichols, e convenirono che lo stesso uomo aveva ucciso Mary Ann Nichols e Annie Chapman.

Il dottor George Bagster Phillips, il medico della H Division, eseguì l'autopsia. Pensava che la Chapman fosse stata prima strangolata o soffocata: la lividezza del volto, delle labbra e delle mani faceva pensare all'asfissia. Era stata praticata una lunga incisione sul collo da cui era sgorgato il sangue. Pertanto, la mutilazione post mortem sarebbe avvenuta pressoché senza fuoriuscita di sangue. La gola era stata tagliata dal lato sinistro fino alla spina dorsale; a quanto sembrava l'assassino aveva cercato di staccare la testa della donna. Una parte dell'intestino tenue e dell'addome giaceva per terra sopra la spalla destra, ma erano ancora attaccati al corpo. Altri due pezzi delle pareti dello stomaco giacevano in una pozza di sangue sopra la spalla sinistra. Alcune parti del corpo erano state rimosse: «Una certa porzione della parete addominale, compreso l'ombelico; due terzi della vescica (porzioni posteriore e superiore); il terzo superiore della vagina e la sua connessione con l'utero; e tutto l'utero».

Il dottor Phillips dichiarò che era stata usata una lama affilata, sottile e stretta, lunga da 6 a 8 pollici, e riteneva che l'assassino avesse una certa conoscenza dell'anatomia. Dubitava che avesse potuto effettuare tutte le mutilazioni in meno di un quarto d'ora e riteneva che gli sarebbe occorso non molto meno di un'ora se avesse dovuto farle egli stesso per ragioni professionali.

Il problema era stabilire l'ora della morte. Il dottor Phillips dichiarò che iniziava il rigor mortis, il che lo induceva a collocare l'ora della morte verso le 4.30 di mattino. Ciò significava che le testimonianze del signor Cadosch e della signora Long potevano non essere pertinenti. Tuttavia, il medico ammetteva che il freddo del mattino e la perdita di sangue rendevano meno accurato di quanto desiderasse il suo calcolo dell'ora dell'omicidio.

Per i giornali fu una giornata trionfale quanto a prosa fiorita:

Londra giace oggi sotto l'incantesimo di un grande terrore. Un reprobo senza nome – mezzo bestia e mezzo uomo – si aggira appagando quotidianamente i suoi istinti omicidi sulle classi più miserabili e indifese della comunità [...]. La creatura demoniaca che percorre le strade di Londra, inseguendo furtivamente la sua vittima come un indiano Pawnee, è semplicemente assetata di sangue, e altro ne avrà.

Neppure durante i tumulti e le nebbie del febbraio del 1886 si è vista Londra così travolta dall'eccitazione. Il diavolo di Whitechapel ha ucciso la sua quarta vittima questa mattina e continuerà senza essere scoperto, visto né conosciuto. Vi è panico a Whitechapel, che si estenderà all'istante ad altri distretti qualora egli cambiasse zona, giacché i quattro omicidi sono sulla bocca di tutti. I giornali ne sono pieni e non si parla d'altrolo

Per quanto ci si sforzi con i più audaci voli dell'immaginazione, non si troverà nulla che superi tali crimini per diabolica temerarietà.

Nel corso di quella domenica, un gran numero di persone ben vestite – la stampa parlò di migliaia di individui – visitò sia la scena del delitto in Hanbury Street – quelli che abitavano ai due lati del numero 29 facevano pagare qualcosa a chi voleva vedere il cortile e alcuni ambulanti piazzarono lì le loro bancarelle e fecero buoni affari vendendo frutta e altri rinfreschi — sia la pensione di Dorset Street in cui aveva alloggiato Annie Chapman. In qualche momento la strada era così affollata che la polizia dovette disperdere la folla.

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