Autore Marco Belpoliti
CoautoreGiovanna Durì [illustrazioni]
Titolo La strategia della farfalla
EdizioneGuanda, Milano, 2016, Piccola biblioteca , pag. 144, ill., cop.fle., dim. 12,3x20x1,2 cm , Isbn 978-88-235-1412-6
LettoreElisabetta Cavalli, 2016
Classe etologia , natura , zoologia , scienze naturali












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Introduzione                             9


Formiche                                17

Api                                     22

Vespe                                   27

Termiti                                 36

Farfalle                                43

Coleotteri                              48

Lucciole                                56

Coccinelle                              61

Scarafaggi                              69

Zanzare                                 75

Mosche                                  80

Pulci                                   85

Pidocchi                                93

Cimici                                 100

Zecche                                 108

Ragni                                  115


Cosa leggere per saperne di più        121


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

Introduzione



Non siamo soli. Non mi riferisco alle forme di esistenza su altri pianeti, o a sistemi solari lontani anni luce da noi, ma al nostro Pianeta. Gli zoologi hanno descritto oltre un milione di specie animali viventi; di queste, almeno tre quarti sono costituite dagli insetti, tuttavia nel nostro raggio d'azione di umani gli insetti quasi non esistono. Solo nei mesi estivi ci accorgiamo della loro presenza, eppure il loro numero è incredibile.

Nel globo terrestre vi sarebbero un miliardo di miliardi d'insetti, duecento milioni di insetti per ogni essere umano. Sono numeri, è vero, ma basta guardarsi intorno durante la bella stagione per rendersi conto che le api ronzano sui prati, le formiche attraversano i cortili, le zanzare volteggiano nelle stanze delle case, per non dire dei parassiti che ci accompagnano, dai pidocchi alle zecche e alle pulci, alcuni addosso a noi, alcuni sotto di noi. Tuttavia continuiamo a ignorare gli insetti, li consideriamo una fastidiosa appendice della nostra esistenza, di cui faremmo volentieri a meno.

Come uomini ci riteniamo al culmine della scala degli esseri viventi. Lo facciamo perché siamo dotati di ragione, mentre gli animali, gli insetti in particolare, non posseggono uno strumento altrettanto potente e decisivo. Siamo da questo punto di vista straordinariamente egocentrici; giudicare gli altri esseri viventi solo in rapporto alle proprie capacità intellettuali è un atto di presunzione. Se al criterio dell'intelligenza – strumento di cui si può sempre dubitare, visto lo stato in cui è ridotta la Terra – sostituiamo, come sostengono gli entomologi, quello numerico, ci rendiamo facilmente conto che gli Artropodi sono i veri protagonisti di quella evoluzione che Charles Darwin ha individuato solo di recente (rispetto ai tempi di esistenza degli insetti).

Apparso centinaia di milioni di anni fa, il grande phylum animale degli Artropodi, che comprende oltre agli insetti anche i crostacei, i miriapodi e i chelicerati, domina l'intero globo terracqueo, dai mari alle terre emerse. Come ha sottolineato in una sua conferenza del 1958 Karl von Frisch , lo scienziato che ha scoperto il linguaggio delle api, gli insetti non usano la riflessione, ma hanno comportamenti innati, gli istinti, che guidano le loro azioni nel corso della vita e sono capaci di apprendere. Non si tratta per nulla di esseri «inferiori», dal momento che il loro livello di organizzazione è sul medesimo piano di quello dei vertebrati.

Karl von Frisch cita uno dei più piccoli esseri viventi, l' Alaptus minimum, un icneumone le cui larve, lunghe 1/5 di millimetro, vivono da parassiti nelle uova di altri piccoli insetti. Ebbene, questo minimo essere possiede un'organizzazione complessa con muscoli, organi respiratori ed escretori, intestino, sistema nervoso, gonadi, occhi e organi olfattivi. Non è meno complesso del corpo umano.

Secondo Edward O. Wilson gli insetti non hanno conquistato il mondo superiore, quello che abitiamo noi, solamente a causa del guscio chitinoso, che impedisce loro di crescere e di raggiungere una dimensione rilevante, cosa che ai mammiferi, e in particolare agli umani, non accade: il nostro scheletro è posto all'interno del corpo. Gli insetti sono difesi da una robusta corazza che tuttavia costituisce una gabbia che li delimita. Ma ci sono altre ragioni per cui è bene riflettere sul destino di questi esseri minuscoli, di cui non ci occupiamo se non quando ci infastidiscono.

Nel libro dedicato ai lombrichi, La formazione del terriccio vegetale per l'azione dei lombrichi, con osservazioni sui loro costumi, ultima sua opera, Darwin cita una massima: de minimis lex non curat, sottolineando che questo non si applica alla scienza. Sono stati zoologi come Karl von Frisch e Edward O. Wilson a farci riflettere su come gli insetti intorno a noi hanno grandi possibilità di sopravviverci. Basta pensare alla durata della loro vita. Poche settimane in alcuni casi, in altri al massimo un anno o due. Von Frisch sostiene che questa brevità dell'esistenza è funzionale alla possibilità degli insetti di sopravvivere in quanto specie.

«La modifica dell'ambiente» scrive von Frisch riferendosi all'insetto «nel corso dei periodi geologici segue il suo ritmo.» Una specie che in cento anni produce cinquemila generazioni subisce molte più mutazioni di una che nel medesimo lasso di tempo ne produce solo trenta. L'evoluzione dell'uomo raffrontata con quella degli insetti è stata certamente più impetuosa e rapida, sostiene von Frisch, ma cosa succederà nei millenni che verranno?

Gli insetti sembrano, a detta degli zoologi, più adatti di noi a scampare ai mutamenti climatici e alle evoluzioni del Pianeta. Ovunque ci giriamo, in qualunque parte della Terra ci troviamo, la potenza degli insetti ci appare incredibile. Noi siamo comparsi di recente: due milioni e mezzo di anni fa come genere Homo, duecentomila come Homo sapiens. Gli insetti abitano questo Pianeta da trecento milioni di anni; nell'età carbonifera le blatte, che oggi frequentano le nostre case, scorrazzavano per foreste di felci e di equiseti. Sessanta milioni di anni fa gli insetti ebbero una straordinaria fioritura. Karl von Frisch si è chiesto se il continuo sviluppo degli insetti in periodi più lunghi non rappresenti un pronostico migliore del nostro per l'avvenire.

Cosa sappiamo di loro? Ancora molto poco, nonostante lo studio attento che gli dedicano da più di due secoli gli entomologi, da René de Réaumur ai Ricordi di un entomologo di Jean-Henri Fabre. Cosa conosciamo del loro modo di percepire la durata temporale? Come ha osservato un pioniere dell'etologia, Jakob von Uexküll , le stesse prestazioni degli organi sensoriali della mosca suggeriscono criteri oggettivi diversi dai nostri per valutare lo scorrere del tempo. L'occhio delle mosche, come quello delle api, è in grado di percepire un numero più elevato d'impressioni ottiche rispetto a quello umano; i loro occhi assorbono oltre duecento impressioni ottiche al secondo, mentre per noi la più piccola unità di tempo è di circa 1/20 di secondo. Cos'è un istante per una mosca? Certamente qualcosa di diverso di quello che vale per un Homo sapiens.


Gli insetti mi attraggono e mi respingono. Sin da quando ero piccolo ho avuto uno strano e ambivalente rapporto con il loro mondo, spesso mediato dalla lettura dei libri, oltre che dalla osservazione diretta. Non ho la vocazione dell'entomologo, ma insieme a piante e minerali, l'universo degli insetti è uno di quelli che più mi attirano. Non credo che avrei potuto dedicare la mia vita allo studio degli insetti, o di un singolo insetto tra le centinaia di migliaia di specie, ma nutro ammirazione per coloro che svolgono questo mestiere, tutte persone, per quello che mi è capitato di vedere, dotate di una vera vocazione. Trovare l'universo in un solo insetto, inserire l'insetto nell'universo conosciuto e conoscibile.

Ho cominciato a interessarmi agli insetti leggendo le pagine di Darwin, che hanno cambiato il mio sguardo su quel mondo. Poi sono stati gli scritti di Primo Levi e di Vladimir Nabokov , letti quasi nello stesso periodo, ad attrarre la mia attenzione. Un vecchio libro di Karl von Frisch dedicato al linguaggio delle api, comprato e letto per la prima volta vari decenni fa, ha definitivamente orientato il mio interesse verso questi minuscoli abitatori del Pianeta azzurro. L'etologia è stata una passione per molti nel corso degli anni Settanta e Ottanta; attraverso le ultime opere di Konrad Lorenz ho scoperto un vero continente sepolto sotto i nostri piedi, tra i fili d'erba, e sopra le nostre teste, sugli alberi. L'incontro con il libro sulle formiche di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson è stata la molla che mi ha spinto a occuparmi in modo continuativo degli insetti.

Questo piccolo libro non ha alcuna pretesa né scientifica né esaustiva. È piuttosto un'esplorazione iniziale del mondo di alcuni insetti, quelli che mi hanno colpito di più, quelli che, in un modo o nell'altro, hanno una relazione più prossima con l'uomo, non solo perché lo frequentano da vicino, come le pulci o i pidocchi, ma perché costituiscono un oggetto evidente di interesse per la loro vita sociale, come le api e le formiche. Si tratta perciò di una passeggiata, al massimo di una visita guidata, nel mondo degli insetti, condotta con gli strumenti dell'umanista, del letterato, piuttosto che dello scienziato. Osservo, ma poi capisco attraverso lo studio e la riflessione di altri che possiedono mezzi, conoscenze e tecniche ben più raffinate delle mie.

La visita può quindi iniziare, spero che sia proficua e serva a cambiare il nostro sguardo verso il mondo degli insetti, e anche il nostro comportamento. Sarebbe già molto guardare le mosche o le zanzare con occhio diverso da prima. Me lo auguro.

Mondonico, marzo 2016

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 17

Formiche

Tre milioni di anni fa, un'astronave aliena con a bordo una missione di scienziati arriva sulla Terra. Sono venuti per saggiare le forme di vita presenti sul Pianeta. Osservano api, termiti e formiche tagliafoglie, tra le specie più evolute del sistema ecologico terrestre. Nel diario di bordo scrivono: «Verosimilmente non accadrà niente di particolare importanza da qui a migliaia di millenni futuri. Gli insetti sono il culmine dell'evoluzione e gli invertebrati domineranno anche nei prossimi cento mega-anni».

Così descrive Edward O. Wilson, studioso di formiche e padre della sociobiologia, l'ipotetica visita degli extraterrestri ben addentro ai rudimenti della teoria darwiniana e tuttavia privi di immaginazione. Wilson vuole dirci che non solo gli insetti, e in particolare le formiche, non si sono evoluti molto nel corso degli ultimi milioni di anni, ma che nessuno poteva prevedere l'arrivo dell' Homo sapiens. L'uomo ha devastato la Terra, ma le formiche sono ancora qui.

Basta sedersi in un prato, sotto un albero, vicino a un muretto, e la prima creatura che si paleserà sarà proprio una formica. Il loro numero complessivo è calcolato per difetto intorno a diecimila trilioni; tutte le formiche presenti sulla Terra, sostiene Edward O. Wilson, pesano circa come tutti gli umani messi insieme. Sono senza ombra di dubbio gli insetti dominanti; per molti tratti ci superano e prevedibilmente, come ha scritto una volta Primo Levi, ci saranno ancora quando noi umani saremo già scomparsi. Come hanno fatto a diventare le padrone invisibili del Pianeta azzurro? Per via della loro natura sociale: tutti i singoli componenti del formicaio sono programmati per agire in modo coordinato. Il numero fa la forza, scrivono Bert Hölldobler e Edward O. Wilson in Formiche e, almeno in questo, ci somigliano.

[...]

Nel racconto di Wilson, che ha dedicato alle formiche la sua vita di entomologo, le formiche dedite alla guerra, simili a opliti spartani, sono talmente bellicose e aggressive che, se per ipotesi fossero dotate di armi nucleari, probabilmente, dice, distruggerebbero il mondo nel giro di una settimana. Negli affascinanti volumi di questo studioso e del suo omologo tedesco, Bert Hölldobler, vengono descritte particolarità dell'insetto che lasciano a bocca aperta: ha inventato l'agricoltura prima di noi (coltiva funghi), l'allevamento (munge gli afidi), la tessitura (cuce foglie e tesse), l'arte della dispensa (raccoglie semi, oppure diventa un otre di miele), si alterna nei ruoli lavorativi secondo le necessità della comunità, non seppellisce i morti ma li allontana dal formicaio come un necroforo, rimuove la terra più dei lombrichi, sviluppa colonie di milioni e milioni di individui. Esistono anche formiche che si fanno esplodere, come bombe ambulanti, spruzzando secreti tossici sull'avversario: kamikaze.

Quando noi non ci saremo più, cosa ne sarà delle formiche? Tornando, gli extraterrestri le vedranno evolversi fino a diventare grandi come noi? Johnny Hart in una striscia del suo fumetto, B.C., ha risposto all'interrogativo. Due formiche in dialogo: – Che ne pensi dei dinosauri? – Penso che siano stupidi. – Perché, scusa? Sono anche loro un prodotto dell'evoluzione. Si sono tirati su un po' alla volta dal niente come gli altri, no? – Appunto! Fossero stati intelligenti, si sarebbero fermati quando erano formiche!

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 61

Coccinelle

Nessun insetto è così amato come la coccinella. È festosa, porta allegria. Figura in tantissimi libri per bambini, cartoni animati, pubblicità. Forse piace per il suo colore rosso (il suo nome viene dal latino coccinus, scarlatto, che a sua volta deriva dal greco kókkos, che indica il rosso), o forse per la forma emisferica, tondeggiante. O per i suoi punti neri. Un fatto estetico, senza dubbio, ma anche perché in confronto a tanti altri insetti ha una forma che il nostro occhio, e la nostra mente, afferrano facilmente, e trovano gradevole. Si dice che la coccinella porti fortuna, e pertanto non rischia di essere schiacciata come altri fastidiosi insetti, ad esempio il ragno. In realtà la ladybird beetle, come si chiama in inglese (è un coleottero della famiglia Coccinellidae), ha alcune prerogative che la rendono meno graziosa e inoffensiva di come sembra.

Charles Darwin, il padre dell'evoluzionismo, da giovane è stato un collezionista di coleotteri. Ne è rimasta traccia in una caricatura fatta da un compagno di studi a Cambridge, che lo raffigura a cavallo di un gigantesco scarabeo stercorario armato di un piccolo retino con cui cerca di catturarlo. Nella sua autobiografia Darwin racconta quei giorni felici a caccia d'insetti. Si limitava a spillarli e identificarli, non a studiarli dissezionandoli, come per altri animali. Se lo avesse fatto, avrebbe scoperto una cosa non banale da inserire nella sua opera, L'origine dell'uomo e la selezione sessuale (1871), ovvero che il pene dei coleotteri, della coccinella in particolare, non ha solo qualità funzionali, ma anche ornamentali.

Il biologo olandese Menno Schilthuizen ha spiegato in un libro curioso, dedicato all'evoluzione e agli organi sessuali, che la forma del pene delle coccinelle è il risultato della selezione sessuale. Darwin, forse per via della cautela vittoriana, ha invece inserito i caratteri genitali nella categoria dei caratteri sessuali primari, frutto della selezione naturale, e non di quella sessuale.

Il pene del maschio della coccinella Cycloneda sanguinea possiede due appendici su entrambi i lati del pene a forma di bacchette da batteria, che servono per tamburellare sulla femmina durante l'accoppiamento: provoca un piacere ulteriore. Gli entomologi che hanno studiato le coccinelle riferiscono di rapporti sessuali che durano molto a lungo, dalle tre alle nove ore, in cui i maschi avrebbero orgasmi della durata di un'ora e mezzo. Possibile? Le coccinelle sono note anche per le multiple mating, le accoppiate multiple, dette anche «ammucchiate». Nel web esistono foto di rapporti sessuali tra coccinelle, maschio e femmina, ma anche plurime. Un biologo, il professor Greg Hurst, vent'anni fa ha anche appurato che durante i rapporti sessuali si trasmette un parassita, un acaro, che vive sotto le ali, si nutre di emolinfa, e si trasferisce da una coccinella all'altra provocando la sterilità: malattie veneree?

La coccinella non è l'unico insetto ad avere un organo sessuale così particolare. I genitali maschili, fa notare Laura Beani studiosa del tema, sono modellati nelle maniere più fantasiose, per rimuovere lo sperma dei rivali dalle vie genitali femminili e anche per eccitare la femmina e favorire la fecondazione; gli esempi negli insetti non si contano. Il maschio della pulce dei polli, Ceratophyllus gallinae, ad esempio, ha un pene costituito da «una profusione di piastre, pettini, molle e leve», che secondo Schilthuizen somiglia più a un vecchio orologio esploso che non a una siringa, dal momento che basterebbe una forma semplice per iniettare gli spermatozoi nel corpo della femmina. Secondo W.G. Eberhard, autore di un importante studio sulla selezione sessuale, sugli organi genitali e sulla scelta criptica femminile, nessuna parte del corpo nel regno animale evolve con la stessa velocità dei genitali, tanto che la più cospicua differenza tra noi e i primati non umani si trova nei genitali, modellati dalla promiscuità e dalla competizione spermatica.

Per tornare alle nostre amate coccinelle, non sono solo delle instancabili copulatrici, ma hanno anche l'abitudine di praticare il cannibalismo. In particolare, la Coccinella dai quattordici punti bianchi, che mangia afidi e psille, cui aggiunge, in caso di bisogno, acari o larve di crisomela, pratica anche il cannibalismo. Se scarseggiano gli afidi, di cui è ghiotta, e che sventra, mangia anche i propri simili, cominciando dalle larve. La stessa cosa fanno le larve tra di loro. La ricerca di Hurst avrebbe stabilito che a queste pratiche non sarebbe estraneo quell'acaro trasmesso per via sessuale. Insomma, le amabili coccinelle, che hanno dato il nome alla sezione femminile delle giovani scout, sono in realtà belve feroci, dei veri e propri lupi nei confronti degli afidi, il gregge che assalgono su rami e foglie. Una coccinella adulta mangia da cinquanta a settanta afidi al giorno. Un entomologo russo, Alexander Yakhontov, ha calcolato che nel corso della bella stagione una coppia di coccinelle e la loro prole divorano circa 57.000 afidi. Un'enormità. Le «gallinelle del Signore», uno dei tanti nomi «sacri» dati alle coccinelle, s'abbuffano di prede come lupi famelici, pur essendo, a differenza dei lupi, cacciatrici abbastanza mediocri. Va anche detto che ci sono pure le coccinelle vegetariane, quelle del melone, della bionia, e di altre piante, e sono delle distruttrici, a differenza delle «carnivore», che invece salvano le piante dai loro perniciosi parassiti. Un bel rovesciamento.

La cosa più curiosa non è però solo la loro sessualità, e neppure il cannibalismo, ma la livrea. Come mai hanno i punti? Come si sa, le coccinelle non sono tutte uguali. In Italia di Coccinelle ce ne sono più di centoventi specie, ma esiste una grande variabilità all'interno della stessa specie e della stessa popolazione. Basta osservarne quattro o cinque nell'arco di poche ore e nel medesimo luogo. Ci sono coccinelle a 2, 7 (le più diffuse da noi in Italia), 14, 16, 22, 24 punti; c'è anche la coccinella detta «delle virgole» per la forma delle macchie. Perché questi punti?

I punti, o macchie, hanno forme diverse: rotonde, a punta, ovali, zebrate, a bande. Ma ci sono anche individui con la livrea nera o bruno chiara, più scialba rispetto alle altre, quelle rosse a punti neri; questo dipende dal fatto che il carapace è rivestito di peli sottili che lo rendono opaco. Il fatto è che all'interno della stessa specie vi sono livree molto diverse.

La prima ipotesi considerata dagli entomologi è stata geografica: ogni livrea corrisponderebbe a una sottospecie che si trovava solo in una certa regione. Possibile, ma non sufficiente. Un'altra ipotesi riguarda il tipo di clima: secco o umido. Tuttavia gli esperimenti hanno dimostrato che non era vero. Allora si è passati ad analizzare il regime alimentare. La coccinella rossa è così perché consuma prede animali che contengono questo pigmento. Prive di quel cibo, le larve diventavano rosa invece che rosse. Questo però non spiegava la forma del disegno. Poi un ricercatore russo ha isolato tredici tipi di Adalia bipunctata con una diversa colorazione ciascuna e ha provato a incrociarle, alla Mendel, e ha trovato che i figli avevano una colorazione e un motivo intermedio. Alla fine gli entomologi hanno concluso che la variabilità delle livree dipende dall'alto numero di combinazioni possibili tra le varie «razze», salvo poi scoprire, tanto per complicare ancora, che il gruppo di geni che controllano punti e colori manifesta un adattamento all'ambiente e alla fisiologia degli individui. Insomma, una livrea è più o meno visibile su un certo sfondo.

Resta la domanda fondamentale: perché farsi vedere, perché quelle livree colorate in un mondo di predatori pronti a divorare ogni cosa che si muove? Non sarebbe meglio mimetizzarsi? Le livree smaglianti non sarebbero altro che un avvertimento: se mi mangi ti faccio male. Così come le strisce gialle e nere delle vespe o dei bombi. Le coccinelle emettono un liquido giallastro dall'odore sgradevole; si tratta del sangue dell'insetto che trasuda attraverso le articolazioni delle zampe. Negli insetti il sangue non circola come nel nostro corpo, ma occupa l'intera cavità del corpo e quello delle coccinelle contiene sostanze tossiche. Sono alcaloidi prodotti dal loro metabolismo (alcaloidi come caffeina, morfina, cocaina, stricnina ecc.), usati per difesa dall'insetto, un po' come le piume che sarebbero comparse negli uccelli non per consentire loro di volare, ma per isolare il corpo, proteggerlo dalla dispersione del calore, poi sono diventate uno strumento per alzarsi da terra e dominare i cieli. Un gioco dinamico dell'evoluzione che riutilizza come in un bricolage adattamenti inventati per pressioni selettive diverse.

Un'altra cosa che colpisce di questo coleottero dalla livrea così allegra è la sua tendenza a svernare. Dopo una grande attività nei mesi estivi, all'approssimarsi dell'inverno, o già in autunno, cerca un rifugio per entrare in una sorta di letargo, che consente ad alcune coccinelle di superare due inverni e vivere almeno un anno. In questo periodo di sospensione vivono delle riserve accumulate nella bella stagione; riducono l'attività al minimo e si uniscono tra di loro formando dei raggruppamenti in cantine, garage, anfratti nei muri, nella cassetta delle persiane, nei telai delle finestre, nei depositi non riscaldati dove si ripongono gli attrezzi da giardino. Prima di cedere al riposo stagionale, migrano. Le aveva osservate il grande J.H. Fabre, fondatore dell'entomologia moderna, dalle parti del Mont Ventoux in Provenza, che ogni studente di letteratura conosce per la descrizione che ne ha fatto Petrarca. Chi se le trova in casa deve stare attento a non riscaldare troppo il locale dove si sono addensate; in caso contrario riprendono di colpo la loro attività, il che le condanna a morire di fame, dal momento che non ci sono in quella stagione le risorse alimentari per sostentarle: niente afidi, niente piante. Semplicemente muoiono.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 85

Pulci



La pulce non è un insetto molto vecchio. Esiste solo da sessanta milioni di anni, pochi se confrontati con altri insetti. Alcuni decenni fa è stata scoperta una pulce fissata dentro una goccia d'ambra risalente all'eocene dell'età terzaria, meglio conservata di una mummia egizia, come ha scritto Karl von Frisch. Se si pensa che noi umani (Homo sapiens) ci siamo solo da duecentomila anni, mentre quell'esemplare di pulce del topo saltava avanti e indietro 59,8 milioni di anni prima di noi, si può ben capire che rispetto dobbiamo a questo fastidioso parassita.

[...]

Come documentano i due scritti di Levi e Berlinguer, la lista dei letterati che si sono occupati della pulce è lunghissima, da Belli a Balzac, da Goethe a Imbriani e a Calvino. Ma la cosa più sorprendente non è la letteratura che le cita, per quanto ricca e interessante, ma un particolare tipo di spettacolo: il circo delle pulci. Von Frisch ricorda questi circhi che in tempi antichi erano presenti sulle piazze di fiere e feste di paese. Ne descrive uno, dove l'artista è il domatore, non gli insetti, per come riesce a cingere il torace delle piccole saltatrici con un cappio sottilissimo di rame o di argento, che impedisce loro di allontanarsi. Dopo essersi agitate per qualche giorno le pulci del circo in miniatura smettono di saltare e si adattano a trainare una carrozza, oppure carretti di carta, o salire su una giostra restandovi incatenate. Naturalmente il domatore nutre gli animaletti con il proprio sangue, offrendo loro il braccio alla fine dello spettacolo come ricompensa. Danilo Mainardi racconta di aver visto all'inizio degli anni Settanta in un luna park di Copenaghen un circo con pulci (Pulex irritans) ammaestrate. Gli insetti, impastoiati con fili esilissimi e rigidi, muovevano carrozze, tiravano un filo che provocava lo sparo di un cannone microscopico.

Ci sono anche al cinema. Giovanni Berlinguer cita Le luci della città di Chaplin, dove Calvero canta la canzone del domatore di pulci. Esiste anche un altro film intitolato La morte del direttore del circo delle pulci; Ottocaro Weiss è il nome del protagonista, domatore, e Thomas Körfer il regista. Ultima cosa curiosa: uno dei più grandi studiosi di pulci all'inizio del Novecento è stato Nathaniel Charles Rothschild, specializzato in questo insetto; era andato a raccoglierlo fino in Egitto, nella Valle del Nilo. Ha anche fondato un museo dedicato alle pulci con un lascito annuo che dura ancora. Era l'erede della celebre famiglia di banchieri: pulci e banchieri, uno strano connubio.

| << |  <  |