Copertina
Autore Marco Belpoliti
Titolo Nodi
EdizioneMarcos y Marcos, Milano, 1996 , Isbn 978-88-7168-145-0
CuratoreMarco Belpoliti, Jean-Michel Kantor
LettoreRenato di Stefano, 1998
Classe storia , matematica , giochi , storia dell'arte , antropologia , etnologia
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Indice


Editoriale                               6

René Char,
    Il nodo nero                        11
Valerio Magrelli,
    Il bagno che allenta, che disfa     12
Antonio Moresco,
    La bambina                          13
Lucetta Frisa e Marco Ercolani,
    Il dovere d'amore                   29

Mircea Eliade, Il «dio legatore» e
    il simbolismo dei nodi              37
Yves Delaporte, Il gioco con la cordi-
    cella delle popolazioni boreali     60
Laurence Caillet-Berthier,
    Nodi giapponesi                     65
Herman Vahramian,
    Simbolismo, cosmogonia, nodo        79
Lajos Saghy,
    Il nodo ombelicale                  90
A. K. Coomaraswamy, L'iconografia dei
    «Nodi» di Durer e della
    «Concatenazione» di Leonardo       106
Claudio Franzoni,
    Leonardo si divertiva?             129
Joseph Rykwert,
    Semper e il concetto di stile      136
Elio Grazioli,
    Il nodo di Olympia                 159
Maurizio Barberis,
    Architettura segreta               166
Marco Biraghi,
    Emblemata moderna                  176
Corrado Bologna,
    Alessandro e il Nodo di Gordio     182
Andrea Tagliapietra,
    Il nodo dell'essere                217
Emmanuel Le Roy Ladurie,
    Il laccio                          236
A.J. Ophof,
    Un Re dei ratti
    (con una nota di J-M. Kantor)      248
Marco Belpoliti,
    Lemmi                              256
Michele Emmer,
    Nodi sì, nodi no                   348
Pierre Rosenstiehl,
    Matematiche: i nodi prosperano     358
Michel Mendés France,
    Caso, caos, nodi e spirali         366
Jean-Michel Kantor,
    Nodi torici e singolarità          378
Pierre Soury,
    Topologia e nodi                   382
James Gleick,
    Nuove scoperte matematiche per
    penetrare i segreti dei nodi       391
Barry Cipra,
    Dal nodo al non-nodo               395
Roberto Di Martino,
    Morfologia dei nodi                405
Giuseppe Di Napoli,
    Il disegno del nodo                426
Narciso Silvestrini,
    I nodi del colore                  442
Pierre Pachet,
    Il doppio nodo del lessico         458
Maria Sebregondi,
    Ambigrammi e altri modi di nodi    461
Stefano Bartezzaghi,
    I nodi alle stringhe               464
Jacques Voignier, I nodi «spiritici»
    dei fratelli Davenport             469

Luca Pancrazzi,
    I nodi si annidano                 479
Lino Gerosa,
    Spoglie dolci                      486
Remo Salvadori,
    Ecce Homo                          489

 

 

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Pagina 12

IL BAGNO CHE ALLENTA, CHE DISFA
Valerio Magrelli


    Il bagno che allenta, che disfa,
    scioglie,
    ma perché sciogliersi
    se io sono il nodo,
    l'intreccio,
    se io, nodo, sono
    il fiocchetto
    delle paure?

In Esercizi di Tiptologia, Arnoldo Mondadori, Milano 1992.

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Pagina 13

LA BAMBINA
Antonio Moresco


La bambina era seduta già da mezz'ora sul vasino. Lui, che stava in un'altra stanza, ogni tanto si alzava per dare un'occhiata, colpito dal silenzio assoluto che regnava.

La bambina era completamente assorta. Attorno a sé aveva radunato una grande moltitudine di animaletti di plastica, li aveva messi tutti in piedi e li spostava sussurrando loro qualcosa. Si muoveva nella stanza senza alzarsi mai da sedere, spingendosi con i piedi e facendo scivolare il vasino sul pavimento per essere in grado di effettuare spostamenti in ogni punto del grande branco dove poteva capitare che la gallina fosse più alta dell'elefante e che il cinghiale fosse più piccolo del granchio. In mezzo agli animaletti c'erano anche i pezzi sparsi di una costruzione a incastri e lettere dell'alfabeto, di plastica e calamitate, che in piedi erano più alte persino del dinosauro.

Il tempo passava e la bambina pareva sempre più assorta. Aveva iniziato a colorare con un pennarello alcuni maccheroncini, che stavano anche loro in mezzo al branco. Intanto ripeteva sottovoce: «Tu mi hai salvato la vita! Tu mi hai salvato la vita!» Poi, spostandosi nel solito modo attraverso la stanza, si era procurata un barattolo di colla e aveva cominciato a incollare i maccheroncini colorati su un foglio di carta, a intervalli regolari, ripetendo due o tre volte con durezza: «Ti ucciderò!».

Sopra un mobile, ai piedi del letto, spuntavano da un minuscolo recipiente i lunghissimi germogli delle lenticchie che la bambina aveva piantato tempo prima in un batuffolo di cotone e che ormai si piegavano a causa del peso e cadevano giù sollevando le piccole radici incuneate come vene di ovatta.

Passò ancora del tempo. D'un tratto lui senti gridare:

«Ho finito!»

La bambina era in piedi e guardava dentro il vasino.

«Oggi che cos'è?»

Lui guardò attentamente.

«Secondo me è la coda di un drago!»

«Sbagliato! E'la lettera S!»

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Pagina 37

IL «DIO LEGATORE»
E IL SIMBOLISMO DEI NODI
Mircea Eliade


IL SOVRANO TERRIBILE

E' noto il ruolo che Dumézil assegna al Sovrano Terribile delle mitologie indo-europee: da un lato, nell'ambito stesso della funzione della sovranità, egli si contrappone al Sovrano Giurista (Varuna si contrappone a Mitra, Jupiter a Fides); d'altro lato, paragonato agli dèi guerrieri che combattono sempre con mezzi militari, il Sovrano Terribile ha in certo qual modo il monopolio di un'altra arma, la magia. «Non esistono. quindi miti sui combattimenti a riguardo di Varuna, che pure è il più invincibile degli dèi. La sua grande arma è la sua "mâyâ d'Asura", la sua magia di sovrano, creatrice di forme e di illusioni, la quale gli consente anche di amministrare, di equilibrare il mondo. Quest'arma si precisa dei resto il più delle volte in forma di laccio, di nodo, di vincoli (pâçâh), materiali o figurati. Il dio guerriero, invece, è Indra, dio combattente, dio che manipola il fulmine, eroe di innumerevoli duelli, di rischi affrontati, di vittorie contrastate». La stessa contrapposizione si rileva in Grecia: mentre Zeus combatte e sostiene guerre difficili, «Urano non combatte, nella sua leggenda non vi è traccia di lotta, sebbene egli sia il più terribile dei re, il più difficile da detronizzare: con una presa infallibile egli immobilizza, per essere precisi "lega", incatena agli inferni i suoi eventuali rivali che pure sono vigorosi quanti altri mai». Nelle mitologie nordiche, «Odino è indubbiamente il grande capo, il leader dei guerrieri in questo mondo come nell'altro. Però né nell' Edda in prosa né nei poemi eddici egli combatte di persona... Ha tutta una serie di "doni" magici, il dono dell'ubiquità o per lo meno dello spostamento immediato, l'arte del travestimento e il dono della metamorfosi illimitata, infine e soprattutto il dono di accecare, di togliere l'udito, di paralizzare i suoi avversari e di togliere ogni efficacia alle loro armi... ». Nella tradizione romana, infine, ai procedimenti di Jupiter, il quale interviene nella battaglia in qualità di stregone onnipotente, si contrappongono i mezzi normali, puramente militari, di Marte.

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Pagina 49

MAGIA DEI NODI

Esaminiamo ora nel suo complesso la morfologia dei vincoli e dei nodi nella pratica della magia. I fatti più importanti si potrebbero raggruppare in due grandi rubriche: 1) i «vincoli» magici usati contro gli avversari umani (in guerra, nella stregoneria) e insieme l'operazione opposta del «taglio dei vincoli»; 2) i nodi e i vincoli benefici, mezzo di difesa contro gli animali selvaggi, contro le malattie e i sortilegi, contro i demoni e la morte. Ci accontenteremo di qualche esempio.

Nella prima categoria si possono ricordare i lacci magici rivolti contro gli avversari (Atharva Veda, II, 12, 2; VI, 104; VIII, 8, 6), le corde gettate dal principe sul percorso degli eserciti nemici (Kauçîtaki Samhitâ, XVI, 6), la corda sotterrata vicino alla casa di un nemico o ancora, nascosta nella sua barca per farla rovesciare, infine i nodi che infliggono ogni sorta di mali, sia nella magia antica che nelle superstizioni moderne.

(...)

Nella seconda categoria possono essere raccolti tutti gli usi che attribuiscono ai nodi e ai vincoli una funzione di guarigione, di difesa contro i demoni, di conservazione della forza magico-vitale. Già nell'antichità si legava, al fine di guarirla, la parte malata del corpo e ancora ai nostri giorni la stessa tecnica è molto diffusa nella medicina popolare. Ancor più diffuso è il costume di difendersi contro le malattie e i demoni per mezzo di nodi, di spaghi e di corde, specialmente nel momento del parto. Un po' ovunque nel mondo si portano nodi a mo' di amuleto. E' significativo l'utilizzo dei nodi e degli spaghi nel rituale nuziale per proteggere i giovani sposi, mentre proprio i nodi, com'è noto, rischiano di impedire che venga consumato il matrimonio. Questa ambivalenza, però, rientra nel numero di quelle che si osservano in tutti gli utilizzi a fini magico-religiosi dei nodi e dei vincoli. I nodi provocano la malattia e anche la tengono lontana oppure guariscono l'infermo; le reti e i nodi stregano ed anche proteggono contro la stregoneria; impediscono il parto e lo facilitano; premuniscono. Insomma, il tratto essenziale di tutti questi riti magici e magico-medici è l'orientamento che viene imposto alla forza che risiede in qualsiasi «legatura», in qualsiasi azione di «legare». Orbene, l' orientamento può essere positivo oppure negativo e questa contrapposizione, d'altronde, può essere intesa nel senso di «benefico»-«malefico» oppure in quello di «difesa»-«attacco».

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Pagina 51

MAGIA E RELIGIONE

Tutte queste credenze e tutti questi riti, certo, ci conducono nella sfera della Mentalità magica. Però, il fatto che queste pratiche popolari siano di natura magica autorizza forse a considerare il simbolismo generale del «legame» una creazione esclusiva della mentalità magica? A nostro modo di vedere, no. Anche se i riti e i simboli della «legatura» presso gli Indo-Europei comportano degli elementi ctonico-lunari e manifestano, di conseguenza, forti influssi magici - il che non è sicuro - restano da spiegare altri documenti che esprimono non soltanto un'autentica esperienza religiosa, ma altresì una concezione generale dell'uomo e dei mondo che, essa sì, è autenticamente religiosa e non magica.

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Pagina 53

SIMBOLISMO DELLE «SITUAZIONI LIMITE»

Svariati altri complessi simbolici caratterizzano, con formule quasi identiche, la struttura del Cosmo e la «situazione» dell'uomo nel mondo. Il termine babilonese markasu, «legame, corda», designa nella mitologia «il principio cosmico che unisce tutte le cose» ed anche «il supporto, la potenza e la legge divina che tengono insieme l'Universo». Così pure Tchouang Tsen (cap. VI) parla del tao definendolo la «catena dell'intera creazione», espressione che ricorda la terminologia cosmologica indiana. D'altra parte, il labirinto è inteso talvolta come un «nodo» il quale deve essere «snodato» e questa nozione si colloca in un insieme metafisico-rituale che contiene le idee di difficoltà, di pericolo, di morte e di iniziazione. Su un piano diverso, il piano della conoscenza e della saggezza, si incontrano espressioni simili: si parla della «liberazione» dalle illusioni (che, in India, hanno lo stesso nome della magia di Varuna, mâyâ); si cerca di «strappare» i veli dell'irrealtà, di «disfare» i «nodi» dell'esistenza, ecc. Ciò dà l'impressione che la situazione dell'uomo nel mondo, da qualsiasi punto di vista la si consideri, si esprima sempre attraverso parole chiave che contengono l'idea di «legamento», di «concatenarnento», di «attaccamento», ecc. Sul piano magico, l'uomo si serve di nodi-amuleti per difendersi contro i vincoli dei demoni e degli stregoni; sul piano religioso, si sente «legato» da Dio, preso al suo «cappio»; però anche la morte lo «lega», concretamente (il cadavere viene «legato») oppure metaforicamente (i demoni «legano» l'anima del defunto). Meglio ancora: la vita stessa è un «tessuto» (a volte un tessuto magico di proporzioni cosmiche, mâyâ), oppure un «filo» che tiene la vita di ciascuno dei mortali. Queste diverse prospettive hanno certi punti in comune: in ogni luogo il fine ultimo dell'uomo è quello di liberarsi dai «vincoli»: all'iniziazione mistica del labirinto, nel corso della quale si impara a sciogliere il nodo labirintico per mettersi in condizione di disfarlo quando l'anima lo incontrerà dopo la morte, corrisponde l'iniziazione filosofica, metafisica, il cui intento è quello di «strappare» il velo dell'ignoranza e di liberare l'anima dalle catene dell'esistenza. E' noto che il pensiero indiano è dominato da questa sete di liberazione e che la sua terminologia più caratteristica si lascia ridurre a polarità dei tipo «incatenato-liberato», «legato-slegato», «attaccato-staccato», ecc.. Le stesse formule ricorrono nella filosofia greca: nella caverna di Platone gli uomini sono trattenuti da catene che impediscono loro di muoversi e di girare la testa (Repubblica, VII, 514a s.). L'anima «dopo la caduta è stata catturata, essa è incatenata ... », essa è, si dice, «in una tomba e in una caverna, però volgendosi verso le idee essa si libera dai suoi vincoli ... » (Plotino, Enneadi, IV, 8, 4; cfr. IV, 8, 1; «Il cammino verso l'intelligenza è, per l'anima, la liberazione dai suoi vincoli»).

Questa polivalenza del complesso della «legatura» - che abbiamo or ora osservato sul piano cosmologico, magico, religioso, iniziatico, metafisica, soteriologico - è probabilmente dovuta al fatto che l'uomo riconosce in questo complesso una sorta di archetipo della sua propria situazione nel mondo. A questo modo egli contribuisce innanzitutto a porre un problema di antropologia filosofica in cui la ricerca filosofica vera e propria avrà molto da guadagnare se non trascurerà questi documenti relativi a determinate «situazioni-limite» dell'uomo arcaico, che se il pensiero contemporaneo si vanta di avere scoperto l'uomo concreto, è altresì vero che le sue analisi si riferiscono soprattutto alla condizione dell'occidentale moderno e che essa pecca quindi di una mancanza di universalismo, di una sorta di «provincialismo» umano che in definitiva è monotono e sterile.

Il complesso della «legatura», d'altra parte, pone o meglio costituisce un problema che interessa in massimo grado la storia delle religioni. Ciò non solo per i rapporti che esso mette in luce tra la magia e la religione, ma soprattutto in quanto esso ci rivela ciò che si potrebbe chiamare la proliferazione delle forme magico-religiose e la «filosofia» di tali forme: abbiamo l'impressione di assistere a una «legatura» archetipica che cerca di realizzarsi tanto sui diversi piani della vita magico-religiosa (cosmologia, mitologia, stregoneria, ecc.) che ai diversi stadi di ciascuno di questi piani (ad esempio la grande e la piccola magia; la stregoneria aggressiva e la stregoneria difensiva, ecc.). In un certo senso si può addirittura affermare che se il «sovrano terribile» storico o storicizzato si sforza di imitare il suo prototipo divino, il «dio legatore», qualsiasi stregone imita, a sua volta, il sovrano terribile e il suo modello trascendente. Dal punto di vista morfologico non vi è soluzione di continuità tra Vrtra che «incatena» le Acque, Varuna che «lega» i colpevoli, i demoni che catturano i morti nella loro «rete» e gli stregoni che legano magicamente l'avversario o slegano le vittime degli altri stregoni. In tutte queste operazioni la struttura è identica. Allo stato attuale delle nostre conoscenze è difficile precisare se questa uniformità proviene dall'imitazione, da mutui «storici» (nel senso che attribuisce a questo termine la scuola storico-culturale) oppure se si spiega in base al fatto che tutte queste operazioni sgorgano dalla situazione in sé dell'uomo nel mondo, cioè sono le varianti di uno stesso archetipo che si realizza in momenti successivi sui molteplici piani e in aree culturali diverse.

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Pagina 65

NODI GIAPPONESI
Laurence Caillet-Berthier


In questo universo in cui i materiali prediletti sono il legno, la paglia e la carta, in cui la metallurgia fino a un'epoca recente ha conosciuto solo applicazioni limitate, i nodi sono stati oggetto di sviluppi privilegiati. Viticci vegetali, paglia, stoffa e carta sono i materiali d'elezione di una lunga tradizione di annodamento. Utilitario, decorativo o simbolico, il nodo è sottomesso a strette regole: il colore, la forma e il posizionamento del nodo dell'abito corrispondono a criteri di età, di sesso e di classe; il nodo che serra il rotolo dipinto testimonia del grado di cultura artistica di colui che l'ha annodato; le cordicelle di carta colorata tessute in motivi cólti sul «pacchetto regalo» significano rigorosamente la ragione del regalo e il valore che gli si attribuisce. La minuzia quasi maniacale che regola il nodo ha suscitato in Giappone una vera arte dell'annodamento che riflette forse l'estrema codificazione dei costumi giapponesi, ma ancor più ricorda che annodare non è un atto innocente, ma significante, ossia creatore.

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Pagina 91

IL NODO OMBELICALE
Lajos Saghy


«Nodo», profusione di sensi eterocliti, può significare l'attacco, l'anello, l'intreccio, la giuntura, la legatura, l'articolazione, il nodulo, la protuberanza di un albero, il rigonfiamento, il pene in vernacolo, la nodosità di un corpo, il punto in cui si inserisce una foglia sul ramo di un albero, la parte sporgente formata da una saldatura...

La forma verbale di questo vocabolo, «annodare», implica essenzialmente l'intreccio di uno o più oggetti flessibili. Si tratta sia di unire, attaccare, collegare, legare, riunire un insieme di cose, sia di fissare, separare, allacciare qualcosa con un nodo. Annodare l'intrigo di un lavoro teatrale è organizzare le azioni. In botanica, è la trasformazione in frutto del fiore fecondato. «Dio vede il frutto cominciare nel nodo» diceva Bossuet.

La funzione del nodo sembra occupare in notevole misura l'esistenza dell'uomo. E' il vademecum degli umani, non soltanto nei loro esercizi pratici, ma anche nei territori astratti della fisica e della matematica. L'importanza e la multipresenza del nodo spiega forse la relativa negligenza dello studio delle ramificazioni simboliche di questa realtà complessa.

In un modo o nell'altro, materiale o immagine notevolmente carica d'affetto, nodo scorsoio dell'impiccato o dell'alpinista, o nodo dell'amicizia, questo stretto legame accompagna l'uomo nella vita e nella morte, nell'odio e nell'amore.

Non solo lo spazio vitale che circonda l'uomo è regolato da ogni sorta di nodi, ma egli stesso ne porta uno sul suo corpo fin dalla nascita: l'ombelico. Questo nodo morfologico dell'addome, ricordo della nascita dell'uomo, della sua separazione definitiva dal corpo della madre, luogo in cui ha vissuto per nove mesi, confortevolmente installato nella cavità amniotica piena di liquido isolante e attutente. Qui, il piccolo essere fetale è legato dal cordone ombelicale alla placenta che è la sua terra nutrice, o piuttosto le radici e le foglie dell'albero della vita.

L'ombelico, questa depressione o sporgenza arrotondata situata in mezzo al ventre, è un punto anatomico di tutti i mammiferi. Il modo in cui si taglia il cordone ombelicale varia da un'epoca e da una civiltà all'altra. Che sia tagliato con un morso, con una pietra, uno scalpello o con delle forbici, è il marchio universale della separazione definitiva dei figli espulsi dal corpo della madre.

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Pagina 104

Per fare un nodo occorre un legame. Il nodo morfologico che porta il nostro addome è il marchio del taglio dei cordone ombelicale che ci legava al nostro «albero dei nutrimento». L'ombelico e il cordone ombelicale appartengono al numero dei nostri significanti arcaici, i cui contenuti si mischiano nelle correnti associative profonde. All'interno dell'Universo dei fantasmi l'ombelico è tanto il «segno vergognoso» della nostra separazione quanto la «porta della vita». «Questo punto di rottura si chiama madre, perché è da lì che ci proviene la corrente vitale», scrive Carl Gustav Jung. Questa cicatrice del nostro orifizio ventrale è come il sesso della bambina che viene considerato sia come la conseguenza di un taglio degradante, sia come uno degli organi che permettono di «ricostituire», sia pure momentaneamente, l'unione con la nostra «metà perduta». L'ambivalenza dell'ombelico è rafforzata dalla sua corrispondenza analogica con la «parte vergognosa» della ragazza, a sua volta sovraccaricata di sensi multivalenti. Infatti essa può essere lo stigma della castrazione, ma anche le labbra del piacere e l'apertura attraverso cui la vita della specie prosegue il suo cammino.

Alcune parti del nostro corpo rivestono allo stesso modo delle funzioni simboliche profonde nel «mondo sotterraneo» delle nostre «visioni illusorie». Legandosi tra di loro e completandosi, queste immagini fantasmatiche intervengono nella dinamica psicologica dell'uomo; segnano la sua temporalità e lo fissano nella sua storia.

Secondo Youssouf Tata Cissé, l'ombelico, il naso e il sesso sono i punti vitali dei corpo che FARO, genio dell'acqua dei Bambara, porta via quando un interdetto è stato trasgredito. Queste tre parti del corpo situano l'individuo nel tempo passato, presente e futuro, lungo tutto il corso della vita. «BARA», l'ombelico, è il marchio dello spioncino da cui entrava l'energia vitale della «placenta immortale», grazie a «BARA DYURU», il cordone ombelicale, la «parte che batte» nel corpo in formazione del feto.

L'importanza simbolica dell'ombelico, di questo nodo addominale, testimonio della nostra prima separazione, traccia corporea dell'espulsione dell'uomo dal paradiso, si manifesta attraverso i molteplici legami associativi che il nostro apparato psichico stabilisce col vasto campo di significati dell'organo sessuale e, in modo un po' meno intimo, con quello della terminazione cefalica della nostra via respiratoria. Questa riveste un senso antico di funzione ombelicale vivificante in questo passaggio della Genesi: «Allora il Signore Iddio con la polvere del suolo modellò l'uomo, gli soffiò nelle narici un alito di vita e l'uomo divenne essere vivente» (Genesi, 2,7). Così il verbo si fece carne.

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Pagina 106

L'ICONOGRAFIA DEI «NODI» Di DÜRER E
DELLA «CONCATENAZIONE» DI LEONARDO
Ananda K. Coomaraswamy


Tra le xilografie di Albrecht Dürer c'è la serie dei Sechs Knoten. Il disegno (fig. 1) riempie un cerchio ed è costituito da una linea bianca ininterrotta molto complicata su fondo nero. Il motivo principale è riproposto nei quattro piccoli pezzi in angolo e in diversi casi lo stesso nome di Dürer è inciso nello scuro cerchio centrale, dal quale si diparte il disegno principale. Che i Nodi di Dürer siano una variazione di una ben conosciuta incisione su rame di un medaglione simile, il cui disegno è comunemente attribuito a Leonardo da Vinci e al centro del quale appaiono le parole Academia Leonardi Vinci, è una conclusione accettabile. Goldscheider vede in questa «fantasia dei vinci» una probabile «firma geroglifica» e cita Vasari il quale afferma: «Oltreché perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino all'altro, tanto che s'empiessi un tondo; che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole: "Leonardus Vinci Academia"». Goldscheider sottolinea che c'è «un gioco di parole tra vincire (cioè annodare) e Vinci» e abbastanza ingenuamente aggiunge che i motivi a intreccio non furono inventati da Leonardo.

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Pagina 117

«Continuità del filo»: in queste parole sta l'indizio per comprendere la dottrina che s'asconde nel velame degli nodi strani, per usare le parole di Dante che dovevano essere state familiari a Leonardo. Infatti ciò che il nostro «complesso» afferma - e risolve - è la relazione fra l'uno e i molti: «uno in quanto egli è là in sé, molti in quanto egli è qui nei suoi figli»; uno in quanto filo e molti in quanto nodi, infatti, come dice il Brahma Upanisat, il Ragno solare tesse la sua tela con un solo filo; un filo onnipresente, immanente e trascendente, «indiviso in cose divise», «smisurato in cose misurate», «senza corpo nei corpi», «imperituro nel deperibile», «l'instabile Tu lo riconduci allo stabile».

Aver compreso che il filo è unico, per quanto molti possano essere i nodi, significa esser certi che se teniamo stretto questo unico filo o catena dorata per mezzo della quale, come dice Platone, pendiamo dall'alto, non possiamo perdere la strada; è solo fino a quando noi pensiamo ai nodi come sostanze indipendenti che non possiamo «infilare il percorso del labirinto» o sfuggire dalle tribolazioni. Il modello è davvero un labirinto e chiunque proceda senza mai volgersi indietro, per quanto la via torni su se stessa, inevitabilmente raggiungerà «la fine della strada»; e, proprio come nei labirinti medioevali vedrà l'immagine dell'architetto o al centro dei nodi il nome del loro autore, così nello stesso modo alla fine dei mondo si troverà l'architetto cosmico, che è in sé la Via e la Porta.

L'unità del filo si riflette in ciò che è stato chiamato la «tecnica a linea continua», di cui i nostri nodi sono un esempio e questo è proprio sia dei nodi che delle forme a spirale alle quali si avvicinano i labirinti. In questa tecnica si usa una sola linea per formare l'intero disegno. La linea è spesso bianca su fondo nero e, come dice E.L. Watson «l'uso delle linee bianche, conosciute come "negative", per mantenere la continuità è una caratteristica preistorica»; e mentre la linea non è in alcun modo sempre così un «negativo», la sua bianchezza è tuttavia rilevante nel caso dei nostri nodi e nelle rappresentazioni dei labirinti.

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Pagina 126

Si è a sufficienza ricordato al lettore che nell'arte primitiva si provvede insieme e nello stesso tempo ai bisogni dell'anima e del corpo, rispondendo così alla condizione con cui Platone ammetteva l'artista nella sua città ideale. Qui non c'è divergenza tra significato e uso; ancor più, la funzionalità e la bellezza del manufatto (et aptus et pulcher, come lo stilo di S. Agostino o la casa di Senofonte) nello stesso tempo esprimono e dipendono dalla forma (idea) che ne è alla base; forma e contenuto sono indivisibili. Come ha affermato Edmund Pottier: «all'origine ogni rappresentazione grafica risponde ad un pensiero concreto e preciso: è in verità una scrittura». Nello stesso modo l'arte medioevale «era ad un tempo una scrittura, un calcolo ed un codice simbolico» e allo stesso tempo ancora «conservava la grandezza ieratica dell'arte primitiva». Il Medioevo, per il quale l'arte non è stata soltanto una esperienza «estetica» ma una «virtù intellettuale», sopravvisse fin dentro al Rinascimento; il divorzio moderno della «scienza» dall'«arte» non era ancora avvenuto; Guido d'Arezzo, ad esempio, poteva ancora sostenere che non era l'arte, ma il documentum, cioè la dottrina, che faceva il cantante; filosofo e artista potevano ancora coesistere senza conflitto in un solo individuo. M. Vulliaud nota che alcune opere di Leonardo sono «enigmatiche» e possono essere comprese solamente alla luce dell'«intellettualismo del Rinascimento». Sta parlando di fatto dei quadri, ma ciò che egli dice si potrebbe proficuamente applicare anche alle «fantasie» geometriche.

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Pagina 129

LEONARDO SI DIVERTIVA?
IL NODO COME ORNAMENTO
Claudio Franzoni


Che Leonardo «si stia solo divertendo» nei suoi disegni di nodi è una possibilità che A.K. Coomaraswamy in The Iconography of Dürer's «Knots» and Leonardo's «Concatenation» prende appena in considerazione, lasciando ad altri il tentativo di dimostrarla. Basta una lettura rapida del saggio per aver subito chiaro che il divertimento dell'artista è in qualche modo una possibilità di lettura dei «nodi», anzi l'altra lettura, del tutto in opposizione all'itinerario percorso da Coomaraswamy. Questi intende i «nodi» come un grande enigma, e per chiarirlo si avvia per strade multiformi che lo portano da Leonardo e Dürer a Dante e all'Oriente, dalla Grecia alle religioni dell'India e altro ancora. Insomma, una costruzione avvincente e ricca di erudizione per spiegare compiutamente i «nodi», ma è lo stesso studioso ad avanzare il sospetto che, affacciando la sola ipotesi che l'artista si stia divertendo, essa possa apparire improvvisamente inutile.

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Che ci sia stata, da parte di Coomaraswamy, una sovrainterpretazione dei «nodi» di Leonardo/Dürer è d'altra parte implicitamente affermato in ricerche più recenti; anzi, pochi anni fa si è sostenuto che le ricerche leonardesche sui nodi e gli intrecci siano confluite, con quelle di Dürer, nel volume di Giovanni Antonio Tagliente, Esempio di raccami, Venezia 1527 e che, come questo manuale, anche le stampe derivate dai «nodi» leonardeschi possano essere servite per insegnare a disegnare e per fornire modelli agli artigiani.

E, infatti, la prassi e la mentalità artigianali, vengono chiamate in causa - a proposito dei nodi leonardeschi - da Ernst Gombrich nel notissimo saggio «sulla psicologia dell'arte decorativa»; lo studioso, entro un capitolo significativamente intitolato La sfida delle restrizioni, legge i «nodi» come uno straordinario esercizio di bravura, una manifestazione di virtuosismo. Del resto nel saggio di Coomaraswamy manca una domanda, che non poteva forse ricevere una risposta esauriente, ma che almeno doveva essere posta: che uso fanno dell'ornamento (e perciò anche dei «groppi») gli artisti italiani dell'età di Leonardo e Dürer, cioè negli anni tra XV e XVI secolo?

Insomma la strada per la comprensione dei «nodi» di Leonardo/Dürer passa probabilmente lontano da quella pur così affascinante tracciata da Coomaraswamy. E, in altre parole, la strada che riconduce i «groppi» dei due pittori rinascimentali alla vicenda così variegata eppure così sottovalutata della decorazione. Sottovalutata perché prima o poi, ci imbattiamo nell'equivoco della presunta inferiorità dell'ornamento rispetto alla figura, l'idea che esso sia un «di più» aggiunto all'opera d'arte, una sovraffettazione che potrebbe anche non esserci; spesso, anzi, abbiamo la sensazione che dovrebbe non esserci. Se non che intere fasi artistiche, come l'altomedioevo italiano, ci fanno assistere ad una vera e propria proliferazione ornamentale e, ancor di più, intere civiltà come quella araba sembrano avere nell'ornamento la sostanza della propria cultura artistica. E' stato proprio uno studioso dell'arte orientale come Oleg Grabar ad aver richiamato anche per la produzione occidentale, e non solo medioevale, l'importanza della decorazione, mettendone in rilievo le funzioni per così dire «extraornamentali».

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SEMPER E IL CONCETTO DI STILE
Joseph Rykwert


E' stata una bambina a lanciare l'attacco più serio alla grandiosa esposizione di Semper sulle origini dell'arte. La bambina, che si chiamava Maria da Sautuola, aveva cinque anni quando accompagnò suo padre a visitare le caverne di Altamira. Marcelino de Sautuola in quella caverna aveva già trovato un certo numero di utensili paleolitici simili a quelli che gli era capitato di vedere nella sala dedicata alla preistoria nell'Esposizione di Parigi del 1878. De Sautuola aveva deciso di tornare in quel luogo per trovarne altri e aveva appena appoggiato a terra la lanterna per scavare nel deposito di argilla, quando sua figlia Maria alzò gli occhi e gridò piena di meraviglia: «Papa, mira los toros pintados!», scoprendo così per la prima volta dal tempo della loro creazione quei tesori dell'arte parietale delle caverne celati da più di 15.000 anni.

Era il 1879 e nel maggio di quell'anno Semper era morto a Roma.

Forse ho un po' drammatizzato il racconto di quanto avvenne, ma non molto. Le caverne dipinte erano conosciute già da qualche tempo, ma le pitture non avevano ricevuto molta attenzione. Anche Marcelino da Sautuola aveva notato alcune «linee nere» sulle pareti della caverna, senza tuttavia attribuirgli grande importanza. Gli archeologi della preistoria guardavano in terra e non alzavano mai gli occhi, perché questo avvenisse ci volle una bambina. Avevano comunque scoperto un certo numero di suppellettili sepolte nei depositi delle caverne, anche se i ritrovamenti non avevano suscitato grande interesse. Nei due libri in cui descrive con grande acutezza il progresso della civiltà - e che tra il 1873 e il 1891 ebbero tre edizioni - Edward Taylor dedica a quelle scoperte non più di mezza pagina.

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Pagina 139

Mi limiterò qui a considerare la concezione maturata da Semper a questo riguardo come egli la presenta in Der Stil. Il suo excursus inizia con l'affermazione che la ghirlanda è l'archetipo dell'opera d'arte. Per Semper, la ghirlanda è l'esempio primario di oggetto tessile. Le funzioni che indussero il primo uomo a unire pezzi di materiali - materiali le cui caratteristiche erano elasticità, duttilità, resistenza - furono: primo, il desiderio di ordinare e legare e, secondo, quello di coprire e riparare, in una parola delimitare. Semper descrive in dettaglio i materiali tessili prima di tornare a parlare del processo mentale insito nella fabbricazione di oggetti tessili: la fibra porta con sé l'idea di infilare e di intrecciare, infilare e intrecciare suggeriscono l'idea di nodo. Il nodo è «probabilmente il simbolo tecnico più antico e l'espressione delle prime idee cosmogoniche sorte fra i popoli».

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Pagina 144

L'opera d'arte, egli dice in breve nei Prolegomena, è la risposta dell'uomo a un mondo pieno di meraviglie e di poteri misteriosi, le cui leggi egli pensa di poter comprendere ma il cui enigma non riesce mai a risolvere, così che resta sempre prigioniero di una tensione insoddisfatta. Questa pienezza mai raggiunta l'uomo la esorcizza con il gioco e con la costruzione di un universo in miniatura nel quale la legge cosmica può essere osservata entro le dimensioni piccolissime di un oggetto a sé stante. Di conseguenza i piaceri dell'arte sono analoghi a quelli della natura. «E pure» osserva Semper, «l'uomo primitivo trae maggior piacere dalla regolarità di una vogata e di un battito di mani, di una ghirlanda e di una collana di perle, che in quella meno diversificata che la natura gli offre».

Questa struttura teleologica del bello fa da introduzione a una descrizione dei «tre aspetti» grazie ai quali - secondo Semper - le forme sono viste come concluse e belle. Essi sono: simmetria, proporzione e unità di movimento. Semper li esamina in relazione ai fenomeni naturali (fiocchi di neve, fiori, movimenti degli astri) e accenna brevemente alla loro relazione con le opere umane. Nel libro, tuttavia, questo impianto concettuale non viene mai espresso in modo esplicito.

La struttura dei due volumi, infatti, riflette le idee prospettate nel Prolegomena solo implicitamente. I quattro elementi fondamentali in base ai quali Semper suddivide la sua esposizione - tessile, ceramico, tettonico e stereometrico - sono trattati sotto due aspetti: il primo formale, nell'accezione più generale; il secondo, come dice Semper, tecnico-storico. Essi, pertanto, corrispondono ai due principi organizzatori: microcosmico/macrocosmico (simmetria-euritmia) e «vitalistico» (direzione), la cui dialettica è mediata dalla proporzione. Il risultato delle argomentazioni è frammentario, spesso inconcludente, principalmente a causa di alcune osservazioni piuttosto singolari che fanno ombra alle sue intuizioni. L'edificio gotico, dice Semper nei Prolegomena, rappresenta la traduzione in pietra della filosofia scolastica del XII e XIII secolo. E' questa un'intuizione che molti anni più tardi Erwin Panofsky avrebbe, sia pure fra molte polemiche, confermato.

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Pagina 159

IL NODO DI OLYMPIA
Elio Grazioli


Alle origini della Modernità, come si usa dire, effettivamente c'è un nodo. Un nodo minimo, è vero, un fiocco, ma inquietante, e scandaloso.

Olympia, non più dea, non veramente prostituta, porta un nastro al collo, «il cui nodo,» - è Michel Leiris che scrive - «altrettanto leggiadro di quello che sigilla un regalo, forma al di sopra della fastosa offerta dei due seni un doppio ricciolo all'apparenza facile da disfare semplicemente tirandone l'estremità». Non proprio un regalo, ma l'ironia di Leiris indirizza sulla questione della realtà, che è ciò che gli sta a cuore: l'offrirsi reale della donna borghese ha sostituito l'impossibile dono del dio.

Impossibile la nudità totale, è «questa inezia» dei nastro a fare la realtà del corpo: «Ultimo ostacolo alla nudità totale, [...] questa inezia, che forse per Manet non era altro che un nero dal disegno capriccioso che si staglia sul biancore del nudo, è per noi il dettaglio senza necessità che attira l'attenzione e fa sì che Olympia esista» [...]

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Pagina 164

«Ho sognato questa notte che, quando venivo qui, non c'era nessuno»: è, come si ricorderà, l'efficace incipit lacaniano della giornata del Seminario dedicata agli Anelli di corda.

Il problema è quello della forma, formalizzazione matematica, topologica o altro che sia: «Dirò - è la mia funzione - dirò una volta di più - dato che mi ripeto - ciò che è proprio del mio dire, e che si enuncia: non c'è metalinguaggio. Quando dico così, vuol dire, a prima vista - niente linguaggio dell'essere. Ma c'è l'essere? Come ho fatto notare la volta scorsa, ciò che dico, è ciò che non c'è. L'essere è, come si dice, e il non-essere non è. C'è, o non c'è. Questo essere, non si fa che supporlo a certe parole - individuo, o sostanza. Per me, è solo un fatto di detto».

«Sta qui l'obiezione - nessuna formalizzazione della lingua è trasmissibile senza l'uso della lingua stessa. E' attraverso il mio dire che questa formalizzazione, ideale metalinguaggio, la faccio ex-sistere. E' così che il simbolico è lungi dal confondersi con l'essere, ma sussiste come ex-sistenza del dire. E' quanto ho sottolineato [...] dicendo che il simbolico sorregge solo l'ex-sistenza. In cosa? [...] che parlo senza saperlo. Dunque dico sempre più di quanto io non sappia». E' evidente che si tratta di una questione di sapere, ovvero di non sapere.

«C'è del rapporto d'essere che non può sapersi. E' quello di cui, nel mio insegnamento, interrogo la struttura in quanto questo sapere - l'ho appena detto - impossibile è perciò interdetto. E' qui che gioco sull'equivoco - questo sapere impossibile è censurato, proibito, ma non lo è se scrivete come si conviene l'inter-detto, è detto tra le parole, tra le righe. Si tratta di denunciare a qual genere di reale ci permette l'accesso. Si tratta di mostrare dove va la sua messa in forma, questo metalinguaggio che non è, e che faccio ex-sistere. Su quel che non può essere dimostrato, qualcosa tuttavia può esser detto di vero. E' così che si apre questa sorta di verità, la sola che ci sia accessibile, e che verte, per esempio, sul non-saper-fare».

A tutti quelli che pensano ancora che la pittura, per esempio, sia ancora un saper-fare: Manet, in ogni caso, è all'origine di questa Moderniià: lo scandalo del suo nodo è lo scandalo della forma, del non-saper-fare: brutta pittura, abbozzo, non-finito... Manet non sa dipingere, per questo dipinge, e dipinge così. Che cosa sa? «L'Io non è un essere, è un supposto a ciò che parla. Ciò che parla ha a che fare solo con la solitudine, sul punto di quel rapporto che posso definire solo dicendo, come ho fatto, che non può scriversi. Questa solitudine, quanto a lei, di rottura del sapere, non soltanto può scriversi, ma è anzi quel che si scrive per eccellenza, poiché essa è quel che d'una rottura dell'essere lascia traccia».

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Pagina 166

ARCHITETTURA SEGRETA
Maurizio Barberis


Architetture come nodi: spazi o forme che stanno all'incrocio, nel punto rizomatico, dove gli assi principali si incontrano.

Il nodo, punto di sparizione della forma, della sua trasformazione in processo. Soglia, elemento di attraversamento problematico, emergenza formale, pone un problema di discontinuità all'interno del tessuto che connette la città, isola di funzioni, griglia di urbanità, la cui forma è, in teoria e solo in teoria, la ripetizione dell'uguale.

Il nodo pone la domanda, senza offrire risposta: alterazioni dei nostro sistema nervoso, non addomesticate dalla forma, spazio non ridotto a linguaggio. Come si controlla il tempo, allora? Attraverso quali emergenze, segni forti nel paesaggio, leggiamo il senso e la continuità?

Edifici segreti, architetture nascoste, tirano i fili dei nodi rizomatici della città moderna.

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Pagina 182

ALESSANDRO E IL NODO DI GORDIO
Corrado Bologna


«La grandezza di Alessandro, la luce che essa riverbera su tutte le corone occidentali, consiste nel fatto che egli seppe affrontare i grandi spazi più ancora che il gran re. Il suo ritorno dall'India è un miracolo più grande della distruzione di Babilonia. [...] Secondo l'antica profezia, chi fosse stato in grado di sciogliere il nodo di Gordio avrebbe avuto il dominio del mondo. Come dobbiamo interpretare il colpo di spada con cui Alessandro tagliò il nodo? Il suo atto ha in sé qualcosa di forte e di ammirevole, e sembra esprimere ben più che la paradossale risposta ad un oracolo e ai suoi sacerdoti: è il simbolo di tutti i grandi incontri tra l'Europa e l'Asia. In esso appare un principio spirituale che è in grado di disporre in modo nuovo e più conciso del tempo e dello spazio».

Questa è la più recente lettura, parrebbe, dei mito gordiano. E pur non dedicandosi ad esegesi strutturalistiche sarà bene tenerne conto, inglobandola nella sequenza delle fonti antiche, secondo il celebre dettato del procédé lévi-straussiano: «Siccome un mito è composto dall'insieme delle sue varianti, l'analisi strutturale dovrà considerarle tutte alla stessa stregua. [...] Non esiste una versione "vera" di cui tutte le altre sarebbero copie o eco deformate. Tutte le versioni appartengono al Mito». In quanto «strumento logico» il mito va indagato, comunque, nella sua radicale meccanica epistémica: per ciò che dice lungo la storia nelle culture, per l'ombra che proietta e le forme molteplici che cristallizza intorno a sé attraversando il Tempo.

Scegliendo l'emblema antichissimo del Nodo Insolubile per dar volto (persona) alla dialettica antropologica fra sapienzialità arcana e sacrale (Oriente) ed «Aufklärung nel senso più elevato e solare del termine», ossia «il dubbio, il potere spirituale» (Occidente), Ernst Jünger offriva alla riflessione (anzitutto di Carl Schmitt) l'idea, conservata «ancor oggi nei Regni d'Oriente», che il Nodo sia «figura del destino». Al Destino si legava già, indissolubilmente, proprio quel nodo prototìpico di cui parlano scarsissime fonti greco-latine. Per quanto sia di fatto antonomastico, il nodo gordiano è rammentato solo da un pugno di eruditi e scrittori pagani, e scompare in pratica dall'immaginario cristiano, che non vi si sofferma ad allegorizzare. Eppure riesce ugualmente a fissarsi nella tradizione, appunto per la forza figurale che ne costituisce il nucleo teorico, ideologico.

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Pagina 256

LEMMI
Marco Belpoliti


Gottfried Semper è stato forse il primo studioso moderno a vedere nel nodo il più antico simbolo tecnico e l'espressione delle prime idee cosmogoniche nate tra i primi popoli. Come ha scritto Joseph Rykwert, è un peccato che Semper non abbia sviluppato le sue intuizioni riguardo al simbolismo del nodo che, sotto forma di una ghirlanda intrecciata, era per lui l'archetipo stesso dell'opera d'arte. Questa omissione ha probabilmente impedito all'argomento di avere cittadinanza nella cultura moderna, sino a diventare degno di un'opera sistematica e collettiva com'è, per forza di cose, una enciclopedia, dove convergono le ricerche e gli studi di decine e decine di studiosi. Da quanto ci è dato sapere, a tutt'oggi una simile opera non esiste e il nodo continua a essere rubricato sotto la voce «ornamento» o sotto quella «strumento», come un argomento secondario e minore. Le pagine che seguono vanno considerate, alla stregua di molti dei testi presenti in questo numero, come un primo e provvisorio contributo a una futura Enciclopedia dei nodi. Si tratta di lemmi, cioè di pagine compilative dove hanno trovato posto appunti, annotazioni, riferimenti rinvenuti nel corso di oltre un decennio in differenti luoghi e occasioni (articoli, riviste, libri, conferenze, comunicazioni personali, ecc.) in modo assai poco sistematico e talvolta del tutto casuale. Il problema di stendere una Enciclopedia dei nodi è veramente notevole. Per essere minimamente completa dovrebbe infatti comprendere molti aspetti dello scibile umano, dal momento che i nodi sono un tema presente in molti campi e discipline e per la loro natura composita costituiscono un vero e proprio argomento-incrocio. Forse è per questa ragione che, per quanto mi sia sforzato di essere sintetico, queste pagine sono cresciute a dismisura. Tuttavia ho tralasciato l'argomento che più m'interessava: il rapporto tra i nodi e la letteratura.

Il nodo, è bene ricordarlo, è un ogetto magico e come tale si comporta; in altre parole, è inafferrabile, tanto da far sospettare che la reticenza o la distrazione di Semper discenda da una obiettiva difficoltà di cui ho fatto diretta esperienza: quella di racchiudere in un numero ragionevole di voci e di pagine il suo complicato mistero. In apertura è forse bene trascrivere una frase di Borges, enunciata in altro contesto e con altri intenti, ma perfetta per i nodi: «La soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero. Questo partecipa del soprannaturale e finanche del divino; la soluzione, del gioco di prestigio» (L'aleph). E, complicazione delle complicazioni, come si sa, i giochi di prestigio hanno a che fare proprio coi nodi.

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Pagina 258

ASHLEY

Il titolo originale è esplicito: The Ashley Book of Knots; in italiano è stato reso con Il grande libro dei nodi, e l'aggettivo grande se lo merita davvero: 3.854 nodi e 7.000 illustrazioni di mano dell'autore. Nella quarta di copertina dell'edizione italiana non c'è traccia della biografia di Clifford W. Ashley, eppure non deve essere stato un tipo ordinario; quel poco che sappiamo ce lo dice lui stesso qua e là nel testo: è nato alla fine dell'Ottocento, probabilmente nel 1885 o nell'87; la data la si desume dalla descrizione della carenatura di un brigantino, Josephine, per mano del maestro d'ascia Peter Blanck a cui assistette da bambino nel 1893, operazione che lo interessò molto, tanto da ridisegnare nel volume una foto scattata quell'anno nella città o paese di mare in cui era nato e viveva (questo lo dice in un paio di occasioni, senza mai precisare quale sia il nome dei posto).

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Pagina 260

LEGGERE

L'età d'oro dei nodi decorativi è compresa tra l'inizio di questo secolo e gli anni '20, quando, come spiega Ashley nel suo libro, apparvero i clippers, i bastimenti mercantili a vela del Nord America, grandi e molto veloci (non a caso il termine inglese significa «tagliare», ovviamente le onde).

Nell' Ashley Book il tramonto dell'arte dei nodi è spiegato in questo modo: «L'arte popolare fiorisce rigogliosa quando la gente è soddisfatta e dispone di tempo libero, due condizioni che mancarono costantemente a bordo dei clippers». Come a dire che i ritmi di lavoro imposti dalla nuova marineria distruggono l'attività del nodo decorativo e in questo modo è forse possibile spiegare anche il tramonto delle decorazioni dai capitelli e dalle facciate delle chiese: i maestri intagliatori, i pulitori della pietra, i costruttori delle cattedrali non hanno più il tempo per coltivare le decorazioni bizzarre e solitarie e l'arte decorativa rifluisce verso territori più marginali (anche il nodo è uno di questi) sostituita dall'arte tout court, la quale però riserva alle decorazioni una spazio al suo interno, uno spazio secondario, per quanto essenziale.

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Pagina 264

I punti di contatto tra il carcerato e il marinaio che fabbrica nodi (o più in generale tra tutti coloro che realizzano nodi decorativi) sono più d'uno; far nodi è infatti una forma di disciplina mentale, un esercizio che incanala le pulsioni verso un oggetto preciso; c'è una figura che rende evidente il rapporto tra il carcerato e l'annodatore, è quella del padre del deserto, del monaco che, come è riportato in una voce dell' Encyclopédie di Diderot, citata da Lévi-Strauss, si mantiene intrecciando panieri. Per il monaco del deserto questo lavoro corrisponde o è accompagnato dalla recita di una preghiera interiore; in molte scuole religiose questa recitazione è tutt'uno col movimento delle mani su di uno strumento annodato - il rosario - dove il suono diventa simile a quello di un mantra - si recita una frase o una formula molto breve per un ripetuto numero di volte. Giorgio Raimondo Cardona, in un testo, Modalità linguistiche della preghiera interiore, sottolinea come «il flusso interiore è letteralmente canalizzato in un percorso a solchi concentrici, il significato di ciò che si dice è perfettamente irrilevante». Facendo nodi si segue un ritmo interiore, cadenzato dai movimenti delle dita e delle mani, dalla manipolazione della corda, sia nel rosario cattolico come in quello mussulmano o nella corona dei popoli himalayani (il simbolismo del rosario, secondo Coomaraswamy è legato, per la presenza sia dei nodi che dei fili, a quello della tessitura, del ricamo, della pesca con la lenza e della cattura con il laccio).

Far nodi è calmante; non serve cioè solo a combattere la noia, ma può essere un'occupazione che impegnando mente e mano distoglie da altri tipi di pensiero - ecco di nuovo il paragone con il mantra -, alla pari di quel training autogeno che l'atleta usa per prepararsi alla competizione o durante la gara per sconfiggere la fatica e soprattutto per annullare il tempo (Cardona). Ma nel caso del marinaio imbarcato a bordo della nave, di che tempo si tratta? Del tempo del viaggio? del tempo vuoto? del tempo uniforme? Uno studio psicologico sulla noia dovrebbe partire da qui, dalla sensazione di uniformità, dalla tristezza, dal senso di inerzia che provoca il lungo viaggio per mare (noia: da «annoiare», termine della poesia provenzale, «avere in odio»).

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Pagina 268

MESTIERI

Seppure è il marinaio ad avere la paternità dei nove decimi dei nodi oggi conosciuti, scrive Ashley nel suo libro, egli non può certo pretendere di essere stato l'inventore dei primo nodo. I primi annodatori furono i cacciatori e i pescatori e le loro tecniche sopravvivono presso i popoli primitivi «che fanno le intelaiature delle capanne e delle canoe, preparano le trappole e gli utensili con corregge di vimini annodati».

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Pagina 273

SEGRETO

Scrive Lévi-Strauss a proposito dell'arte dell'intreccio dei panieri: «Nelle mani degli specialisti la cesteria costituiva un'arte nobile che, presso gli indiani delle pianure, per esempio, era privilegio di cerchie d'iniziati» ( Sguardi sugli oggetti in: Guardare ascoltare leggere). Questo significa che non solo le decorazioni raffigurate sui canestri erano tenute segrete, ma anche la stessa arte dell'intreccio con i suoi legamenti e passaggi era tenuta rigorosamente segreta. Anche Ashley parla di nodi mantenuti segreti dai marinai nelle gare di abilità sulle navi, ma si tratta perlopiù di casi rari; sono infatti i marinai stessi a raccontare le tecniche di annodamento ai nuovi arrivati, oltre che ad Ashley, il raccoglitore di nodi, tanto da far pensare che l'arte dei nodi sia per sua natura contraria al segreto, un po' come il gioco degli scacchi, dove il piacere di mostrare una mossa è parte integrante del gioco stesso.

Se il segreto, come scrive Georg Simmel nella sua Sociologia, «è il principio della gerarchia, dell'articolazione per gradi degli elementi della società», l'arte dei nodi nasce e si sviluppa in una società che si pensa fraterna. Dei resto, in tutto il libro dì Ashley circola un piacere di raccontare i nodi, di citare i nomi di coloro che glieli hanno insegnati e, almeno in un caso, egli si decide a rivelare un particolare nodo senza il permesso di chi glielo ha insegnato per il fatto che questi è in viaggio e perciò non consultabile. The Ashley Book of Knots è un libro essoterico, democratico, nato dall'idea di insegnare i nodi a tutti, ma un conto è apprendere i nodi dall'esempio diretto di un altro e un conto è impararli da un libro. In questo secondo caso bisogna possedere già dei rudimenti, occorre essere stati introdotti ai primi segreti del far nodi da qualcuno, altrimenti esiste una sola possibilità: avere un grande desiderio d'impararli; solo in questo modo il libro può parlare a tutti.

La democrazia dei nodi è anche la democrazia della lettura: il libro tace se non è il desiderio del lettore a farlo parlare. Ma di queste cose Ashley non si occupa; in fondo non fa che ripercorrere quello che altri gli hanno insegnato. La sua iniziazione è infatti avvenuta a tre anni, grazie a due zii capitani di baleniere: il primo, modellista di navi, gli insegnò il NODO PIANO (un'incrociatura che si fa con le due cime attorno a un oggetto), il secondo le TRECCE (detta anche trinella o treccia inglese, è quella con cui le scolarette si fanno i codini ed è detta a tre legnoli). Entrambi gli zii gli fecero una promessa che non mantennero; che sia questo il doppio segreto da cui nasce l'Ashley Book?

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Pagina 308

CORDE

Racconta Mircea Eliade in Corde e marionette che in India i fachiri ricorrono al famoso «miracolo della corda» (rope-trick) che consiste nel creare l'illusione di una corda che s'innalza verso il cielo su cui fanno arrampicare un giovane discepolo, fino a che questi scompare alla vista dei presenti; poi lanciano un coltello per aria e poco dopo le membra dei giovane cadono l'una dopo l'altra sulla terra. Questo miracolo, che è tipico della tradizione magica indù, non sarebbe altro che la ripetizione di un episodio in cui il Budda, per convincere gli abitanti della sua città natale riguardo i propri poteri spirituali, compì con se stesso il prodigio dello smembramento e della ricomposizione.

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Pagina 339

DOPPIO LEGAME

Pubblicato nel 1970, negli anni della diffusione delle pratiche antipsichiatriche, Knots di R.D. Laing venne subito definito un libro di poesia. In effetti, si tratta di una serie di frasi, di componimenti che condividono con la poesia la prerogativa di essere impaginati a bandiera che, secondo Eugenio Montale, sarebbe l'unico criterio certo con cui distinguere, nel XX secolo, la poesia dalla prosa. In realtà, più che di versi si tratta, come è scritto nel sottotitolo della traduzione italiana, di Paradigmi di rapporti intrapsichiatrici e interpersonali, cioè di situazioni tipiche che si manifestano nella sfera delle relazioni affettive e sentimentali, e più in generale nel campo dei rapporti con gli altri.

(...)

Naturalmente Laing non è solo uno psichiatra ma anche uno scrittore e, per quanto usi in questo volumetto il sottotono, la sua è in ogni caso letteratura (ecco, dunque, la poesia). La scrittura dei nodi è la scrittura della forma (nel tema generale dei nodi il tema della «forma» è centrale: forma del nodo decorativo, forma geometrica o topologica, forma matematica, ma anche forma dei corpo). Le pagine finali del resto sono proprio dedicate a questa riflessione sulla forma, una metariflessione. Questo tema - la metariflessione - richiama quella che è la principale fonte di questi Nodi e cioè l'opera di Gregory Bateson. I nodi di Laing, le sue tassonomie psichiche, nascono infatti non solo dalla pratica terapeutica, dalla spiccata capacità di formalizzazione che lo psichiatra inglese possiede e dal suo talento linguistico, ma derivano direttamente dai metadialoghi di Bateson. Questo straordinario «scienziato» (antropologo, studioso d'arte e di psichiatria, terapeuta, linguista, cibernetico, studioso del comportamento animale, nonché fondatore della «ecologia della mente») è il padre del doppio legame (o vincolo) una delle più importanti scoperte nel campo della psichiatria, e più in generale dei problemi della comunicazione umana (questa è la ragione per cui Bateson ha fatto parte del gruppo dei «creatori della cibernetica»).

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Pagina 342

MEMORIA

I nodi servono per ricordare. Nei quipu peruviani sembra che un intero alfabeto sia scritto coi nodi; così, all'inizio, i fasci di cordicelle annodate servono all'aedo per ricordare le parole del verbo presso i Maori (vedi: CORDICELLE). Questo tipo di strumento - il nodo - si pone a metà strada tra la trasmissione orale e la trasmissione scritta mediante tavole o indici, in quanto da un lato è un ausilio per ricordare messaggi trasmessi oralmente, dall'altro è una vera e propria scrittura.

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Pagina 348

NODI SI, NODI NO
Michele Emmer


«Nella città di Gordio (nella Frigia, regione della Turchia attuale), che secondo la tradizione fu anticamente la residenza abituale del re Mida, e che pure conquistò (primavera dei 333 a.C.), vide il carro, di cui tanto si parla, legato strettamente con una corteccia di corniolo, e udì in proposito raccontare una leggenda, a cui i barbari per conto loro credono e secondo la quale chi avesse sciolto il legame che teneva il carro avvinto al giogo era destinato a diventare re di tutto il mondo. Dicono dunque molti storici che Alessandro non riuscì a sciogliere i legami, poiché i loro capi erano nascosti e avvolti uno dentro l'altro con molti giri aggrovigliati; perciò tagliò il nodo con la spada, e allorché fu spezzato si videro uscire numerosi capi. Aristobulo racconta invece che Alessandro sciolse con estrema facilità il legame togliendo la spina, come viene chiamata, da cui il giogo era tenuto fermo sul timone, ed estraendo quindi il giogo stesso» (Plutarco, Vite parallele: Alessandro e Cesare, vol. II, Einaudi, 1958, p. 246).

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Pagina 354

Così come esistono tanti manuali in cui sono elencati i principali nodi marinari o alpinistici, esistono tavole in cui sono elencati i diversi nodi matematici. In matematica quindi i problemi principali con i nodi sono il sapere se un nodo può essere sciolto e se è possibile classificare i nodi. Nella teoria dei nodi sono considerati isotopici (con la stessa forma) due nodi quando è possibile deformarli uno nell'altro senza operare tagli. I nodi che sono isotopici alla circonferenza si dicono banali, nel senso che non sono annodati e possono essere sciolti. Molti dei nodi marinari sono di questo tipo.

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Pagina 357

Per comprendere a fondo, in matematica, la natura di un nodo complesso vi è una tecnica diversa da quella di studiarne direttamente le proprietà. Se si considera un oggetto nello spazio (tridimensionale), si può studiare quello che si chiama il complementare dell'oggetto considerato, cioè a dire quello che resta nello spazio quando si toglie l'oggetto scelto. E' questo che si studia quando si ha a che fare con un nodo complesso. Per comprenderne le proprietà si considera il complementare del nodo, lo spazio al di fuori del nodo, il Non nodo. Un risultato molto importante è stato ottenuto in questo settore dal matematico W.P. Thurston; tale risultato afferma che lo spazio che circonda un nodo complesso ha una geometria di tipo iperbolico. Una geometria è di tipo iperbolico quando non vale il famoso V postulato delle parallele di Euclide che afferma: «per un punto fuori di una retta passa una ed una sola retta parallela alla retta data». Nella geometria iperbolica per un punto fuori di una retta passa più di una retta parallela. La cosa molto interessante è che Thurston ha fornito del suo teorema una dimostrazione visiva tramite un film di animazione realizzato utilizzando il supercomputer del Geometry Center della Università del Minnesota a Minneapolis negli Usa. E' stato realizzato un film che si chiama Not Knot (Non nodo) in cui è possibile vedere e muoversi nello spazio complementare di un nodo e verificare che effettivamente ci si trova in uno spazio di tipo iperbolico. Un'esperienza molto interessante anche dal punto di vista grafico, un'esperienza che ha fatto affermare a John Horgan in un articolo su «Le Scienze» (n. 304, dicembre 1993, pp. 82-91) che la dimostrazione in matematica, nel senso tradizionale, è morta. Un'esperienza che ha rilanciato un settore della matematica che può essere a buon diritto chiamato matematica visiva e che sconfina spesso nelle arti visive per il suo forte impatto estetico (si veda M. Emmer, a cura di, The Visual Mind. Art and Mathematics, The MIT Press, 1993). Ma questo discorso ci porterebbe lontano!

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MATEMATICHE: I NODI PROSPERANO
Pierre Rosenstiehl


2026. Sapevo che quest'anno del centenario della teoria matematica dei nodi non sarebbe trascorso senza assistere al disappunto dei nostalgici. Un cronista di «L'Espace pratique», periodico che, come è noto, cade ben poco nell'immaginario, indaga da settimane sui nodi reali, i nodi di tipo utilitario e non simbolico: Quenotte vuole cose annodate sotto i suoi occhi da un annodatore umano. Finiti gli annodatori, i nodi sono nei musei! Così si può vedere al Museo dell'Uomo una collezione di fibbie, belle come farfalle, con le quali gli antichi ornavano le loro calzature; in quello delle Tradizioni Popolari una serie di falsi nodi kitsch in cellophane che i commercianti attaccavano sui pacchetti regalo all'epoca in cui il nodo di nastro, ormai scomparso, era ancora nella memoria degli adulti; alla Villettoteca un pizzo fatto a mano, non digitalizzato; al Museo d'Arte Moderna un nodo di sedia doppia in idrogeno solido statolaserificato. Il giornalista frustrato ha apostrofato la Camera dei Mestieri chiedendo di vedere dei nodi dal vivo, durante la fabbricazione. Poverino, non si lega più nulla, tutto tiene! Comunque gli è stato consigliato di visitare i Laboratori di Dissezione dei Fantasmi e la Società Matematica di Francia. E' là che mi ha bloccato, tutto stordito: «Esiste dunque una matematica dei nodi? Il nodo è astrazione! O è nell'arte o è una specie di torsione in uno spazio indecifrabile». E effettivamente tentava di ricopiare la dimostrazione dell'Invarianza degli Ideali Elementari, nel Crowell e Fox (Introduction to Knot Theory, Ginn and Company, 1963): (...)

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CASO, CAOS, NODI E SPIRALI
Michel Mendés France


l. MISURARE IL CASO

Nodi, lunghezza e dimensione sono concetti che permettono di misurare una certa forma del caso. Il nodo evoca l'irregolarità, la singolarità (nodo dell'abete), la complessità (sacco di nodi, nodo gordiano, nodo del problema) e, al limite, il caso. Il caso è portatore di informazioni, ci dice Umberto Eco nella sua Opera aperta. E' per questo che la forma del cervello è cosi torturata, nodosa, imprevedibile nel dettaglio? Il filo aggrovigliato, pieno di nodi, è l'immagine del disordine, dell'anarchia, dell'entropia massima. Invece al filo diritto, ben teso, regolare sono associati l'ordine freddo e perfetto, il prevedibile, il determiniamo, l'entropia nulla.

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E' ora di concludere. Abbiamo descritto due forme di caos, la curva zigzagante da una parte e la spirale dall'altra. Queste due forme coesistono in natura. Il movimento browniano genera la prima e il flusso turbolento la seconda.

Non sono, sia l'una che l'altra, un lontano ricordo della confusione originaria, quando materia, tempo e spazio erano impegolati in un nodo improbabile?

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TOPOLOGIA E NODI
Pierre Soury


OGGETTI TOPOLOGICI
E STATO ATTUALE DELLE MATEMATICHE


Oggetti topologici qui significa: nodi, catene, trecce, superfici e altro. Gli oggetti topologici sono presenti nell'artigianato, nei motivi decorativi, nei giochi di rompicapo, nelle matematiche, nei seminari di Lacan.

Gli oggetti topologici mi appaiono come bricolage, come possibilità di bricolage. In particolare, disegnare oggetti topologici è un bricolage.

Questo non significa che gli oggetti topologici sarebbero fatti di pezzi e di parti, come capita. Al contrario. Un punto di vista del genere esiste tuttavia sotto il nome di «topologia combinatoria». Questo punto di vista mi sembra insoddisfacente perché giunge a definire gli oggetti topologici a partire da cose non topologiche, voglio dire a definire gli oggetti che hanno buchi come un assemblaggio di cose senza buchi. Da questo punto di vista il cerchio non è un oggetto primo, il cerchio è definito come la congiunzione di più segmenti. Ci dev'essere un circolo vizioso là dentro.

La «topologia combinatoria» è uno dei punti di vista della topologia matematica attuale. Si dice che la topologia si sia disimpegnata dalla geometria, ma attualmente la topologia è schiacciata da qualcosa che è chiamata «topologia generale».

La «topologia generale» è detta anche «topologia insiemistica» o «topologia degli insiemi di punti». In «topologia generale» un «insieme di punti» si chiama «spazio topologico».

Io non uso l'espressione «oggetto topologico» nel senso di «spazio topologico» perché, invece, voglio opporre gli oggetti topologici alla «topologia generale». Tale opposizione è indicata, per esempio, da Fréchet in Introduction à la topologie combinatoire (1946) alle pagine 20-22 e anche da altri.

La «topologia generale» è una teoria degli insiemi infiniti di punti, chiamati «spazi topologici». C'è pieno di infiniti: - c'è l'infinitesimale, cioè l'infinitamente divisibile e l'infinitamente piccolo; - c'è l'infinito attuale, ossia lo spazio concepito come consistenza di un'infinità di punti. Ciò che permette di gestire questo infinito attuale è il linguaggio insiemistico.

La «topologia generale» è anche una teoria delle frontiere e degli incidenti di frontiera. E' una teoria che rende più raffinate le nozioni di parte e di complementare di una parte attraverso le nozioni di «interno» e «esterno», e che con questo problematizza i fenomeni di frontiera.

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C'è dell'altro che vorrei produrre: mi pare che varrebbe la pena di fare attenzione ai disegni in topologia.

Fare attenzione ai disegni ben fatti, a quelli mal fatti, all'assenza di disegni. Com'è che non esistono disegni di topologia della qualità dei disegni di Escher? C'è stato un processo di decadenza nel disegno? Esistevano più disegni di topologia nel XIX secolo che oggi?

Che cosa non va nei disegni della topologia matematica? Per precisare questo devo trovare appoggio sulle opposizioni seguenti: (designazione/definizione), (mostrare/dimostrare), (possibile/impossibile), (configurazione completa/configurazione parziale), (presentazione/oggetto), (caso esemplare/contro esempio), (oggetto/tipo d'oggetto), (particolare/generale).

Esiste una tendenza dichiarata che, in nome dell'ideale di rigore, vuole fare a meno di disegni. I disegni sono sospettati di falsificare le dimostrazioni. E' vero, ma è vero anche il contrario, cioè che le dimostrazioni danno origine a brutti disegni e disegni senza interesse.

E' quanto succede il più delle volte in geometria e in topologia. I disegni sono brutti disegni. Sono cantieri di costruzione, memento di elementi parziali successivamente introdotti, indici di lettere utilizzate, discariche. La ragione consiste nel fatto che una dimostrazione è una sequenza e pone problemi di esistenza e di costruzione. Invece un disegno è qualcosa di compiuto, come una piccola teoria completa, come un piccolo sistema completo.

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NUOVE SCOPERTE MATEMATICHE
PER PENETRARE I SEGRETI DEI NODI
James Gleick


Per quanti si occupano di teoria dei nodi, una delle forme più pure della scienza matematica, alcune scoperte sorprendenti si sono rivelate molto utili nell'affrontare un problema fondamentale della loro disciplina: come riuscire a distinguere un nodo dall'altro.

I progressi in questo settore hanno fornito, inoltre, un nuovo strumento agli scienzati che studiano alcuni tipi di strutture (annodate e attorcigliate) in chimica e in biologia molecolare. Non solo, ma lo studio matematico dei nodi appare carico di promesse per coloro che si occupano di decifrare in quale modo le catene molecolari si organizzano nelle strutture complesse del DNA.

Per un teorico, un nodo è la versione formale e standardizzata di un oggetto molto comune: un cappio formato da un filo unidimensionale che si attorciglia in uno spazio tridimensionale. E' questa una delle configurazioni fondamentali offerte dalla natura secondo il punto di vista matematico. I problemi inerenti alla denominazione, alla classificazione e alla comprensione dei nodi, si sono rivelati di estrema difficoltà.

(...)

Gli studiosi di chimica e biologia molecolare si sono resi conto di poter arrivare a comprendere aspetti importanti delle loro discipline adottando il metodo di osservazione della realtà proprio dei teorici dei nodi. Mentre per la geometria euclidea le strutture sono rigide, la teoria dei nodi le pensa in termini di massima flessibilità. E' questa l'essenza della topologia - la «geometria del foglio di gomma» - di cui la teoria dei nodi è una branca e per la quale distanze e misure sono del tutto irrilevanti. Se un nodo può essere piegato, distorto, allungato, compresso o comunque deformato in un altro nodo (senza essere tagliato o disfatto) allora significa che i due nodi sono equivalenti.

(...)

Mentre un marinaio classifica i nodi in base alle loro caratteristiche fisiche, un matematico ha bisogno di usare un metodo ben definito per elencare gli schemi dei cappi e degli incroci. Mano a mano che i nodi diventano più complicati, la loro complessità si moltiplica. Il nodo più semplice, conosciuto come «trifoglio», può essere disegnato con tre soli incroci ed è unico, a parte la sua immagine speculare. Analogamente, esiste un solo nodo con quattro incroci e non più di due con cinque. Sono, invece, 165 i nodi con dieci incroci e 12.965 quelli con 13 incroci (di questi ultimi è ora disponibile il catalogo completo).

Dopo il primo grande lavoro di catalogazione dei nodi, avvenuto nel XIX secolo a opera del fisico scozzese Peter Guthrie Tait e del matematico americano C.N. Little, i matematici hanno cercato di scoprire le «invarianti», ossia le proprietà fondamentali che permettono di distinguere un nodo dall'altro. La invariante perfetta permetterebbe di distinguere qualunque coppia di nodi, ma seppure imperfette alcune invarianti danno risultati migliori di altre.

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DAL NODO AL NON NODO
Barry Cipra


Alessandro il Grande non era tipo da perdersi d'animo. Come narra la leggenda, il re macedone decise di tentare la fortuna con il mitico nodo gordiano, una robusta striscia di corteccia di corniolo saldamente avvolta intorno al timone di un carro di buoi. Si diceva che chi fosse riuscito nell'impresa di sciogliere questo nodo sarebbe stato destinato a governare il mondo (a quei tempi si intendeva la Persia). Uomo d'azione, più che di destrezza o di pazienza, il Grande Al sfoderò la sua spada - ed il resto, come si dice, è storia.

Anche i matematici moderni si occupano dei problema di sciogliere nodi, benché le loro motivazioni - e le loro tecniche - siano alquanto diverse da quelle di Alessandro. Nel corso di questi ultimi anni, i ricercatori, utilizzando due metodi differenti, sono giunti a comprendere meglio cosa comporti sciogliere un nodo.

Un nodo matematico è fondamentalmente soltanto una curva chiusa che si avvolge nello spazio tridimensionale, come un filo elettrico di prolunga che sia stato prima annodato e di cui siano state in seguito collegate le due estremità.

La teoria di queste curve a meandri è stata sviluppata nel corso di questi ultimi dieci anni. «La teoria dei nodi, per molto tempo, è stata considerata un'area di ristagno della topologia», nota Joan Birman, esperta dei settore alla Columbia University. «Adesso è riconosciuta come un fenomeno profondamente radicato in molte aree della matematica». E non è soltanto la matematica il campo in cui la teoria dei nodi sta conquistando un ruolo sempre maggiore: i biologi molecolari, ad esempio, la stanno utilizzando per districare alcuni dei segreti geometrici del DNA (vedi riquadro).

Uno dei problemi chiave della teoria dei nodi, è quello di stabilire se un nodo può essere deformato in un altro - in particolare poter stabilire quando un dato nodo è realmente annodato. Questo può apparire un problema semplice se non addirittura banale, ma si rivela difficile come una lenza ingarbugliata. La difficoltà maggiore è che vi sono infiniti modi di deformare un nodo e, per dimostrare che due nodi sono diversi, è necessario arrivare a escluderli tutti.

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Pagina 405

MORFOLOGIA DEI NODI
Roberto Di Martino


Il «nodo», in questo articolo, è considerato nella sua accezione geometrica di vertice, cioè di punto comune ad n>1 spigoli di una figura piana o tridimensionale. Non ci occuperemo quindi dei nodi formati dall'intrecciarsi di una o più curve nello spazio, ma di quei punti che sono il luogo di incontro di una o più linee appartenenti ad una qualsiasi figura geometrica.

Il contenuto di questo lavoro è l'esposizione di una ipotesi di costruzione, e quindi di classificazione, di alcune famiglie di figure piane nelle quali i vertici-nodi, reali o potenziali, giocano un ruolo centrale. L'interesse di questa congettura è essenzialmente di carattere morfologico, non ha pretese di rigore in senso strettamente geometrico-matematico ma tenta, facendo uso degli strumenti di queste discipline, di individuare analogie tra forme.

Il tentativo di spiegare una forma può essere considerato un obiettivo comune a tutte le scienze dell'uomo; mutano i campi di interesse ma in ogni disciplina ritroviamo il desiderio di spiegare, ricorrendo al numero minore possibile di concetti, le forme con cui la realtà si presenta ai nostri sensi, siano esse fenomeni, oggetti materiali o concetti. In ogni ambito troviamo strumenti di indagine che sono specifici di quella disciplina, affiancati ad altri che sono di portata più generale e a cui proprio questa natura metalinguistica consente «trasferimenti» significativi. La geometria è senz'altro un linguaggio di questo secondo tipo.

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Pagina 426

IL DISEGNO DEL NODO
Giuseppe Di Napoli


«Papà mi fai vedere come si fa un nodo?»

Intorno ai quattro anni mio figlio cominciava a volersi allacciare le stringhe delle scarpe da solo, ma per la sua età questo esercizio presentava non poche difficoltà, relative tanto alla pressione interdigitale, quanto alla capacità di sapere visualizzare la sequenza dei ripiegamenti che le due cime della stringa dovevano compiere nello spazio.

La domanda era stata comunque posta in modo pertinente, infatti, prima di provare a fare un nodo occorre saperlo «vedere», occorre cioè saperne visualizzare nella mente la forma e pre-vederne, secondo un preciso ordine temporale, la complessa serie di movimenti - tutti essenzialmente curvilinei - di passaggi e di coordinamenti mano-occhio che ne consentono la realizzazione. Anche se l'arte dei nodi ha avuto origine dalle mani di marinai che non sapevano né leggere né scrivere, costretti, per lunghissimi periodi, all'isolamento e alla solitudine della vita di bordo, le difficoltà principali, che la realizzazione di un nodo presenta, non dipendono soltanto dall'acquisizione di un particolare livello di «abilità fine», come generalmente si è disposti a credere, ma sono anche di natura percettiva.

Al primo colpo d'occhio ciò che ci colpisce di un nodo, infatti, è proprio la sua forma. Come è noto la percezione della forma attiene un piano intersensoriale; è comune cioè tanto alla percezione visiva quanto a quella tattile e aptica più in generale; essa dunque, in quanto oggetto di un'esperienza in condomio tra l'occhio e la mano, costituisce di per se stessa un «nodo» cognitivo.

(...)

Ciò che rende utile la corda, e le consente di svolgere innumerevoli lavori, è il nodo; una corda, infatti, che non si annodi, non serve a niente. E' nel nodo che la corda racchiude tutte le sue funzioni, sia pratiche sia simboliche: nel nodo la corda vive, lavora e comunica.

«Lo scopo di un nodo» - sostiene Clifford W. Ashley, nel suo Il grande libro dei nodi (Rizzoli, Milano 1989) - «e il modo di eseguirlo non sono meno importanti del nome e dell'apparenza».

La peculiarità di questo libro è quella di essere fittamente disegnato dall'autore; contiene infatti ben settemila illustrazioni. Le ragioni che, hanno indotto l'autore a preferire il disegno alla fotografia risiedono proprio nel fatto che il disegno, tra i diversi vantaggi che annovera, consente di far-vedere, subito e senza possibilità di confusione, qual è l'estremità «corrente» della corda, rispetto a quella detta «dormiente», perché resta ferma; cosa questa impossibile da ottenere con la fotografia.

Come il nodo, anche il disegno si basa su di un elemento filiforme, la linea-corda, la quale con le sue infinite possibilità ci consente di configurare e di descrivere tutti gli aspetti di una forma e tutte le sue fasi di formazione.

E' significativo a tal riguardo rilevare che, pur essendo la corda un oggetto tridimensionale, dotato cioè di spessore e di matericità - proprietà esperite direttamente dalla tattilità e dalla prensilità della mano - si tende a rappresentarla mentalmente e graficamente sottoforma di linea; ciò dipende dal fatto che questa «riduzione» alla sua essenza lineare consente una più agevole comprensione della forma del nodo. La corda, dunque, viene tendenzialmente «vissuta» come l'elemento curvilineo, che scorrendo tra le mani avvolge con le sue spire lo sguardo alle dita: lega l'occhio alla mano.

Del resto la parola «linea», non a caso, deriva dal termine latino linum, cioè dal filo di lino con cui si legavano i rotoli dei volumina. Tenuto conto poi che la forma del nodo è dominata dalla curva e che l'intrigo spazio-temporale delle sue volute si avviluppa a un notevole livello di complessità percettiva e geometrica, si comprende ancora meglio l'utilità, nonché la necessità, della tendenza alla «riduzione fenomenologica» dell'oggetto corda a elemento lineare. Quando la corda è tesa, la linea è una retta, presenta cioè la forma di una temporalizzazione dello spazio; quando invece nel nodo la corda si ammassa in un coacervo serrato di curve, essa dà luogo ad una sorta di spazializzazione del tempo: il nodo imbriglia e rallenta lo scorrere del tempo, involvendo il rettilineo nel curvilineo. Ovunque si trovi, il nodo rivela sempre la presenza di un contratto a termine tra la volontà del tempo a incedere e la capacità dello spazio a trattenere, tra la in-tensione della direzione e la estensione della massa, tra l'intensità del divenire (moto) e la densità dell'essere (stato): tutto ciò che è temporale è lineare, mentre tutto ciò che è spaziale è superficiale.

Alla rettilinea, ma monotona, tensione della corda tesa il nodo contrappone il turbamento della in-flessione, la coesività del ri-piegamento e il coinvolgimento empatico della voluta: tra le sue spire si anni(o)da il codice (Quipu) di un segreto (Gordio) che non si lascia di-spiegare. In termini puramente grafico-visivi la parola manoscritta visualizza il tracciato errabondo di una linea-linum, di un filo nero di inchiostro, che intreccia due livelli di significazione: quello relativo al modo in cui «collega» insieme le parole nella frase - codice collettivo, universale - e quello relativo al modo in cui «annoda» le singole lettere, intesse l'arabesco di una «cifra» individuale, tanto recondita quanto irriducibile; piano quest'ultimo che, purtroppo, l'avvento della scrittura digitale sta (definitivamente?) cancellando.

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Pagina 440

Da quanto è stato fin qui detto si può dedurre la seguente considerazione: il disegno prima ancora di essere un linguaggio grafico si costituisce come un linguaggio visivo; la differenza, come vedremo, non è di poco conto. Più che un problema tecnico il disegno esplicita una «maniera di vedere» le cose. Disegnare significa essenzialmente far vedere ciò che abitualmente, nella visione quotidiana, non viene mai «visto», non viene cioè mai colto e considerato come un elemento autonomo e dotato di una sua specifica visibilità. Nessun genere di disegno, come abbiamo visto, si limita alla mera riproduzione delle cose visibili, così come esse ci appaiono nel loro «plenum visivo», né, ancor meno, si riduce a imitare quelle proprietà visive che ne consentono il loro riconoscimento; perché il visibile è il luogo dei segni, è il supporto dello sguardo, e non la superficie della realtà. La funzione più perspicua di ogni tipo di disegno in generale - e che noi abbiamo tentato di analizzare nel disegno del nodo - è di elevare a «oggetto della visione» uno specifico modo di vedere, sempre mirato e selettivo, cioè finalizzato a rilevare solo quegli aspetti ritenuti essenziali e funzionari a un determinato scopo comunicativo. La forma, le strutture spaziali, i diagrammi di vettori e di movimenti, gli aspetti funzionari e costruttivi e le fasi di sviluppo costituiscono alcuni degli aspetti pertinenti quel genere di disegno che abbiamo definito normativo-operativo-tecnico; il carattere ornamentale di una forma e il suo utilizzo come modulo di un pattern attengono a un disegno decorativo; la gestualità del segno è tipica del disegno con forte carica espressiva; mentre l'utilizzo di un motivo figurativo come «nodo compositivo», in cui si concentra una elevata densità percettiva, attiene più a una funzione strutturale del linguaggio visivo in generale.

Come abbiamo potuto verificare, il disegno non si limita necessariamente soltanto a riprodurre le apparenze del visibile, ma oltre che a selezionarne alcuni aspetti e tralasciarne altri, esso essenzialmente attiene alla riproduzione delle modalità attraverso cui si danno da vedere le cose visibili e alla produzione delle modalità che consentono di rendere visibili quelle che per loro natura sono invisibili; ragion per cui si costituisce più propriamente come una «produzione di visione».

In tal senso il disegno costringe l'occhio a vedere ogni cosa con una visuale inconsueta e in una maniera molto mirata e selettiva: lo sguardo dei disegnatore è finalizzato a rilevare ciò che non è direttamente visibile, mentre lo sguardo quotidiano è finalizzato a cogliere ciò che permane costante nel flusso mutevole delle apparenze e che presentando sempre un «senso compiuto» ci consente il riconoscimento delle cose. Questo sguardo biologico è stato progettato dalla evoluzione per raccogliere con immediatezza informazioni univoche e rispondenti alle esigenze dell'adattamento ambientale, mentre lo sguardo del disegnatore ha lo scopo di rendere visibile quanto permane invisibile nel visibile.

Come il disegno, anche l'arte dei nodi è un'attività dalle caratteristiche interculturali, che unisce lo svago all'utilità, il decoro alla praticità, la creatività alla logica e la memoria al progetto. Come il disegno «lega» il visibile all'invisibile, così il nodo serra i vuoti con i pieni, costringe alla coesione la divisione, alla continuità la frammentarietà e all'unità la molteplicità: la logica interna e il fine esterno del nodo concorrono entrambi al compito di rendere salda e inestricabile la consistenza di destini contrastanti. L'assoluto rigore geometrico dei motivi decorativi e le perfette simmetrie a cui la forma del nodo ubbidisce non si contrappongono, ma si «legano» naturalmente con la ineludibile utilità dei lavori pratici che la stessa forma rende possibili.

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Pagina 442

I NODI DEL COLORE
Narciso Silvestrini


La seguente stringa di immagini e didascalie può essere suddivisa in tre segmenti corrispondenti a tre ipotesi o suggestioni.

l. L'assunzione del nodo Borromeo come diagramma di Venn può costituire un modello per visualizzare da una parte l'annodarsi progressivo, non l'escludersi, tra addizione e sottrazione dei colori, tra energia e materia, tra primario e secondario, tra la faccia del mondo e la faccia della coscienza mediate dal doppio dei sensi; dall'altra per considerare anche quello dei colori un riflesso locale del più generale sistema della logica: quella del sillogismo, del formalismo algebrico, dei predicati, dell'analisi, della storia delle logiche, del disporsi degli assiomi per i teoremi o dei postulati per i problemi.

2. La possibilità di considerare l'insieme dei colori come un «gruppo» consente di ripercorrere per altra via la costruzione dei sistemi e dei modelli cromatici intesi anche come nodi topologici.

3. Il nodo Borromeo suggerisce la possibilità di transire, anche con il colore, per le diverse dimensioni. L'uno, il due, il tre, ... l'affacciarsi un po' sgomenti sul quattro, e forse non a caso la forma del toro è anche quella del salvagente, si possono considerare come soste, come luoghi d'intersezione di un processo discendente verso l'unità ancora indivisa dei bianco o il silenzio del nero che precede tutte le genesi e dove anche si conclude, nella mortificazione, ogni esistenza. Ma poi sarà proprio questa morte, questo inchiostro, di fuoco e d'acqua, che sul bianco della pagina farà perenne e sollecita la parola.

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Pagina 461

AMBIGRAMMI E ALTRI MODI DI NODI
MarIa Sebregondi


In principio era il nodo di parole, anzi le parole erano nodi. E un po' dì questa origine annodata è rimasta nel loro modo sinuoso di proporsi. Negli ambigrammi, che sono scritture anfibiologiche, le parole continuano ad allacciarsi e a sciogliersi, inseguendo ingannevoli topologie. Come fosse di corda o di elastico, la forma consueta e geometrica delle lettere subisce trazioni, torsioni, stiramenti, contrazioni, restando tuttavia riconoscibile anche se non univoca.

Similmente alle figure ambigue, gli ambigrammi sono parole che variano al variare del modo di osservazione. Per patecipare della loro doppiezza, occorre solo far vibrare il cristallino fra due estremi appena sfiorati, in un misto di passività e attività, abbandono e collaborazione. Tirare i fili delle lettere, ma non troppo. Fatevi risucchiare da un nodo che si stringe, ma senza restarvi impigliati. Lasciate allentare le forme delle lettere in movimento, ma fermatele un attimo prima che si disfino.

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I NODI ALLE STRINGHE
Stefano Bartezzaghi


NODI, PASTICCI, BISTICCI

Quando non si trovava in conversazione con una bambina, il reverendo Charles Lutwidge Dodgson (1832-1898) era affetto da balbuzie. Dodgson faceva il professore di matematica al Christ Church College di Oxford. Con lo pseudonimo di Lewis Carroll ha firmato Alice nel Paese delle Meraviglie e altri testi paradossali, fra cui A tangled tale, storia annodata, ingarbugliata, aggrovigliata.

In un'epoca di poco successiva, il reverendo William Archibald Spooner (1844-1930), decano del New College di Oxford, era affetto da forme di parafasia che lo portavano a inciampare in rovinosi scambi di sillabe. Annunciava l'esecuzione di un inno religioso, e invece di pronunciare il titolo «Conquering Kings» inventava il nonsense «Kinquering Kongs»; parlando di una «bicicletta oliata a puntino» (a well-oiled bycicle) inciampava in un «ghiacciolo ben cotto» (a well-boiled icicle). In un empito autobiografico, confondeva la «nostra cara Regina» (our dear Queen) con il «nostro bizzarro Decano» (our queer Dean). Questo tipo di lapsus è tuttora chiamato spoonerism.

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