Copertina
Autore Tahar Ben Jelloun
Titolo Amori stregati
SottotitoloPassione, amicizia, tradimento
EdizioneBompiani, Milano, 2003, Narratori stranieri , pag. 238, dim. 150x210x16 mm , Isbn 978-88-452-5517-5
OriginaleAmours sorcières [2003]
TraduttoreAnna Maria Lorusso
LettoreGiovanna Bacci, 2003
Classe narrativa marocchina , narrativa francese
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Indice

Parte prima
Amori stregati
L'amore stregato 7 Vittima del sortilegio 36 Mabruk interpreta i vostri sogni 67 L'uomo assente da se stesso 77
Parte seconda
Amori contrariati
Si amano 91 La moglie dell'amico di Montaigne 106 Seduzione 110 La sconosciuta 116 Pantofole 121 Il sospetto 125 Il clandestino 132 Tricinti 142
Parte terza
Tradimento
La quartina che uccide 157 L'uomo che ha tradito il suo nome 164 Usurpazione 173 Il bambino tradito 189
Parte quarta
Amicizia
Genet e Mohamed o il profeta che risvegliò l'angelo 197 Naïma e Habiba 211  

 

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Pagina 7

L'amore stregato



Najat mi ha chiesto di raccontare questa storia a voce bassa e, se possibile, con una luce flebile. Ha osservato che sarebbe meglio aggiungervi un po' di umorismo e di fantasia: i fatti ne sono carenti. Ma perché a voce bassa? Perché in Marocco abbiamo la fastidiosa tendenza ad amare il rumore, o quanto meno a fare rumore senza preoccuparci del fastidio che può provocare; ce ne infischiamo del vicino che reclama un po' di silenzio per riposarsi dopo una lunga giornata di lavoro o subito dopo il malessere lasciato da un litigio con la moglie che gli chiede di prendere posizione nella discussione con la cugina che le ha preso in prestito il caftano rosso ocra, lo ha sporcato e glielo ha restituito senza farlo lavare...

La nonna di Najat ha passato la sua giovinezza in un quartiere spagnolo a Melilla, e nota che i marocchini urlano più degli spagnoli - cosa non facile. Questa mania di fare baccano è segno di uno squilibrio, di una debolezza. Si grida invece di riflettere. Ci si agita invece di agire.

Per Najat, troppa luce è come troppo rumore. Ma come si fa a raccontare la sua storia con dolcezza, senza innervosirsi, senza urlare? Mi ha detto:

"Mettimi in uno dei tuoi romanzi, non nel tuo letto."

Dopo, si è corretta:

"Voglio dire: sarei contenta se tu coprissi il mio corpo di parole, se mi avvolgessi nelle tue frasi lunghe e articolate, se io potessi diventare uno degli oggetti della tua immaginazione... visto che non sei libero, non vuoi figli, mentre io cerco un uomo disponibile che sia un buon marito e un buon padre di famiglia, non un artista."

Si è seduta in un caffè in cui le sole donne che entrano sono prostitute e ha aperto un pacchetto di sigarette.

"Posso fumare? Sono con te, non sarò scambiata per una prostituta; sai... oggi le ragazze che vendono il loro corpo non si distinguono più da quelle serie. Non sono neanche sicura che quello che queste ragazze così attraenti fanno possa essere detto prostituzione. Vanno a letto con uomini che fanno loro regali, tutto qui. Dovranno pur comprarsi vestiti alla moda, mettersi profumo di qualità... Spero che si proteggano, se no è una tragedia. Ma non è per questo che sono qui; come ti avevo detto, ho una storia per te.


Najat ha trent'anni, i capelli neri, la pelle scura e gli occhi verdi. È nata in un giorno di piena. Suo padre l'ha chiamata così per ricordare che il suo arrivo al mondo ha salvato la città, minacciata da fortissime piogge. Najat vuol dire infatti "colei che è stata salvata". È la più grande di cinque figli. Il padre è gioielliere, la madre sarta. Najat è insegnante di francese in un liceo di Casablanca. Non è sposata e fa fatica a trovare un appartamento da affittare. Le agenzie immobiliari la pregano di non insistere:

"Sa quale tipo di donna va a vivere da sola? I proprietari non amano le donne nubili."

Così vive dai suoi genitori, aspettando.

Come può essere che una bella ragazza come Najat sia sola?

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Pagina 40

Uscendo dal ristorante Anwar vorrebbe vomitare. Cammina trascinando i piedi, arriva nei bagni dell'università, che sono in uno stato di sporcizia rivoltante, si ficca le dita in bocca e sputa tutto quello che ha mangiato. Si sente meglio, l'emicrania è meno forte. In ufficio, un tecnico sta smontando il suo computer.

"Povero me! Cosa fa?"

"Provo a salvare il suo hard disk."

"E allora?"

"Impossibile, è stato bruciato, è come se un cortocircuito avesse distrutto tutto. Riproverò questa notte, certe volte capita che le cose perse vengano ritrovate. Ho i miei stratagemmi..."

"Stratagemmi! Quali stratagemmi?"

"Bouazza!" "

"Chi è Bouazza? Un informatico più esperto di lei?"

"No, è un muezzin che ha un potere straordinario; legge delle cose, poi cosparge di incenso la macchina e così facendo di solito tutto torna a posto."

"Mi vuol far credere che si potrà aggiustare un computer con le parole di un ciarlatano, un analfabeta, un mago?"

"Attenzione a quello che dice, professore! Non se la prenda con queste persone, altrimenti si vendicheranno; non ne parli male."

"Attenzione! Non tutto è spiegabile, questo è certo, ma di qui a gettarsi nelle braccia di un ciarlatano, c'è un abisso, in cui io non cadrò mai."

"Diciamo che io sono più marocchino di lei."

"Cosa vuol dire essere marocchino? Vuol dire introdurre questi ciarlatani anche all'università? Vuol dire credere anziché sapere, abbandonare l'analisi a vantaggio di stupide superstizioni? Vuol dire assumere una mentalità prelogica e credere che si possano risolvere i problemi scientifici con effluvi di incenso? No, io le dico no. Mi batterò contro questa sconfitta del pensiero e dell'intelligenza. Lasci il mio computer lì dov'è, non lo tocchi ulteriormente, ed esca dal mio ufficio! Sono le persone come lei che impediscono al nostro paese di progredire e di evolvere; è questo tipo di stupide credenze che ci impedisce di entrare nella modernità; resteremo sottosviluppati anche quando il nostro livello di vita economica migliorerà."

"Questo è il suo punto di vista; io lo rispetto."

"Mi dica, prima di andarsene: quali studi ha fatto?"

"Sono un ingegnere informatico."

"Qual è l'imbecille di professore che l'ha formata, per non dire deformata?"

"Ero uno dei suoi studenti, signore."

"Cosa!? Ma come ha fatto a deragliare così?"

"Non si tratta di deragliare ma di adattarsi. Viviamo in una società semilogica, una società in cui il razionale affianca le superstizioni, la magia, la stregoneria, le credenze occulte... Non sono debole, ma ho dei dubbi sul potere della ragione. Lei stesso dice che non tutto si può spiegare; che ci sono delle zone d'ombra, cose che sfuggono alla razionalità."

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Pagina 77

L'uomo assente da se stesso



Ho freddo, la pelle mi sta incollata alle ossa, le membra tremano e ne sono contento. Vivo in un piccolo paese nei pressi di Lovanio. Il cielo è grigio. Piove quasi tutto l'anno. Qualche settimana nevica. Il riscaldamento si è rotto e non ho più voglia di farlo riparare. Mi piace la sensazione del freddo, sentire tutto il mio corpo tremare, e strofinarlo con energia perché si riscaldi un po'. In questo modo, a ogni istante, ho la prova che sono vivo, che la mia esistenza non è più fantasmatica, che i miei sensi sono vivi. In questi momenti, quando mi guardo allo specchio, mi sento rassicurato: è il mio viso che fa smorfie e che sorride, è la mia immagine che si riflette in questo oggetto che qualche mese fa mi rinviava solo un'assenza, un vuoto.

Se l'oggi esiste, se non dubito più della mia identità, è solo perché sono amato. Tutti i giorni, degli occhi grigi e teneri si posano su di me e mi ridanno vita. Evidentemente sono innamorato anch'io, ma questo non avrebbe nessuna conseguenza se non ci fosse nessuno che mi ama.

Sento il bisogno di raccontarvi la mia storia, di convincervi. Sogno di mettermi in una piazza, a Marrakesh o Fès, e di fare di ogni ascoltatore un complice, fino a che non incontrerò uno scrittore che farà della mia vita un racconto. Brucio dal desiderio di farvi entrare nella mia antica dimora, questa vecchia pelle che ha avvolto un corpo che tendeva ad assentarsi o a farsi divorare da una donna, mia moglie, che pensava di sbarazzarsi di me negandomi e rendendomi invisibile. La sua indigestione gli ha causato complicazioni fisiche e psichiche. Da quando ho abbandonato il tetto coniugale, il suo stato di salute ha continuato a peggiorare. Mi hanno detto che soffriva di costipazione acuta, che si era messa a fumare per facilitare il transito. Non solo si sente abitata da altre presenze, ma non si appartiene più. È deprivata della sua energia, dei suoi errori, della sua cattiveria. Confesso di non aver fatto nulla per consolada. È stata la mia piccola vendetta.

Ora ho ritrovato tutte le mie capacità fisiche e mentali, ho potuto ricostituire il mio corpo e il mio viso, recuperando i miei sensi, il mio humour e la mia fantasia; mi resta solo un passo da fare ancora, per tornare un essere normale: mettere ordine nelle mie notti, pulire il flusso dei miei sogni, che tendono a confondersi con la realtà e a confondere le piste. In fondo sono contento, contento perché ho freddo: significa che presto la mia amata verrà a riscaldare il mio cuore con la sua presenza. Spingerà questa porta, avvolta in un mantello nero, sarà nuda sotto il suo vestito di seta rosso cremisi, si getterà su di me e sfregherà il suo corpo caldo contro il mio, mi coprirà di baci stringendomi forte fra le sue braccia, metterà il suo naso sotto le mie ascelle per sentire il tipico odore dell'uomo, leccherà la mia pelle, e faremo l'amore con la deliziosa paura del pericolo, il terribile pericolo di essere sorpresi in questa vecchia capanna circondata dal freddo e dal silenzio della morte.

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Pagina 125

Il sospetto



Mi chiamo Mohamed Bouchaïb. Faccio il lavatore di vetri. Non sono polacco ma marocchino. Da un po' di tempo alcuni mi chiamano Moha, altri più maliziosi mi chiamano Bouche. Ridono e non so perché. Hanno sempre da scherzare col mio nome. Non sapevo che potesse essere così divertente. Sono di media statura, moro, decisamente moro, con la barba e i capelli ricci. Ovunque vada mi faccio piccolo. Sono arabo, un arabo povero, e non mi sento a casa mia.

Devo essere davvero anomalo. Mi controllano sistematicamente all'entrata e all'uscita della metro. C'è sempre un dito che mi individua nella folla. Sembra che qualcuno mi attenda ovunque io vada. Mi sono talmente abituato che mi capita di segnalarmi di mia iniziativa alla polizia per essere perquisito. Dico ai poliziotti:

"Eccomi!"

Alcuni sorridono; altri mi indicano di spostarmi. Sono diventato l'uomo standard da perquisire. La cosa noiosa è che non trovano mai niente di compromettente su di me e questo li snerva. Si irritano perché hanno l'impressione di lavorare per niente. Mi spiace per loro. In ogni caso non porterò una bomba o una pistola addosso solo perché possano avere ragione ed essere soddisfatti! Potrebbero dire, a fine giornata, tornando a casa: "Almeno uno è stato preso! Quel delinquente; stava per mettere una bomba al supermercato e lungo il cammino pensava di vendere della droga ai nostri bambini all'uscita dalle scuole!" No, non posso fare il loro gioco. Devo deluderli. Ma non è divertente neanche per me.

Detto questo, essere innocente, avere la coscienza tranquilla pare proprio che non basti; certe volte mi capita di dubitare. Dubito di me, dubito della mia famiglia, dei miei amici, dei miei documenti. Prima di uscire di casa, mi metto di fronte allo specchio e mi perquisisco da solo. Non trovo nulla. Solo vecchi biglietti della metro, un fazzoletto, qualche moneta. Mi passo la mano fra i capelli folti, come fanno loro, e non trovo né un coltello né dosi di droga. Malgrado tutto sono preoccupato. Cammino nascondendomi. Più dubito di me, più i poliziotti mi notano e mi fermano per verificare la mia identità.

Sono in regola, ovvio. Ho dovuto plastificare i miei documenti perché a forza di prenderli in mano rischiavano di finire a pezzi. Attenzione, non sono malato, sono semplicemente un sospetto ideale. Tutto è contro di me. Alla fine di una giornata di lavoro, sono nero. I vetri degli edifici parigini sono davvero sporchi. Sembra che io esca da una miniera di carbone. La mia tuta è sporca. Ho il volto tirato e gli occhi stanchi. Inoltre, la barba che porto da anni per pigrizia mi rende simile a quelli che loro definiscono "integralisti islamici". Spesso mi è stata posta la domanda: "Sei integralista?", come fosse una razza o una nazionalità. Io rispondo:

"Volete dire se sono musulmano? Sì, sono musulmano, ma ogni tanto mi piace bere un bicchiere di vino coi miei amici; non mangio carne di maiale e vado molto raramente a pregare alla moschea. Faccio il ramadan. È sacro. Anche i miei figli che hanno ormai l'età per digiunare lo fanno. È obbligatorio, è la nostra religione, non facciamo male a nessuno. Non prego tutti i giorni ma faccio il ramadan. Prima di arrivare in Francia non conoscevo la parola 'integralista'. Credo di averla sentita per la prima volta alla televisione."

Quindi sarei sospetto perché sono musulmano o perché non sono bello? Dicono che portiamo la barba per far loro paura. Ho la faccia di uno che vuol far paura? Forse sì! E strano, più ci faccio attenzione, più mi preoccupo del mio aspetto, più attiro l'attenzione dei poliziotti. Dicono: "Questo non è pulito!" Ma chi è pulito? Una persona bianca e ben vestita? Di quale colore bisogna avere gli occhi per essere puliti?

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