Copertina
Autore Tahar Ben Jelloun
Titolo Lo scrivano
EdizioneEinaudi, Torino, 1992, Nuovi Coralli 460 , Isbn 978-88-06-12600-1
OriginaleL'écrivain public [1983]
TraduttoreEgi Volterrani
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe narrativa marocchina
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Pagina 37 [ Fès ]

Ogni città natale trattiene nel suo ventre un po' di cenere. Fès mi ha riempito la bocca di terra gialla e di polvere grigia. Una fuliggine di legno e di carbone si è depositata nei miei bronchi e ha appesantito le mie ali. Come amare questa città che mi ha inchiodato per terra e per tanto tempo ha velato il mio sguardo?

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Pagina 125 [ vita, interrogarsi, radici, fuga, volto ]

Non riesco a star fermo. Ma sono anche stanco di correre e di scavalcare da una terrazza all'altra. Sogno di abbandonare quest'uomo sempre di fretta per ritirarmi vicino a una sorgente sulla costa di una montagna a inventarmi la vita. Ma ho paura che una volta sul posto perderei di vista la ragione di quel sogno e mi annoierei molto. Dunque continuo a spostarmi e a interrogarmi, dovunque vada, sullo stato delle radici.

Uomo impaziente, amante frettoloso, facevo l'amore correndo, in una fuga continua. In questa traversata, mi capita ancora di scegliere un volto e di ricordarmi dell'emozione che mi aveva dato.

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Pagina 175 [ Tangeri, ombra, doppio ]

Tangeri è cosí: un libro non concluso. Una città senza famiglia, senza focolare, abbandonata in balia di briganti dal cuore tenero, lasciata a se stessa, in una nudità conturbante ed equivoca, presa nell'ambiguità di una notte senza fine, e intorno al collo, proprio per burlarsi di quelli che si prendono sul serio, porta una sciarpa di seta color malva, che sventola nell'aria. Sono tornato in questo posto per mettere ordine in una vita che non ha grandi certezze. Ma ho freddo e non oso aprire questo quaderno azzurro - una sorta di lunga lettera scritta sotto i miei occhi tra Khania e Atene. Perché mai rientrare in patria senza avere ascoltato la voce della donna amata? Le ho detto: «Rientra a Xios, la tua isola natale; io torno sui miei passi». Mi sento braccato dall'ombra che fa il mio stesso corpo; in realtà non è altro che l'ombra di una fragile sagoma che mi insegue, si appoggia sulle mie spalle e parla, mi detta quello che devo scrivere. Il problema del doppio sarebbe semplice e persino facile se si presentasse a noi con la faccia del sogno e la voce dell'assente. Ahimè, nonha né voce né volto, ma l'immensa presenza ingombrante e perversa, di sè.

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