Copertina
Autore Stefano Benni
Titolo La traccia dell'angelo
EdizioneSellerio, Palermo, 2011, La memoria 863 , pag. 106, cop.fle., dim. 11,8x16,7x0,9 cm , Isbn 978-88-389-2576-4
LettoreSara Allodi, 2011
Classe narrativa italiana
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Indice


La traccia dell'angelo

Parte prima

Natale 1955                               11
Morfeo, trenta anni dopo                  22
La libertà dell'angelo                    30
La fine di Giobbe                         34
La cena                                   41

Parte seconda

Molti anni dopo                           49
La macchina magica                        55
La via dell'inferno                       61
La camera 412                             72
La notte                                  82
Gli ultimi giorni di Morfeo               87
La voce dietro la porta                   93
L'ultimo incontro                        101


 

 

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Pagina 11

Natale 1955



L'unico modo per non temere la morte è non pensarla e non crederle. Voltarle le spalle, anche se lei è ovunque, e non puoi voltare le spalle a ciò che è ovunque. Puoi voltare le spalle al deserto? Uno dei misteri della morte è proprio questa nostra follia: tentare di non temerla.

Il piccolo Morfeo a otto anni non credeva alla morte, era un argomento dei grandi che li rendeva loquaci e confusi, non l'amavano, ma ne parlavano sempre, ossessivamente, come di una persona viva che mancava. Magari odiosa, insignificante, malefica, ma era stata tra loro.

Così Morfeo viveva l'età meravigliosa dell'infanzia senza morte, dove la morte è nascosta ma non parla e non si fa vedere. Sta nascosta, come il teschio sotto la pelle del viso, oppure è un gatto spiaccicato sulla strada, una bistecca ridicola. Ma sul teschio il ghigno resta uguale, nei secoli, nelle bare, negli ossari, nelle fosse comuni. Denti, denti che vivono più dei nostri begli occhi o della nostra incantevole voce. Appena la morte dal sorriso indistruttibile ti parla, e ti tocca la spalla, l'infanzia è finita.

Era l'anno, ma che importa la data? Era un vecchio Natale del paleozoico precellulare, degli abeti non ancora vittime ecologiche, e nevicava come nei western di una volta. Nevica anche ai giorni d'oggi, però senza arte, ed è subito titolo per telegiornale, non mutamento di stagione. Morfeo passava quel lieto giorno nella casa dei nonni, da anni adibita a questa festività: una villetta sui colli tra pioppi e cipressi, un caldo rifugio dove solo quell'anno erano arrivati acqua e luce, quindi termosifoni e lampadine. Il primo strabiliante Natale di Morfeo senza lampade a petrolio e senza necessità di un focolare. Ma il camino era acceso secondo tradizione, e c'erano le candele, francescane sorelle, al posto delle lampadine mondane.

Mi piace il lume di candela, pensava il ragazzo, seduto sotto a una finestra, che incorniciava un paesaggio collinare e nevoso, mangiando noccioline e fichi secchi, aspirando l'odore di bosco dell'albero di Natale, verde ombrello del gelo, totem pagano degli aborigeni occidentali. Aspirava l'odore degli aghi di abete e delle candele colanti stille di neve calda. Guardava, fracassando sarcofaghi arachidei, i Babbi Natale di cioccolata, dolci cadaveri impiccati ai rami, e i festoni argentei e le luminarie variamente intermittenti, prodigio di modernità. Oltre alle palle preziose come gioielli, scelte ogni anno due alla volta al mercatino della fiera di Santa Lucia, e in cima a tutto il puntale, radioso come uno scettro, raffigurante un angelo d'argento con le ali aperte.

Guardava i pacchi sotto l'albero che allora erano un decimo di quelli di adesso e non erano per il novanta per cento inutili, come parole d'amore buttate via. E già un po' sonnolento cercava di capire quale tra i pacchi contenesse, oltre al torrone di ordinanza, il suo regalo personale: i soldatini smontabili Swoppets, marca rara, dono pregiato quale mai fu Gormito o Winx o Pokemon.

Quanti ne avrebbe ricevuti? Forse tre, forse quattro, il fuciliere sdraiato, l'indiano minaccioso pronto a estinguersi, il pistolero nero in posa da fotografia, magari un bellissimo guerriero apache a cavallo.

Guardava sua sorella che si rimpinzava di torrone con l'apparecchio dei denti che scrocchiava come un meccanismo bellico.

Il nonno rigonfio di un tris di tortellini che succhiava lento e implacabile con l'unico dente, mentre ormai tutti erano alla frutta. La madre dal viso magro e itterico e gli zigomi a punta, secca e dolente come se la fame della guerra non l'avesse mai abbandonata.

Il padre Giobbe seduto davanti al camino che fumava nazionali mollicce fino all'ultimo residuo di cicchino.

Lui sì era uno che pensava sempre alla morte.

Del suo battaglione di soldatini veri ne erano morti la metà, li conosceva tutti e tossendo ripeteva: caro Morfeo fortunato te che non farai la guerra, tu non sai quante cose brutte ti saranno risparmiate e parlava di buchi nelle pance e spasimi e di un tedesco impiccato a un albero.

E Morfeo immaginava il crucco, dondolante come il Babbo Natale di cioccolata appeso all'abete.

Nonna Adele, vetusta tartaruga con lo scialle odoroso di canfora sulla poltrona a rotelle, guardava tutti con odio e benevolenza.

Lei era due persone, un centenario minotauro, la metà di sopra dolce, la metà di sotto cattiva inchiodata sulla sedia a rotelle.

E mamma disse: e ora una sorpresa, zio Pupo ci ha mandato il dolce: la cicerchiata abruzzese. Che palle, si pensò all'unisono.

Ma la sorpresa non fu quella.

Fu amara, improvvisa, inattesa, come una raffica di neve gelida.

Fu comare morte che saltò nella stanza e si strappò la pelle dal teschio, saltando addosso a Morfeo nella sua notte più felice.

Morfeo sedeva sotto la finestra nevosa, e lì lo attendeva un maledetto destino. Poiché il destino non conosce feriali e festivi né vacanze natalizie. Una persiana, pesante come una bara, incardinata alla parete da moltissimi anni, decise che era stanca della vita, si staccò, e colpì Morfeo in mezzo alla testa. Un colpo tremendo, un urlo in tutta la casa, e il ragazzo svenne.

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Pagina 41

La cena



Una sera tranquilla pochi anni dopo.

Eccoli tutti a celebrare il compleanno di Morfeo, i nostri gai ex giovani non ancora decrepiti.

Morfeo, ingrigito e con l'aria malinconica dei festeggiati.

Angedia sua moglie, anche se vivevano separati, coi capelli color topo triste, sempre pallida ma non rassegnata, in caccia dell'uomo speciale che l'avrebbe portata dentro una telenovela.

Il figlio principino un po' annoiato perché i discorsi dei grandi erano più ascoltati dei suoi e invece lui si sentiva più saggio, anche se aveva cinque anni.

La sua mini-fidanzata Giuly, con un bel sorriso del sud.

Il padre di Giuly, Orio, psichiatra silenzioso e barbuto, parlava poco ma era attento a tutto.

Pompeo, ex direttore della radio libera Moby Dick, appena chiusa e poi trasformata nella radio del sindacato, che ogni notte in ore e ore di droga e poesia e trasmissioni incitava a resistere, credete alla balena, questo governo non durerà, ancora pochi anni e lo vedrete crollare. Invece sarebbe crollato lui di overdose, dopo aver lasciato un manoscritto di seimila pagine di cui si sono perse le tracce.

Piccozza. Ex operaio, sempre attivo, mani d'oro, compagni, qua c'è poco da parlare e molto da fare. E lui era uno dei pochi che faceva.

Vincenzone, che parlava sempre di calcio e politica e ripeteva con voce baritonale che bastava trovare la tattica giusta per vincere in tutti e due i campi, fare gol e vincere le elezioni, e intanto rideva e mangiava come un toro.

Il maestro Carlini che aveva capito tutto ma ci guardava con compatimento e non ce lo spiegava.

Sandro, mite e fragile, esperto di musica, che avrebbe fatto la stessa fine di Jeff Buckley, annegato in un fiume di primavera.

Giobbe non c'era, da tempo non usciva di casa con la sua mano bruciata rossa come uno zampone e il ricordo di quel ridicolo terribile giorno. E neanche la madre.

Poi c'era, seduta con loro, una ragazzina bionda che non aveva mai parlato. Però, per qualche strano motivo, attirava gli sguardi di tutti gli occhi.

- Chi sei, ragazzina? - chiese Sandro.

- Mi chiamo Eleonora, ma mi chiamano Elpy o Elpis e sono la sorella...

- La sorella di chi?

- Di Diangela, di Angedia, di voi tutti... - rise la bambina.

- Sei una specie di sorellastra? Adottata?

- Perché vuoi saperlo? Non vuoi che io stia qui?

- No no, non dico questo - rispose Sandro. - Ma...

- Allora mangia e stai zitto... - concluse la bambina.

- Mah - sbuffò Carlini - quanti misteriuzzi...

- Lasciatela in pace - disse il principino.

E tutto finì lì. Ma Morfeo pensò che la ragazzina sorridente sarebbe tornata nella sua vita. E Orio le cinse le spalle con affetto.


Al centro del tavolo Gadariel, l'angelo cattivo, troneggiava. Dimesso da poco da una comunità terapeutica, era tornato per ricordare che dopo trent'anni niente era cambiato, le ingiustizie erano le stesse, i padroni gli stessi, le medicine le stesse, e provocava parlando a alta voce: siamo tutti intossicati, drogati, incatenati. Siamo ancora nel vecchio padiglione delle urla e delle botte, magari adesso ci metteranno qualche immigrato in più. Ma il dolore è rimasto. C'hanno costruito sopra sette piani e di notte da sotto terra ancora le urla dei malati fanno tremare i muri.

Incontrollabile, grasso, sporco, con tutta la sua rabbia intatta, urlava:

- Come va Morfeo? Si fa ancora la rivoluzione?


Morfeo aveva passato i quarant'anni, con Angedia si erano separati, ma intanto era nato un miracolo, un amore totale per il figlio principino, che viveva con lui, ed era la sua gioia, il dono che riscattava ogni pena, e che amava di amore ansioso e protettivo, ma vero.

Solo in questo era capace di sacrifici, solo qui si spezzava il suo egoismo. Ora era riuscito a pubblicare due libri, scriveva sui giornali, recitava, stava nel gioco delle invidie e dei riti della letteratura.

E aveva dimenticato la parola epilettico. Ma lavorava sempre di notte. Ore di scrittura solitaria, colleghi alcolisti, cene alle quattro di notte. Sballò, non dormiva più.

Una notte crollò per strada, lo portarono al pronto soccorso.

Collasso convulsivo da esaurimento nervoso, diceva il referto, si consiglia visita specialistica. La vecchia parola epilessia tornò come non fosse passato neanche un giorno. Provò a farsi ricevere dal dottor Poiana, ma non ci fu nulla da fare. Gli scrisse, tramite Diangela riuscì a fargli avere una lettera.

Ebbe un biglietto di risposta:

«Confermo la mia diagnosi, lei è un pazzo che non si è voluto curare, non è esaurimento nervoso, è ben peggio, è la sua epilessia congenita. Lo pensavo allora e non cambio idea. Si metta sotto controllo di farmaci e se dovesse avere altri attacchi, non si rivolga a me ma al dottor Ossicino».

Già, il timido Pietro Ossicino.

Aveva servito Poiana con odio e devozione, e in quel periodo era in crisi, lo avevano appena trombato per una promozione a primario. Ricordava solo vagamente il caso. Così si comportò come un Poiana dubbioso. Non prenda antiepilettici, prenda questa benzodiezepina, è il medicinale più venduto in Italia, metà dei patrioti lo prende, e neanche sa cos'è.

Era una confezione bianca, rassicurante e in effetti all'inizio funzionò. Non c'era scritto:

Prendere tre mesi e poi smettere.

Solo qualche accenno alla dipendenza, in minigeroglifico nel bugiardino. Così Morfeo raggiunse ciò che noi possiamo chiamare equilibrio, oppure divenne intossicato e dipendente senza pensarci. Visse con la scatolina portapillole sempre in tasca. Pensava che la chimica gli era amica, e non si sentiva in pericolo. Come il vecchio ricordo della morte. Morfeo, ricordi, quando eri seduto sotto la persiana e il mondo era solo vita?

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Pagina 74

- Capisco il tuo disagio Morfeo - disse Elpis, mentre aspettavano davanti alla porta della camera che gli inservienti rifacessero il letto. - Ma guardala sotto questo punto di vista:

Non sei mai entrato né mai uscirai da qui.

È un trucco di cui l'uomo non si rende conto. Questo ospedale è il mondo, lo stesso mondo di prima, anche se ora non lo riconosci più. Il mondo è un enorme ospedale.

Tutti cerchiamo di guarire, di non soffrire troppo, di uscirne vivi ancora una volta, di cambiare qualcosa per sempre.

Chi ha soldi può credere che potrà guarire dal mondo in fretta, comprerà ogni primario, medicina, privilegio e comodità, entrerà nella camera lussuosa, si sdraierà sul letto a baldacchino. Si illuderà che nessun virus potrà entrare lì dentro, e se entrerà verrà stanato e ucciso in fretta. Ogni dolore che entrerà in un attimo uscirà. Sarà presto deluso. Soffrirà come gli altri, non c'è moneta per guarire dal mondo.

Il povero invece dovrà subito subire le solite umiliazioni, il dolore vorrà seguirlo anche in ospedale, come un maligno servitore. Continuerà a ripetere, che è ingiusto, perché la sfortuna tocca sempre a lui? Non c'è posto, lo cacciano, non riesce neanche a entrare nella stanza della guarigione. Muore davanti a una porta chiusa. Oppure talvolta entra e incrocia la bara del ricco che ci è appena morto. Un breve sollievo, ma il dolore è fuori, lo ha aspettato con pazienza.

Sì, Morfeo, come già un po' hai capito e come imparerai, l'ospedale è un luogo sacro: in esso dovremmo essere esempio per tutti. Ogni bravo medico dovrebbe dare l'ultima goccia di sangue per guarire il malato, venticinque ore su ventiquattro. Ma pochi sono così: gran parte dei medici continuerà a pensare solo a quello che farà una volta uscito da quella faticosa stressante battaglia. Ha moglie, figli, che lo aspettano, una casa che ha un numero sulla porta, proprio come il numero della stanza. La sua dimora, il suo rifugio. È umano, un umano che cura umani.

E l'economia del mondo della cura è la stessa dell'ospedale: chi vuole il bene di tutti e chi vuole soltanto guadagnare. La terza industria del mondo, dopo le armi e il petrolio. Non ti senti orgoglioso di far parte di questo grande mercato?

Siamo tutti scampati, e tutti condannati. La grande clinica bianca del mondo sospesa nell'universo ha un solo destino. Che tu creda in Dio o nel bisturi o nei sonniferi.

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Pagina 97

Una notte, in casa sua, entrò una nuova infermiera, strana e silenziosa. Sembrava straniera. Giunse all'ultimo momento e sedette sul divano, nel buio.

- Buonanotte - disse - chiamami se hai bisogno.

Morfeo capì che era Elpis. Era lei che per una notte guidava i suoi sogni.


- Così sei venuta tu...

- Beh non c'è tanta differenza tra un angelo e un infermiere. O una body-guard. Sì stasera veglio su di te, bambino mio, ma non chiedermi quando tornerò.

- Lo so. Ho capito cos'è un angelo. Posso vedere la sua traccia, ma so che non posso raggiungerlo, che le sue orme finiscono nel nulla. Ho imparato la lezione?

- Proprio così - disse una voce bassa e roca.

- Gadariel - disse Morfeo turbato - cosa fai tu qui.

- Vuoi lasciarmi fuori dai tuoi sogni? Vuoi sognare solo cose belle?

Vuoi solo angeli obbedienti e vendicativi o anche angeli ribelli? Vuoi pregare o bestemmiare? Sei libero di farlo durante il giorno, figuriamoci la notte.

- Gadariel, perché ti sei ucciso, perché lo hai fatto?

- Se si va in battaglia, è previsto che si muoia. Eravamo a migliaia, quel giorno in fondo ai secoli, il cielo era pieno di ali. Ci siamo battuti per un giorno e una notte. Una goccia ancora in più chiedevamo noi, un po' più di pietà per gli uomini. Ma gli altri angeli erano più numerosi, e fummo scacciati. E ci chiamarono ribelli, qualcuno anche diavoli.

Ma a loro, i vincitori, è riservato poco, accogliere preghiere.

Noi invece viviamo meravigliosamente in mezzo agli uomini, soffrendo con loro. E non farmi domande su Dio.

Morfeo disse dietro gli occhi chiusi:

- Non so se è un sogno e non mi interessa. Mi fa piacere potervi avere ancora vicino nella mia fantasia. Immaginiamo che questa sia l'ultima pagina del libro, l'ultima versione. Morfeo, Elpis, Gadariel fanno il bilancio delle loro vite, e sono felici perché hanno lasciato qualcosa, la goccia in più che fa andare avanti il mondo.

Ma il libro continuerà sempre e le storie devono continuare.

Elpis tu sei vera e quando sarò guarito, nascerà l'amore tra di noi.

Oppure io ti amerò e tu no, ma avrò un amore a cui pensare.

Gadariel, tu sarai un simbolo per ogni lotta politica e in tuo nome e nel tuo esempio tanti combatteranno, anche Roby uscito da quella prigione.


Oppure non è fantasia, siete davvero angeli.

Io non guarirò, morirò, seguirò la vostra traccia, e mi unirò a voi.

Oppure guarirò, e verranno altre storie.


Vi devo ringraziare perché pensando a voi ho immaginato qualcosa che non era solo paura, medicine e dolore.

Ci sarà una nuova battaglia nell'alto dei cieli, questa volta gli angeli ribelli vinceranno e ci sarà una goccia in più di pietà per gli uomini.

Due gocce invece di una.

Le industrie farmaceutiche verranno dirette da angeli che spenderanno il novanta per cento dei guadagni nella ricerca scientifica di gocce medicinali che non danno dipendenza e nuovi portentosi elisir per farci vivere centoventi anni andando in bicicletta ogni giorno. E non solo i ricchi.

Ma poiché l'età media è già sopra la media, meglio pensare: la vecchiaia non sarà vinta, ma le sarà data dignità.

La giovinezza avrà speranza e esempi.

Gli ospedali saranno pieni di piante e fiori.

E tutti dormiranno bene, o se staranno svegli, dipingeranno girasoli, aggiusteranno un rubinetto, faranno conversazione.

Nasceranno molti amori tra insonni.

- Giusto - disse Elpis, aprì il sipario delle ali e Gadariel scomparve dentro di esse - ora bisogna accettare il destino, ragazzo mio.

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