Autore Giuseppe Berto
Titolo La gloria
EdizioneMondadori, Milano, 1980 [1978], Oscar narrativa 247 , pag. 206, cop.fle., dim. 11x18,5x1,4 cm
Classe narrativa italiana












 

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Pagina 19

1. Mai, in nessun momento della nostra dura storia, servitù d'Egitto o di Babilonia, travagliato cammino verso la terra promessa o mortale guerra di Saul contro il popolo dei filistei, mai eravamo stati così smarriti e divisi, mai le nostre anime tanto cascate nella polvere e sovrastante l'ombra della morte.

Perché dormi, o Signore? Perché la tua faccia distogli, la voce non fai sentire? Quale la colpa?

Il re dei giudei prendeva autorità da Roma, dall'alto della Torre Antonia i soldati di Cesare dominavano il Tempio, il suono dei loro corni – oltraggio e monito – colpiva il monte di Sion. Eravamo la favola degli infedeli, la testa scossa delle genti, vituperio per i nostri nemici.

E tuttavia non era grande il cordoglio. Sommo sacerdote e sinedrio concordavano col procuratore idolatra le cose da farsi, per averne vantaggio, proteggere il popolo, dicevano, non dovendosi dare all'occupante occasione d'infierire. Dove la tua potenza? Dove le gesta compiute nei giorni antichi? Scribi e farisei discutevano, con vacuità e avvedutezza, sull'essenza della Legge, se dovesse prevalere la lettera sullo spirito o viceversa, o una prudente mescolanza. Carovane passavano per l'Oriente e dall'Oriente verso Giaffa e Cesarea – i porti di Roma – e i mercanti facevano affari, non rispettando neppure i luoghi sacri. Le fanciulle cantavano Dio per noi è rifugio e forza, soccorso sempre pronto nelle sventure, ma erano le loro voci a cantare, non i loro cuori. Il popolo andava da un giorno all'altro, in pittoresco guazzabuglio, esercitando i numerosi mestieri coi quali comunemente sopravvivono i poveri, anche il furto, s'intende, e la prostituzione, e peggio.

Gli zeloti invece, gioventù migliore e irrequieta, dicevano il silenzio dell'Eterno – da quattrocent'anni durava – essere prossimo a finire, prossimo il suo sterminio di chi ci opprimeva e scherniva, propugnavano resistenza e ribellione, segretamente tenevano accesi gli animi e affilati i pugnali, ma tutto sembrava poco verosimile. Ogni tanto i romani ne arrestavano qualcuno – comune delinquente – e lo mettevano in croce, senza che si sapesse bene come fossero riusciti a prenderlo. Per delazione, si susurrava, e lo sporco sospetto si annidava ovunque. Tradimento, parola destinata ad un più alto termine.

Del Libro, com'è ovvio, si parlava dappertutto con sapienza, delle promesse fatte dall'Eterno nostro Dio al suo popolo scelto e benedetto, delle lusinghe e delle minacce, dell'ormai imminente venuta di qualcuno – Elia, Profeta, Messia – che avrebbe sciolto tutti i nostri nodi e tormenti, ma si aveva l'impressione che si trattasse d'un vuoto parlare, che la fede fosse più che altro esercizio retorico o abitudine stanca, all'esile aspettazione del regno si mescolava la suggestione degli idoli – il tenace rimpianto del vitello d'oro, la nuova seduzione dei molti dèi che confortavano gli occupanti – e insomma era anche possibile temere che Israele fosse una minuscola e labile nazione dello sconfinato impero dei romani, destinata a diventare provincia, senza civiltà propria, senza un proprio Dio. Chi era stato a Roma raccontava con meraviglia e apprensione di folle e legioni, di spettacoli e riti, di grandiosità e splendori in confronto ai quali quel che noi eravamo come numero e altezza appariva, nel silenzio dell'Eterno, ridicola cosa, di cui era lecito a coloro che ci stavano intorno, e sopra, farsi beffe e scherno.

Difficile fede, la nostra, e molti figli d'Israele erano, nel presente, lontani dal loro Dio, poco fedeli al patto.

Questo in Gerusalemme, la santa.




2. Altrove, nella Giudea e Galilea, in tutta la breve terra dove l'Eterno nostro Dio s'era compiaciuto di collocare il suo popolo per abitare con esso, la grandezza di Roma non trovava cosa con cui misurarsi, i soldati di Cesare non si spingevano in regioni tanto prive di significato, né vi arrivava il suono dei loro corni. Lì la gente, vivendo fuori dalla storia ma dentro il dolore di vivere, non poteva distrarsi dal credere, stavano in più fervida attesa di Colui che il Libro diceva sarebbe venuto, pregare insieme era il loro modo di chiedere e aspettare, sconfinata umiltà e ancor più sconfinata superbia stavano nel loro rapporto con l'Eterno, e tuttavia non arrivavano a sperare, e forse neppure a pensare – in fin dei conti non era affar loro – Uno che con grida di guerra mettesse sotto il dominio d'Israele tutte le altre nazioni della terra, a cominciare da Roma, si capisce.

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