Autore Giuseppe Berto
Titolo Il male oscuro
EdizioneNeri Pozza, Vicenza, 2016 [1964], Bloom 111 , pag. 510, cop.fle., dim. 13x21,5x3 cm , Isbn 978-88-545-1406-5
LettoreFlo Bertelli, 2017
Classe narrativa italiana , psicanalisi












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  5   Il male oscuro


461   Appendice di Giuseppe Berto

473   Postfazione di Carlo Emilio Gadda

489   Lo stile psicoanalitico di Berto di Emanuele Trevi


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti, anzi in un certo senso potrebbe perfino costituire una appropriata dimostrazione della validità perlomeno razionale di tali schemi o teorie, sicché, sebbene a me personalmente non ne venga un bel nulla, potrei benissimo sostenere che il mio scopo nello scriverla è appunto quello di fornire qualche altra pezza d'appoggio alle dottrine psicoanalitiche che ne hanno tuttora piú bisogno di quanto non si creda, senonché una tale supposizione non andrebbe poi d'accordo col sospetto che piú d'uno potrà avere alla fine, ossia che la presente narrazione non sarebbe che un forzato ripiegamento da certe mire e proponimenti di cui necessariamente dovrò parlare in seguito, che riguardano le mie ambizioni vorrei dire letterarie, e naturalmente su questo punto ognuno può pensare quel che gli pare, però io, dal momento che sono ormai prossimo a staccarmi da ogni umana ambizione e suppongo anche dalla vita stessa, trovo che sarebbe oltremodo improprio attribuire alla narrazione spiccati propositi artistici, e invero ho l'impressione che la storia in certo qual modo si scriva da sola, cosa che non contrasta insanabilmente con le dottrine nominate poco fa, o almeno con la cosiddetta parapsicologia, e in effetti accade che fatti e pensieri sgorghino in gran parte automaticamente da quelle oscure profondità dell'essere dove la malattia prima e la cura poi sono andate a sfruculiarli fino a fargli venire questa immoderata voglia di esternarsi della quale mi sembra d'essere passivo esecutore, nel senso che non le presto se non la mia diligenza espressiva, e diciamo pure stile, che in meno dolorose circostanze mi avrebbe portato chissà dove, sul cammino della gloria intendo dire. Comunque sia, questa lotta col padre, ormai vicina affermo alla sua ineccepibile conclusione, ossia all'identificazione finale dei due termini contrapposti, tanto che non si capisce se il passo ultimo sarà di sconfitta o di vittoria, è durata sessant'anni e quattro mesi per non dire di piú, e in verità si potrebbe senza sforzo alcuno includervi anche il periodo prenatale, ossia quello da me trascorso nell'alvo materno, ammettendo, e non è poi un'idea tanto fessa, che in quell'ambiente esistesse una sia pure sfortunata opposizione al mio destino di venire al mondo, e questo non nel senso riflesso, cioè che padre e madre non desiderassero la mia apparizione, ché anzi dopo di me nell'intento di avere un altro figlio maschio sfornarono felicemente ben cinque figlie femmine senza tenere conto di alcuni inframmezzati aborti del tutto involontari, sicché, non potendo essi prevedere gli scarsi contenti che ne avrebbero ricavato, non è concepibile una loro avversione alla nascita del primogenito eppertanto, accettando la tesi dell'opposizione, bisognerebbe proprio pensare ad una mia autonoma resistenza alla nascita e quindi al confronto col padre, e questo sí che sarebbe straordinario, dato che comporterebbe la formazione di una coscienza e di una volontà ancorché embrionali in me stesso allo stato di feto, la qual cosa immagino io è piuttosto rara, pur non escludendo che con una simile intuizione si possano spiegare, ma non è il caso mio, parecchie evenienze di aborti involontari che, nelle attuali condizioni del progresso scientifico, sono direi inesplicabili.

Ad ogni modo, pur lasciando da parte il periodo prenatale, la mia lotta col padre mi sembra quanto basta varia e lunga da poter essere argomento di una storia, e a questo scopo, però piú per comodità di trattazione che per altro, si può dividerla, grosso modo si capisce, in tre periodi o fasi, che nominerei semplicemente prima, seconda e terza fase, la prima essendo quella che va dalla nascita al diciottesimo anno di età, quando mi venne la bella idea, ma in fondo necessaria, di partir soldato, ed è fase caratterizzata, almeno sul principio, da una massiccia prevalenza paterna, esercitata sia simbolicamente che fisicamente, e con svariati mezzi come ad esempio l'alta statura, o il peso che superava il quintale, o il tabarro fors'anco grigioverde, o la calvizie che io non so se per associazione con le altre qualità o per indipendente formazione di concetto ho sempre considerato segno di potenza, per quanto neppure in tenera età mi sfuggissero i singolari tentativi che mio padre andava facendo onde ottenere la ricrescita dei capelli per mezzo della Chinina Migone, tanto che dovrei pensare ad una mia organica incapacità o quantomeno ottusità nel mettere in correlazione fatti diversi e contrastanti riferiti ad un unico soggetto, e invero non sono mai stato svelto in queste faccende, ma ciò non toglie che, a forza di scoprire in mio padre contraddizioni e deficienze, riuscii gradatamente a liberarmi dalla sua strapotenza e a passare, con l'alzata di testa dell'arruolamento volontario, alla seconda fase, quando, francamente, questo padre arrivai a mettermelo sotto i piedi, tanto da poterne avere addirittura pietà qualche volta, e da dargli un sacco di soddisfazioni d'ogni genere e perfino, invero non molto raramente, denaro, cosa che piú o meno durò fino al mio trentottesimo anno di età, quand'egli ebbe la disavventura di morire, provocando in questo modo l'inizio della terza fase che va appunto dalla sua morte in poi, e qui le cose si sono messe di nuovo male per me, molto male.

Tutto questo il mio medico lo sa benissimo, meglio di me si potrebbe dire, e in effetti fu proprio lui che, ancora ai primi tempi della cura, interpretando nel modo piú corretto un sogno che m'era capitato di fare, e precisamente quello che io classifico con la definizione di sogno della libreria Rossetti, mi diede non dico l'idea della lotta col padre morto, giacché di star combattendo col trapassato io già da un pezzo lo sapevo, ma mi forní lo spunto probante per cui in seguito, a poco a poco si capisce, arrivammo alla spiegazione giusta ovverosia scientifica di questa lotta, togliendole quanto poteva avere di superstizioso e tenebroso, e dandole non solo ordine logico ma, soprattutto, dimensioni umane quali, pareva, era possibile sopportare. Io credo che ormai tutti o quasi abbiano un'idea sia pure approssimativa di questo genere di cure psicoanalitiche che cominciano ad essere di moda ovunque e quindi anche da noi, ma ecco, ci tengo a chiarire subito che non fu certo per una forma di snobismo che iniziai la cura, in verità ne avrei fatto volentieri a meno, se non altro a motivo del suo elevato costo, senonché in quel tempo mi trovavo tanto giú di corpo e non parliamo poi di spirito, che in pratica, se escludevo il suicidio e la cura del sonno che stava passando un periodo di sfavore, non mi rimanevano a detta di tutti che due vie d'uscita, ossia l'elettroshock e la psicoanalisi, e se può esser vero che ho scartato l'elettroshock a causa di un forse eccessivo riguardo al mio cervello, è altrettanto vero che ho scelto la psicoanalisi spinto oltreché da speranze di benefici intellettuali come si chiarirà andando avanti, anche da un segreto bisogno di sostituire in qualche modo il padre morto affinché il conflitto, se doveva esserci, avvenisse con un essere vivo e ragionevole, e non con una memoria, o qualcosa di parimenti indefinibile e inafferrabile, come appunto un padre morto, e per quanto all'inizio i segreti bisogni mi fossero poco chiari, il fenomeno del transfert fu precisamente la prima faccenda ad andare in porto, ossia il trasferimento degli affetti e non, come qualcuno potrebbe immaginare, l'eliminazione del padre morto e la sua sostituzione vera e propria con una persona di comodo, dato che la psicoanalisi non tende a questo, né potrebbe comunque farlo, e in effetti essa vuole semplicemente renderci edotti dei problemi e conflitti sepolti nel nostro inconscio, in modo che noi, trovandoceli ad un certo momento inaspettatamente davanti magari sotto forme del tutto diverse, non ce ne spaventiamo al punto da perdere la ragione.

Fare la psicoanalisi è, almeno apparentemente, la cosa piú semplice del mondo nel senso che la cura consiste nell'andare dallo psicoanalista due o tre volte la settimana, e forse anche piú secondo i casi, nello stendersi sullo speciale lettino o divanetto ideato dal dottor Sigmund Freud per facilitare il rilassamento, nel rilassarsi, appunto, e nel raccontare in assoluta libertà tutto ciò che passa per la testa, ma soprattutto, sempre che sia possibile, sogni fatti di recente, e la libertà espressiva che è senz'altro indispensabile dovrebbe risultare tanto piú agevole inquantoché il lettino o divanetto è disposto in modo che il cliente non possa vedere l'analista, e questo giusto per togliergli soggezione e altri sentimenti inibitori, dato che, a parte che si paga, la psicoanalisi è un po' come la confessione, ossia non servirebbe a niente se uno non andasse a raccontarvi la verità, e siccome la verità la si dice meglio a se stessi che non agli altri, ecco che il prete si nasconde dietro la grata e l'analista alle spalle del paziente, per rendere tutto piú semplice sebbene qualche volta il paziente si distragga a congetturare cosa faccia l'analista mentre lui rivolto da un'altra parte si rilassa e racconta, e per ciò che mi riguarda io penso che, a giudicare almeno dai rumori, il mio giocava con le chiavi dei cassetti della scrivania e spesso trovava difficoltà ad accendersi il sigaro con l'accendino, sicché era costretto a manovrare la macchinetta anche cinque o sei volte, prima di accendersi il sigaro, o prima di rinunciare ad accenderselo.

Il dottor Freud è stato senza dubbio un grande uomo in qualità di inventore della psicoanalisi, tanto che molti non esitano a collocarlo, alla pari con Gesú Cristo e Carlo Marx, tra i pochi geni che hanno dischiuso nuove porte all'umanità, né io naturalmente ho nulla da obiettare a questo proposito, però con quel suo lettino o divanetto rilassatorio non l'ha, a mio avviso, imbroccata giusta, e in effetti per quante volte mi sono disteso su quel lettino, mai una volta mi pare che mi sia rilassato per bene, sempre sono rimasto lí col mio grumo di tensione dentro lo stomaco, con l'abituale preoccupazione di dare un ordine rigoroso ai pensieri, e con in piú un aggravamento di disagio in uno dei miei punti piú disgraziati, vale a dire le cinque lombari dalle quali, ho l'impressione, ebbe origine una sera lontana tutto il disastro, come con ogni probabilità mi verrà fatto di raccontare in seguito, e sebbene da allora in poi punti disgraziati me ne scoprissi addosso ad ogni piè sospinto, quello primo non me lo scordavo mai, com'è giusto, e quando mi distendevo sul lettino o divanetto freudiano le cinque vertebre, particolarmente gravate a causa della generale posizione del corpo, cominciavano a sentire caldo e ad avere formicolii e altre spiacevoli sensazioni tutte dannose per il rilassamento oltre che per l'insieme del mio difficile equilibrio psichico, donde paura e tensione, che potevano essere in se stesse causa del fatto che io al medico non ho mai fatto parola di questo inconveniente delle lombari, sebbene poi, da un altro punto di vista, possa anche essere che abbia taciuto per non dargli dispiacere, dato che io sono certo che alle qualità rilassatorie del lettino o divanetto lui ci credeva, e non avrei voluto addolorarlo, o addirittura fargli nascere dei dubbi, rivelandogli che l'arnese, almeno con me, non funzionava.

Io avrei fatto qualsiasi cosa pur di non dare dispiaceri al mio medico analista, e questa era una delle molte faccende che abitualmente mandavano in bestia mia moglie, la quale affermava che avevo piú riguardi per un tizio che mi mangiava un sacco di soldi facendo quattro chiacchiere, che non per lei, circostanza che non era affatto vera in senso assoluto, ma tant'è, mia moglie, oltre che incompetente in fatto di psicoanalisi, era molto innamorata di me, o cosí sembrava, e in realtà era possessiva, egocentrica e abbandonica, come ben mi spiegava il medico, e le dava fastidio qualsiasi persona, e perfino cosa o attività che mi sottraesse a lei sia pure temporaneamente, e nella questione della psicoanalisi lei intuiva che, per via del transfert, io mi ero alfine procurato un padre come si conveniva, che potevo amare incondizionatamente dal momento che non mi rompeva di continuo le scatole come il padre mio vero ancorché morto, al contrario era uno che volentieri mi perdonava ogni peccato, anche perché, oltre a tutto, pareva che i peccati non esistessero, i miei perlomeno, ossia sembrava che nelle mie male azioni io fossi stato sempre condizionato, il che voleva dire che nelle date circostanze non avrei potuto agire meglio di come avevo agito, cosí affermava il medico analista, e io scommetto che lo avrebbe affermato anche nel caso che io avessi, tanto per dire, stuprato tutte e quante le mie cinque sorelle, e questo a differenza del padre mio vero, e anche a differenza di mia moglie si capisce, ma qui in questa storia il personaggio che interessa è piú mio padre che non mia moglie, ed egli, specie nella prima fase della nostra lotta, era sempre propenso a scoprire, nelle diverse cose che non funzionavano intorno a noi, una qualche mia colpa, per quanto parecchie di queste cose, in particolare quelle riguardanti la convivenza familiare e l'andamento degli affari, funzionassero male anche senza che io c'entrassi per niente. Chissà poi mai cosa lui pensava di se stesso, se cioè mi si associava almeno parzialmente nelle numerose colpe che mi attribuiva, o se addirittura attribuirmi colpe gratuite era per lui una manovra evasiva allo scopo di scaricarsi sia pure fittiziamente la coscienza troppo gravata da sentimenti di responsabilità, a dire il vero per molto tempo e anche dopo la sua morte io ho pensato che lui si reputasse uomo giusto e saggio per eccellenza, e quindi esente da colpe come un padreterno, ma in seguito non fui piú tanto sicuro di ciò, anzi non ne fui sicuro per niente, e questo non tanto perché avessi scoperto documenti prima ignorati o fossero emersi nuovi fattori di giudizio, quanto perché, sebbene in seguito alle vicissitudini della malattia, mi capitò di capovolgere direi da cima a fondo il mio punto di vista, un po' eccessivamente perfino, giacché se attraverso tutto un lavorio di confronti risultava che io somigliavo a mio padre, ne derivava senz'ombra di dubbio che mio padre vivo doveva somigliare a me, anche nell'esorbitante senso di colpa dunque, per quanto io sia consapevole che in questa questione della somiglianza giochi molto il processo di identificazione tuttora in atto, e so anche di correre il rischio di andare ad identificarmi con un padre assolutamente immaginario, o fors'anche con una proiezione di me stesso idealizzato, benché poi a sorreggermi nella mia fede e fatica ci sia un'indubitabile e paurosa somiglianza d'aspetto, oggettiva, a proposito della quale potrei tirar fuori, tanto per fare un esempio, la faccenda delle fotografie.

La volta che mio padre mori, io arrivai, naturalmente, tardi, ossia quando l'avevano già bello e sistemato su uno dei cinque o sei tavoli di marmo della camera mortuaria, sbarbato di tutto punto, con indosso il vestito nero da sposo di quarant'anni prima, che era ancora nuovo fiammante si può dire, un po' perché mio padre come me del resto era parsimonioso e si sarebbe messo indosso sempre i vestiti peggiori, e un po' perché subito dopo sposato ingrassò parecchio e il vestito non gli andava piú bene, e in realtà per infilarglielo da morto avevano dovuto scucirlo quasi tutto di dietro, cosa che però non si vedeva molto dato che giaceva sulla schiena, dignitoso e solenne nella sua definitiva pace, e a me, che in quel tempo non ero ancora malato con ossessioni di morte e altre simili, non dispiaceva guardarlo cosí com'era, trovavo che come morto era uno dei piú bei morti che avessi mai visto, epperciò mi venne in mente di fargli fare le fotografie. Ora, esposta in questo modo, la spiegazione è magari fin troppo chiara, ma niente affatto esauriente, e in effetti non è che volessi fare, come può apparire, delle fotografie ricordo o qualche altra cosa del pari fuori posto, ma ritraendolo in immagine volevo rendergli diciamo pure omaggio, ancorché poi nell'inconscio mirassi a raggiungere risultati allora nebulosi, oggi però del tutto lampanti e strettamente connessi con quel diffuso senso di colpa che, com'è fin troppo chiaro, si è sviluppato in me fuori di misura soprattutto grazie agli influssi paterni, sicché nella fattispecie avrei anche potuto fottermene, pur che l'avessi saputo, per quanto, se quella volta arrivai troppo tardi, sussista una colpa concreta da parte mia, dato che avevo i presentimenti e tutto il resto, sempre che sia una colpa arrivare tardi in una circostanza come quella, e in verità il mio medico, tanto per dire, era del parere che non vi fosse mancanza alcuna nell'arrivare quando un padre è già morto, ma si capisce che lui doveva darmi una mano per liberarmi dallo spropositato senso di colpa, e pertanto si sforzava di persuadermi della mia innocenza anche quando, come nel caso della mia assenza al momento del paterno trapasso, la colpa sussisteva, e come.

Vorrei essere chiaro su questo punto che è un punto capitale della vicenda inquantoché segna l'inizio del passaggio dalla seconda alla terza fase della lotta col padre e in altre parole il ritorno alla sua strapotenza, e non è detto che non segni anche l'inizio benché ancora lontano e recondito dell'oscura malattia che mi venne nell'anima, anzi diciamo senz'altro che è nata da lí questa brutta malattia, dato che la constatazione di una colpa oggettiva qual era in realtà l'assenza provocò la scossa provvisoriamente inavvertita che mise in moto tutti gli altri sentimenti di colpa rimossi e tenuti in deposito nell'inconscio, in attesa di nuocermi. In effetti io, al tempo in cui a mio padre gli prese quell'accidente mortale, stavo benone sia d'anima che di corpo, abitavo a Roma, fuori dai piedi, guadagnavo abbastanza denaro lavorando per il cinema ed ero sempre in mezzo a pasticci di donne, perché non mi è mai piaciuto come a tanti piace avere piú di una donna alla volta, dimodoché quando ne trovavo una nuova dovevo per forza mollare la precedente, ed erano dispiaceri, ma dispiaceri interessanti e in fondo gradevoli quali sono quelli che concernono le donne. A mio padre scrivevo, di regola, due volte all'anno, la prima a Natale per dirgli che purtroppo non potevo andarlo a trovare e che ci saremmo visti a Pasqua, e la seconda a Pasqua per dirgli la stessa cosa, cioè che ci saremmo visti a Natale, e tutte e due le volte mettevo dentro la busta un assegno, poco al confronto di quanto mi costava, ad esempio, mollare una donna vecchia e prenderne una nuova, ma molto se si tiene conto, com'è giusto, dello scarso bisogno di denaro che aveva mio padre, il quale, oltre a tutto, godeva di due pensioni, piccole fin che si vuole, ma due, e se poi la somma che gli spedivo era proprio ridicola, come tanto per dire dieci o magari anche cinquemila lire, allora per sentirmi in pace con la coscienza bastava che pensassi a qualcosa che in lui mi dava fastidio, non so, la sua ostinazione nel firmare col cognome e nome invece che col nome e cognome, oppure l'importanza che si dava quando presenziava alle cerimonie patriottiche portando la bandiera della locale Sezione dell'Associazione Nazionale Carabinieri in Congedo, dato che, tutto sommato, non è splendido avere un padre carabiniere, sia pure in congedo.

Quando dunque la sorella maggiore mi telefonò per dirmi che il padre, poveretto, non stava molto bene, aveva avuto non so che cosa agli intestini, forse soltanto una costipazione ma con dolori fortissimi, e insomma, anche per consiglio del medico condotto, l'avevano ricoverato all'ospedale del capoluogo, una camera per pensionanti di prima classe, circa tremila lire al giorno riscaldamento compreso, per vedere un po' se gli passava questo spaventoso mal di pancia, che in effetti gli era un po' passato, però al momento si trattava di vedere come mai gli fosse venuto un cosí brutto mal di pancia e pertanto, lo diceva anche a nome delle altre sorelle e di nostra madre, non sarebbe stato male se mi fossi fatto vedere, e anche presto, insomma quando la sorella maggiore mi telefonò queste belle notizie, io piantai tutto, lavoro e pasticci di donne, presi il direttissimo di Venezia, e durante il viaggio pensai sempre che il vecchio ormai era spacciato, o meglio, tanto per non sentirmi menagramo, pensavo indirettamente a cosa mai sarebbe cambiato, nella mia vita familiare e personale, nel caso triste che egli fosse ormai spacciato, e in sostanza mi pareva che niente sarebbe cambiato, o molto poco in verità, fuorché per mia madre, disgraziata, la quale sarebbe rimasta vedova col problema delle due pensioni che non era ben chiaro se fossero reversibili, ossia la piú piccola, quella della Previdenza Sociale, pareva senz'altro reversibile, ma l'altra ancora no, e in realtà dalle lettere che mio padre ogni settimana o quindici giorni mi scriveva firmando naturalmente con cognome e nome e tutti i ghirigori sotto io sapevo che egli, anche a nome della locale Sezione dell'Associazione Nazionale Carabinieri in Congedo, da anni si batteva, con risultati incerti, per la reversibilità della pensione nel caso, che era proprio il suo, in cui il sottufficiale si fosse sposato dopo il collocamento in congedo, comunque, data anche l'esiguità di questa seconda pensione che era grande solo se paragonata alla prima, mi pareva che neppure per la vedova in fondo sarebbe cambiato gran che, e pure da questo punto di vista la morte di mio padre, per ora soltanto prevedibile, si presentava come un avvenimento affatto naturale, ma con tutto questo non era certo un bel viaggio quello che andavo facendo, anche perché si era d'inverno, febbraio precisamente, e il mio paese, che sta proprio nella campagna bassa intorno alla laguna di Venezia, d'inverno è pieno di freddo, di nebbia e di influssi depressivi, e come se ciò non bastasse, non è che vi andavo da solo, e infatti all'ultimo momento mi si era appiccicata appresso, per aiutarmi in una circostanza tanto dolorosa, la donna con la quale da un po' di tempo vivevo more uxorio, che era una vedova di origine francese, ancora abbastanza giovane e gradevole direi, ma con una voglia matta di maritarsi una seconda volta, e io non le volevo mica male, anzi in un certo senso le ero grato perché mi aveva spinto a superare parecchi pregiudizi di carattere sessuale, cioè in sostanza vedova com'era e per di piú francese mi aveva insegnato a far l'amore un po' come si deve, ma per quel che si riferisce al matrimonio le dicevo sempre che noi due eravamo piú che marito e moglie, inquantoché stavamo insieme per consenso e non per obbligo e contratto, e lei aveva aspettato proprio questa circostanza del malanno paterno per esercitare i suoi diritti e doveri di piú che moglie, la qual cosa, giustamente prevedevo, mi avrebbe procurato un sacco di fastidi di diversa specie.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 93

Comunque andare in bottega era proprio una cosa meravigliosa, lí sotto i portici passava tutto il paese e a me dicevano che ero un bel bambino quando stavo con mia madre seduto presso la porta della bottega mentre mio padre era a giocare a bocce e tornava secondo le stagioni presto o tardi, ma d'estate pur essendo tardi era giorno mentre d'inverno veniva presto scuro, e allora lo aspettavamo dentro la bottega e non fuori anche se dentro faceva piú freddo che fuori e magari si aspettava mezzo al buio, con le sole luci della vetrina accese, perché tanto se non era sabato non venivano clienti a comprare cappelli o berretti e allora tanto valeva risparmiare la luce, e cosí si aspettava magari mia mamma e io soli in bottega senza mia sorella grande o l'altra sorella piccola perché se eravamo in due facevamo solo disastri, mentre presi uno alla volta non eravamo poi tanto tremendi, sicché era bello stare soli io e la mamma dentro la bottega con la poca luce, però non era mai bello del tutto perché mia madre aveva sempre il pensiero di mio padre che all'osteria giocava a bocce o alle carte se il tempo era cattivo, pensava a lui perfino con la paura che succedesse una lite o qualcosa di peggio perché erano anni brutti, mio padre certo sapeva stare al posto suo e non diceva una parola se prima non la pesava però i socialisti erano cattivi, cantavano bandiera rossa contro il re e il papa e volevano scioperi per fare disordini cosicché mia madre non era contenta finché mio padre non tornava, lo sentiva arrivare dal rumore del passo e se tossiva indovinava che era lui magari da piú lontano della pasticceria bar Venezia perché mio padre aveva un modo tutto suo di tossire, anzi non tossiva ma si raschiava la gola, e io certo non ero capace di riconoscerlo da lontano ma mia madre sí, diventava subito un'altra sentendolo arrivare, e poi lui prendeva i soldi dal cassetto se ce n'erano segnando sul registro e si chiudeva la bottega, spente le luci della vetrina e tirato giú il rotolante si andava a casa e c'era una lunga strada per andare a casa, piú di un chilometro, e alle volte io ero stanco e volevo che mi portassero in braccio ma mio padre diceva che era una vergogna alla mia età, e se piangevo si arrabbiava anche con la mamma perché i bambini bisogna lasciarli a casa, e allora io non piangevo ma lasciavo che la mamma di nascosto mi tenesse sotto il suo braccio, e stretto a lei camminavo ad occhi chiusi sempre pensando chissà mai dove sono adesso se ho già passato il primo palo della luce o il secondo o anche il cancello dei Traldi, e sempre mi sforzavo di pensare che ero un po' piú indietro di quanto non pensassi in realtà, per trovarmi un poco piú vicino a casa quando aprivo gli occhi ed essere contento.

Però non toccava molto spesso a me andare in bottega, quasi sempre vi andava mia sorella grande che sapeva dire la poesia e per questa ragione c'era sempre qualcuno che le regalava un cioccolatino o le pagava una pasta, mentre io non sapevo dire poesie e anzi ero proprio gnucco che mi vergognavo davanti alla gente, perciò nessuno mi comprava mai niente ed era meglio che stessi a casa con la serva, ma io non ero un bambino buono quando mi lasciavano a casa con la serva, le facevo i dispetti e mi nascondevo nelle camere di sopra o in fondo all'orto senza rispondere quando lei mi cercava, e in verità la mia vita non aveva altra consolazione che la sirena della fabbrica del pepe che suonava alle cinque, perché dopo che era suonata le operaie passavano per la strada andando a casa loro e io ne aspettavo una stando dietro la rete metallica, la aspettavo con una specie di vuoto pauroso dentro di me perché lei qualche volta se era in compagnia di qualcuno con cui chiacchierare passava via senza neanche accorgersi di me, invece quando si accorgeva che stavo lí dietro la rete metallica si fermava per dirmi che ero bello e mi faceva una carezza sul viso o sui capelli, e allora quel vuoto si riempiva subito di sangue battuto piú in fretta con gioia e sgomento, e certe volte che ero disperato perché mia madre mi aveva lasciato a casa avrei voluto che fosse lei la mia mamma, ma poi mi spaventavo di questo pensiero non avrei certo voluto una mamma diversa da quella che il Signore mi aveva dato, però a questa operaia del pepe io volevo egualmente bene sicché me la sarei sposata appena diventato grande, ma di questa cosa non avrei mai parlato a nessuno si capisce, neanche all'operaia del pepe almeno per il momento, nella mia anima avevo bisogno di uno spazio sempre piú vasto per mettervi tutte le cose che nessuno doveva sapere, anche i pensieri cattivi o gli atti impuri con Lucia Sporca, però come io amavo l'operaia del pepe era vergognoso in un modo del tutto diverso, forse non era nemmeno peccato veniale anche se doveva rimanere segreto, e dicendo le preghiere la sera non sapevo bene se fosse una cosa di cui pentirsi e chiedere perdono al Signore o no, comunque non era mai un pentimento sincero dato che il giorno dopo stavo di nuovo là dietro la rete, ma d'inverno quando faceva freddo e avevo mani e piedi coi geloni e screpolature, oppure quando pioveva non mi lasciavano all'aperto in cortile e potevo vedere l'operaia passare con l'ombrello poco dopo che era suonata la sirena delle cinque, ma lei non poteva vedermi dato che stavo in cucina dietro i vetri sicché quando pioveva era brutto ma in compenso era piú bello veder arrivare col birroccio l'uomo del latte, lo si sentiva da lontano che suonava la tromba come il capostazione, e allora le donne uscivano sulla strada con l'ombrello e i soldi contati e la pentola dove mettere il latte, e a lui non importava niente della pioggia perché aveva un grande mantello e il cappello e la sigaretta in bocca, e dopo che aveva servito le donne diceva ihi cavallo dando uno strappo alle redini e il cavallo andava e lui fumava, certo non sentiva freddo con la sigaretta in bocca e il cappello e il mantello, doveva essere una delle cose piú belle del mondo andarsene cosí sotto la pioggia mentre io dovevo restare in casa, e non vedevo l'ora di diventare grande per vendere latte anch'io, però quando mi chiedevano che mestiere avrei fatto da grande avevo vergogna di rispondere che avrei fatto l'uomo del latte, rispondevo invece che avrei fatto il prete perché tra tutti i mestieri fare il prete era quello che piú piaceva alla mamma, ma lo zio spiritoso quando io dicevo che avrei fatto il prete faceva ridere tutti con le frasi che diceva, io certo non le capivo però sentivo che parlava della perpetua ed era questa la cosa che faceva ridere tutti, un po' anche mia madre benché rimproverasse allo zio di dire simili spropositi davanti a degli innocenti, e io ero innocente di sicuro, però se in quel momento mi ricordavo di Lucia Sporca allora la mia innocenza era già bell'e perduta e poteva anche darsi che il Signore non mi lasciasse andar prete, e d'altronde non in ogni momento io pensavo che avrei fatto il prete c'erano per esempio delle sere quando dopo mangiato la mamma non era troppo stanca e noi non troppo assonnati, allora leggeva le poesie, avevamo in casa tre grandi libri con le figure e le poesie del Fusinato e anche i Promessi Sposi, però i Promessi Sposi mai nessuno li leggeva mentre le poesie del Fusinato erano proprio belle e non per niente mio padre le aveva comprate anche se costavano tanti soldi, però lui non leggeva mai, leggeva mia madre e aveva una voce meravigliosa nel leggere Lo studente di Padova, o Sul ponte sventola bandiera bianca, o un'altra poesia ancora che era la piú bella di tutte e parlava di un cavaliere povero che andava a far la guerra lontano contro gli infedeli, ma prima passava sotto il verone della principessa di cui era innamorato e dopo averla salutata partiva e non tornava mai piú perché moriva in guerra, ogni volta c'era da piangere per questa sua fine cosí sconsolata, e tuttavia io in quei momenti niente altro avrei voluto essere se non il cavaliere morituro e la principessa sul verone alla quale andavo a dare l'estremo addio era la mia mamma, o l'operaia della fabbrica del pepe qualche volta, certo mai Lucia Sporca con la quale si facevano porcherie e basta, e la voce della mamma era cosí bella e pura mentre leggeva le poesie che il ricordo di Lucia era proprio fuori posto in quei momenti, e se per caso veniva alla mente anche senza che si volesse era come offendere la bellezza e purezza della mamma, era come non meritarsi una mamma cosí bella e pura.

Però c'era anche qualcosa di molto brutto nel fatto che noi avessimo una bottega, e cioè che mentre le mamme degli altri bambini che avevano il padre che faceva il ferroviere o il muratore o il rappresentante di commercio restavano sempre a casa, la mia doveva andare in bottega e due volte la settimana anche ai mercati, perciò ci lasciava a casa con la serva e spesso anche per non farci piangere ci imbrogliava ordinandoci di andare in qualche posto a prenderle questo o quello e intanto lei andava via di nascosto, e poi trovarsi inaspettatamente senza mamma era insieme dolore e rabbia e io avrei voluto che la serva morisse perché se non ci fosse stata lei la mamma avrebbe dovuto per forza portare anche noi in piazza, e un giorno per l'odio che avevo contro la serva misi un ferro nel fuoco fino a farlo arroventare e poi volevo bruciarla con quello, e lei piangeva e strillava per la paura dicendomi mettilo giú per l'amor di Dio, ma poi appena misi giú il ferro mi pestò ben bene le mani e il sedere, e poi mi chiuse nel pollaio dove restai a piangere di dolore e sconforto con una confusione di cattive azioni che gli altri avevano fatto a me e io agli altri, un intrico dal quale tuttavia le mie colpe emergevano sempre piú grandi tali che stavolta mia mamma tornando a casa non mi avrebbe perdonato, né avrebbe impedito a mio padre di darmi gli sculaccioni, qualche volta lei si metteva in mezzo e lo fermava dicendogli che aveva le mani troppo pesanti e non si accorgeva di far male, e allora mio padre non mi dava gli sculaccioni ma restava col suo viso chiuso e carico di rimproveri per me che ero cattivo con la serva o con le sorelle, oppure facevo la lagna perché non volevo mangiare la minestra con le verze e anche i santi avrebbero perduto la pazienza sentendomi far la lagna, o quando meritavo un castigo perché avevo rotto il berretto alla marinara, ma questa non era una cosa molto chiara poiché tutto costava soldi e soldi non ce n'erano e quei pochi che c'erano mio padre sudava sangue per guadagnarli, però i berretti alla marinara ce li aveva lui in bottega e mica si pagava per prenderli, eppure lui egualmente si arrabbiava se perdevo il berretto e piú spesso lo rompevo perché sotto il marocchino di guarnizione era fatto di cartone qualsiasi, e allora non era vero ciò che diceva la mamma che quei berretti alla marinara erano belli perché li portavano i figli dei signori, mentre i berretti con la visiera che mi piacevano tanto li portavano solo i lazzaroni di strada, e insomma ecco che a causa soprattutto delle cose ingiuste ed oscure il mondo s'ingrandiva, e forse questo era crescere, soffrire ed espandersi altrove, provare godimento e vergogna nel toccare Lucia Sporca, provare sgomento e dolcezza quando l'operaia del pepe si fermava per sorridermi e carezzarmi, e sentire dentro di sé una tale ribellione contro la mamma che era andata via da dare a un'altra donna un po' del bene che si dovrebbe dare tutto alla mamma, e poi essere maturi per andare ancora piú avanti, ed ecco che sono seduto nel primo banco della classe prima elementare e lí c'è una maestra giovane e carina che m'incanto a guardare, è bella piú della mamma forse bella quasi quanto la Madonna potrei dire perfino, e lei come può sapere che io la amo ma lo sa, mi si ferma davanti e mi pettina i capelli biondi alla paggetto, mi fa carezze e qualche volta anche mi bacia sulla guancia, e io non so cosa mi capiti ma so che faccio peccato mortale perché quando lei mi bacia io provo un po' il piacere di quando mi bacia la mamma e un po' il piacere di quando Lucia Sporca mi tocca in mezzo alle gambe e io non ho troppa paura e la lascio fare, ed ora si capisce quale abisso di peccato sia farsi venire in mente queste cose mentre la signorina maestra mi accarezza perché sono il piú bravo della classe nelle aste e nelle vocali, solo per questo è buona con me e io devo ringraziare il Signore che ho un padre capace di insegnarmi le aste e le vocali prima ancora di andare in prima elementare, mio padre che aveva comandato le stazioni di Occhiobello e Perarolo, che era stato Maresciallo d'Alloggio e aveva fatto la guardia alla casetta dei principi dove stava il Poeta Soldato, mio padre che è il bene che sconfigge il male, e lui mai e poi mai meno ancora della mamma dovrà sapere i peccati di pensiero che faccio qualche volta quando la maestra mi fa le carezze e mi pettina i capelli e mi stringe a sé con dolcezza, Dio mio quante cose ho ormai da nascondere nella mia vita non vedo l'ora che mi mettano a fare il corso della prima comunione cosí confesserò tutti i miei peccati, e poi se morirò d'un colpo durante la notte non andrò piú all'inferno bensí in purgatorio e perfino in paradiso se per caso morissi appena dopo essermi confessato senza il tempo di commettere un solo peccato veniale, e questa è senza dubbio la cosa piú desiderabile del mondo morire e andare in paradiso, sebbene ci sia attaccato un grosso problema e cioè che io in paradiso sicuramente mi riunirò a mia madre ma è quasi certo che non mi riunirò a mio padre che dice puttana d'un'Eva schifosa e bestemmia e non va in chiesa la domenica né si accosta ai sacramenti, e allora il padre come può essere perfezione se non ha la grazia di Dio, e poi scopro anche altre cose a suo svantaggio e cioè che le stazioni che lui comandava a Occhiobello e a Perarolo non erano stazioni di treni bensí in qualche modo stazioni di carabinieri come la caserma dei carabinieri del nostro paese, e scopro che sulla salita di Bellolampo sopra la Conca d'Oro ci andava per guadagnare venti centesimi di straordinario, e poi scopro che d'estate quando vengono i veneziani a villeggiare ci sono bambini che hanno un padre vestito sempre di nuovo anche i giorni di lavoro che guadagna soldi senza sudare sangue, e questi bambini mi chiamano qualche volta per giocare coi loro giocattoli meravigliosi ma poi appena sono stanchi o quando viene qualche visita di riguardo mi mandano via, e sono bambini che possono dire io da grande farò l'ingegnere perché hanno il meccano numero cinque, e poi le loro case dentro sono belle hanno il gabinetto con l'acqua che viene giú tirando la catena, e poi un altro gabinetto al piano di sopra molto grande dove c'è anche la vasca per fare il bagno, mentre noi abbiamo un gabinetto solo da basso e l'acqua la si butta col secchio e quando dobbiamo fare il bagno lo facciamo nel mastello in cucina vicino al focolare se è inverno, ma d'estate in magazzino dove c'è piú posto, e un giorno io entro in magazzino aprendo la porta che era accostata e vedo mio padre nudo in piedi dentro il mastello e quella cosa in mezzo alle gambe è dritta in avanti e mostruosamente grande, forse gli uomini cresciuti cosí devono averla però io non lo sapevo e rimango lí a guardarla quasi esterrefatto, certo si sarà trattato di un solo attimo ma io ne ho ricordo come di un tempo lunghissimo finché mio padre comincia a gridarmi tutto arrabbiato di andar fuori, e poi lo sento che grida anche contro mia madre che non bada ai bambini, forse mai è stato cosí arrabbiato in vita sua, il perché non lo so, so soltanto che non è giusto perché se lui non voleva farsi vedere doveva chiudere la porta col catenaccio da dentro, e allora la colpa era sua e non mia o della mamma, invece gridava contro di me e contro di lei e mia madre quand'era cosí arrabbiato si prendeva cura di lui e non di me, sicché io nella mia infelicità dovevo per forza pensare a qualche altra cosa alla operaia del pepe per esempio, o meglio ancora alla maestra di prima che avrei anche potuto sposare da grande, mentre l'operaia del pepe non piú poiché quei bambini che venivano in villeggiatura da Venezia dicevano che loro un'operaia non l'avrebbero mai sposata, però quando andai in seconda elementare mi dettero una maestra diversa, questa era vecchia e brutta e severa, non certo severa quanto il maestro che insegnava in quinta il quale quando si arrabbiava batteva con una bacchetta le mani degli scolari che sbagliavano e mio padre sarebbe stato contento se fossi capitato sotto un maestro come quello perché secondo lui proprio cosí dovevano essere i maestri, però anche la mia maestra vecchia era severa quel tanto che bastava, e faceva anche un po' paura perché aveva gli occhi piccoli e la pelle tutta grinze come mia nonna che era morta e non ricordavo niente di lei, eccetto la pelle grinzosa e il fatto che da morta l'avevano distesa sopra un tavolo in ingresso, e poi era venuto il falegname con la cassa e l'aveva chiusa dentro com'era giusto perché ormai era morta, e nessuno piangeva perché mio padre era un uomo e un uomo non deve mai piangere, e mia mamma non piangeva perché non era la sua mamma quella che era morta bensí la mamma di mio padre e lei non era neanche tanto contenta di averla in casa, avrebbe preferito avere in casa sua mamma che poi infatti venne, e magari anche la zia che però era piú giovane di lei sicché ne era gelosa, io adesso sapevo un poco cosa volesse dire gelosa dato che avevamo a casa i quadri di Otello o il Moro di Venezia dove prima si vedeva che loro due erano felici in un magnifico giardino, e nel quadro dopo si vedeva lei già morta sopra il letto e lui disperato che stava per ammazzarsi col pugnale a quanto pareva, e lei era bellissima sul suo letto di morte molto diversa da mia nonna, e diversa anche da mio nonno quando poi mori, e questa volta la mamma piangeva molto perché il nonno era suo padre e mi portò su a vederlo in camera dove stava ancora, e io senza paura guardavo che aveva gli occhi chiusi e la pelle gialla e tutti gli ossi del viso che quasi quasi si vedevano sotto la pelle, cosí che ora capivo che erano teste di morto i teschi ricamati sui drappi dei funerali in chiesa oppure sui gagliardetti dei fascisti che se ne fregavano di morire e avevano pugnali e bombe a mano come gli arditi in guerra, tuttavia per ciò che si riferiva a mio nonno io non provavo grande dispiacere che fosse morto, da anni era paralitico sempre seduto sulla porta di casa col bastone e la mano gli tremava e puzzava di macuba e anche peggio perché dicevano che si faceva i suoi bisogni addosso ed era proprio un bel sacrificio stargli dietro, sicché grazie a Dio che se l'era preso con sé meglio per lui e per tutti dicevano, però mia mamma piangeva e mi disse di baciarlo sulla fronte il povero nonno che dopo lo avrebbero chiuso in una cassa e nessuno lo avrebbe visto mai piú, e io per farla contenta gli diedi un bacio sulla fronte fredda, aveva odore e perfino anche sapore di morte, e l'unica cosa che sentivo era un profondo ribrezzo e voglia di correre via da quella camera, però se fossi corso via tutti avrebbero pensato che ero senza cuore, specialmente la mamma lo avrebbe pensato se io non piangevo dopo che era morto suo padre, sicché mi dicevo piangi devi piangere perché il nonno è morto, e in effetti sforzandomi un poco riuscii a mettermi a piangere, e cosí mi portarono via e per fortuna il giorno del funerale non ci andai perché essendo il quattro novembre si festeggiava la vittoria, e c'erano in giro i fascisti in camicia nera coi gagliardetti pieni di nastri, fregi e medaglie, a me piacevano molto i fascisti che gridavano me ne frego e non avevano paura di morire, una volta che ero in bottega con mia mamma per la piazza erano passati i socialisti con le bandiere rosse e falce e martello, e mia mamma si faceva il segno della croce di nascosto perché diceva che se avessero vinto quelli avrebbero mandato via il re e anche il papa, però secondo me le grandi bandiere rosse che si muovevano nel vento mentre tutti cantavano Avanti popolo alla riscossa erano abbastanza belle, ma neanche mezz'ora dopo arrivò un camion di fascisti che cantavano Giovinezza con la testa da morto ricamata davanti, avevano rivoltelle, pugnali e mazze ferrate, appena una ventina saranno stati ed entrarono nel teatro dove almeno trecento socialisti tenevano comizio e li fecero scappare tutti come tante galline, il giorno dopo c'erano parecchi socialisti in giro per il paese con la testa fasciata, dicevano che i fascisti erano carogne e vigliacchi ma intanto loro le avevano prese, e io dentro di me stavo dalla parte dei fascisti che avevano piú coraggio, e mia madre diceva che se uno ha un esercizio ha bisogno di tutti e non si può mettere né contro gli uni né contro gli altri però segretamente aveva piú paura dei socialisti che non dei fascisti, e mio padre non si pronunciava però si sapeva che lui era per il rispetto delle leggi e della monarchia, Nei Secoli Fedele essendo il motto dell'Arma dei Reali Carabinieri, eppertanto finché era salva la monarchia per lui faceva lo stesso, e comunque era meglio star a vedere ciò che si sarebbe verificato mentre per conto mio era meglio schierarsi subito coi fascisti tanto piú che una volta che c'era lo sciopero i fascisti si erano messi a guidare il tram, e se uno voleva poteva andare anche fino a San Giuliano e tornare indietro senza pagare niente perché i fascisti non facevano pagare il biglietto, [...]

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 174

Comunque non è che io pervenni alla spiegazione corretta del fenomeno cosí di punto in bianco, e in verità mi ci volle ancora parecchio tempo prima d'imbattermi nella psicoanalisi, e frattanto quella faccenda che noi per comodità e ignoranza chiamavamo esaurimento con ciò sminuendola non poco e quasi riducendola a languore femminile, quella faccenda dicevo non aveva certo com'è giusto fornito la chiave dei precedenti malanni per lo piú renali che erano senza meno di ordine fisico anche se tuttora misterioso, anzi li aveva per cosí dire esaltati arricchendoli nelle loro sfumature soprannaturali, il che spiega anche come mai in quel tempo che potrei grossolanamente definire il tempo del pianto giacché spesso qualsiasi cosa facessi mi veniva di colpo in mente che ero un fallito e per di piú orfano di padre e allora giú a singhiozzare sconsolatamente come se il padre mi fosse morto ieri invece che da un anno e passa, e la cosa si capisce rendeva difficilissimi i miei rapporti sia sociali che di affari specie coi produttori cinematografici i quali in genere diffidano delle persone che si mettono a piangere senza giustificati motivi amenoché si capisce non siano belle ragazze e certo non era il caso mio, questo dunque spiega anche come mai in quel tempo io sia andato un po' vagando qua e là in fatto di cure mediche, e invero mentre da una parte non trascuro i rialzi ai piedi del letto o le scrollatine quando sento avvicinarsi una di quelle tremende coliche renali, e neppure perdo il contatto col medico di casa che tengo per cosí dire di riserva, dall'altra vado a cercare certi tipi di medici la cui attività sconfina con la magia, e mi danno colpetti alla schiena sulle vertebre superiori che secondo loro sono fuori posto con ciò insinuando che anche le famose lombari potrebbero essere scombinate meccanicamente e sarebbe opportuno rimetterle in sesto senonché ci vorrebbe un apparecchio speciale, oppure mi fanno una cosa chiamata agopuntura cinese e la ragazzetta che assiste a queste scene poi assicura che mi hanno infilato degli aghi lunghi cosí nei ginocchi e nei gomiti mentre io che stavo sdraiato a testa indietro non ho sentito nulla, oppure anche mi fanno fare una cura omeopatica che consiste nel non lavarsi i denti col dentifricio abituale e nel ripudiare l'uso dell'aceto mi pare e nel contempo devo mettermi sotto la lingua ad ore fisse certe sostanze contenute in cartine che hanno da stare lontane dalla luce e dai profumi, insomma ne facevo un bel po' di cose balorde e certe volte ero anche sul punto di dar retta a certuni che mi consigliavano il Mago di Napoli o quello di Mondragone, ma poi non ne facevo niente poiché quella quadratura mentale che in fondo è pure essa eredità paterna mi sospingeva per vie opposte a consultare luminari riconosciuti che insegnavano all'università perlomeno come liberi docenti se non addirittura titolari e avevano sui fogli delle ricette qualifiche a non finire, e costoro normalmente mi prescrivevano la valeriana e poi uno diceva che dovevo dormire con la finestra aperta l'altro che dovevo mangiare cacio e pere al mattino invece del caffelatte un terzo che dovevo lasciare da parte l'automobile e comprarmi una bicicletta, tutti però erano d'accordo sul particolare che sia pure limitatamente all'esaurimento dovevo farmi forza e guarire da solo, e questa dal mio punto di vista era una stupidaggine bella e buona perché se fossi stato capace di guarire da solo mai piú sarei andato a farmi buggerare soldi da loro che erano tra l'altro cari arrabbiati, sicché tutto sommato era meglio se ritentavo con l'agopuntura, cosa che infatti facevo per quanto mi costasse cinquemila lire col sospetto che servisse a ben poco. Stranamente però in questa malattia per cosí dire biforcuta ossia con una parte che riguardava il corpo e l'altra lo spirito c'erano alcune cose che portavano sollievo per quanto provvisorio, ed esse erano nel caso di dolori renali o viscerali che fossero la morfina quando proprio non ne potevo piú, e nel caso di quelle crisi di paura che mi stravolgevano tutto senza apparente ragione c'era la ragazzetta la cui efficacia terapeutica era vaga sí ma indubbia, nel senso che quando c'era lei io riuscivo con piú facilità a non lasciarmi travolgere dalla paura o a recuperare il senno se per caso se n'era già andato, e d'altra parte lei non si spaventava nel vedermi tremare e impallidire e balbettare difficoltosamente parole per lo piú di significato oscuro per chi le ascoltava, e neppure si faceva meraviglia che io avessi il pianto in tasca come si suol dire e anzi quando mi vedeva con le lacrime sul ciglio degli occhi diceva su coraggio piangi che ti fa bene, e inoltre non aveva schifo del pappagallo dato che in quelle crisi ci si metteva sempre di mezzo il fastidioso sgocciolio d'orina, insomma io credo che fossero la sua carità e la mia confidenza in lei a tenermi insieme per quanto possibile e d'altra parte avevo piú volte esperimentato che senza di lei le cose andavano molto peggio, sicché ora non appena sentivo caldo alle lombari o sudori freddi o dolori a quel dannato punto del colon che già aveva fregato il padre mio, e per farla breve non appena da qualche regione fisica o metafisica del mio corpo sentivo partire una corrente di malessere caldo o freddo che andava all'assalto del mio Io col proposito di disintegrarlo cercavo lei prima di tutto, anzi cercavo unicamente lei in una città che pur sovrabbonda di medici e cliniche per malati di cervello, ed ecco che lei quando può viene, talvolta anche di notte viene e si sdraia accanto a me sopra le coperte col plaid addosso e mi tiene le mani e mi dice che non sono solo al mondo perché c'è chi non mi abbandonerà mai, e io sento che con lei al fianco forse non mi perderò, e cosí a poco a poco ecco che non tremo piú né sento il bisogno di strofinarmi le mani o di mordermi le dita o di frizionarmi la nuca là dove sta il cervelletto, e mi viene tenerezza per la mia inutilità e infelicità e solitudine e piango, e poi mi viene anche voglia di far l'amore e lei si spoglia la ragazzetta viene sotto le coperte pronta e vicina e io posso penetrare in lei con dolcezza e aggressività, e sebbene poi mi piombino addosso tutti i pentimenti del mondo per ciò che ho fatto, si tratta di pentimenti che prevedono un castigo abbastanza lontano, e nel frattempo m'addormento tra le sue braccia giovani. Ecco dunque che la ragazzetta è diventata per me necessaria quanto la morfina anzi di piú dato che queste crisi dello spirito sono molto piú dolorose e terrificanti di quelle che riguardano il rene mobile o le viscere in generale comprese le vie urinarie, e lei lo sa si capisce quanto mi sia necessaria direi che possiede straordinario intuito e perspicacia per afferrare le cose che possano in qualche modo tornarle utili, benché nel caso presente io non riesca ancora a vedere come possa tornarle utile la capacità che ha di soccorrermi nelle mie sofferenze, anzi per il momento mi sembra che l'azione sia tutta a suo sfavore e a mio vantaggio, ma poi capita una volta che mi sento male e la cerco e lei non c'è, e un'altra volta c'è ma non può venire perché ha paura dei suoi di casa, e una terza volta invece di venire lei mi manda la sua migliore amica la quale tuttavia non ha le proprietà diciamo pure taumaturgiche che ha lei di soccorrermi sicché io soffro spaventosamente tutta la mia crisi di paura con fantasmi di pazzia che mi assalgono nel mio intimo, e poi piango con la faccia nel cuscino dicendo che voglio morire e dall'amica di lei non mi lascio toccare neanche una mano, solo e orfano bevo fino alla feccia il mio calice d'agonia, e dopo quando mi sono alla fine un poco calmato l'amica mi rivela che la ragazzetta ha avuto pasticci seri con sua madre per causa mia sicché non può venire cosí frequentemente come prima, e d'altra parte sembra che abbia trovato un giovane molto serio e con una buona posizione che s'è innamorato di lei e per quanto lei non sia molto innamorata di lui però gli vuole bene tutto sommato, e inoltre questo giovane che fa l'avvocato a quanto pare non ha che trent'anni sicché tra loro due non c'è una grande differenza d'età come tanto per dire fra noi due, ma soprattutto questo avvocato è disposto a fare le cose con coscienza ossia andandola a chiedere in famiglia come costumano le persone bennate, e io intanto che mi vengono rivelate queste belle novità penso ma guarda un po' questa disgraziata che mi pianta proprio ora che ho bisogno di lei pareva tanto pulita e per bene e invece è una zoccola peggio delle altre, però che mi capiti un'altra volta per le mani e vedrà quale scherzo le combino, a questo mondo non bisogna mai aver pietà di nessuno proprio cosí, ma naturalmente all'amica non faccio vedere niente di questi pensieri le dico anzi che la ragazzetta ha del tutto ragione dal suo punto di vista borghese, in fin dei conti voleva farsi sposare da qualcuno con un reddito sicuro e le auguro di riuscirci, io non ho niente contro di lei anzi ci terrei che restassimo buoni amici anche dopo che si sarà sposata, tutto quindi torna a posto però non vedo il motivo per cui la spiegazione debba avvenire per mezzo di terze persone, in fin dei conti per quanto poco regolare la nostra è stata una meravigliosa storia d'amore quindi è giusto che se dobbiamo dirci addio ce lo diciamo guardandoci negli occhi, o almeno da persone civili se proprio non vogliamo eccedere in sentimentalismi, sicché veda un po' lei se non sia il caso che ci incontriamo uno di questi giorni non appena starò un po' meglio, e in conclusione il giorno dopo la ragazzetta mi si ripresenta in casa con un'aria da santarellina che le sta benissimo dato il recente proposito di convolare a giuste nozze, e io si capisce la tratto con tutti i riguardi del caso mi scuso perfino di farmi trovare in pigiama ma lei sa bene come la mia salute non sia molto buona, e una volta rimessomi a letto con lei seduta vicino le dico che due che potessero amarsi come noi due ci amavamo non potevano esistere al mondo ma l'amore è una cosa e la vita un'altra, eppertanto lei doveva pensare anche a se stessa e al proprio avvenire la capivo benissimo, d'altra parte io ero troppo vecchio per lei e per di piú ammalato di questa malattia umiliante e oscura di cui non si vedeva la fine, ormai non ce la facevo neanche piú a guadagnare quei quattro soldi che servivano per tirare avanti comunque non è che avessi gran voglia di tirare avanti nelle presenti condizioni, quindi non mi restava che augurarle di essere felice nella sua nuova sistemazione con un giovane e brillante avvocato, quanto a me non doveva darsi pensiero proprio non doveva una via d'uscita l'avrei ben trovata dato che ce n'è sempre una a disposizione dei disperati, e avanti di questo passo finché m'accorgo di averla cotta a dovere con la commozione e allora me la tiro piú vicina e le accarezzo i capelli e la fronte, poi le accarezzo anche il seno sopra la camicetta, poi cerco d'infilare dentro una mano e lei si difende, debolmente però sicché al secondo tentativo mi lascia fare anche perché singhiozza come una fontana dato che nel frattempo io non smetto di descriverle quanto solo e povero e miserabile sarò senza di lei, e siccome il suo punto debole è il seno in breve me la trovo lunga e distesa accanto a me con una voglia matta di far l'amore, e io comincio a farlo e quando la vedo mezza liquefatta comincio a dirle brutta puttana vedrai che scherzo ti combino io, un figlio ti metto nella pancia cosí impari a far la carogna con me e la smorfiosa con gli altri, e dicendo questo non è proprio che pensi per intero di metterla incinta, mi sento un po' come uno che dice di andare in guerra a morire ma tutto sommato spera di non morirci affatto, in questo stato d'animo mi trovavo io rispetto alla probabilità di metterla incinta, devo anzi dire che ero quasi sicuro di no per via dell'utero infantile, per quanto non dimenticassi certo le discrepanze manifestate in proposito da quel guastafeste del medico di casa, fatto sta comunque che io intendevo solo farle paura e collocarla di fronte alle sue responsabilità, e invece non passa neanche un mese che mi viene a dire guarda che ci sono rimasta, e io preso subito da una gran voglia di scappare perché far fronte a nuove situazioni mi spaventa sempre le dico ma non avevi l'utero infantile, e lei alza le spalle e io pure alzo le spalle e dico vorrà dire che è stato l'avvocato, e lei a tradimento mi allenta una potente sberla e poi arrabbiata come una furia tenta anche di graffiarmi gli occhi, e intanto mi dice vigliacco e delinquente dice anche che l'avvocato non è mai esistito ma l'avevano inventato lei e la sua amica per vedere se mi decidevo un po' a prendere qualche risoluzione seria, troppo comodo approfittare di lei giorno e notte senza dare niente in cambio, ma ormai era finita potevo anche crepare con le mie crisi da matto però lei non avrebbe mosso il dito mignolo per aiutarmi, e quanto al matrimonio non mi avrebbe sposato neppure se l'avessi supplicata in ginocchio, e insomma dopo questo complicato pastrocchio riesco a far la pace a fatica, e poi prepariamo le carte in fretta e con scarso concorso di parenti e amici ci sposiamo sbrigativamente alle cinque del pomeriggio nella chiesa romanica di Santa Maria in Cosmedin, vulgo Bocca della Verità, mentre lo sa soltanto Iddio attraverso quale sequela di menzogne ed astuzie quella sia riuscita a farsi mettere l'anello al dito, cosa che d'altra parte era stata la sua meta sia segreta che palese fin dal giorno in cui il destino ci aveva fatti incontrare presso la fontana di piazza del Popolo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 315

Ora abbastanza stranamente direi capita che mia moglie e i giovani amici psichiatri e pure il medico di casa si capisce arrivano alla stessa conclusione ossia che nel mio caso la psicoanalisi è da preferire, e io scommetto che il merito di questa decisione in fondo rispettosa va attribuito in gran parte a mia moglie la quale si dev'essere detta stiamo un po' attenti col cervello di costui perché chissà mai che un giorno o l'altro non riesca a scrivere questo capolavoro di cui chiacchiera tanto, e in verità io penso che per una come lei non insensibile ai valori spirituali sarebbe una bella fregatura essersi coniugalmente unita con uno scombinato di quattrini e di salute e per di piú inetto a conquistare per sé e per i propri cari una qualsivoglia celebrità o fama, comunque una volta che si è giunti alla decisione psicoanalitica si è fatto solo il primo passo perché subito dopo bisogna prendere altre decisioni particolareggiate, ossia se è preferibile un analista junghiano dalla psicologia complessa o un freudiano che propende piuttosto per il pansessualismo, e in quest'ultimo caso se è preferibile uno di scuola viennese o svizzera o inglese dato che da noi la scuola americana pare non venga contemplata, e intorno a questi problemi si accendono discussioni anche animate che a me sepolto nei dolori in fondo a un letto sembrano discussioni per le onoranze funebri nell'anticamera di un moribondo, e in realtà a questa psicoanalisi mi sono convertito a scanso di peggio ossia senza convinzione profonda anche perché sull'argomento conosco solo quel poco che mi è giunto attraverso Svevo e se ho ben capito il risultato terapeutico della faccenda viene descritto come scarso nel divertente romanzo che parla di Zeno, e partendo da questa insufficiente piattaforma culturale è chiaro che non me ne frega niente di scuole e di tendenze l'unica cosa che pretendo è un uomo probo e onesto per Dio, ecco mi sembra proprio necessario trovare uno con queste qualità che tutti ben sappiamo quanto siano rare al giorno d'oggi mentre forse al tempo di mio padre non erano altrettanto rare, comunque conosciuto questo mio desiderio che è anche condizione sine qua non gli amici giovani psichiatri cominciano a parlarmi di uno che le qualità richieste sembra possederle perfettamente, e in piú è competente nella materia tant'è vero che va a tutti i congressi internazionali freudiani si capisce dato che egli appartiene al ramo originario della scienza, e c'è da giurare che a Roma almeno se non in Italia tutta uno meglio di lui non si trova, insomma siccome io ormai non ce la faccio piú ad alzarmi dal letto neppure nelle ore piú floride dico che prendano un appuntamento con questo psicoanalista d'eccezione, e ci vado e mi trovo davanti un vecchietto poco alto di statura e tutto sommato miserello come corporatura il quale mi guarda sí in modo aperto e accattivante però mica sono uno alle prime armi che si lascia accalappiare da simili artifici che molti altri medici prima di lui hanno sfoderato al primo incontro, e inoltre questo qui solo per dirmi si accomodi tira fuori un bell'accento meridionale Dio santo sta' a vedere che costui è terrone e io non sono preparato a un terrone, cosa mi aspettassi non lo so cioè ora lo so benissimo ma allora lo sapeva soltanto il mio inconscio il quale aveva la bella pretesa che quel vecchietto per niente alto di statura che già in sé come colpo d'occhio era una delusione parlasse almeno con una voce mitica, cioè per dirla chiara con la voce di mio padre nel mio perduto ricordo infantile, e siccome questo non accadeva in alcun modo ecco che mi sentivo pieno di scontentezza e perfino diffidenza e invece di ricambiare il suo sguardo aperto mi metto lí a fissare il piano della scrivania e in piú mi tormento le mani e non so che dirgli si capisce, ma poi con improvvisa scontrosità e brusca voglia di mettere subito le cose in piazza gli confido che siccome mio padre per prima cosa sembra che mi abbia trasmesso il piacere dell'onestà sento il dovere di dirgli che io alla psicoanalisi non credo gran che, non piú di quanto ci credesse Svevo ai suoi tempi in ogni caso, e che se mi vedeva lí davanti a lui era piú per disperazione che per convinzione, una forma di resa senza dubbio, ma la meno pericolosa possibile dato il capolavoro che mi restava da scrivere, però dal momento che nelle mie presenti condizioni per me era difficile non solo scrivere ma financo vivere facesse un po' lui, per questo appunto ero venuto dandogli piena libertà, cioè in fondo non invocavo neppure tanti riguardi per eventuali trasformazioni psichiche e intellettuali poiché il capolavoro per dirla francamente era una specie di gioco a rimpiattino tra me e le mie disgrazie, ossia tre capitoli bene o male ero riuscito a scriverli e forse neanche tanto male ma poi la faccenda era rimasta lí ed era anche del tutto improbabile che andasse avanti inquantoché della speranza di andare avanti io avevo bisogno come della salute con la quale in fin dei conti era tutta una cosa, eppertanto ce n'era ben poca, comunque queste erano tutte faccende un po' troppo ingrovigliate per spiegarle cosí su due piedi e l'importante per me era informarlo della mia grave preoccupazione per il costo della psicoanalisi, già mi avevano informato che la cura doveva durare almeno un paio d'anni però io non ero mica sicuro che sarei arrivato alla fine, cioè avrei continuato fino a che avessi avuto denari da spendere e poi basta dato che mio padre non mi permetteva di fare debiti sebbene fosse ormai morto da qualche anno, e poi sapevo benissimo che era fuori della consuetudine fare debiti con gli psicoanalisti questo m'era stato dato per certo, comunque se lui riusciva a mettermi un po' in sesto io avrei ripreso a lavorare qua e là dato che il cinema contrariamente ad ogni onesta previsione non andava ancora in malora, e lavorando si capisce, avrei avuto i soldi per pagarlo e quindi andare avanti con la cura, era una specie di catena insomma come tante altre cose di questo mondo e forse tutte, comunque lui non doveva fraintendermi ossia credere che pensassi che rimettermi in sesto fosse faccenda da poco, tanto piú che non ero affatto sicuro del genere di malattia che mi era capitato addosso, ossia da un certo punto di vista era indubitabile che si trattava di esaurimento o meglio sia nevrosi ma da un altro punto si poteva benissimo pensare che avendo io un male cane allo stomaco si trattasse di un bel cancro e la disgrazia mi sembrava molto probabile dato che pure mio padre ne aveva avuta una tale e quale che l'aveva portato alla tomba, e in questo caso io certo non chiedevo che mi guarisse ma che in un modo o nell'altro mi evitasse le sofferenze sí, e anzi queste sofferenze sarebbe stato meglio eliminarle o perlomeno attenuarle anche nel caso che non si trattasse di cancro ma di colite come molti medici in precedenza consultati pensavano, e lui che finora mi aveva ascoltato senza dire parola ora pacatamente disse che l'idea del cancro dovevo togliermela dalla testa, non avevo il cancro e a pensarci bene neppure la colite come malattia organica, ossia non era ammalato il colon bensí la psiche e in altre parole era la nevrosi che mi faceva venire mal di pancia e non viceversa come magari potevo credere io, e ad ogni modo se avevo la colite potevo anche curarmela prendendo dei calmanti se il dolore era troppo forte ed evitando i cibi controindicati che erano precisamente latte latticini frutta e verdure, e cosí io appresi che negli ultimi tempi mi ero ridotto a cibarmi solo di roba controindicata con tanti medici che mi trovavo intorno ed ora questo vecchietto mi diceva che era meglio se mi nutrivo come tutti gli altri cristiani, cioè potevo mangiare anche bucatini all'amatriciana se li mangiavo volentieri, e io poi quando uscii dal suo studio tornando verso casa in compagnia di mia moglie che era venuta a prendermi e non faceva che dirmi dimmi cosa ti ha detto e io niente e lei ti avrà pur detto qualcosa se sei stato dentro un'ora e io niente mi ha detto, comunque ero abbastanza contento e pensavo ai bucatini all'amatriciana e mi dicevo stasera vado a cena fuori e me ne mangio una porzione doppia, c'era dunque in me una buona carica vitale dopo questo primo abboccamento psicoanalitico e in un certo senso mi pareva che se avessi superato la prova dei bucatini forse ne avrei superato anche un'altra ben piú seria, e frattanto mia moglie diceva gli avrai parlato male di me parli sempre male di me con tutti, e io allora le dissi che mi ero dimenticato di parlargli di lei o per meglio dire non se ne era presentata l'occasione, e io capivo che presso di lei questo psicoanalista era già irrimediabilmente condannato ma d'altra parte mica potevo raccontarle cose non vere o anche cose vere dalle quali mi pareva opportuno che rimanesse esclusa, e cosí tanto per farla in qualche modo partecipe di quel colloquio che molto la incuriosiva le dissi che mi aveva detto di mangiare ciò che mi piaceva ad eccezione di latte latticini frutta e verdure in sostituzione delle quali dovevo prendere vitamine in pillole, eppertanto stasera saremmo andati a mangiare fuori bucatini all'amatriciana, ma siccome lei storse la bocca perché i bucatini in verità le piacciono poco dissi va bene andremo a Riano cosí io mangerò fettuccine al sugo e tu pollo alla diavola, e dissi apposta a Riano perché sta qualche chilometro fuori Roma forse venti o poco meno, e mi dissi se hai coraggio di mangiare fettuccine al sugo avrai anche il coraggio di arrivare a Riano, ma in realtà poi verso sera il coraggio mi venne meno e dovemmo fare tre o quattro telefonate prima di trovare uno di quei giovani assistenti psichiatri disposto a venire a mangiare a Riano, e cosí mentre si stava a tavola dovetti naturalmente raccontare ciò che avevo detto allo psicoanalista e ciò che lo psicoanalista aveva detto a me, per quanto a pensarci bene non c'era gran che da raccontare e in effetti tra noi due non era accaduto nulla meritevole d'essere riferito all'infuori delle mie impressioni si capisce, però quelle a conti fatti era meglio se le tenevo per me poiché si trattava di sentimenti che messi fuori sarebbero anche potuti apparire ridicoli, ossia la pretesa che quell'ometto nato chissà dove ma sicuramente in una località forse campestre al disotto di Roma parlasse con accento veneto, oppure che fosse di almeno due spanne piú alto di quant'era solo per la ragione che mio padre da vivo era alto un paio di spanne piú di lui, tutto questo a pensarci bene non aveva niente a che fare né con la cura in sé né con una valutazione leale dell'individuo al quale finché non fossero sopravvenuti altri fatti a modificare il mio stato d'animo mi proponevo con tutta serietà di manifestare riverenza ed obbedienza come dimostrai anche mangiandomi un bel piatto di fettuccine casarecce con sugo di fegatini di pollo, ma poi il giorno dopo mi venne un mal di pancia tremendo e fui sul limite di perdermi per i dolori e la drammaticità di interminabili defecazioni, Dio mio padre mio dicevo mai piú mangerò fettuccine al sugo e naturalmente mi proponevo di avere in proposito una chiara discussione col mio vecchietto il cui prestigio era già parecchio scosso per il dubbio successo dei suoi consigli dietetici, e infatti quando tornai da lui gli raccontai con vera fermezza del tremendo mal di pancia e della paura di lasciarci il ben dell'intelletto, però lui osservò pacatamente che era meglio avere un attacco di colite per delle cause diciamo cosí meccaniche che non per cause psichiche, e comunque non dovevo aver paura di nulla poiché non correvo alcun rischio se si eccettuava quello di una crisi d'angoscia si capisce, e io gli dissi dice niente una crisi d'angoscia se me ne capita un'altra ho paura che divento matto per sempre, e lui senza alterare il suo atteggiamento da saggio sia pure meridionale rispose che sapeva benissimo quanto fossero spaventose le crisi di angoscia, affermò anzi che con ogni probabilità non esistevano al mondo sofferenze piú grandi però se era la pazzia a farmi paura lui una cosa sola poteva garantirmi cioè che non sarei diventato matto perché non potevo diventarlo, ma sebbene le sue parole fossero allettanti e per di piú pronunciate con tono di benevola persuasione io le ascoltavo col sospetto che si ha quando si pensa che uno ci possa dire frottole sia pure allo scopo di aiutarci a diventare matti senza fare tante storie, in verità essendo stato appena scottato dalla faccenda delle fettuccine non era che fossi ben disposto a dargli credito, comunque giacché ero lí e non potevo certo tirarla in lungo col mal di pancia cominciai a raccontargli genericamente la cronistoria delle mie disgrazie prendendo come punto di partenza l'ematuria e andando avanti coi libri sotto i piedi del letto e con la colica famosa che mi aveva portato nelle mani di coloro che m'avevano squartato per niente sebbene non gratis, e lui ogni tanto faceva suoni di dispiacere con la bocca ma piú spesso aveva un'aria sotto sotto divertita per tanto straordinarie coincidenze che potremmo senza esagerazione alcuna definire iettatorie, e io scommetto che nel suo intimo si divertiva non poco anche per le cantonate che avevano preso i suoi colleghi medici del corpo mentre lui medico dell'anima cantonate non ne avrebbe prese glielo si leggeva benissimo sulla faccia onesta, e io naturalmente non è che mi divertissi tanto [...]

| << |  <  |