Copertina
Autore Cristoforo Sergio Bertuglia
CoautoreFranco Vaio
Titolo Non linearità, caos, complessità
SottotitoloLe dinamiche dei sistemi naturali e sociali
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Scienze , pag. 428, dim. 147x220x23 mm , Isbn 978-88-339-1458-9
LettorePiergiorgio Siena, 2003
Classe scienze sociali , matematica , fisica , economia
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Indice

7   Prefazione

Non linearità, caos, complessità


Parte prima
Processi lineari e processi non lineari

1.1.  Introduzione, 15
1.2.  La modellizzazione, 23
1.3.  Le origini della dinamica dei sistemi:
      la meccanica, 32
1.4.  La linearità nei modelli, 41
1.5.  Uno dei sistemi naturali più elementari:
      il pendolo, 46
1.6.  La linearità come prima approssimazione,
      spesso insufficiente, 53
1.7.  La non linearità dei processi naturali:
      il caso del pendolo, 61
1.8.  Sistemi dinamici e spazio delle fasi, 64
1.9.  Estensione dei concetti e dei modelli
      della fisica all’economia, 75
1.10. Il pendolo caotico, 83
1.11. Modelli lineari nei processi sociali:
      il caso di due popolazioni interagenti,86
1.12. Modelli non lineari nei processi sociali:
      il modello di Volterra-Lotka e alcune sue
      varianti in ecologia, 109
1.13. Modelli non lineari nei processi sociali:
      il modello di Volterra-Lotka applicato
      nell’ambito delle scienze urbane e
      regionali, 125

Parte seconda
Dal non lineare al caos

2.1.  Introduzione, 143
2.2.  Sistemi dinamici e caos, 145
2.3.  Attrattori strani e attrattori caotici,
      160
2.4.  Il caos nei sistemi reali e nei modelli
      matematici, 174
2.5.  La stabilità nei sistemi dinamici, 179
2.6.  Il problema del rilevamento del caos nei
      sistemi reali, 201
2.7.  La crescita logistica come modello di
      sviluppo di una popolazione, 213
2.8.  Un modello discreto non lineare:
      la mappa logistica, 223
2.9.  La mappa logistica: qualche risultato
      delle simulazioni numeriche e
      un’applicazione, 238
2.10. Il caos nei sistemi dinamici: i concetti
      più rilevanti, 253

Parte terza
La complessità

3.1.  Introduzione, 261
3.2.  Inadeguatezza del riduzionismo, 262
3.3.  Alcuni aspetti della visione classica
      della scienza, 276
3.4.  Dal determinismo alla complessità:
      l’autoorganizzazione, una nuova
      comprensione della dinamica dei sistemi,
      290
3.5.  Che cos’è la complessità?, 299
3.6.  Complessità ed evoluzione, 318
3.7.  La complessità nei processi economici,
      328
3.8.  Alcune riflessioni sul significato del
      «fare matematica», 344
3.9.  Digressione sulle principali
      interpretazioni dei fondamenti della
      matematica, 359
3.10. Necessità di una matematica della (o per
      la) complessità, 378

387   Riferimenti bibliografici
417   Indice dei nomi
423   Indice analitico

 

 

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Pagina 34

Nel corso del tempo, sono venuti all’attenzione degli studiosi vari elementi che hanno ridimensionato l’ambiziosa pretesa della meccanica sei-settecentesca di essere un efficace strumento per la completa descrizione del mondo. Le critiche mosse a questa visione sono state numerose, soprattutto in quest’ultimo secolo e mezzo, in particolare con riferimento alla pretesa ontologica implicita nelle caratteristiche citate, le quali si propongono come veri e propri principi a fondamento della meccanica classica. Tali critiche spesso sono state espresse in termini di formulazioni alternative che hanno portato a rivedere la meccanica sotto prospettive diverse da quella originaria, meno rigide di questa, ma anche, necessariamente, meno ottimistiche.

Si possono evidenziare alcune fasi nell’evoluzione storica della disciplina, attraverso le quali si passa dalle fiduciose certezze tipiche della visione meccanicistica alla progressiva presa d’atto delle difficoltà intrinseche. Molto sinteticamente, possiamo riconoscere nella storia del pensiero scientifico la successiva comparsa delle seguenti concezioni:

1) determinismo, cioè la meccanica classica propriamente detta ( Newton, Leibniz, Lagrange, Eulero, Laplace : dal 1687, anno pubblicazione dei Principia di Newton, ai primi decenni dell’Ottocento);

2) indeterminazione statistica (Clausius, Kelvin e Boltzmann, nella seconda metà dell’Ottocento);

3) indeterminazione quantistica ( Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac e numerosi altri, a partire dai primi decenni del Novecento);

4) caos deterministico ( Poincaré per primo, alla fine dell’Ottocento, poi abbandonato, successivamente ripreso da Lorenz, Smale, Yorke, Prigogine e altri negli ultimi decenni del Novecento).

I punti (l)-(3) costituiscono momenti successivi l’uno all’altro, vere e proprie fasi storiche del pensiero scientifico. Il punto (3), nato in epoca successiva a quella delle prime scoperte sul caos di Henri Poincaré, è tuttora oggetto di indagine scientifica (si pensi anche solo ai notevolissimi sviluppi degli studi sulla fisica delle particelle elementari, iniziati nel secondo dopoguerra e tuttora in pieno corso) e parte del suo sviluppo, a cominciare dagli anni sessanta, è contemporanea alla ripresa del concetto di caos, punto (4).

In questa sede non ci occuperemo direttamente delle prime tre fasi, che sono di pertinenza più stretta della fisica. Rivolgeremo l’attenzione, invece, al caos deterministico come a uno degli elementi che entrano in una fenomenologia più generale, tipica di molti sistemi, non solo naturali, ma anche sociali, la quale prende il nome di complessità. La scienza della complessità, rivolgendo al mondo uno sguardo d’insieme, interessandosi alle intricate e imprevedibili interrelazioni tra i sistemi e tra gli elementi che li compongono e concentrando l’attenzione sul sistema, negli aspetti che riguardano la sua organizzazione e la sua globalità, si pone l’obiettivo di una comprensione in chiave olistica della realtà, superando il punto di vista rigorosamente riduzionista adottato dalla meccanica classica, inserendolo in un quadro più generale.

Com’è noto, l’approccio riduzionista e analitico che si pone a fondamento stesso della meccanica classica, negli anni che vanno dalla fine del Seicento alla fine dell’Ottocento, ha prodotto rilevantissimi risultati sia teorici sia applicativi; in particolare, esso ha dato luogo a uno sviluppo di tecniche matematiche che non è azzardato indicare come prodigioso, e ha sostenuto la diffusione di un pensiero scientifico di recente formazione, inesistente nei secoli precedenti. Tale approccio, tuttavia, per quanto estremamente efficace in alcuni ambiti, è incapace di produrre risultati in altri ambiti; addirittura, è assolutamente inefficace per alcuni problemi della stessa meccanica.

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Pagina 76

Prendere un concetto o un modello che ha avuto successo in fisica e applicarlo alle scienze sociali è stata proprio una delle strade seguite dal fisicalismo, come abbiamo detto nel § 1.1. Secondo questo modo di procedere, quando si osservano delle oscillazioni di qualche grandezza misurata empiricamente che perdurano costanti nel tempo, si possono definire altre grandezze costanti del moto (gli integrali primi), come, ad esempio, l’energia nei sistemi della fisica, attribuendo loro significati diversi secondo i contesti.

Fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, considerazioni e concetti come quelli che abbiamo ora enunciato, tipici di un particolare settore della fisica matematica detto meccanica razionale, sono stati oggetto di trasferimento dalla fisica all’economia, tradizionalmente la più quantitativa delle scienze sociali, attraverso vere e proprie omologie. Si è a lungo cercato, infatti, di costruire modelli dell’economia che ripetessero leggi matematiche simili a quelle che abbiamo esposto, tentando di creare una vera e propria economia matematica sul modello della meccanica razionale.

I progenitori dell’economia neoclassica marginalista, autori di questa concezione dell’economia, attinsero alla fisica tentando di copiarne letteralmente i modelli, termine per termine, simbolo per simbolo, in maniera metodica e organica, affermando espressamente l’intenzione di trasferire i concetti e i metodi dalla fisica all’economia (Cohen, 1993). Economisti come William Stanley Jevons, Léon Walras, Vilfredo Pareto e Irving Fisher dichiararono, infatti, l’obiettivo di fare dell’economia una «vera» scienza, scegliendo la fisica come riferimento.

Ciò per vari motivi: da una parte, la fisica era una scienza che essi stessi conoscevano molto bene (Jevons si era laureato in chimica all’University College di Londra, dove, in seguito, sarebbe diventato professore di economia politica, essendo stato allievo, tra l’altro, anche del matematico George Boole; Pareto si era laureato in ingegneria civile al Politecnico di Torino; Fisher era stato allievo, alla Yale University, di Josiah Willard Gibbs, eminente figura della fisica matematica e uno dei padri della termodinamica teorica); dall’altra, perché la fisica, in particolare fra tutte le scienze, era tenuta in una grande considerazione e godeva di generale apprezzamento fra le persone di cultura per i notevoli successi conseguiti. Ma oltre a ciò, era considerato importante il fatto che la fisica si caratterizzasse, rispetto alle altre discipline scientifiche, per il largo uso della matematica. Soprattutto quest’ultimo aspetto costituiva l’elemento primario secondo questi economisti, ma non solo secondo loro, per conferire il carattere di scientificità a una disciplina come l’economia, per la quale, a quell’epoca, i fondamenti matematici erano piuttosto vaghi.

I trasferimenti dalla fisica all’economia avvenivano secondo modalità differenti. Jevons, ad esempio, sostenne che la nozione di valore svolge in economia lo stesso ruolo che l’energia riveste in meccanica, e affermò che si può attribuire alla merce la dimensione che la massa ha in fisica e, ancora, che l’utilità è il corrispondente della forza gravitazionale di Newton.

Pareto era convinto dell’esistenza di strette e sorprendenti somiglianze tra l’equilibrio di un sistema economico e l’equilibrio di un sistema meccanico. Egli, nel suo celebre Cours d’économie politique (1896), redasse addirittura una tabella a uso dei lettori privi di conoscenze di meccanica razionale, nella quale confrontava fenomeni meccanici e fenomeni economici, stabilendo stretti parallelismi fra i due ambiti.

Anche Fisher pubblicò una tabella in cui confrontava meccanica razionale ed economia, spingendo però l’omologia ben oltre quella di Pareto. Secondo Fisher, ad esempio, anche alle grandezze dell’economia si può attribuire la proprietà di essere scalari o vettoriali, come è per le grandezze di pertinenza della fisica. Fisher, ad esempio, propone le seguenti analogie fra grandezze fisiche e grandezze economiche: particella-individuo, spazio-prodotti di base, forza-utilità marginale (entrambe quantità vettoriali), energia-utilità (quantità scalari), lavoro-disutilità [...]

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Pagina 160

2.3. Attrattori strani e attrattori caotici


Qualche concetto introduttivo

I matematici David Ruelle e Floris Takens nei primi anni settanta del Novecento introdussero il concetto di attrattore strano per descrivere il fenomeno della turbolenza (Ruelle e Takens, 1971; si veda anche Ruelle, 1991). Un attrattore strano è un sottoinsieme di punti nello spazio delle fasi di natura fondamentalmente diversa da quella degli oggetti della geometria euclidea ordinaria: si tratta di un oggetto geometrico caratterizzato da una dimensione non intera. Il matematico francese di origine polacca Benoit Mandelbrot, sempre negli anni settanta, coniò la parola «frattale» per indicare oggetti geometrici aventi dimensione non intera (Mandelbrot, 1975): gli attrattori strani sono oggetti frattali.

Un attrattore ordinario e uno strano sono oggetti diversi dal punto di vista topologico, poiché non è possibile ottenere un attrattore strano operando soltanto una deformazione di un attrattore ordinario, senza dar luogo ad alcuna frammentazione di questo.

Attrattore caotico e attrattore strano sono concetti diversi. Indicando un attrattore come «caotico», facciamo riferimento alla dinamica caotica del sistema in cui si origina l’attrattore, non alla forma geometrica di questo: ci riferiamo, cioè, a un attrattore generato da una dinamica in cui vi è sensibile dipendenza dalle condizioni iniziali, ma le cui orbite sono confinate in una regione limitata dello spazio delle fasi. Indicando un attrattore come «strano», invece, facciamo riferimento alle sue proprietà geometriche, perché diciamo che è un oggetto frattale. La questione che si pone è se la stranezza, cioè una caratteristica della forma geometrica, e la caoticità, cioè una caratteristica della dinamica sottostante, siano due prospettive diverse a partire dalle quali definire lo stesso oggetto, o se attrattori strani e attrattori caotici siano, invece, oggetti fondamentalmente diversi.

Perlopiù gli attrattori caotici sono strani e gli attrattori strani sono caotici, il che è all’origine dell’identificazione fra i due concetti che comunemente è fatta (così era infatti per i primi attrattori non ordinari incontrati). Sono stati descritti, però, casi di attrattori strani non caotici, sia in ambito teorico (Grebogi e altri, 1984) sia in fenomeni osservati sperimentalmente (Ditto e altri, 1990), e casi di attrattori caotici non strani (Flolden e Muhamad, 1986; Grebogi, Ott e Yorke, 1987).

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Pagina 307

Qualche tentativo di definizione di sistema complesso

La teoria del caos, così come la termodinamica dei sistemi lontani dall’equilibrio, è ampiamente studiata nell’ambito della fisica, della chimica e della matematica. Anche la teoria della complessità, esistente da una trentina di anni soltanto, si estende a svariate discipline, come la fisica, la biologia, la sociologia, l’economia ecc. Nella teoria della complessità, si sostiene che nella nostra vita quotidiana noi siamo circondati da sistemi in cui sono presenti feed-back non lineari, in cui vi è la possibilità di comportamento caotico o di comportamento adattivo. I sistemi sono assunti evolvere in uno spazio delle fasi aperto: senza uno schema generale prestabilito, ma attraverso un processo di organizzazione spontanea.

La comprensione della dinamica dei sistemi richiede il superamento della visione riduzionista di origine cartesiana adottata dalla scienza classica nel Seicento, come abbiamo più volte ripetuto nel corso di questo libro: la complessità emerge solamente se i sistemi vengono descritti in una prospettiva olistica. La complessità nasce dal fallimento del tentativo del paradigma newtoniano di essere uno schema generale per la comprensione del mondo.

Semplificando un po’ e tralasciando per amore di chiarezza le esigenze di rigore, potremmo dire che un sistema complesso, stimolato in qualche modo, non si mostra inerte, come se fosse refrattario ad abbandonare la propria condizione di equilibrio stabile, nè manifesta la tendenza a reagire in modo casuale e senza coordinazione fra le sue parti, cioè come se fosse privo di un meccanismo che lo governa in modo deterministico. Un sistema complesso, invece, appare reagire a uno stimolo in modo coordinato, come se fosse animato da una volontà che gli fa trovare nuove risposte, cioè nuove configurazioni a fronte di nuove sollecitazioni; tali nuove configurazioni, però, per noi sono imprevedibili, il che maschera il determinismo soggiacente alla dinamica del sistema.

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Pagina 348

Il problema che ci poniamo ora è il seguente. Noi non siamo in grado di descrivere attraverso leggi generali adeguate la fenomenologia caotica e nemmeno quella sorta di caos organizzato che è la complessità; di conseguenza, non siamo in grado di formulare previsioni efficaci a lungo termine sull’evoluzione dei sistemi complessi. La matematica di cui disponiamo non ce lo consente che in maniera inadeguata, poiché le tecniche di tale matematica sono state sviluppate fondamentalmente per descrivere fenomeni lineari, in cui non si hanno feedback positivi che amplificano a dismisura qualsiasi incertezza iniziale o perturbazione. In quale direzione allora cercare la soluzione di una descrizione adeguata? Nella direzione di uno sviluppo di nuove tecniche matematiche nel contesto generale dei fondamenti attuali della matematica, oppure nella direzione di una revisione sia dei fondamenti stessi sia del significato delle metodologie matematiche di cui essi sono alla base? In altre parole, è una questione puramente tecnica, cioè limitata a uno sviluppo di nuovi metodi teorico-pratici per la risoluzione di problemi, oppure è una questione concettuale, cioè attinente a problematiche riguardanti la concezione stessa che noi abbiamo della matematica, e solo in seconda istanza, e in conseguenza di ciò, riguardante gli aspetti tecnici?

Probabilmente, il problema della formazione di una teoria della complessità su basi matematiche è da affrontarsi attraverso un riesame dei fondamenti alla base delle metodologie matematiche in uso, in particolare dei concetti di numero e di continuità. Il problema stesso della comprensione del continuo in una curva , così come della continuità dell’insieme dei numeri reali, di fatto non è ancora ben risolto. In particolare, restano tuttora aperte questioni poste all’attenzione del mondo scientifico più di un secolo fa, riguardanti, ad esempio, l’ipotesi del continuo di Cantor e il successivo postulato di Zermelo (o di Zermelo-Fraenkel) sugli insiemi infiniti, noto come «assioma della scelta», questioni che stanno alla base di ciò che intendiamo per numero, insieme (in particolare, insieme infinito) e oggetto matematico.

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Pagina 386

Non sappiamo se le dinamiche della natura e della società siano intrensicamente continue o discrete, anche se noi, istintivamente le immaginiamo continue e le rappresentiamo in spazi continui. Non abbiamo evidenze né in un senso né nell’altro, a eccezione del solo fatto che l’energia si trasmette in quantità discrete, multiple di una grandezza elementare. E' interessante osservare, a questo proposito, che tale grandezza elementare, il cosiddetto quanto di energia, fu introdotta con un’audace ipotesi da Max Planck nel 1900, dapprima come semplice artificio di calcolo: un passo indietro rispetto all’utilizzo dell’analisi matematica classica, operato sostituendo un integrale (cioè una somma di infinitesimi nel continuo numerico) con una sommatoria di quantità finite, i quanti di energia. Ciò fu fatto allo scopo di dare una descrizione, cioè una legge, per certi fatti sperimentali che sfuggivano alla comprensione (si veda, a questo proposito, la dettagliata presentazione che, tra gli altri, ne fa il fisico Max Born, uno dei padri della fisica quantistica in un celebre libro del 1933). In seguito, l’audace ipotesi dei quanti si rivelò estremamente feconda per gli enormi sviluppi di tutta la fisica contemporanea, ma quella ipotesi era nata da uno scollamento fra la tecnica dell’analisi matematica, peraltro tuttora ampiamente, continuamente e con grande successo utilizzata nella fisica quantistica, e una realtà dei fatti sperimentali che non si accordava con l’idea del continuo che è alla base dell’analisi matematica e delle sue tecniche.

Probabilmente, la complessità, pur trasversale a numerose discipline scientifiche, si trova in una situazione analoga a quella della fisica della fine dell’Ottocento: forse è necessaria qualche audace ipotesi, come fu quella di Planck, che, rivoluzionando i fondamenti matematici, e non solo la tecnica matematica, fornisca nuove e più fertili concezioni e una strumentazione matematica più efficace per la descrizione della dinamica dei sistemi, che riesca a dare conto dei fenomeni emergenti che caratterizzano la complessità. Probabilmente, per questo scopo, sarà necessario chiarire più a fondo concetti come il continuo numerico, e i diversi ordini di infinito, proseguendo nel lavoro di indagine cominciato nel Seicento. Lo scopo è lo sviluppo di un quadro teorico-matematico adeguato a descrivere le dinamiche caratterizzate dalla complessità e dal caos, come fu, per la meccanica del Seicento, l’analisi matematica di Newton e Leibniz.

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