Copertina
Autore Jean-Marc Besse
Titolo Vedere la Terra
SottotitoloSei saggi sul paesaggio e la geografia
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2008, Sintesi , pag. X+150, ill., cop.fle., dim. 14,5x21x1 cm , Isbn 978-88-6159-078-6
OriginaleVoir la terre. Six essais sur le paysage et la géographie [2000]
CuratorePiero Zanini
TraduttorePiero Zanini
LettoreElisabetta Cavalli, 2008
Classe critica letteraria , critica d'arte , natura , geografia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


VII     Prefazione

  1  1. Petrarca sulla montagna:
        i tormenti dell'anima fuori posto

 21  2. La Terra come paesaggio:
        Bruegel e la geografia

 51  3. Vapori nel cielo.
        Il paesaggio italiano nel viaggio di Goethe

 75  4. La fisionomia del paesaggio,
        da Alexander von Humboldt a Paul Vídal de La Blache

 93  5. Tra geografia e paesaggio,
        la fenomenologia

121  6. Nelle pieghe del mondo.
        Paesaggio e filosofia secondo Péguy

137     Bibliografia

145     Indice dei nomi


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina VII

Prefazione


                                Come vedevamo la Terra, quando
                                andavamo lungo questi cammini?
                                                  Julien Gracq



I saggi che seguono, pur evocando situazioni e autori molto diversi (Petrarca, Goethe, la geografia, la pittura, la fenomenologia...), si raccolgono attorno a un'unica domanda che costituisce, per così dire, la coerenza interna di questo libro. Questa domanda, tuttavia, più che rivolta al paesaggio è posta a partire da esso, suscitata tanto dalla viva esperienza che ne viene fatta, quanto dalle diverse rappresentazioni artistiche, scientifiche o spirituali di cui è oggetto. In altre parole, l'interesse e la posta in gioco che può rappresentare una lettura della lettera con la quale Petrarca rievoca la sua salita al monte Ventoso, del racconto di Goethe sul suo viaggio in Italia, o della descrizione del paesaggio francese fatta da Vidal de la Blache, sta essenzialmente nel fatto che l'incontro effettivo con il paesaggio vi appare ogni volta come il mettere alla prova e, talvolta, lo sconvolgere una aspettativa percettiva, una categoria di pensiero o un'abitudine di scrittura. Non sono questi autori a porre domande al paesaggio, ma, piuttosto, sono essi stessi interrogati, animati, colpiti dal paesaggio. Di più: sono attraversati dalla domanda che silenziosamente (ma non sempre) pone il paesaggio. Qual è questa domanda?

A un artista del Medioevo non sarebbe mai venuto in mente di fare studi di paesaggi, scrive Yves Bonnefoy:

Non si rappresenta il particolare quando si ha il piacere dell'universale, non ci si ferma ai fatti del caso quando il possibile, così come il compito, è celebrare ciò che li trascende. In arte il paesaggio comincia con le prime angosce della coscienza metafisica, quella che d'un tratto s'inquieta per l'ombra che si muove sotto le cose.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 21

2. La Terra come paesaggio: Bruegel e la geografia


Gli storici hanno più volte sottolineato il fatto che il vocabolario utilizzato nel XVI secolo per descrivere le rappresentazioni geografiche fosse identico a quello utilizzato per la pittura di paesaggio. Un tale avvicinamento tra cartografia e rappresentazione artistica dei paesaggi si verifica sotto molti aspetti.

La carta è infatti l'atto di una mimesis, e numerosi sono i cosmografi che all'epoca riprendono l'analogia di origine tolemaica tra la geografia e la pittura. Ricordiamo la definizione di Tolomeo:

La geografia è un'imitazione grafica della parte conosciuta della terra, considerata globalmente, nei suoi tratti più generali (I, 1, 1); [...] se le matematiche permettono di spiegare all'intelligenza umana lo stesso cielo così com'è al naturale, perché possiamo vederlo girare intorno a noi, per la terra, in compenso, siamo costretti a ricorrere alla rappresentazione pittorica.

Nel XVI secolo si ritrova il motivo pittorico nella Cosmografia di Pietro Apiano («Geografia [...] è come una forma o figura e imitazione della pittura della terra»), ma anche in Sebastian Münster. L'umanista tedesco Conrad Celtis paragona il trattato cosmografico di Apuleio, che pubblica nel 1497, a una piccola pittura che mostra «come e da chi l'universo è assemblato e mantenuto nella sua forma». Nella dedica del suo poema geografico Amores, pubblicato nel 1502, Celtis afferma che la Germania con le sue quattro regioni sarà resa visibile «come se fosse dipinta su un piccolo quadro». Allo stesso modo, Johannes Cuspian promette, nelle lezioni su Ippocrate che tiene all'università di Vienna nell'anno 1506, di descrivere, «come fanno i pittori, la Terra intera su un piccolo quadro». Come ricorda Svetlana Alpers, è in generale il termine «pittura: pictura, schilderij, o comunque un termine corrispondente» a essere stato utilizzato nel linguaggio moderno per tradurre la parola greca graphikos, presente in Tolomeo.

La circolazione delle parole accompagna, a dire il vero, una plasticità delle pratiche, se non un'indistinzione dei generi disciplinari. Nell'Italia, nella Germania o nei Paesi Bassi del XVI e XVII secolo, numerosi artisti, pittori o incisori, come Pierre Pourbus, Jérôme Cock, Jacopo de' Barbari, Joris Hoefnagel, Leonardo da Vinci, Cristoforo Sorte, Raffaello, realizzano carte, in scale differenti, così come vedute topografiche. Allo stesso modo, è probabile che il gigantesco paesaggio dipinto da Albrecht Altdorfer sullo sfondo della Battaglia di Isso si basi su un mappamondo realizzato da Dürer nel 1515 seguendo Johannes Stabius. Lo sguardo del pittore e lo sguardo del cartografo non sono allora separati, pur non confondendosi. Essi partecipano di una stessa attitudine cognitiva, e di una stessa competenza visiva, che all'epoca condividono con i medici, gli architetti, gli ingegneri, e in cui si manifesta, come scrive Piero Camporesi a proposito della nascita del paesaggio italiano nel XVI secolo, «l'operosa presenza di un naturalismo empirico, pragmatico e mineralogico». Questi uomini di mestiere, tra i quali rientrano anche i geografi, condividono quest'attenzione ai segni del mondo, annidati nel colore delle rocce, nell'orientazione dei venti o nel movimento delle acque, che permette all'occhio di leggere, per così dire, il paesaggio.

Il loro modo di guardare la natura e di leggere il paesaggio costituiva un patrimonio comune a tutto un ambiente culturale dove l'occhio del pittore, dell'architetto, dello scultore aveva del reale la stessa percezione paesaggistica di un curioso filosofo della natura, di un cercatore di metalli o di un tecnico minerario.

È questo genere di competenza semiologica che Paracelso designa con il termine chiromantia, quando l'applica in modo estensivo al paesaggio e agli oggetti naturali. C'è, dice,

una chiromanzia delle erbe, una chiromanzia delle foglie sugli alberi, una chiromanzia del legno, una chiromanzia delle rocce e delle miniere, una chiromanzia dei paesaggi [ein chiromantia der lantschaften] attraverso le loro strade e i loro corsi d'acqua.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 36

[...] È un tipo nuovo di esperienza della Terra, che cerca, sul piano delle rappresentazioni e dei discorsi, i modi della sua formulazione, di solito attingendo (ma dislocandolo) nell'universo dei modelli antichi. Questa struttura di percezione e pensiero è il teatro.

Con questa parola, la cartografia, la pittura di paesaggio e la villeggiatura condividono gli obiettivi e i discorsi, se non i modi formali. La superficie della Terra vi è presentata come una totalità armoniosamente ordinata, nella diversità delle sue regioni e delle sue qualità. Ma, soprattutto, essa si dà come a distanza, vista dall'alto, da un osservatore che in un certo modo le sta di fronte, quasi avesse dovuto trarsene fuori, per meglio vederla e pensarla, e anche per meglio comprendere ciò che lo tiene legato a essa. La Terra è presentata come un Tutto al quale l'essere umano partecipa e, in modo concomitante, come uno spettacolo davanti al quale egli è posto. Paradosso costitutivo, ma attraverso cui la Terra e l'uomo ricevono il loro vero statuto, da una parte un'immagine e dall'altra colui che la contempla. Struttura paradossale del soggetto e dell'oggetto, che si riassume nella metafora (ma anche nel dispositivo formale) del teatro, un teatro nel quale l'essere umano è allo stesso tempo attore e spettatore, interno ed esterno alla scena, considerata come un'immagine. Per il tramite di questo dispositivo paradossale, tocchiamo forse qui una delle motivazioni più profonde dell'atto cartografico moderno che consiste nel fare della carta una rappresentazione, nell'accezione che Martin Heidegger dà a questo termine.

La comunicazione tra la cartografia e l'esperienza del paesaggio (sia essa diretta, nella villa, o indiretta, nella pittura) non si compie dunque solo sul piano dei "contenuti", ma anche su quello di un dispositivo formale di percezione e pensiero, strutturato dalla relazione soggetto/oggetto. Ponendoci a questo livello di comunicazione, ci sembra possibile allora chiarire la concezione della Terra sviluppata dai cartografi della seconda metà del XVI secolo, primo fra tutti Ortelius. È possibile, più precisamente, esaminare da questa prospettiva formale le relazioni intrattenute dalla cartografia e dalla rappresentazione artistica dei paesaggi. Così, questo dispositivo teatrale, dove la Terra è presentata come un'immagine e l'uomo è visto allo stesso tempo come partecipante ed esterno alla scena, si manifesta nella serie di stampe dette dei Grandi paesaggi realizzate da Pieter Bruegel prima del 1560, ma i cui schemi di composizione spaziale si ritrovano in tutta l'opera successiva dell'artista. L'osservazione di qualche esempio di questa serie ci offre un chiarimento prezioso sulla concezione della Terra che condividono il pittore e il suo amico cartografo.

I paesaggi di Bruegel parlano del mondo umano nella ricchezza dei suoi dettagli corografici e topografici: città, villaggi, castelli, fiumi, montagne, foreste, campi coltivati, uccelli, ma anche nella diversità dei modi d'uso dello spazio terrestre da parte dell'essere umano: greggi sorvegliate da pastori, un seminatore nel suo campo arato, navi di diversa stazza, carri trainati da cavalli, contadini, mercanti, soldati e pellegrini sono distribuiti nella successione rigorosa dei piani del panorama davanti al quale è posto lo spettatore. Dal raccogliersi di questi oggetti sotto lo sguardo, il paesaggio si fa immagine del mondo, esperienza visiva del mondo terrestre. Il mondo, ma anche le diverse attività umane così come i generi di occupazione dello spazio terrestre che le esprimono (il commercio, l'agricoltura, la guerra, la preghiera) si dispiegano enciclopedicamente sotto i nostri occhi, come quel vasto anfiteatro di cui parla Plinio il Giovane, aperto verso le lontananze.

Ma Bruegel non si accontenta di mostrare la Terra, la designa e la costituisce esplicitamente come spettacolo osservato, come oggetto contemplato. Il paesaggio bruegeliano è infatti caratterizzato dalla presenza massiccia di un rialzo in primo piano, che dà, a strapiombo, sullo spazio diagonale del panorama terrestre. Rottura netta dei due piani, che inserisce una sorta di raddoppiamento del senso dell'esperienza visiva all'interno dell'immagine stessa. Su questo rialzo in primo piano, in alto rispetto al paesaggio, spesso Bruegel pone un osservatore di cui il più delle volte non vediamo che la schiena o il profilo. Il senso di queste figure d'osservatori va al di là del semplice artificio compositivo. Questi personaggi vanno visti come i delegati dello spettatore e del suo sguardo sul mondo terrestre. Più precisamente, dobbiamo intenderli come i rappresentanti di un pensiero di ciò che è il mondo e di ciò che è la possibile visione del mondo. Bruegel mette in scena non solo il mondo, ma la relazione visiva di un mondo e di uno sguardo. Dispiega graficamente un dispositivo teatrale, in cui il paesaggio terrestre acquisisce il significato di mondo per l'uomo che lo contempla.

| << |  <  |