Copertina
Autore Renato Betti
Titolo Lobacevskij
SottotitoloL'invenzione delle geometrie non euclidee
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2005, Matematica e dintorni , pag. 262, ill., cop.fle., dim. 135x220x16 mm , Isbn 978-88-424-9845-2
LettoreLuca Vita, 2005
Classe matematica , geometria , storia della scienza , biografie
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Indice

  1 Introduzione

  5 1. La teoria delle parallele

  9 Il problema del V postulato
 13 I tentativi di dimostrazione del V postulato
 19 Intuizioni
 25 Il postulato di Lobacevskij
 27 Gli Elementi di Euclide
 30 Questioni di esperienza
 32 Questioni di spazio
 34 La concezione dello spazio in Lobacevskij
 38 Questioni di consistenza
 42 La diffusione delle idee di Lobacevskij

 49 2. La prima formazione di Lobacevskij

 51 Kazan' e gli anni del ginnasio
 57 L'università e i docenti stranieri
 62 Gli studi di Lobacevskij
 66 Fra contraddizioni e incomprensioni
 69 L'epoca del provveditore Magnickij
 75 Prima attività scientifica, insegnamento e
    impegno amministrativo
 80 Lavoro universitario e formazione
 86 Geometria (1823), la prima opera: respinta
 90 Exposition succincte (1826), la seconda opera: persa

 93 3. L'attività amministrativa e le opere di geometria

 95 Lobaèevskij rettore
 99 Sui principali oggetti dell'educazione (1832)
101 Kazan' e l'università negli anni trenta
106 Sui principi della geometria (1829-1830)
111 Giudizi e critiche
114 Due lavori sulla geometria immaginaria (1835 e 1836)
117 Nuovi principi della geometria (1835-1838)
119 Geometrische Untersuchungen (Ricerche geometriche, 1840)
121 L'abbandono dell'università
123 Vita familiare
127 L'ultima opera: Pangeometrija (1855)

129 4. Lavori non geometrici

134 In algebra
141 Tre articoli sulle serie
145 Gli integrali di Lobacevskij
146 Altri lavori: meccanica, probabilità, analisi
150 L'eclissi totale di sole del 1842
153 In logica
154 Traduzioni

155 5. La geometria di Lobacevskij

158 La nuova nozione di parallelismo
161 Curve e superfici fondamentali dello spazio iperbolico
166 Trigonometria del piano iperbolico
169 L'equazione fondamentale della geometria iperbolica
174 La curvatura dello spazio
179 L'area delle figure piane
180 Geometria analitica del piano iperbolico
182 Geometria differenziale del piano iperbolico
187 Applicazioni della geometria immaginaria all'analisi

189 6. Interpretazioni della geometria non euclidea

192 Geometria intrinseca delle superfici
195 La curvatura gaussiana
199 Interpretazioni sulle superfici a curvatura costante
201 Le superfici pseudosferiche
202 Il modello di Beltrami-Klein
205 La geometria ellittica
207 Modelli di geometria ellittica
209 L'interpretazione proiettiva
212 L'assoluto del piano
215 Le metriche proiettive piane
219 Il modello di Poincaré

223 7. Nascita dell'idea di spazio matematico

225 I fondamenti della geometria secondo Riemann
230 L'interpretazione gruppale
232 Il problema dello spazio di Riemann-Helmholtz
234 La natura della geometria secondo Poincaré
238 Il punto di vista formalista
241 Geometria e realtà
244 Lo spazio della meccanica classica
246 Lo spazio pseudoeuclideo della relatività speciale
253 Lo spazio-tempo della relatività generale

257 Indice dei nomi

 

 

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Introduzione


Il termine "geometria non euclidea" è stato usato per la prima volta da Gauss nel 1824 per parlare di un sistema geometrico che differisce da quello introdotto da Euclide perché modifica il postulato delle rette parallele. Oltre che da Gauss stesso, questo sistema venne intuito da altri – non necessariamente matematici – nello stesso periodo e sviluppato in maniera completa, indipendentemente l'uno dall'altro, da Nikolaj Ivanovic Lobacevskij in Russia e da János Bolyai in Ungheria.

Un sistema geometrico che differisce da quello di Euclide in maniera ancora maggiore, perché oltre a quello delle parallele modifica anche un altro postulato, ma che grazie agli sviluppi successivi risulta oggi più intuitivo perché corrisponde alla "geometria della sfera", fu in seguito introdotto da Bernhard Riemann in Germania e tutta la materia venne ulteriormente compresa e unificata nella seconda metà dell'Ottocento. Inoltre, tenuto conto della maniera con cui i nuovi sistemi geometrici di Lobacevskij-Bolyai e di Riemann si distinguono da quello tradizionale di Euclide, nel 1872 Felix Klein usò per essi rispettivamente i termini "iperbolico" ed "ellittico", che sono ancora in uso oggigiorno e riflettono bene l'unità e l'estensione che è raggiunta dalla geometria. Il piano in cui si studia la classica geometria euclidea è da considerare in questa visione "parabolico" perché il suo ruolo è quello, limitato ma fondamentale, di "separare" le due altre geometrie – simili per tutti i riguardi ma con diverso segno di un carattere fondamentale, la "curvatura": la geometria di Riemann si riferisce a un piano a curvatura positiva, mentre il piano euclideo ha curvatura nulla e quello di Lobacevskij ha curvatura negativa.

Il processo che ha portato alla "scoperta" di questi sistemi geometrici e ha inserito l'argomento all'interno di una più generale concezione della geometria, e con essa di tutta la matematica, non è un'avventura che riguarda solo gli sviluppi tecnici, vale a dire risultati e teoremi che rimangono all'interno della disciplina matematica e vengono studiati unicamente dagli specialisti. Per la difficoltà con cui il processo si è sviluppato e per la resistenza che ha avuto in un primo tempo nell'ambiente scientifico, per la portata concettuale del nuovo punto di vista e gli entusiasmi a cui ha successivamente dato luogo sul piano generale della conoscenza, si tratta prima di tutto di un'avventura intellettuale e umana.

Il presente libro vuole ripercorrere alcune tappe di questa avventura dal punto di vista di uno dei protagonisti, il russo Lobacevskij, il personaggio matematico che, con un grado maggiore o minore di consapevolezza – una sorta di "genio involontario" –, per primo ha contribuito con la sua opera a determinare i maggiori cambiamenti nell'essenza della matematica e nello spirito scientifico che sono connessi alla scoperta della geometria non euclidea. Allo stesso tempo, però, il libro non vuole dimenticare il suo contributo propriamente matematico e l'apertura che egli ha determinato per tutta la cultura scientifica.

La figura di Lobacevskij è poco conosciuta. Le sue vicende si svolgono nella prima metà dell'Ottocento all'università di Kazan', una città che era ben lontana dai centri matematici più attivi. Inoltre, le nuove idee sono sviluppate da Lobacevskij nella più assoluta solitudine intellettuale – e forse non poteva essere altrimenti. Addirittura, spesso egli deve subire l'ironia, il rifiuto della pubblicazione, l'aperto dileggio della maggior parte della comunità scientifica russa. Sembra che solo un tenue filo di circostanze eccezionali abbia permesso alla nuova teoria di sopravvivere, di superare tutte le contrarietà e di farsi conoscere. E quando viene presa in considerazione dal mondo matematico – pochi anni dopo la morte di Lobacevskij – allora divampa, si fa largo con prepotenza e contribuisce a fornire un'inaspettata unità a una serie di sviluppi diversi e apparentemente eterogenei nel campo della geometria. Sembra quasi il "tassello" mancante di una teoria unitaria: allo stesso tempo fornisce un nuovo statuto alla materia e indica nuove prospettive al secolare problema della natura dello spazio.

Questa vicenda viene qui inserita all'interno della vita russa fra Settecento e Ottocento, senza la pretesa di effettuare una ricostruzione storica del periodo o delle vicende scientifiche, ma con il solo scopo di gettare luce sulla personalità di Lobacevskij (ignorato inizialmente in patria, la successiva riscoperta ha portato a fissarne l'immagine in maniera rigida e formale) e delinearla meglio, cercando di capire qualche aspetto del mondo nel quale egli si trovava a operare.

La vicenda umana si intreccia con quella matematica.

Riguardo al significato della propria concezione geometrica, Lobacevskij oscilla tra due polarità fondamentali: da una parte nutre l'attesa che la sua teoria sia "giusta", vale a dire che rappresenti i rapporti veri tra le forme dello spazio, dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo, e che quindi, nello studio delle proprietà delle figure, sia da sostituire a quella euclidea, che ne è soltanto un'approssimazione. D'altra parte, però, come ammette esplicitamente in alcuni punti del suo lavoro, «se non è vera, è per lo meno utile», perché l'ipotesi che esista uno spazio nel quale vale la geometria "immaginaria", come egli la chiamava, già da sola fornisce la possibilità di eseguire alcuni calcoli altrimenti inaccessibili.

Che la sua teoria geometrica sia giusta è un'ipotesi esaltante, e che sia utile è tutt'altro che una posizione di ripiego: implica la consapevolezza di poter concepire gli spazi matematici "in sé", come costruzioni puramente intellettuali, non necessariamente immersi nell'unico spazio della geometria euclidea, e getta una luce profonda su altre parti della matematica.

Quali tensioni – politiche, culturali, scientifiche – hanno luogo nel periodo in cui avviene il grande cambiamento? E chi ne sono gli attori?

Quali sono gli elementi della geometria di Lobacevskij? Come sono maturati e attraverso quali considerazioni egli si convince che, sviluppando la teoria, non si potranno mai trovare contraddizioni?

Questi, alcuni degli interrogativi che si vogliono affrontare. Ma anche: a quali considerazioni è giunta la comunità scientifica, quando è venuta a conoscenza del nuovo punto di vista? E quali sviluppi si sono avuti sotto l'entusiasmo dell'ipotesi "non euclidea"?


Il primo capitolo è una rassegna del problema delle parallele, originato con l'opera di Euclide nel III secolo a.C. e rimasto sostanzialmente aperto fino alle nuove concezioni, formalizzate in maniera consistente per la prima volta nel 1829-1830. È il "racconto" delle vicende, dei tentativi, dei personaggi e delle idee che hanno portato al cambiamento, e dei modi con cui esso si è realizzato.

I capitoli dal secondo al quinto si riferiscono direttamente a Lobacevskij. Il secondo e il terzo parlano della sua persona: i suoi studi, la sua vita, l'attività amministrativa; a dispetto del disinteresse per la sua teoria geometrica che hanno sempre dimostrato gli ambienti accademici, egli è stato per ben diciotto anni rettore dell'università. Il clima culturale e politico, l'epoca, la città di Kazan' fanno da sfondo necessario a queste vicende. I lavori geometrici di Lobacevskij sono brevemente inquadrati con un primo esame. Il capitolo quarto si occupa di un argomento che spesso viene trascurato o comunque è poco noto, ma che, ugualmente, contribuisce a far conoscere il personaggio e la sua attività scientifica. Si tratta dei lavori non geometrici di Lobacevskij in algebra, in analisi matematica, in meccanica razionale... brevi rassegne.

Il capitolo quinto si rivolge in modo più esteso alla geometria iperbolica, seguendo in linea di massima i termini con cui essa è stata sviluppata da Lobacevskij e usando spesso la sua terminologia e le sue notazioni: il capitolo cerca di chiarire le nozioni che egli ha introdotto e i risultati fondamentali che ha ottenuto. Il linguaggio non è strettamente matematico - non vuole esserlo perché non è questo lo scopo – e cerca di mettere a fuoco soprattutto le idee. Una certa familiarità con il ragionamento matematico e un po' di voglia di affrontare la lettura delle formule sono tuttavia necessari, anche se non sono presenti vere e proprie dimostrazioni.

A questo punto si potrebbe trarre una conclusione: il personaggio è delineato insieme all'ambiente in cui agisce, la sua opera matematica è stata esposta e la scena rimane vuota. Ma le idee fondamentali della nuova teoria cominciano proprio ora, poco dopo la sua morte, a circolare e a essere apprezzate nel mondo matematico.

Il senso del cambiamento "non euclideo" che dalla matematica si è trasmesso alle altre discipline risulta in larga parte nella possibilità di concepire nuovi spazi per la geometria e nuovi ambienti concettuali nei quali rappresentare e studiare i problemi: dove si situa l'elemento di rottura nella concezione dello spazio che caratterizza le nuove idee?

La seconda parte del libro abbandona il personaggio Lobacevskij per seguire la sua opera verso l'unificazione della geometria, verso originali idee di spazio matematico, verso nuovi rapporti con la realtà fisica. Il sesto capitolo racconta come la geometria sviluppata in termini elementari da Lobacevskij si inserisca con successo nell'ambito delle ricerche geometriche correnti, fornendo loro, come si è detto, grande unità e contribuendo a determinare ulteriormente il loro indirizzo. È il periodo in cui la teoria viene per la prima volta interpretata in alcuni modelli e se ne riconosce la validità formale, se non ancora il senso. Il capitolo settimo si interessa dell'idea di spazio che emerge: sia nei termini astratti, che sono ancora in uso in matematica, sia in quelli descrittivi, propri delle moderne teorie fisiche. Si trova qui il principale frutto del lavoro di Lobacevskij: nella nuova possibilità di rappresentazione geometrica che esse forniscono ai fenomeni della matematica e nei nuovi rapporti che permettono di stabilire fra l'idea geometrica di spazio e la realtà fisica.

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In concreto, Lobacevskij assume che il "postulato delle parallele", la cui natura aveva suscitato dubbi fin dalla sua comparsa nel III secolo a.C. tanto da essere considerato un teorema da dimostrare piuttosto che un dato da assumere a priori, non sia vero o per lo meno non sia da accogliere inevitabilmente fra le prime assunzioni del sistema geometrico, e dà origine a una teoria che si basa su un'ipotesi contraria, annullando in un sol colpo tutti i tentativi di dimostrazione che avevano impegnato i migliori matematici nel corso di due millenni e conferendo di fatto un nuovo statuto alla geometria.

Ma sarà consistente la nuova assunzione, che conduce a negare numerosi risultati classici ormai universalmente accettati ed entra in contrasto con la rappresentazione geometrica da tempo fissata sulla base di una secolare certezza? Oppure manifesterà la sua debolezza teorica con qualche contraddizione, o la sua inadeguatezza pratica con risultati privi di senso e non convalidati dall'esperienza?

L'indubbio merito, ma anche il coraggio, l'incoscienza o addirittura la presunzione del giovane Nikolaj Lobacevskij, sono quelli di aver intuito i motivi delle apparenti contraddizioni che si affacciano. Di aver capito che nelle conseguenze della nuova ipotesi non si presentano proposizioni assurde, ma enunciati pienamente ragionevoli e ben motivati, il cui senso richiede di essere interpretato in un nuovo ambiente, del tutto legittimo, nel quale si spiegano con completezza. Ma all'epoca l'autorità della geometria euclidea era fuori discussione e una simile interpretazione era un fatto del tutto improponibile, semplicemente perché inconcepibile.

Fino ad allora, la geometria era considerata essenzialmente come la scienza che studia le proprietà delle forme – le figure, i corpi – nelle loro relazioni quantitative (lunghezze di segmenti, aree ecc.) e nei rapporti qualitatitivi (allineamento, parallelismo ecc.) Lo "spazio" era sì oggetto di indagine fisica e filosofica, ma per la matematica non poneva problemi: costituiva una realtà omogenea e indifferente alle forme contenute in essa, non era oggetto proprio di indagine. Lobacevskij è uno dei primi ad aprire da matematico la riflessione sulla natura dello spazio e a intuire una proprietà intrinseca che lo caratterizza: quella di ammettere una propria, peculiare, "curvatura". E questo carattere permette di estendere la nozione stessa di spazio a una pluralità di spazi, con diversa curvatura.

I risultati scientifici di Lobacevskij hanno introdotto in matematica il relativismo della nozione di spazio. Essi insegnano soprattutto questo: che non esiste uno "spazio assoluto" ma tanti "spazi matematici" quanti sono i problemi da risolvere e i fenomeni da studiare. Nelle numerose accezioni che l'idea di spazio ha assunto e negli aspetti formali con cui le varie discipline l'hanno codificata nel corso dei secoli, è chiaro che la nozione non si riduce a un dato legato alla sola esperienza o alla sola astrazione. E non è una nozione immutabile, stabilita una volta per tutte, ma si adatta e varia con le esigenze di studio, che sono legate alla descrizione e alla comprensione di fenomeni nei quali risulta comoda – o necessaria – una rappresentazione grafica, in termini di figure. Quella dello spazio è una nozione che consente allo stesso tempo al fenomeno geometrico di manifestarsi insieme ai fenomeni che gli sono simili e a chi l'osserva di spiegarlo al riparo della confusione prodotta dai dati che non sono significativi.

Quello che invece insegna la vicenda umana di Lobacevskij, il quale nel corso della sua vita non vede apprezzata la propria idea e anzi conosce ripetute e sistematiche incomprensioni del proprio lavoro (di cui la scomparsa del manoscritto del 1826 non è che una delle tante), è che anche in ambito scientifico bisogna diffidare dalle certezze troppo radicate. La sua è la storia, in parte contraddittoria ma sempre sostenuta con tenacia, di un dubbio e di una convinzione, entrambi percepiti con forza e perseguiti con assiduità. Un contrasto che ha origine in larga parte all'interno, nella sua persona, e si riflette esternamente in una testarda lotta, ingaggiata con successo, fra l'inerzia dell'ambiente accademico e la propria curiosità intellettuale.

Una vittoria postuma. però. Perché, come è ben noto a chi si interessa di matematica, fra l'intuizione e la dimostrazione corre un intervallo ampio e, pur sviluppando la propria teoria in numerosi dettagli, il lavoro di Lobacevskij non riesce mai a giungere a quella conclusione certa che sarà trovata pochi anni dopo la sua morte e darà subito luogo a profondi cambiamenti relativi alla concezione dello spazio, allo studio delle sue forme e alla loro rappresentazione geometrica.


Il problema del V postulato

Il tema della "geometria non euclidea" rappresenta certamente uno sviluppo molto profondo della matematica moderna. È l'uscita da una situazione di crisi che, come spesso avviene negli sviluppi scientifici, ha permesso di cambiare il carattere della materia e determinare una trasformazione notevole nella sua natura. Nei suoi aspetti elementari, il problema in sé non coinvolge considerazioni o calcoli tecnicamente complicati e per questo non è difficile da seguire per chi lo riconsidera a posteriori, in quanto la sua importanza risiede piuttosto in un cambiamento di punto di vista. Ed è proprio questo che ha rappresentato una difficile conquista per i contemporanei, a cui si chiedeva di rivedere idee ormai acquisite e consolidate, forse obbligandoli a riflettere per la prima volta su categorie che sembravano ben stabilite: la natura della descrizione geometrica e il ruolo dell'esperienza, i rapporti fra geometria e mondo fisico e, di conseguenza, gli scopi stessi dell'impresa scientifica.

I temi che concorrono nell'argomento e che sono da analizzare rimangono così fissati: come si può concepire lo spazio fisico e quale rappresentazione se ne può dare? Come valutare la teoria che si ottiene, e qual è l'essenza conoscitiva della descrizione scientifica? È possibile estendere la nozione di spazio, e qual è il senso che tale estensione assume?

Relativamente ai fenomeni che studiano la posizione, il contatto, l'intersezione o sovrapposizione dei corpi e che in generale è comodo rappresentare con delle figure, si pone prima di tutto il problema dello spazio nel quale i fenomeni si manifestano, che viene analizzato insieme ai modi della sua rappresentazione ma che pure è tenuto distinto da essi. Per liberarsi degli aspetti non essenziali, è necessario distinguere l'ambiente concreto da quello idealizzato, messo in essere da chi esamina il fenomeno. In altri termini: allo scopo di favorire le interpretazioni concettuali occorre separare i dati materiali, percepiti dai sensi, dalla loro descrizione. Se è un errore confondere lo spazio fisico con la geometria, allo stesso tempo occorre non isolare le nozioni: al contrario, è necessario stabilire quei contatti che permettono più facilmente di rilevare il rapporto che intercorre fra esse.

Questa è una conquista concettuale che, soprattutto in relazione alla geometria, è solitamente accreditata ai processi di astrazione e generalizzazione della cultura classica.

Naturalmente, numerose altre variabili intervengono nel procedimento: come tenere conto dell'esperienza nel passaggio dalla percezione dei corpi materiali dello spazio alla loro rappresentazione in termini di figure astratte, prive di materialità? Quali altre interpretazioni della teoria sono possibili, seppure ve ne sono, e qual è il loro senso? Fino a che punto la geometria rende conto dei dati forniti dall'esperienza? Si mantiene oppure no un'interpretazione spaziale fondamentale? Inoltre, si aggiunge un problema ulteriore, interno alla teoria elaborata: come garantire che nel corso di successive dimostrazioni non si verifichino delle contraddizioni nelle proprieta che vengono trovate? O, in altri termini, quanto è consistente la teoria dal punto di vista logico?

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Pagina 158

La nuova nozione di parallelismo

Una buona guida per introdurre in maniera ampia ma sintetica le idee e i risultati di Lobacevskij è fornita da Geometrische Untersuchungen, l'opera scritta in tedesco nel 1840 e che ricevette l'ammirazione di Gauss, e da Sui principi della geometria, il primo lavoro organico e completo pubblicato da Lobacevskij nel 1829-1830 su "Kazanskij vestnik".

Come in altre opere, all'inizio di Geometrische Untersuchungen Lobacevskij introduce senza dimostrazione quindici proposizioni geometriche che gli sono utili nel seguito e che non dipendono dal postulato delle parallele. Descrivono proprietà della "geometria assoluta" del piano. Alcune di queste proposizioni sono postulati euclidei, altre sono teoremi. Non è nella loro distinzione l'interesse di Lobacevskij: lo scopo è quello di fornire un nucleo di partenza e riservare l'attenzione alla nuova teoria delle parallele. Oggi sappiamo che queste proposizioni non sono sufficienti a caratterizzare la geometria assoluta, tuttavia per Lobacevskij costituiscono gli strumenti necessari alle considerazioni successive. E, a partire dalla proposizione sedicesima, tutti gli enunciati vengono rigorosamente dimostrati.


Il primo fatto, che individua una differenza fondamentale con la concezione euclidea, è che ancor prima di ogni assunzione relativa alle rette parallele la nozione stessa di parallelismo si può "spezzare in due", per dar luogo a due definizioni che distinguono il "verso" secondo il quale avviene: due rette possono risultare "parallele secondo un verso" o da una parte, ma non dall'altro verso. Oppure anche, come caso particolare, "parallele da entrambe le parti". Questa distinzione del verso del parallelismo comporta che ora due rette di uno stesso piano, oltre che essere secanti (o "convergenti" secondo la terminologia di Lobacevskij) e parallele (da una o dall'altra parte o da tutte e due), possono anche risultare "divergenti", cioè non secanti, né parallele secondo nessuno dei due versi.

Per capire questa situazione, in un piano si consideri una retta r e un punto A che non appartiene alla retta. Se n denota la perpendicolare tracciata da A a r, si faccia ruotare la retta n in uno dei due versi. Il punto d'intersezione B si allontana lungo r in una precisa direzione e la retta AB forma con la r un angolo sempre minore finché la n cessa di intersecare la r e, procedendo ulteriormente nella rotazione, il punto di intersezione compare dall'altra parte della retta r.

Quanto è "grande" l'intervallo in cui la n non interseca più la r da una parte ma ancora non la interseca dall'altra? Secondo il V postulato euclideo questo intervallo si riduce a un unico elemento: la retta s che passa per A e che è perpendicolare a n. Quello che assume Lobacevskij è che l'intervallo delle rette che non intersecano r non si riduca a questo unico caso della "parallela da entrambi i lati".

In generale, indipendentemente ancora dalla scelta dell'ipotesi euclidea o di quella di Lobacevskij, si considerino tutte le rette per A e si suddividano in due classi: quelle che intersecano r e quelle che non la intersecano. Per continuità è facile verificare che le due classi di rette, intersecanti e non intersecanti r, da ciascun verso della retta r hanno un elemento separatore: una retta "limite", dice Lobacevskij, necessariamente non intersecante r, anzi la "prima" delle rette che la non intersecano da quella parte. Queste rette limite sono le "parallele da ciascuna parte", mentre le altre rette sono secanti (o "convergenti") oppure non secanti (o "divergenti").

È chiaro che nel caso euclideo la distinzione rispetto al verso del parallelismo non ha luogo ed esiste un'unica parallela per A a r. Lobacevskij assume che oltre alla "parallela euclidea", vale a dire alla perpendicolare s della perpendicolare n tracciata da A a r, esista anche un'altra retta, almeno, che non interseca r.

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Pagina 174

La curvatura dello spazio

Uno degli aspetti più particolari e più sorprendenti della teoria di Lobacevskij è dato dalla corrispondenza biunivoca fra segmenti e angoli, nella quale, come conseguenza del tentativo di negare il postulato euclideo, si erano già imbattuti alcuni geometri impegnati con la teoria delle parallele anche prima di Lobacevskij. Questa dipendenza era considerata "non naturale".

Legendre in particolare, nei primi anni dell'Ottocento aveva considerato, per la verità senza troppa convinzione, che si trattasse di una violazione del "principio di omogeneità", per cui una grandezza dimensionale come un segmento non può essere funzione di una quantità pura come un angolo.

L'argomento è il seguente: se il segmento di misura x è funzione dell'angolo α nella forma x=f(α), cambiando l'unità di misura dei segmenti, x viene moltiplicato per un fattore mentre α rimane immutato. Qual è dunque la funzione f(α)? È assurdo che esista una tale relazione e in questo modo Legendre ha forse la tentazione di dichiarare che il V postulato è dimostrato. Ma in realtà quello che avviene è che la dipendenza sussiste fra gli angoli e il rapporto dei segmenti con un segmento costante. L'omogeneità non viene violata. Quello che emerge in maniera inaspettata è un segmento costante che si può assumere come unità di misura delle lunghezze.

Osserva Lobacevskij in Sui principi della geometria:

Dopo di questo non si può più affermare che l'ipotesi che la misura delle distanze non dipenda dagli angoli — ipotesi che molti geometri vogliono assumere come verità rigorosa, che non richiede dimostrazione — risulti evidentemente falsa ancor prima di oltrepassare i limiti del mondo visibile. D'altro lato, non siamo in grado di capire quale legame possa sussistere nella natura delle cose e unire fra loro grandezze tanto eterogenee quali le distanze e gli angoli. Perciò è molto probabile che solo le posizioni euclidee siano vere, benché rimangano per sempre non dimostrate.

L'esistenza del segmento unitario è legata a quella costante k che misura la distanza di due oricicli concentrici quando il rapporto dei loro archi è uguale a e. Il numero k è una "costante metrica assoluta" della geometria. È un numero positivo, caratteristico del piano e può in linea di principio assumere qualunque valore. Sicuramente Lobacevskij era convinto che, dal punto di vista teorico, a ogni valore di k>0 corrispondesse una specifica geometria. Ma quale valore corrisponde alla geometria del nostro universo, nel quale i raggi luminosi sono considerati come rette? Su questo Lobacevskij esprime più volte la convinzione che sia necessario un calcolo diretto. Non si tratta di un problema logico, o matematico, ma sperimentale.

Per questo, in Sui principi della geometria riporta in dettaglio il calcolo che ha effettuato in relazione al triangolo di parallasse di una stella fissa, vale a dire al triangolo formato dalla stella e da due vertici dell'orbita terrestre. Il calcolo riguarda la somma degli angoli interni e il tentativo è quello di risalire al valore di k dal "difetto" angolare di questo triangolo, cioè dalla differenza di questa somma da π. Ma la speranza è delusa perché l'errore degli strumenti non permette di trovare un valore significativo del difetto angolare.

Il calcolo non è facile e Lobacevskij determina un limite superiore del difetto angolare, per confronto della parallasse di due stelle. A questo scopo considera il triangolo rettangolo costituito da sole, terra e una stella fissa, il cui angolo retto si trova nel vertice formato dal sole. Questo triangolo è noto, perché sono noti un lato (il raggio dell'orbita terrestre), e i due angoli a esso adiacenti: uno è π/2 e l'altro si misura — poniamo che sia π/2 — 2p.

Per determinare il terzo angolo — quello in corrispondenza della stella fissa — non si può tuttavia utilizzare la similitudine dei triangoli, che non vale in geometria iperbolica: questo angolo sarà 2p — 2ω, dove 2ω denota il difetto angolare — questa è la quantità da valutare. Lobacevskij determina in maniera ingegnosa un'approssimazione per l'angolo incognito, utilizzando il confronto con i valori della parallasse di altre stelle.

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Pagina 230

L'interpretazione gruppale

Una sistemazione complessiva, sia concettuale sia operativa, della geometria viene condotta da Felix Klein a partire dagli anni settanta dell'Ottocento. Il suo lavoro permette non soltanto di ricondurre le geometrie metriche – euclidea e non euclidee – nell'ambito della geometria proiettiva, ma anche di dare un ordinamento sistematico alle varie geometrie che al tempo emergevano in maniera separata, caratterizzandole dal punto di vista generale e unificante delle proprietà che sono invarianti nei diversi sistemi.

L'idea fondamentale è che ogni geometria corrisponda in maniera precisa a un opportuno "gruppo di trasformazioni": una volta individuato questo gruppo, le proprietà geometriche si determinano come gli "invarianti", vale a dire come le proprietà che non variano quando viene applicata una trasformazione qualsiasi del dato gruppo. Quanto alle figure, quelle che si ottengono l'una dell'altra con una trasformazione del gruppo devono considerarsi "uguali", ma diversamente disposte. L'aspetto logico della relazione di uguaglianza che in questo modo rimane definita è strettamente collegato al fatto che la trasformazioni costituiscono un "gruppo".

Le proprietà di questa struttura algebrica si trasferiscono immediatamente nel fatto che la relazione di "uguaglianza" delle figure gode – come ci si aspetta – delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva: Klein osserva in modo esplicito la necessità concettuale che le trasformazioni rispetto alle quali si considera una geometria formino un gruppo.

Ecco il problema complessivo, reso evidente da Klein come generalizzazione della nozione di geometria:

È data una varietà e in questa un gruppo di trasformazioni; studiare le forme appartenenti alla varietà per quanto concerne quelle proprietà che non si alterano nelle trasformazioni del gruppo dato.

È implicito in questo approccio che esistano proprietà delle figure che non sono geometriche rispetto al dato gruppo di trasformazioni, ma che lo possono diventare rispetto a un opportuno sottogruppo. L'esempio tipico di questa situazione è dato dalla geometria proiettiva, intesa come lo studio delle proprietà delle figure che sono invarianti rispetto alle operazioni di proiezione e sezione, cioè rispetto al gruppo delle proiettività: si tratta di proprietà quali l'allineamento di punti e l'incidenza di rette, il birapporto, l'ordine delle curve ecc., ma non di proprietà relative alla misura degli angoli e alle distanze, non la proprietà di essere una circonferenza e così via. Queste sono proprietà della geometria euclidea metrica, o simile, il cui gruppo di trasformazioni è formato dalle particolari proiettività che portano in sé l'assoluto, cioè una retta scelta come "retta all'infinito" e, su di essa, conservano la coppia di punti immaginari coniugati che tengono il posto dei punti ciclici. In altre parole, in questo caso il nuovo gruppo di trasformazioni è costituito dalle proiettività che conservano gli enti con i quali si definisce la struttura metrica: misura dei segmenti e angolo fra direzioni.

Anche la geometria iperbolica e quelle ellittiche si possono caratterizzare in termini analoghi. Nel primo caso si considera come "assoluto" una conica reale non degenere e il "gruppo iperbolico" piano è costituito dalle proiettività che conservano questa conica (anche se non conservano necessariamente ogni punto della conica). La geometria semplicemente ellittica corrisponde in ugual modo al sottogruppo delle proiettività che conservano una conica immaginaria, mentre per la geometria doppiamente ellittica la descrizione è più complicata in quanto è necessario far ricorso alla geometria proiettiva dello spazio.

In ciascuno di questi casi metrici, le trasformazioni del dato gruppo forniscono i "movimenti rigidi" del piano corrispondente e, nel caso usuale della geometria euclidea, è facile verificare che si tratta proprio di traslazioni, rotazioni e riflessioni.


È chiaro che il principio sistematico per l'organizzazione delle diverse geometrie attraverso i gruppi di trasformazioni – nell'idea di Klein – non era uno strumento statico, applicabile soltanto a spazi e geometrie già "scoperti" bensì doveva servire da guida verso nuove idee e verso spiegazioni oggettive. Anche nuovi punti di vista sono possibili. Forse per la prima volta, lo studio della geometria viene fatto coincidere con lo studio dei gruppi: diverse geometrie possono trasformarsi l'una nell'altra attraverso i "morfismi" con cui si trasformano le azioni dei gruppi corrispondenti – le geometrie si "trasferiscono", dice Felix Klein, il quale riporta numerosi esempi di questa situazione, in particolare mostrando che i sottogruppi inducono relazioni più precise tra le figure. Tutto il complesso delle proprietà geometriche riceve una descrizione algebrica: nelle considerazioni non compare l'una o l'altra geometria particolare, ma l'idea stessa del "fare geometria".

Da questo punto di vista, forse il maggiore contributo di Klein risiede proprio nello stimolo che, direttamente o indirettamente, il programma di Erlangen ha esercitato con l'insistenza sulla necessità di spostare l'attenzione della geometria dalle figure alle loro trasformazioni e, di conseguenza, sul fatto che la sua origine va trasferita dai caratteri psicologici delle forme a quelli più oggettivi delle strutture.

Nello spirito del programma di Erlangen – e forse sotto la sua diretta influenza – il movimento dei corpi rigidi rappresenta un'idea che entra in molte considerazioni successive sui fondamenti della geometria. È presente nei lavori di Hermann von Helmholtz – dove tuttavia non compaiono accenni alle proprietà dei gruppi – e nel sistematico studio delle equazioni differenziali fatto da Sophus Lie, che elabora una teoria delle trasformazioni continue dello spazio proiettivo. Il movimento dei corpi rigidi entrerà anche nella concezione di Poincaré, che identifica tout court la geometria con il gruppo dei movimenti che non deformano i corpi.

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