Copertina
Autore Piero Bevilacqua
Titolo Il paesaggio italiano
Sottotitolonelle fotografie dell'Istituto Luce
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2002, L'immagine e la storia , pag. 248, dim. 165x235x15 mm , Isbn 978-88-359-5083-7
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe fotografia , storia contemporanea d'Italia , urbanistica , paesi: Italia
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Indice

   7  Introduzione

  23  Città vecchie e città nuove

 103  Compagne e acque

 187  Il territorio in trasformazione

 244  Letture consigliate

 

 

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Pagina 7

Introduzione



Il vecchio mondo urbano

Il ricco patrimonio fotografico dell'Istituto Luce fornisce, per selezioni e frammenti, un quadro significativo e vario del paesaggio italiano fra le due guerre mondiali. Converrà subito dire, sfidando l'ovvietà, che tale quadro registra e illustra solo alcuni dati dell'habitat storico dei nostro paese, lasciandone molti altri in ombra. Gli autori delle foto, com'è comprensibile, non perseguivano fini di completezza documentaria, men che mai di ricostruzione storica, ma intervenivano con la loro curiosità e parzialità interpretativa su singoli eventi dei proprio tempo. Come ha precisato di recente Italo Insolera, nel volume su Roma fascista di questa stessa collana, «Non dimentichiamo che i fotografi dell'Istituto Luce avevano bisogno di un evento per andare a fotografare e che nella concezione di allora a fare evento erano raramente le cose, quanto piuttosto le autorità». Resta da aggiungere, per il nostro caso, che le foto costituiscono per eccellenza una fonte événementielle, legato all'episodio singolo e isolato, al momento fuggevole, mentre le vicende del territorio sono interpretabili e comprensibili nei tempi lunghi. E tuttavia esse costituiscono, per lo storico, un di piú di documentazione, un valore aggiuntivo, perché registrano i fatti con un linguaggio diverso rispetto a quello di tutte le altre fonti. Le foto mettono a disposizione l'immagine, la registrazione visiva delle cose, una delle testimonianze privilegiate cui può godere solo lo storico dell'età contemporanea. Se si considera inoltre che il tema oggetto della ricostruzione è il paesaggio, si comprende agevolmente, come, a dispetto dei loro insormontabili limiti esplicativi, esse aggiungono pur sempre un pregio speciale di illustrazione della realtà esaminata.

Il paesaggio italiano negli anni dei fascismo è percorso da elementi di trasformazione forse piú estesi di quanto normalmente non si immagini. Essi percorrono innanzi tutto il mondo urbano: quella realtà della vita associata che il regime cercò di coprire - per lo meno in una prima fase - di un alone negativo e di svalutazione morale, quale sede della corrotta modernità e del conflitto sociale. Com'è noto, il ruralismo, l'esaltazione del mondo appartato e lento della campagna, contrapposto alla vita cittadina, è stata l'ideologia dominante del fascismo. Ma a dispetto di ogni volontà politica contraria, in realtà, anche negli anni del regime le città italiane continuano a crescere, come nei decenni precedenti, secondo una tendenza irresistibile delle società contemporanee. E non soltanto per effetto della crescita naturale della popolazione.

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Pagina 23

Città vecchie e città nuove



Tra le due guerre mondiali l'occhio del fotografo raramente si sofferma sul vecchio mondo urbano in mancanza di occasioni significative da fissare nell'obiettivo. E tuttavia il materiale documentario a nostra disposizione consente di gettare uno sguardo anche sulle città, soprattutto sulle città d'arte in momenti poco significativi della cronaca civile e politica. È il caso ad esempio di Verona, fissata in uno dei suoi siti piú celebri, piazza delle Erbe, o di Mantova, colta nello scorcio tranquillo di un canale. Oppure di Venezia, ripresa negli spazi sontuosi delle sue piazze e dei suoi canali. Anche se un evento speciale, ripreso dal fotografo, denuncia fenomeni di trasformazione profonda che investono il centro lagunare in quegli anni: il ponte di collegamento autostradale - qui riprodotto durante una fase di costruzione - che riduce ulteriormente il carattere insulare della città della Serenissima, già violato dal ponte ferroviario dell'Ottocento. Oggetto d'orgoglio del regime e dei suoi risultati sul terreno della modernizzazione del territorio - lungo 4 km, sarà battezzato «Ponte del Littorio», oggi Ponte della Libertà - esso è tuttavia l'elemento piú vistoso di un processo generale di trasformazione della città che riguarda gli spazi della laguna e la vicina terraferma, dove va nascendo uno dei grandi poli industriali dell'italia novecentesca.

La documentazione che dà piú pienamente conto dei mutamenti che percorrono in questo periodo il paesaggio urbano riguarda tuttavia gli interventi operati dal fascismo nel vecchio tessuto cittadino. Di certo le opere di trasformazione piú vistosa e durevole sono i cosiddetti «sventramenti», cioè gli interventi di demolizione condotti nei vecchi centri storici, che operano in effetti dei veri e propri mutamenti di paesaggio. Essi cancellano spesso una struttura urbana di impianto medievale, fatta di case basse addossate le une alle altre, a formare stretti e tortuosi vicoli, ma anche, talora, articolata in piazze luminose e slarghi fittamente popolati, delimitati da palazzi padronali, muri di orti, chiese. Al posto di tali frammenti pittoreschi, testimonianza vivente dei mondo medievale, viene dato spazio alle strade per una piú rapida circolazione del traffico, a nuove piazze piú visibilmente rappresentative del nuovo potere politico, a nuovi edifici pubblici e privati, marcati dalla solennità architettonica dei regime, a monumenti destinati a fissare e a rendere permanente, elemento quasi dell'arredo urbano, la retorica nazionalistica dei nuovo ordine fascista.

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Compagne e acque



In questa seconda sezione l'archivio fortografico dell'Istituto Luce ci offre frammenti significativi del restante mondo del paesaggio italiano: quello delle campagne in maniera prevalente. Si tratta di immagini che ritraggono in primo luogo la campagna romana e quella delle Paludi Pontine prima della bonifica, con i suoi tratti arcaici e di evidente miseria sociale. Come il lettore potrà osservare, l'occhio «urbano» del fotografo è fortemente suggestionato dalle immagini che piú esemplarmente contrastano con la vita di città, cariche di elementi evocativi di un mondo «primitivo» e remoto. Quel mondo a cui il regime si vantava di voler portare il soffio modernizzatore dei nuovi tempi. Da ciò l'indugiare compiaciuto su campi privi di uomini e di abitati, su misere capanne e ancor piú miseri abitatori, su forme di allevamento transumante del bestiame. Agricoltura estensiva e pascolo brado sono stati in effetti un binomio inscindibile dell'habitat latifondistico. Nelle testimonianze qui presentate risulta evidente l'insistenza sullo «spettacolo» del latifondo: una insistenza che rivela a un tempo il compiacimento «lirico» del fotografo, ma anche il suo sguardo socialmente impegnato, quasi esortativo nei confronti di una realtà che il fascismo aveva piú volte proclamato, velleitariamente, di voler cambiare. Le foto che illustrano i radi centri insediativi e i caseggiati hanno tuttavia anche lo scopo di mostrare gli sforzi modernizzatori del regime, volti a «colonizzare» le terre incolte.

Le foto significative di questo «sistema agricolo» riguardano, come si è accennato, frammenti di campagna dell'Agro Romano - che già dagli anni successivi all'unità d'Italia aveva costituito lo scandalo di un territorio degradato intorno alla capitale del nuovo Regno - ma anche latifondi della piú lontana Sicilia. Il vecchio e il nuovo, la nuda campagna e il nuovo edificato, sono posti a confronto per sottolineare i risultati e le conquiste del regime.

Meno numerose sono perciò le immagini dedicate al paesaggio agrario per cosí dire normale. Pochi sguardi sulla campagna toscana, a rappresentare le elaborazioni sontuose dei coltivatori sulle colline della mezzadria classica. Poche anche le testimonianze delle nuove realtà del paesaggio agrario italiano affermatosi per oasi piú o meno estese nel corso del primo Novecento: quelle dei frutteti industriali, diffusi sempre piú in Emilia-Romagna, in Toscana, e nelle diverse regioni dei Mezzogiorno. Si trattava di una novità di forme che sostituiva la libera e disordinata promiscuità della policoltura contadina, o l'irregolare omogeneità degli uliveti, per far posto alle linee geometriche di piantagioni uniformi nella disposizione, nelle forme di allevamento e nella dimensione stessa delle piante.

 

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Riferimenti


Letture consigliate


P. Bevilacqua, M. Rossi-Doria, Le bonifiche in Italia dal
    '700 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1984.
P. Bevilacqua, Tra natura e storia.  Ambiente, economie
    risorse in Italia, Roma, Donzelli, 1996.
Le città nella storia d'Italia, collana diretta da C. De
    Seta, Roma-Bari, Laterza, con testi ripubblicati negli
    anni che, tranne pochi casi, danno sempre conto delle
    trasformazioni urbane tra le due guerre.
C. De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due
    guerre, Bari, Laterza, 1972.
R. Mariani, Fascismo e città nuove,
    Milano, Feltrinelli, 1976.
G. Pagano, Architettura e città durante il fascismo, a cura
    di C. De Seta, Roma-Bari, Laterza, 1976.
I paesaggi umani, Milano, Touring Club, 1977.
E. Salzano, Fondamenti di urbanistica,
    Roma-Bari, Laterza, 1989.
E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano,
    Bari, Laterza, 1972.
P. Sica, Storia dell'urbanistica, III,2; Il Novecento,
    Roma-Bari, Laterza, 1978.
Storia dell'agricoltura italiana, a cura di P. Bevilacqua,
    vol. 1, Spazi e paesaggi, Venezia, Marsilio, 1989

In particolare:

P. Bevilacqua, Tra Europa e Mediterraneo.  L'organizzazione
    degli spazi e i sistemi agrari;
P. Bevilacqua, Clima, mercato e paesaggio agrario nel
    Mezzogiorno;
G. Crainz, La cascina padana.  Ragioni funzionali e
    svolgimenti;
L. Bollecini, La campagna urbanizzata.  Fattorie e case
    coloniche nell'italia centrale e nord-orientale;
F. Mercurio, Agricolture senza casa. Il sistema del lavoro
    migrante nelle maremme e nel latifondo;
A. Massafra e S. Russo, Microfondi e borghi rurali nel
    Mezzogiorno.

 

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