Autore Athos Bigongiali
Titolo Avvertimenti contro il mar di terra
EdizioneSellerio, Palermo, 1990, La memoria 217 , pag. 100, cop.fle., dim. 12x16,6x0,8 cm
LettoreRenato di Stefano, 2019
Classe narrativa italiana












 

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Indice


Avvertimenti contro il mar di terra


Oh pretty woman

    Capitolo primo                      13
    Capitolo secondo                    26
    Capitolo terzo                      40

Mr Choo esiste                          47

Letizia sa una storia e non la dice     57

La settima terra                        62

Dalla riva sinistra del Mapocho         71


Appendice
Il nemico si se stesso                  85


 

 

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Pagina 17

III



Prima, cronologicamente, viene la California e la sua omonima Università, in Berkeley, Dipartimento di Antropologia, marzo 1977.

Un luogo, un'epoca e una esperienza scientifica che la nostra redattrice, nel patinato servizio che dette origine alla scoperta del Greystoke milanese, riassunse con questa immagine: «Fu... per costoro, come aver vissuto nel bel mezzo dell'ombelico di un mondo nell'istante in cui concepisce un nuovo mondo... ».

Esuberanze da innamorata o da provetta divulgatrice, si dirà. E sia. Ma anche un'immagine in cui il professor Daniele De Gregori, l'unico scampato a quei mitici antefatti, non poteva non riconoscersi.

Egli ricordava bene che in un padiglione non distante dal loro laboratorio il dottor Gregory Bateson provocava i suoi allievi intorno alla perdita del totemismo, ossia del senso di parallelismo tra l'organizzazione dell'uomo e quella degli animali e delle piante. Giacché il mondo è connesso (è una struttura di strutture interconnesse) quella era la sua mirabile tesi - tutti, esseri umani, sequoie e anemoni di mare, pensano in termini di storie; storie esterne, in azione, e storie interne, sequenze del proprio processo costitutivo. È così, spiegava il grande biologo, che «l'embriologia di un anemone di mare deve essere fatta in qualche modo della stessa sostanza di cui sono fatte le storie; è così che il processo evolutivo che tutti ha generato... deve essere fatto della sostanza di cui son fatte le storie... ».

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Pagina 40

Capitolo terzo



                                       Scorri la storia e vedi quale sorte toccò
                                       agli eroi che si rassegnarono ad essere
                                       ornamento dei salotti.

                         MIGUEL DE UNAMUNO, Commento alla vita di don Chisciotte



I
Una trattoria di Milano, il lunedì di Pasqua.

« Ne vuoi ancora? ».

« Sì », disse Daniele, « grazie ».

« Mi pare buono », Alice disse.

« Di questi tempi », disse Daniele, « è come un elisir ».

« Contro la malinconia? ».

« No », disse Daniele. « Non contro. C'è del buono nella malinconia. Pensa alla pioggia: non si dorme meglio, se piove? ».

« Penso alla triste donna di Dürer », Alice disse « penso allo strano cavaliere della Mancia ».

« Il buono », Daniele disse, « è che ci obbligano a pensare ».

« Intanto », Alice disse, « il tempo passa ».

« Ma noi con lui », disse Daniele.

Allora Alice se ne versò, ne bevve e disse:

« Viva la malinconia ».

« Evviva », fece eco Daniele.

« Viva i cavalieri malinconici ».

« Sì », disse Daniele « evviva ». Poi, e come dicendo a se stesso, disse che bisognava andare.

« E il nostro elisir? », Alice disse.

« Ce ne sono dovunque e di ogni tipo », disse Daniele. « Ce ne sono altri cento, altri mille. Ce ne sono mille e uno ».

« Che bello », disse Alice. In seguito disse:

« Caroline ti vuole bene, professore. E anch'io ».

« Suvvia », disse Daniele « ho solo rifiutato una copertina ».

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Pagina 47

Mr Choo esiste



Avvertimento


Non avendo mai dubitato dell'esistenza di Mr. Choo non mi è stato difficile immaginare questa storia come una striscia di acquarelli esotici che non sfigurerebbe in appendice alla « guide bleu » della Hachette. Il sangue che vi compare è un inevitabile tributo all'avventura: e lo si intenda, l'impegnativo richiamo, riferito ad una, e unica, contingenza della storia: dove è descritto l'incontro, del tutto casuale, tra il giovane cinese di Singapore John Choo Kwee e Rocco, di professione marittimo.

Per come l'ho immaginata, ed essendo provatamente autentica, la storia esige il superamento di una discrepanza, un dilemma: e qui il lettore non ha scampo: dovrà, come io feci, affidarsi al racconto di un marinaio.

Da che mondo è mondo i racconti dei marinai godono di una doppia letteratura, e l'una, a quanto pare, è condizione e diceria dell'altra.

Il mio marinaio si chiama Rocco, e conosce tutte e ottantotto le costellazioni. Nondimeno, al pari dell'ente che governa l'astronomia, egli sospetta l'arbitrarietà di quel calcolo, e di quelle forme; ma, a giustificarne l'adozione, aggiunge che essendo la carta del cielo e la carta dei mari le facce, identiche, di una stessa moneta - è perciò che i marinai sono tra gli uomini i più inclini a tentare la sorte, e ad assolverla.

Il lettore è, credo, sufficientemente avvertito. Per parte mia, mi atterrò con scrupolo al racconto di Rocco, e ivi comprendo il suo dichiarato mal di terra e la felice circostanza che vuole la sua nave salutata, al momento dell'addio, da tutte le sirene di Singapore.

Il resto a me paiono indelicate e impercettibili minuzie.




I



Un'avaria la si contratta, ed ecco come nasce un'avaria.

Ci si ancora nel bacino di raddobbo e sottovento, sul ponte, il giovanotto di camera serve gli aperitivi. Tre giri, e il comandante firma: okay per le tariffe, ma senza anticipi e solo un mezzo impegno riguardo alla penale.

La nave, da oggi, va ai lavori.

È un bluff: ma a carte scoperte. Non per nulla il libro dice: « Quando le armi si incrociano, vince colui che cede »; e anche dice: « Un buon vincitore dei suoi avversari non si impegna ».

L'avversario è chi compra, o dovrebbe - gli Emirati; la posta sono i prezzi della merce: durerà, ecco il rischio, ai guasti del tempo che abbiamo acquistato in Singapore?

Io servo tre Marine - d'Italia, di Panama, e Liberia - e non posseggo, se Dio vuole, neanche una divisa. Non oso essere l'ospite, dice il libro, preferisco essere l'invitato.

Parole sante, ma un problema ce l'ho: è il mal di terra. Ossia: voltastomaco, altre gravezze e l'acufène - un acciacco che mi nega d'ascoltare il silenzio. Comincia quando arieggiano certi odori, e certi uccelli fanno il cascarmorto; finisce, in genere, con una gran bevuta - e che è banale lo so, però funziona.

La nave va all'accosto. L'aggiriamo da dietro Singapore, dal canale che costeggia la punta di Johore. È una manovra tipica di tutti i ladri che hanno visitato Singapore.




II



Una coltellata è una coltellata.

Anche a Chinatown, ed è il capodanno cinese del 1988, è notte di festa a Singapore.

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Pagina 57

Letizia sa una storia e non la dice



I
No, mi disse Letizia, forse più tardi. Non mi mettere fretta, fa il bravo.

Attento, però: le parole mi piacciono. Non come i palloncini o le freccette dei miei visual, ma mi piacciono: e poi, che ne sarebbe dei bersagli, o delle nuvole, se alla fine non vi fosse iscritta almeno una parola?

Chi predica l'avvento dell'immagine è uno sciocco.

Senza il Libro, disse Letizia, non esisterebbe alcun dio - nemmeno il dio della réclame.

Perciò fa il bravo, pazienta. Ricorda l'état d'attente di Valéry.

Io, disse Letizia, somiglio troppo ai miei palloncini, alle mie freccette.

A volte sono veloci, a volte se la prendono comoda: però mi piace pensarli come penso a me, cosine in altalena tra fumetti vuoti. Se appena questo pensiero vacilla non ho che da chiudere la valvoletta dell'aerografo, spegnere la luce e filare a casa.

Che bel mestiere è il mio. È come sapere una storia, e non dirla.

No, mi disse ancora Letizia, non temere, non ho affatto perduto la nozione del tempo.

Io rimando, differisco, rinvio. C'è sempre e comunque un pezzetto di tempo che avanza.

Lo so: il mio arciere ha una mira infallibile, il mio bambino è un transvolatore provetto.

Ma so anche che trentadue sono le direzioni del vento. So che l'origine del nome 'rondine' è onomatopeica e che la parola 'naufrago' contraddice, etimologicamente, se stessa. So perfino che l'anima di Adamo non poté né ascendere ai cieli né vagare sulla terra.

I miei palloncini e le mie freccette sono come io le ho pensate, figurine che indugiano e oscillano nello spazio, apparentemente indecise. In realtà vogliono quel pezzetto di tempo che i più giudicano, appunto, un di più, uno scampolo superfluo. Sono segni felici, tappeti volanti: sono come la storia che per adesso non ti racconterò.


II

Ve la raccomando, un tipo come Letizia. Ha gli anni che dimostra ed è bellissima.

Io le faccio, ma in modo discreto, un po' di corte. Ce ne stiamo seduti sulle rose del suo vecchio divano di taffettà, parlando - mettiamo - di Bloomsbury, ed ecco che lei sgrana gli occhi e dice: Oh cielo! Mio marito. Altre volte giochiamo a carte, e lei cala l'asso e dichiara che vale uno, e non undici.

Le rose del divano sono tutte rose canine, ma una ha un petalo bluastro e, dalle pieghe dell'imbottitura, sporge una foglia che pare di cuoio. Letizia cita, al proposito, le leggi di Mendel, e dei Tropici.

Letizia ha un debole per me, lo sento.

In effetti, a quarant'anni ancora non distinguo una Jaguar da una Porsche e, per dirne un'altra, vado matto per i cieli, gli uccellini in gabbia e le nuvole di certi miei pittori. Tanto basta a Letizia per tenermi da conto, caso mai, dice, un giorno mi decidessi a crescere.

Io, paziente, l'ascolto. Quando capita passeggiamo di notte, giusto per pedinare gli ultimi ubriachi, che quelli ne hanno di tempo da regalare al prossimo.

Ne conosciamo uno che faceva l'operaio, un maestro del vetro - ora fa il picchiatello e parla, a dar retta a Letizia, come dovrebbe parlare un operaio!

Ne conosciamo un altro, ma dal vino cattivo, che scarrozza i turisti e gli sposini per le vie del centro. Ha una frusta cattiva, uno scudiscio che tortura di piaghe il suo animale. Il cavallo ansima e sbava, è un vecchio forzato, ed è zoppo. Letizia mi chiede perché il bastonatore non intenda, oltre al diritto, il danno al capitale. Eppure, mi dice, di là da tutti i vetri appannati, qui attorno, si insegnano Stuart Mill e Ricardo, Keynes e Carlo Marx; si legge il mite Virgilio, e Lucrezio, l'amico degli umani: '... circumretit enim vis atque iniuria: l'ingiuria violenta chiude chiunque nelle sue reti e là dove è nata ritorna, né placidi e quieti scorrono i giorni a chi rompe la pace dei patti comuni...'.

A sera Letizia ha gli occhi lucidi. Io apparecchio la tavola, sale, pepe, bicchieri. Mangiamo torta di ceci, beviamo il vino novello che scioglierà la lingua.

« Oh cara signora Ortese », esclama infatti Letizia « anch'io, anch'io non scorderò quel cavallo! ».

Poi mi dice che è una promessa, che io son testimone.

Io dico che sì, e mi vedo alla sbarra - la mano sulla Bibbia. Oppure no, le dico, meglio all'anonimo riparo dello specchio magico; o meglio ancora: al mio tavolo, a ricordare e scrivere.

Il teste, infine, non è 'colui che sta nel tre'?

Letizia annuisce, convinta. Lo so che mi guarda crescere.

« Ti preferisco a tavolino » dice. « A scrivere ».

« Rammenta », le dico « che mi devi una storia ».

« Sì », lei dice « però senza fretta. D'accordo? ».

« D'accordo ».

« Vedrai », lei dice « vedrai. Sarò la tua Shéhérazade », e mi invita a brindare.

« Oggi è il 21 marzo », dice « in Persia è capodanno ».


Postilla

Uno pensa, trasogna, cammina nel mezzogiorno, carezza un cucciolo di cane, ascolta - inascoltato - il Flauto Magico. Uno trastulla i piccioni (da 'pipire', della serie onomatopeica pi... pi...), incrocia i filosofi e le studentesse, ammira i graffiti del Vasari. Siamo, è evidente, a Pisa - tra le magnificenti architetture della piazza che fu (ed è) di volta in volta simbolo del potere e del contropotere. La piazza lastrica le malconce trincee dove scorrono l'acqua, l'elettricità, il gas metano, i liquami, i grovigli delle comunicazioni; e anche sotterranei, cunicoli, nobili caverne: la teca di un milione di libri.

Di fronte al Collegio Puteano o, poco più avanti, al Palazzo della Sapienza vi aspetta - ve lo giuro Letizia. Per l'occasione la città non ha ammainato certe usanze - qualcuno vi ha esposto una bandiera (o un lenzuolo, chissà) con la scritta: IL SAPERE NON SI COMPRA.

La signora Annamaria Ortese, testé invocata da Letizia - e vi rammento il motivo: un cavallo offeso, e in catene -, non leggerà mai questo libro e questa nota. Ma noi, cioè Letizia ed io, e, mi auguro, chi ci sta leggendo, non rinunceremo a crederci i bambini di cui alle pagine 155 e seguenti di In sonno e in veglia, Milano 1987.

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