Copertina
Autore Adolfo Bioy Casares
Titolo L'invenzione di Morel
EdizioneBompiani, Milano, 1985 [1966], Tascabili 364 , pag. 146, dim. 108x180x12 mm
OriginaleLa invension de Morel [1941]
PrefazioneJorge Luis Borges
TraduttoreLivio Bacchi Wilcock
Classe narrativa argentina , fantasy , fantascienza
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Pagina 25

Oggi, in quest'isola, è accaduto un miracolo. L'estate è cominciata in anticipo. Ho messo il letto vicino alla piscina e ho fatto il bagno fino a tarda ora. Era impossibile dormire. Bastava restare fuori dalla piscina due o tre minuti perché l'acqua che doveva proteggermi dalla spaventosa calma si convertisse in sudore. All'alba mi svegliò un fonografo. Non potevo tornare al museo a prendere le mie cose. Fuggii per i dirupi. Ora sono nei bassi paludosi a sud dell'isola, tra piante acquatiche, indignato con le zanzare, immerso in ruscelli sporchi o nel mare fino alla cintura, e mi accorgo di avere anticipato assurdamente la mia fuga. Può darsi che quella gente non mi stia cercando; forse non mi hanno visto. Ma mi abbandono ormai al mio destino: sono sprovvisto di ogni cosa, confinato nell'angolo piú povero dell'isola, tra pantani che il mare sopprime una volta alla settimana.

Scrivo per lasciare una testimonianza di questo miracolo ostile. Se tra qualche giorno non muoio annegato, oppure lottando per la mia libertà, mi propongo di scrivere la Difesa presso i Sopravvissuti e un Elogio di Malthus. Attaccherò, in quelle pagine, i setacciatori dei boschi e dei deserti; dimostrerò che il mondo, grazie al perfezionamento della polizia, dei documenti, del giornalismo, della radiotelefonia, delle dogane, rende irreparabile qualsiasi errore della giustizia, e diventa un inferno unanime per i perseguitati. Finora non sono riuscito a scrivere altro che questa pagina, che ieri non prevedevo. Quante occupazioni ci sono nell'isola solitaria! Come è insuperabile la durezza del legno! Quanto è piú grande lo spazio che l'uccello inquieto!

Un italiano, che vendeva tappeti a Calcutta, mi diede l'idea di venire qui; disse (nella sua lingua):

"Per un perseguitato, per lei, c'è solo un posto nel mondo, ma in quel posto non si vive. È un'isola. Alcuni bianchi vi hanno costruito, verso il 1924, un museo, una cappella, e una piscina. Le costruzioni sono terminate, abbandonate."

Gli chiesi che mi aiutasse a raggiungerla, il mercante continuò:

"Né i pirati cinesi, né la nave dipinta di bianco dell'Istituto Rockefeller vi si avvicinano. È il focolaio di una malattia, ancora misteriosa, che uccide dall'esterno verso l'interno. Cadono le unghie e i capelli, muoiono la pelle e la cornea degli occhi, e il corpo sopravvive, otto, quindici giorni. I marinai di una nave ancorata nei pressi dell'isola erano spellati, calvi, senza unghie - tutti morti - quando li trovò l'incrociatore giapponese Namura. La nave venne affondata a cannonate."

Ma la mia vita era cosi orribile che decisi di partire... L'italiano volle dissuadermi; lo convinsi ad aiutarmi.

Ieri notte, per la centesima volta, mi sono addormentato in quest'isola vuota... Guardando i fabbricati pensavo quanto doveva essere costato portare li quelle pietre, come sarebbe stato piú facile costruire un forno di mattoni. Mi addormentai sul tardi e all'alba mi svegliarono la musica e il vociare. La vita di fuggiasco mi ha reso il sonno leggero: sono certo che non è arrivata nessuna nave, nessun aereo, nessun dirigibile. Eppure, improvvisamente, in questa greve notte d'estate, i campi erbosi sulla collina si sono riempiti di gente che balla, che passeggia, che fa il bagno nella piscina, come villeggianti sistemati da molti giorni a Los Teques o a Marienbad.

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