Copertina
Autore Luther Blissett
Titolo Q
EdizioneEinaudi, Torino, 1999, Tascabili Stile libero 597 , Isbn 978-88-06-14740-2
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa italiana
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


p.V  Prologo

VII  Fuori dall'Europa, 1555

 IX  L'occhio di Carafa (1518)

     Prima parte.
     Il Coniatore

  3  Frankenbausen (1525)

 27  La dottrina, il pantano (1519-1522)

 33  L'occhio di Carafa (1521)

 51  La sacca, i ricordi

121  L'occhio di Carafa (1525-1529)

     Seconda parte.
     Un Dio,una fede, un battesimo

137  Eloi (1538)

219  L'occhio di Carafa (1532-1534)

231  Il Verbo si è fatto carne (1534)

339  L'occhio di Carafa (1535)

351  Il mare (1538)

     Terza parte.
     Il Beneficio di Cristo

395  Basilea (1545)

422  Il diario di Q.

427  Venezia

487  Tiziano

601  Qoèlet

637  Epilogo

639  Istanbul, Natale 1555

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina VII

Fuori dall'Europa, 1555

Sulla prima pagina è scritto: Nell'affresco sono una delle figure di sfondo.

La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi.

Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi.

La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi l'eterna oscillazione delle fortune umane.

Il libro, forse l'unica copia scampata, non è piú stato aperto.

I nomi sono nomi di morti. I miei, e quelli di coloro che hanno percorso i tortuosi sentieri.

Gli anni che abbiamo vissuto hanno seppellito per sempre l'innocenza del mondo.

Vi ho promesso di non dimenticare.

Vi ho portati in salvo nella memoria.

Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offusci lo sguardo che si volge indietro, attutendo il frastuono delle voci, delle armi, degli eserciti, il riso, le grida. Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio.

1514, Alberto di Hohenzollern diventa arcivescovo di Magdeburgo. A ventitre anni. Altro oro nelle casse del Papa: compra anche il vescovado di Halbertstadt.

1517, Magonza. Il piú vasto principato ecclesiastico di Germania attende la nomina di un nuovo vescovo. Se ottiene la nomina, Alberto mette le mani su un terzo dell'intero territorio tedesco.

Fa la sua offerta: 14000 ducati per l'arcivescovado, piú 10000 per la dispensa papale che gli permetta di tenere tutte le cariche.

L'affare viene trattato attraverso la banca Fugger di Augusta, che anticipa la somma. A operazione conclusa Alberto deve ai Fugger 30000 ducati.

Sono i banchieri a indicare le modalità di pagamento. Alberto deve promuovere nelle sue terre la predicazione delle indulgenze di Papa Leone X. I fedeli verseranno un contributo per la costruzione della basilica di San Pietro, in cambio otterranno un certificato: il Papa li assolve dai peccati.

Solo metà dell'incasso finanzierà i cantieri di Roma. Alberto userà il resto per pagare i Fugger.

L'incarico è affidato a Johann Tetzel, il piú esperto predicatore sulla piazza.

Tetzel batte i villaggi per tutta l'estate del '17. Si ferma al confine con la Turingia, che appartiene a Federico il Savio, duca di Sassonia. Non può mettervi piede.

Federico riscuote in proprio le indulgenze, attraverso la vendita delle reliquie. Non tollera concorrenti nei suoi territori. Ma Tetzel è un figlio di puttana: sa che i sudditi di Federico faranno volentieri poche miglia oltre frontiera. Un nulla osta per il paradiso vale il tragitto.

L'andirivieni di anime in cerca di rassicurazione indigna a morte un giovane frate agostiniano, dottore all'università di Wittenberg. Non può tollerare l'osceno mercato messo in piedi da Tetzel, con stemma e bolla papale in bella vista.

31 ottobre 1517, il frate affigge alla porta settentrionale della chiesa di Wittenberg novantacinque tesi contro il traffico delle indulgenze, scritte di suo pugno.

Si chiama Martin Lutero. Con quel gesto ha inizio la Riforma.

Un punto d'origine. Memorie che ricompongono i frammenti di un'epoca. La mia. E quella del mio nemico: Q.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina IX

L'occhio di Carafa
(1518)


Lettera inviata a Roma dalla città sassone di Wittenberg, indirizzata a Gianpietro Carafa, membro della consulta teologica di Sua Santità Leone X, datata 17 maggio 1518.

All'illustrissimo e reverendissimo signore e padrone osservandissimo Giovanni Pietro Carafa, presso la consulta teologica di Sua Santità Leone X, in Roma.

Illustrissimo e reverendissimo signore e padrone mio osservandissimo, il servitore piú fidato di Vostra Signoria si accinge a dare conto di quanto accade in questa sperduta landa, che da un anno a questa parte sembra esser divenuta il focolaio d'ogni diatriba.

Da quando otto mesi fa il monaco agostiniano Martin Lutero ha affisso le sue famigerate tesi al portale della Cattedrale, il nome di Wittenberg ha viaggiato in lungo e in largo sulla bocca di tutti. Giovani studenti dagli stati limitrofi affluiscono in questa città per ascoltare dalla viva voce del predicatore quelle incredibili teorie.

In particolare la predicazione contro la compravendita delle indulgenze sembra riscuotere il piú grande successo presso le giovani menti, aperte alla novità. Ciò che fino a ieri era pratica comune e indiscussa, il ricevere la remissione dei peccati in cambio di una pia donazione alla Chiesa, oggi sembra esser criticata da tutti come fosse uno scandalo innominabile.

Una tale e tanto immediata fama ha reso Lutero tronfio e tracotante; egli si sente quasi investito di un compito ultraterreno, e ciò lo spinge ad azzardare ancora di piú, a spingersi oltre.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 118

Capitolo 29
Frankenhausen, 15 maggio 1525, mattina

Il segno.

Striato, fiammeggiante, purpureo, improvviso sale l'arcobaleno dietro le alture e le schiere di Filippo, di fronte agli sguardi rapiti degli umili.

Cancella la paura, un istante, non annunciato da pioggia, cielo terso, stemma del riscatto già dipinto sui nostri vessilli di tela bianca rimediati alla meglio, le insegne del popolo del Signore che si innalzano a salutare lo squillo di tromba celeste che prepara la resa dei conti.

Fragore, trema la terra ovunque, le sue viscere si aprono per inghiottirli, trema la terra, si spacca, avvolge, tuona, erutta la potenza di Dio.

Un pugno grande quanto un uomo mi ribalta a terra, stordito, la faccia nel fango. Mi giro di lato, guidato da un rantolo: un uomo con un grumo di sangue e ossa al posto della faccia. Altri scoppi, la polvere tappa gli occhi, uomini si riparano sotto i cavalli, sotto i carri, dentro le buche che si aprono nella piana. Mi rifugio dietro uno dei pochi alberi vicino a un ragazzo con una scheggia di legno conficcata tra le costole, verde di paura e dolore.

I cannoni continuano a sparare.

La testa del Magister conficcata su un palo. Chiedono. Cosí potrà esserci clemenza.

Malvagio drappello di servi della merda. Luridi bastardi figli di cagna appestata. Non porrete condizioni all'esercito di Dio. Carcasse verminose seccate al sole. Infami falangi delle Tenebre. Sfonderemo i vostri culi con i manici dei picconi. Signore, non abbandonarci ora. Le madri immonde che vi partorirono fottevano con i caproni della foresta. Tornatevene a leccare il culo dei vostri padroni. Perdono, se abbiamo sbagliato. L'inferno aprirà le tremende fauci, le sue viscere vi inghiottiranno. Se abbiamo peccato, la Tua volontà, la Tua volontà sola sia fatta. Sputerà via le ossa, dopo averle spolpate a una a una. Solo l'amore e la parola del Redentore, nel Giorno della Resurrezione degli ultimi. Non avrà pietà delle vostre anime corrotte. Protegga noi la fede in Dio onnipotente.

Magister! Magister! Urla impazzite. Le mie. Voragini di panico tutt'intorno, la fuga del gregge davanti all'orda di lupi.

Lo scorgo davanti a me, inginocchiato, schiacciato a terra, inchiodato come una statua. Su di lui, sento la mia voce gridare sul fragore che si avvicina all'orizzonte: - Magister, Magister!

Gli occhi vuoti, altrove, una preghiera biascicata tra le labbra.

- Magister, per dio, alzati!

Cerco di sollevarlo, ma è come voler sradicare un albero, resuscitare un morto. Mi inginocchio e riesco a rivoltargli le spalle: mi si accascia in grembo. Non c'è piú niente da fare. E' finita. L'orizzonte precipita verso di noi sempre piú veloce. E' finita. Gli reggo la testa, il petto squarciato dal pianto e dall'ultimo grido, che sputa la disperazione e il sangue al cielo.

E' giorno da poco quando cominciamo a prepararci per andare incontro ai principi. Dalle borracce la grappa fa il giro delle gole e cerca di sciacquarle dall'ansia e dalla paura. E' giorno da poco, e nella luce incerta e pallida, sotto la nebbia fredda che s'alza piano, lentamente, come di fronte a un sipario, distinguiamo una frangia nera sull'orlo delle colline a settentrione. Nessuno ha dato l'allarme, ma loro sono già qui. Magister Thomas sprona il cavallo, di corsa, da una parte all'altra dell'accampamento, a ravvivare il fuoco della fede e della speranza. Qualcuno urla, alza i forconi, le zappe mutate in alabarde, spara in aria e vomita parole di scherno e di sfida. Qualcuno si inginocchia e prega. Qualcuno resta immobile, come colpito dallo sguardo del basilisco.

Un tratto di carbone intenso si stende lungo la collina a ovest, traccia i contorni sinistri dell'aurora screziata di tenui bagliori. L'esercito di Giorgio di Sassonia si dispone in attesa sulla cresta occidentale. Sagome nere allungate si protendono verso la piana: i cannoni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 135

SECONDA PARTE
Un Dio, una fede un battesimo

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 141

Capitolo 1
Vilvoorde, Brabante, 5 aprile 1538

A te Jan. Al tuo scannamento senza misericordia alcuna. Alla folla berciante che defeca ogni sorta di umori, tra cui lento avanza il carro che ti conduce in catene verso il patibolo. Al vomito che sale in gola e alla febbre che arde le viscere. Alla Puttana Babilonese mentre annega il pazzo Davide che ha generato nel sangue suo e dei suoi fratelli. All'orrore incessante che ha inghiottito la nostra carne. All'oblio, che ha innalzato questa torre di morte oltre il cielo. Alla fine, una fine pietosa, efferata fine, una fine qualsiasi e ultima. Ho dimenticato.

A te Jan, fratello, malvagio sanguinario, volto tumefatto che affronta l'odio e i colpi che giungono da ogni parte. A te, demonio cacato da innominabili anfratti, vesti lacere intrise di sangue, un grumo informe al posto di un orecchio. A te, maiale da scotennare nel giorno di festa, mi nascondo e ti vedo chinare il capo sui ceppi, gridando ancora una volta l'insulto: - LIBERTA'!

Ho colpito, depredato, ucciso.

La folla squarterebbe con le proprie mani, il boia lo sa e rotea la scure in una danza, ne assaeaia il filo, lascia tempo alla brama di sangue che monta di ricoprire tutto in un fragore che non pare terreno.

Ho distrutto, saccheggiato, stuprato.

Ognuno è carnefice qui, e dovunque. Ciascuno impreca un figlio o un fratello sgozzati dal diavolo di Batemburg e dai suoi Armati della Spada. Non è cosí eppure è la verità. Ho dimenticato.

Alta la scure, silenzio improvviso, s'abbatte. Due, tre volte.

Un fiotto di vomito lorda calzari e mantello nei quali mi trascino ricurvo, s'alza di nuovo il boato, il trofeo viene sollevato grondante, i peccati sono mondati, le nefandezze possono continuare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 152

- I beni, Lot, i soldi, i gioielli, le mercanzie, servono al corpo affinché se ne giovi lo spirito. Guarda questa gente: è felice. Non deve uccidersi di fatica per vivere, non deve rubare a chi possiede di piú né lavorare per lui. E dal canto suo, chi ha di piú non ha nulla da temere, poiché ha scelto di vivere con loro. Ti sei mai chiesto quante famiglie si sfamerebbero con quello che Fugger ha nei suoi forzieri? Io credo che mezzo mondo potrebbe mangiare per un anno intero senza dover alzare un dito. Ti sei mai chiesto quanto tempo un mercante di Anversa spende per accumulare la sua fortuna? La risposta è semplice: tutta la vita. Tutta la vita per accumulare, per riempire casseforti, scrigni, fabbricare la prigione per sé e i propri figli maschi, e la dote per le femmine. Perché?

Vuoto il bicchiere: il suo sogno è stato anche il mio: - E tu vorresti convincere i mercanti giú al porto che è meglio per il loro spirito dare tutto a voi altri... ?

- Nient'affatto. Voglio convincerli che è piú bella una vita libera dalla schiavitù del denaro e delle merci.

- Scordatelo. Te lo dice uno che i ricchi li ha combattuti per tutta la vita.

Stringe gli occhi e alza il bicchiere: - Noi non vogliamo combatterli, sono troppo forti -. Scola la birra. - Vogliamo sedurli.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 235

Capitolo 24
Münster, 13 gennaio 1534

Il nome latino, Monasterium, lascia pensare a un luogo di pace e lontananza dal mondo.

Münster al contrario chiede d'essere ferrata col fuoco.

Nove Porte per accedere. Su ogni porta tre cannoni: pareti spesse, stretti i passaggi.

Quattro torrioni bassi e massicci escono verso i punti cardinali a stringere in avamposto la città.

Mura interamente percorribili da tre uomini affiancati la cingono tutta.

L'acqua del fossato è il corso deviato del fiume Aa che taglia in due la città.

Il fossato è doppio, acqua nera davanti alla prima cinta di mura e acqua nera dietro, scavalcata da piccoli ponti che accedono alla seconda cinta, piú bassa, marcata da torri tozze.

Inespugnabile.

- Fratelli e sorelle, i viandanti che aspettavamo sono giunti. Enoch ed Elia attraversano il mondo e, arrivano a Münster per annunciare che l'ora è imminente, che i ricchi hanno i giorni contati, e il potere del vescovo sarà cancellato per sempre. Oggi sappiamo con certezza che ciò che ci attende è libertà e giustizia. Giustizia per noi, fratelli e sorelle, giustizia per chi viene tenuto in servitú, costretto a lavorare per un salario da fame, per chi ha fede e vede la casa del Signore imbrattata di immagini, e gli infanti venire lavati con l'acqua benedetta, come cani sotto una fontana.

Ieri ho domandato a un pargolo di cinque anni chi fosse Gesú. Sapete cosa ha risposto? Una statua. Questo ha detto: una statua. Per la sua piccola mente Cristo non è altro che l'idolo davanti al quale i genitori lo costringono a dire le preghiere prima di dormire! Per i papisti questa è la fede! Prima imparare a venerare e ubbidire, poi capire e credere! Che razza di fede può essere questa, e che inutile supplizio per i bambini! Ma li vogliono battezzare, sí fratelli, perché temono che senza il battesimo lo Spirito Santo non discenda su di loro. In questo modo l'atto della fede diventa secondario: Le coscienze vengono lavate con l'acqua benedetta prima che si possano compiere peccati. E cosí il loro battesimo copre le nefandezze piú innominabili: il trarre lucro dal lavoro del prossimo, l'accumulare i possessi, la proprietà delle terre che voi coltivate, dei telai che voi fate funzionare. I vecchi credenti non vogliono permettere a nessuno di scegliere quale vita condurre, vogliono che voi lavoriate per loro e siate contenti della fede che vi consegnato i dottori. La loro è una fede di condanna, è la fede spacciataci dall'Anticristo! Ma noi, fratelli, noi vogliamo Redenzione! Noi vogliamo libertà e giustizia per tutti! Noi vogliamo leggere liberamente la parola del Signore e liberamente scegliere chi deve parlarci dal pulpito e chi rappresentarci in Consiglio! Chi decideva infatti dei destini della città prima che lo scacciassimo a pedate? Il vescovo. E chi decide ora? I ricchi, i notabili borghigiani, illustri ammiratori di Lutero solo perché la sua dottrina consente loro di resistere al vescovo! E voi, fratelli e sorelle, voi che fate vivere questa città, non potete mettere parola nelle loro sentenze. Voi dovete soltanto ubbidire, come sbraita lo stesso Lutero dalla sua tana principesca. I vecchi credenti vengono a dirci che i buoni cristiani non possono occuparsi del mondo, che devono coltivare la loro fede in privato, seguitando a subire in silenzio i soprusi, perché tutti siamo peccatori condannati a espiare.

Ma ecco qui i messaggeri di speranza, ecco chi viene ad annunciarci la fine del vecchio cielo e della vecchia terra, affinché noi ne pretendiamo altri. Questi due uomini hanno raccolto il nostro grido d'indignazione e sono venuti a portare testimonianza, come Enoch ed Elia, a dirci che non siamo soli, che il tempo è giunto. I potenti della terra saranno spodestati, i loro scranni cadranno. per mano del Signore. Cristo non viene a portare la pace, ma la spada. Le porte sono ora aperte per coloro che sapranno osare. Se penseranno di schiacciarci con un colpo di spada, con la spada pareremo quel colpo per restituirne cento!

Bernhard Rothmann. Ho davanti il coraggio, la rabbia, i coglioni, la forza immensa di una fede che non incontravo da molto tempo. Magister, se fosse qui ora, se fosse finita diversamente, forse avresti la sensazione che non è andato tutto perduto, che qualcosa, strisciando e risalendo sotto la cenere, è sopravvissuto e concima una nuova terra. Cento, duecento? Ho disimparato a contare le folle, tu me lo avevi insegnato, l'ho dimenticato. Ho dimenticato la forza, Magister, e tu non puoi insegnarmi più niente. Sono un altro, forse un figlio di puttana, disilluso e rabbioso, eppure per la prima volta, dopo tanti annni, nel posto giusto. Qui dovevamo arrivare, da nessun'altra parte, a questa verità: non c'è fede senza conflitto. Cosí è sempre stato e anche se della mia fede non m'importa piú niente, oggi torna a bruciare qualcosa che avevo perso nella piana di maggio. E' la consapevolezza che mi avevi dato: non libereremo mai i nostri spiriti, senza liberare i nostri corpi. E se non ci riusciremo, di questi corpi non sapremo che farcene: sono tempi in cui la miseria e la forca non sono poi tanto diverse. E allora vale ancora la pena spezzare il giogo e accettare quanto il destino ci consegnerà alla fine. Combatteremo ancora. Di nuovo. O moriremo provandoci.

Tocca a Jan di Leida adesso, pronto, deciso, una platea per lui. Lo sguardo scivola nel vuoto sopra le teste, non sbagliare Jan, è il tuo momento: posa d'attore, come al solito eccessiva, ridicola, vomita fuori parole assurde che acquistano senso poco alla volta nella mente, e trovano una sequenza particolare, colpiscono nel segno. Saranno i movimenti, i gesti, gli occhi strabuzzati e un istante dopo ammalianti, sarà la bellezza, la giovinezza, che ne so. So che funziona.

- Jan cammina per queste vie, senza meta come un naufrago alla deriva, e cerca un segno, un indizio, che faccia capire se proprio qui troverà ciò che cerca -. Il tono sale rapido: - Stupido coglione, figlio d'una cagna di Leida! Il segno non è intorno a te, non è nei muri, nei mattoni, nella calce, nei ciottoli, no, non troverai ciò che vai cercando. Il segno è la ricerca stessa, il segno sei tu che arranchi nel fango delle strade. Siete voi. Noi che siamo in cerca: noi che siamo l'adesso, il già e non ancora. I vecchi sono fermi, sono già stati. Vecchi credenti già morti. Il mattone della Cattedrale non dice nulla. I vostri sguardi invece dicono che Dio è qui, Dio è qui adesso, il Suo Spirito è tra di noi, in questa giovinezza, in queste braccia, questi muscoli, gambe, seni, occhi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 356

Comincio a capire.

Continua sereno: - A vent'anni credevo che Lutero ci avesse regalato una speranza. Non ci ho messo molto a capire che l'aveva subito rivenduta ai potenti. Il vecchio frate ci ha sbarazzati del Papa e dei vescovi, ma ci ha condannato a espiare il peccato in solitudine, nella solitudine dell'angoscia interiore, ficcandoci un prete dentro l'anima, un tribunale nella coscienza che giudica ogni gesto, che condanna la libertà dello spirito in nome dell'inespiabile corruzione della natura umana. Lutero ha strappato ai preti il vestito nero, soltanto per ricucirlo nel cuore di tutti gli uomini.

Prende fiato, giocherellando coi trucioli di legno per terra. Ha davvero voglia di dirmi tutto, quasi volesse ricambiare il mio racconto. E io ho voglia di ascoltarlo.

- Vorrei che tu capissi che io e te siamo partiti dalla stessa delusione. Gli stessi che hanno voluto riformare la fede e la Chiesa, hanno riformato anche il vecchio potere, gli hanno fornito una nuova maschera. Le speranze di voi Anabattisti erano legittime: sbugiardare Lutero e proseguire là dove lui si era fermato. Ma la vostra visione della lotta vi faceva dividere il mondo in bianco e nero, cristiani e anticristiani -. Scuote la testa. - Una visione del genere serve per vincere una battaglia giusta, ma non basta per realizzare la libertà dello spirito. Al contrario, può costruire nuove prigioni dell'anima, nuovi ricatti morali, nuovi tribunali. Il senso di tutto questo è contenuto nella storia che mi hai raccontato: Matthys, Rothmann, Bockelson, Batenburg... La differenza tra un Papa e un profeta è solo nel fatto che si contendono l'un l'altro il monopolio della verità, della parola di Dio. Io penso che quella parola ognuno debba poterla trovare da sé. Sono rimasto fuori dalla contesa e ho lavorato per questo -. Spazia con un gesto a comprendere il cortile che ci circonda. - Non credere che sia stato facile. Ho rischiato piú volte di essere incarcerato e per molti anni ho dovuto condurre una vita clandestina.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 406

Capitolo 3
Basilea, 18 marzo 1545

- A Venezia ci si perde, compare, anche quando si crede di conoscerla bene, capito? Si resta completamente in balía di quella città. Un labirinto di canali, vicoli, chiese e palazzi che ti compaiono davanti come in sogno, senza un legame apparente con quanto hai potuto vedere fino a quel momento.

Pietro Perna, come al solito, si perde a parlare dell'Italia, mentre stappa una bottiglia del «miglior vino del mondo». Dalla finestra del retrobottega di Oporinus, il cielo di Basilea è di un grigio che tende al bianco, come se qualcuno l'avesse privato del colore, ma, sarà l'odore del vino o l'accento latino del mio interlocutore, ho l'impressione che il sole inondi la stanza.

- Non stavate parlando dei presunti autori del Beneficio di Cristo, messer Pietro?

- Giusto, - risponde pulendosi il baffo col dorso della mano, - non perdiamo di vista la questione principale. Il libro ufficialmente è anonimo, ufficiosamente si dice sia stato scritto da fra' Benedetto Fontanini da Mantova e sotterraneamente si afferma sia opera di menti vicine al cardinale inglese Reginald Pole.

Lo interrompo subito: - Immagino che non vi spiacerà se vi chiederò qualche informazione in piú sulle vicende italiane, perché questa storia di cardinali che citano Calvino non mi torna fin da principio. E forse il vino non è la bevanda migliore per questa nostra discussione.

Sgrana gli occhi e si versa un altro bicchiere: - Questo qui è Chianti, signor mio, potete berne quanto volete e la testa vi parrà sempre piú leggera. Lo infiascano i miei genitori, in un podere nei pressi del villaggio di Gaiole. E' un vino che ha onorato la tavola di Cosimo de' Medici, capito? Una bevanda i-ni-mi-ta-bi-le!

Si accorge del mio gesto e riprende: - Torniamo a noi, compare. Il medico spagnolo Michele Serveto ha descritto gli italiani come diversi tra loro in tutto: governo, lingua, costumi e tratti somatici. Ci unirebbe soltanto l'antipatia degli uni verso gli altri, la mancanza di coraggio in guerra e la spocchia verso gli ultramontani. Per la fede si può quasi dire altrettanto: da una parte c'è chi invoca la conciliazione con i luterani, dall'altra chi dà la precedenza assoluta alla guerra contro l'eresia e rispolvera il Sant'Uffizio dell'Inquisizione. Tra il popolo è molto diffuso l'odio per i preti e quindi la simpatia per quella che tutti chiamano «fede germanica», ma si potrebbe pure dire il contrario, capito? Come si potrebbe anche dire che molti contadini ignorano che cosa sia la Trinità, si comunicano e confessano a Pasqua per far contento il parroco e il resto dell'anno vivono delle loro superstizioni.

Cerco di immaginarmi la terra descritta dalle parole di Pietro Perna, mentre sorseggio il secondo bicchiere di quel suo squisito prodotto. L'Italia: forse è vero che non posso morire senza renderle visita. Del resto, ho la sensazione che molto di quel che ho passato abbia preso le mosse di là, non da ultimo lo stermimo di Eloi e degli Spiriti Liberi, che proprio l'Inquisizione ha indicato a Carlo V come eretici, cittadini pericolosi e infedeli.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 414

- Dove volete arrivare?

Stringe ancora il mio braccio: ~ Suvvia, messere! Non prendiamoci in giro: se deve essere un libraio italiano a dire loro come stanno le cose, significa che queste bellissime teste non vedono al di là del loro naso! Scrivono trattati teologici per altri dottori, capito?, e il giorno che li verranno a prendere per legarli a un palo con qualche fascina sotto, forse allora apriranno gli occhi! Solo che sarà troppo tardi. Quello che intendo, amico mio, è che i giochi sono fatti. Su in Germania ne avete fatto di chiasso, e ve le siete anche suonate di santa ragione, e poi ci sono stati gli olandesi, gran buontemponi quelli, matti come cavalli, e adesso i francesi e gli svizzeri, e Calvino che diventa la stella della rivolta contro il papato. Tutte balle messer mio, il potere, il potere, per questo si scannano. Per carità, non dico che il vecchio Lutero non ci credesse, non dico che l'aitante Calvino non ne sia convinto, ma sono soltanto pedine. Se non facessero comodo ai potenti, quei corvacci neri non sarebbero nessuno, ve lo dico io, nes-su-no!

Mi libero dalla presa, ubriaco di parole. Perna alza le spalle e allarga le braccia incredibilmente corte: - Io faccio il mio mestiere, capito? Io sono un libraio, vado in giro, vedo un sacco di gente, vendo i libri, scopro talenti nascosti sotto montagne di carta... Io propago idee. Il mio è il mestiere piú rischioso del mondo, capito?, sono responsabile della diffusione dei pensieri, magari di quelli piú scomodi -. Indica in direzione della casa di Oporinus. - Loro scrivono e stampano, io diffondo. Loro credono che un libro valga in sé e per sé, credono nella bellezza delle idee in quanto tali.

- Voi no?

Un'occhíata di sufficienza: - Un'idea vale se viene diffusa nel posto e nel momento giusti, amico mio. Se Calvino avesse stampato la sua Institutio tre anni prima, il re di Francia lo avrebbe bruciato nel tempo d'uno sbadiglio.

- Ancora non capisco dove volete andare a parare.

Saltella sul posto nervoso: - Diavolo, ascoltate, no?! - Estrae dall'inseparabile borsa un libretto ingiallito. - Prendette Il Beneficio di Cristo. Piccolo, agile, chiaro, sta in una tasca. Oporinus e i suoi amici lo vedono come una speranza. Sapete invece cosa ci vedo io? - una piccola pausa a effetto. - Guerra. Questo è un colpo basso, questo è un'arma potente. Credete che sia un capolavoro? E' un libro mediocre, risciacqua e sintetizza l' Istituzione di Calvino. Ma dov'è la sua forza? Nel fatto che cerca di rendere la giustificazione per sola fede compatibile con la dottrina cattolica! E questo cosa significa? Che se questo libro si diffonde e ha successo, magari tra i cardinali e i dottori della Chiesa, forse voi e Oporinus, e i suoi amici, e tutti gli altri non avrete l'Inquisizione che vi alita sul collo per il resto dei vostri giorni! Se questo libro trova il plauso della gente giusta, i cardinali intransigenti rischiano di trovarsi in minorarnza, capito? I libri cambiano il mondo soltanto se il mondo riesce a digerirli.

Tira il fiato e mi scruta per un lungo momento, poi con gli occhi stretti: - E se il prossimo Papa fosse disposto a dialogare? E se fosse uno di quelli contrari ai metodi del Sant'Uffizio?

- Un Papa è sempre un Papa.

Un gesto di disapprovazione: ~ Ma vivere e poter continuare a dire la propria è ben diverso dal morire arrostiti.

Fa per raccogliere la borsa e andarsene, ma questa volta sono io che lo trattengo.

- Aspettate.

Si ferma. Guardo questo piccolo uomo che suda astuzia e forza da tutti i pori. C'è qualcosa di Eloi nel guizzo degli occhi, qualcosa di Gotz von Polnitz nella determinazione della parola.

- Cosa direste se vi dicessi che non m'importa piú di cambiare alcunché?

Sorride: - Direi che dovreste partire subito per l'Itallia, prima che il fango di questa città vi soffochi la mente.

- Puttane, affari, libri proibiti e intrighi papali? E' questo che promettete?

Fa un piccolo saltello, mentre già si allontana cercando di allungare il passo: - C'è forse qualcos'altro che dà sapore alla vita?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 439

Capitolo 10
Venezia, 20 giugno 1545

Pietro Perna arpiona una fetta di pane imburrato e tra un boccone e l'altro si lancia nella descrizione del piatto forte della serata.

- Signori, una piccola lezione di come l'arte culinaria di queste terre ha saputo insaporire e rinnovare una tipica ricetta oltremontana: il merluzzo essiccato. I nostri amici nordici si limitano a lessare questo pesce dopo averlo tenuto in bagno per due giorni -. Si avvicina e mi abbraccia con aria di commiserazione. - Io dico: quale imperdonabile mancanza di fantasia. A proposito, compare, l'avete mai assaggiato prima?

- Certo, molte volte.

L'italiano soffia via una risata tra le labbra e alza gli occhi alle travi del soffitto: - Di sicuro è un'esperienza che vi è scivolata sul palato. I sapori che gusterete oggi, al contrario, vi lasceranno un ricordo imperituro. Ebbene: dopo esser stato lessato, il nostro merluzzo viene infarinato, condito di sale, di pepe e di una spezia orientale che chiamiamo cannella. Quindi si fa soffriggere burro, aglio e cipolla, no?, e dopo un po' si aggiungono acciughe sminuzzate, prezzemolo trito e vino. Poi quando il vino si asciuga si butta il latte, capito?, si versa tutto quanto sul pesce e si cuoce fino a che il latte non si ritira. Infine lo si serve squisitamente accompagnato da fette di polenta. Sentite, sentite che meraviglia!

La domestica del libraio Arrivabene mi rovescia nel piatto abbondanti cucchiaiate, mentre il Bindoni mi riempie il bicchiere con religiosa lentezza. Mi parla con un misto di latino, tedesco e italiano, una lingua quest'ultima che riecheggia quella dei mercanti di Spagna e di cui riesco a cogliere qualche parola.

- Nessuna bevanda sa accompagnare il pesce quanto i vini delle colline intorno a Verona, messere.

Perna fa un salto sulla sedia e mi si rivolge in tedesco: - Spero che non abbiate capito quello che ha detto il nostro stampatore qui, perché altrimenti dovrete fare un segno sul vostro taccuino alla voce «Stronzate del Bindoni» -. Quindi passa al latino. - I nostri amici non sanno che avete già avuto modo di assaggiare il meglio dei vini toscani, capito?, e vorrebbero farvi credere che la Serenissima non ha rivali, in fatto di vini.

- Andiamo, messer Pietro, in Toscana non avete idea di cosa bere con un piatto di pesce, lo sanno tutti!

- Come tutti sanno che il Doge si fa portare le damigiane da Mon-te-pul-cia-no!

- Mi avevano detto, - abbozzo in un latino storpiato, - che i mercanti di Venezia, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, sono preoccupati per l'importanza commerciale che potrebbero assumere i porti occidentali. Certo, se tutte le volte che hanno da trattare un affare, si mettono a tavola e cominciano a discutere di salse e di vini, non potranno imputare soltanto a Colombo la loro decadenza.

Perna mi squadra un attimo, prende la mira e spara: - Se invece i mercanti del Nord non la smetteranno di parlare soltanto di affari, presto si troveranno con un monte di quattrini, capito?, ma non sapranno come spenderli, perché l'aringa affumicata sarà diventata l'unico cibo, la birra l'unica bevanda e la Bibbia di Lutero l'unico libro.

- D'accordo, - sorride Bindoni, - allora proviamo a parlare di libri, ché almeno in fatto di stampa i toscani devono abbassare la cresta. Cosa proponete, esattamente?

Perna è incredibilmente sintetico, forse per consentirmi di cogliere ogni parola: - Il Beneficio. Lui finanzia e distribuisce nel territorio della Repubblica, tu stampi, Arrivabene vende a Venezia e io mi occupo del milanese.

| << |  <  |