Copertina
Autore Ernest Bloch
Titolo Tracce
EdizioneGarzanti, Milano, 2006 [1994], Saggi , pag. LXXX+254, cop.fle., dim. 137x210x25 mm , Isbn 978-88-11-59796-4
OriginaleSpuren
EdizioneSuhrkamp, Frankfurt am Main, 1959 [1930]
CuratoreLaura Boella
PrefazioneLaura Boella
TraduttoreLaura Boella
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe aforismi , filosofia , narrativa tedesca
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Indice


Pensare e narrare, di Laura Boella      V

Note                                    L
Cenni bio-bibliografici              LXXV

Tracce

Troppo poco                             3
Dormire                                 3
Tirare in lungo                         3
Sempre dentro                           4
A casa d'altri                          4
Ritornello                              4
Vano cambiamento                        5
Lampada e armadio                       7
Buone abitudini                         8
Bada!                                   9

Situazione

Povertà                                12
Sporcizia                              12
Il dono                                12
Bisogni diversi                        13
Feste, purtroppo                       13
Il socio utile                         18
Scuotitore per fragole                 19
Panem et circenses                     20
Compagno di piccolo formato            22
Grillo parlante                        22

Destino

Passar di mano                         26
Un negro                               26
Divisione delle acque                  27
Senza volto                            31

[...]


 

 

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Pagina 3

TROPPO POCO
Si è soli con sé stessi. Anche quando sono insieme con gli altri, i più rimangono soli. Dall'una e dall'altra solitudine bisogna tirarsi fuori.


DORMIRE

In noi stessi, siamo ancora vuoti. Ci addormentiamo facilmente, in mancanza di eccitazioni esterne. Cuscini morbidi, buio, silenzio favoriscono il sonno, il corpo si eclissa. Stare svegli di notte non è essere desti, ma viscoso, lento consumarsi del tempo sul posto. Si nota allora come sia sgradevole stare con nient'altro che sé stessi.


TIRARE IN LUNGO

Aspettare rende altrettanto desolati, ma al tempo stesso ubriaca. Chi fissa a lungo la porta aspettando uno, una, può perdere la testa, come per un canto monotono, che va avanti, va avanti. Nel buio in cui si trascina, probabilmente non c'è niente di buono. Se l'uomo, la donna attesa, non arrivano, l'evidenza della delusione non abolisce la sbornia, si mescola soltanto con ciò che ne consegue, un malessere suo proprio, che si prova anche in questo caso. Contro l'aspettare è d'aiuto lo sperare. Ma non ci si deve solo nutrire di speranza, bisogna anche trovare in essa qualcosa da cucinare.

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Pagina 9

BADA!


Tra noi, le cose si presentano sempre più di lato. Facciamo attenzione alle piccole cose, non perdiamole di vista.

Spesso, ciò che è strano e imponderabile porta molto lontano. Come nella storia del soldato che una volta, essendo giunto troppo tardi all'appello, non si mise in fila ma accanto all'ufficiale. Fu "perciò" che questi non si avvide di nulla. È una storia divertente, ma che colpisce nel segno: qui è successo qualcosa, sì, è successo a modo suo. Resta infatti un'impressione che non lascia tranquilli. Forse perché si incrina la superficie della vita, o almeno potrebbe.

In breve, è bene pensare anche affabulando, poiché a volte un evento non si esaurisce nel suo accadere, nemmeno se è raccontato bene. Stranamente c'è sempre qualcosa di più che succede là dentro, l'avvenimento lo porta in sé, lo mostra o lo lascia capire. Storie di questo tipo non basta raccontarle, è come se in esse scoccasse un'ora, bisogna tendere l'orecchio: a che punto siamo? Dagli avvenimenti scaturisce un "bada!" che altrimenti non sarebbe tale; oppure, un "bada!" che era già là prende degli eventi insignificanti per tracce ed esempi. Essi indicano un meno o un più – su cui riflettere mentre raccontiamo o da tornare a raccontare meditando – che in queste storie suona male, poiché non si accorda né con noi né con il resto. Molte cose si capiscono solo con storie di questo tipo, e non con uno stile più enfatico e più elevato, o almeno non allo stesso modo. Qui di seguito si tenta di narrare, e di far notare come alcune di queste cose colpiscano; con attenzione—da amatore—nel narrare, e avendo di mira — nell'attenzione — ciò che si vuole narrare. Sono piccoli tratti di vita e altre cose ancora che non sono state dimenticate; oggi c'è molto da raccogliere tra i rifiuti. Ma c'è anche la vecchia passione di ascoltare storie buone e insignificanti, di tono diverso, di epoche diverse, storie curiose che non si concludono, quando arrivano alla fine, se non rimescolando qualcosa. È un leggere le tracce di dritto e di traverso, per sezioni che delimitano solo il quadro. Poiché, infine, qualunque sia l'incontro e l'accadimento, l'evento è lo stesso.

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Pagina 22

GRILLO PARLANTE


La gente perlopiù viene mantenuta nell'oscurità e si vede appena. L'uomo alla catena di montaggio, che per otto ore al giorno deve fare lo stesso movimento, è cancellato dalla superficie della terra allo stesso modo di chi lavora nel fondo di una miniera. Nessuno ama il quinto stato per i suoi begli occhi, che pure ha.

Uno, che si era dato interamente alla causa del proletariato, non un cattivo tipo, nemmeno un avversario, piuttosto una figura triste, fece osservare a un comunista: "Nel citoyen si nascondeva il bourgeois, ci salvi Iddio da chi si nasconde nel compagno". E aggiunse: "per questo siete così cauti e non volete mai dire come sarà la società futura. Per tutto il resto siete di una precisione prussiana, parole d'ordine pure e semplici, ma se si vuole sapere quale società verrà fuori, diventate austriaci, rinviate tutto all'indomani, anzi a posdomani. Nel 1789, quando il terzo stato era rivoluzionario, non c'era bisogno di essere tanto formali, né di essere sognatori tanto prudenti. A quel tempo si avevano le cose sotto gli occhi, e il califfo Cicogna di allora non aveva bisogno di comprare alla cieca limitandosi a credere che fosse la principessa desiderata. Per quanto voi guardiate all'avvenire con cautela, continuate a sognare di un che di meraviglioso posseduto dalla classe operaia: in questo, siete in tutto e per tutto dei credenti. I vostri sforzi non tendono solo a superare lucidamente il bisogno e lo sfruttamento, ma dipingete l'uomo totale, l'uomo nuovo, in un orizzonte indeterminato. In realtà, il proletario di oggi è perlopiù solo un piccolo borghese fallito che passa nelle fila dei nazionalisti o dei bottegai che siedono sul canapè rosso. La sua coscienza di classe, sebbene voi crediate di occuparla stabilmente, fa sentire una musica che, almeno da noi, non si suona che molto indistintamente o forse nemmeno più. In essa c'è solo scontento, e una voglia di vivere molto comprensibile, molto di oggi; di melodia esplosiva, ce n'è né più né meno di quanta se ne possa udire in mezzo al fragore di una macchina, dove si può cantare di tutto, e anche qualcosa di ben determinato".

Così diceva il grillo parlante, un uomo spaesato che ormai solo di rado beveva l'elisir della soggettività o dell'amicizia, in cui trovava ancora un po' di vita. Solo che, dando del filo da torcere all'altro, dimenticava di non poter affatto provocare nel compagno un effetto di disillusione, in quanto questi non si costruisce nessun miraggio, a differenza del borghese di una volta, che ha talmente deluso in seguito. Della vittoria della classe borghese resta il significato delle grandi parole, per quanto rinviano a contenuti umani, quando la sostanza delle cose non è in ordine. Il proletariato non è l'unica classe che non vuole essere tale? Esso non pretende, e non potrebbe pretenderlo, di essere particolarmente eccezionale; ogni culto del proletariato è falso, dovuto a una contaminazione borghese. La sua unica pretesa è di dare, sopprimendosi, la chiave della dispensa umana, ma non di portare la dispensa con sé o di identificarsi con essa. La sua totale disumanizzazione gli ha insegnato con molto radicalismo che finora non c'è stata vita degna di un essere umano, bensì una vita ridotta ai valori economici, che ha disprezzato e deformato gli uomini, rendendoli schiavi ma anche sfruttatori. Cosa ne verrà fuori? La rivoluzione almeno non genera uno sfruttatore, ma potrebbe anche succedere qualcosa di peggio; in ogni caso, ha fatto tabula rasa e si ha davanti agli occhi che cosa ne è stato, o che cosa non ne è ancora stato, degli uomini liberi. Anche dopo l'abolizione della miseria gli uomini restano disuguali o preda di falsi condizionamenti, ci saranno ancora caso, preoccupazioni, destino a sufficienza e nessun rimedio contro la morte. Ma quanto a ciò che si trova nel compagno, bisogna andarlo a cercare in lui e non nelle condizioni che rendono l'uomo ancora più deforme di quanto già non sia. Così parlava il comunista, e destò inquietudine anche nell'altro che non era poi tanto credente; infatti l'uomo è qualcosa che deve ancora essere scoperto. Sia gettando il sacco che dovrebbe contenere l'oggetto del desiderio, sia discutendo della principessa possibile finché essa diventi reale.

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Pagina 62

Il dio della vita


Là si è compiuta l'aurora, in ogni caso il cambiamento non ha tardato. I dodici anni rendono inquieti, virili, dunque tanto più lucidi. Molti ragazzi rozzi in classe, nemmeno la scuola mi piaceva. Amici: un ragazzo dai capelli neri, facevamo porcherie insieme, andavamo in campagna e fumavamo, ci amavamo e ci stimavamo, ciò di cui si ha bisogno più di tutto a quest'età. Un ragazzo biondo con un aspetto malaticcio, lo impacchettavano in abiti di Bleyles, ma lui li portava con stile e nei suoi occhi verdi c'era forza. Faceva erbari e ci prestava libri in cui spirava il vento del mare. Avevamo anche francobolli, calamita e cannocchiale; il metallo attirava e il binocolo era l'uomo forte che ci portava verso le cose più lontane, si voleva partire. Allora chiedevo anche: perché le cose hanno pesi diversi? — lo scrissi anche. Pensavo ai palloni, alla fiera, che non sono per nulla pesanti. Al contrario, si innalzano nell'aria e, se li si lascia andare, continuano a salire fino al punto in cui l'aria intorno ad essi ha la stessa densità del gas al loro interno. Tanto più tendono in alto, quanto più sono lontani da questo punto. L'ovatta e la pietra, invece, trovano l'equilibrio di densità, il punto in cui sarebbero a casa, non in alto ma sotto terra: poco importa, in realtà, poiché solo la lontananza rispetto a ciò che è identico a sé stessi provoca l'attrazione, rende per così dire nostalgicamente pesanti. E i pesi sono diversi a seconda della maggiore o minore distanza delle cose dall'equilibrio interno ed esterno della loro densità; a ciò esse tendono, e tanto più quanto più ne sono lontane. In breve, non stavamo volentieri a casa, il luogo della nostra "identità" era altrove.

Quindici anni, si era ancora più lontani dalla vita, ora che si era fatta luce. La scuola era sempre atroce, sottraendoci nove dieci anni di giovinezza, non sempre si passava alla classe superiore. Piccoli borghesi, folli, opliti, programmi sospesi sulla nostra testa; si era i loro figli di cani, si era ribelli. Uno, due insegnanti erano più interessanti, ma non potevano controbilanciare il tanfo dell'"istituzione", non sapevano nulla dei nostri giovanili, immaturi, importanti tentativi di raccapezzarci. Il cammino verso la nostra "identità" diventava sempre più freddo, leggevamo opuscoli socialdemocratici, le cui immagini strambe dimostravano che la società in cui vivevamo era un'impostura e il mondo una macchina. Solo le ragazze erano tutte azzimate, quelle con cui si andava sulle montagne russe: solo che, a pochi passi dalle brillanti strutture metalliche e dall'organo tonante, c'è il motore a gas, che mette tutto in moto. Qui c'era il numero e l'esatta spinta, il vero rapporto tra sogno e realtà, anche il precedente motivo nostalgico della "pesantezza" stava scomparendo. O come nei Kaiserpanorama, che allora c'erano ancora, bisognava solo guardare sotto la tenda che pendeva ai nostri piedi: dietro c'era uno spazio vuoto, con una sedia da caffè al centro dove era piazzato un apparecchio di ridicola piccolezza ma di alta precisione, che proiettava sullo schermo le vedute di Hammerfest o del Santo Sepolcro. La macchina, la materia, erano di conseguenza il germe di contro alla pula, in ogni caso un principio virile e adulto; i bambini nascono dal corpo materno, la vita nasce dai composti del carbone e il carbone è composto di atomi. Quando fui cresimato e dovevo pronunciare all'altare la formula, aggiunsi per tre volte: Sono ateo! — pronunciando la "ei" [di Atheist] come dittongo, poiché la parola l'avevamo solo letta, e mai udita, nei pamphlets dei liberi pensatori, Passeggiate di un ateo e titoli simili. Ne derivò uno scritto: L'Universo alla luce dell'ateismo; "nessun essere immateriale ha messo mano all'opera", "la materia è la madre di tutti gli esseri", l'educazione sessuale era completa, il mondo spogliato di ogni mistero. Ciò che si chiamava Dio non era null'altro che la somma infinita di materia, forza e ragione (inconscia); ogni coscienza non è che un vuoto infiammarsi, come le luci di sera, dietro le quali sta l'oscura dinamo. Anzi, la coscienza stessa sembrava pagata cara: sui nostri giovani petti, o piuttosto dentro, sentivamo una strana oppressione, un peso della vita, piccolo ma incessante, per usare un'immagine, ma solo un'immagine, certo. Era infatti un punto insensibile ben situato nel corpo; in questo lieve dolore – così pareva – si localizza o si nutre la coscienza. Lo si cura anche, ma sempre all'esterno, nell'"incoscienza" esterna, in particolare nella "bellezza naturale", soprattutto inorganica, nella bellezza del fiume, delle rocce, delle montagne. Un rimedio ancora più preciso era la "scienza della natura", il cui metodo fa già astrazione da ogni sensibilità e i cui oggetti non sono che morta materia e forza. Singolare sfogo per oscuri desideri erotici (verosimilmente) di quel periodo, certo anche per desideri di morte, che durante la pubertà non sono fisiologici, ma per così dire fisici — al di là di ogni inquietudine c'è un piacere di diventare freddi. Probabilmente questi accostamenti sono arbitrari (è molto difficile averne un ricordo preciso, troppo si sovrappone della maturazione ulteriore); in ogni caso, il diario è ancora là e ha un tono erotico-antierotico che si adatta così bene ai ragazzi. I pamphlets del periodo materialista (gli anni '90) convertivano la notte d'amore in notte della materia, dove lo "scioglimento delle membra" è in ogni caso assicurato.

Infine arrivarono i sedici anni, si diventava molto più giovani, di nuovo tutto era nei sogni.

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Pagina 119

ATTIMO E IMMAGINE


Più siamo opachi, tanto meno ci accorgiamo di ciò che accade. Se ne rese conto una ragazza, andando a prendere l'amico che non vedeva da molto tempo. Tornando a casa, le fu consegnata una lettera arrivata in ritardo che l'amico le aveva scritto. Immediatamente la ragazza lasciò da parte l'amico e lesse le parole scritte che per lei erano più importanti di quelle appena pronunciate. Incapace di far fronte all'immediato, la ragazza fuggiva nell'amore incarnato nella lettera. Fuggiva il vissuto, nel bel mezzo dell'esperienza vissuta si trasferiva in un che di esterno, in qualcosa che era un ricordo o era già stato fissato e fungeva da surrogato del vissuto immediato. Certo meno facile da vedere era l'hic et nunc immediato che è avvolto nella nebbia e nel quale non possiamo trattenerci a lungo. Ma quando ci troviamo nell'ora appena vissuto, ben radicati e vitali, l'ora può diventare vuoto in maniera diversa. "Perché sei così piccola?" - lo disse il padre alla figlia ritrovata; un frammento di questa esperienza appartiene anch'esso all'attimo vissuto, nel quale si vede poco, se vi si è dentro in maniera del tutto immediata, senza lettera. Conosciamo tutti il desiderio di tornare sul luogo in cui siamo stati molto felici o abbiamo iniziato a esserlo. Ma quando l'amata, che ci ha recato quella felicità, è molto lontana, perduta o morta, se ci pensiamo bene, uno strano sentimento ci distoglie dal tornare. Non solo si sente che il proprio esserci non può essere sfruttato in quel modo alla luce del giorno, ma l'oscurità dell'attimo che si è appena rivissuto s'incrocia, tentatrice e distruttiva, con il ricordo a lungo conservato. S'incrocia per così dire nella memoria con la lettera che può rendere il presente sempre più chiaro, che lo fa ancora maturare nell'immagine. Poiché, se valiamo qualcosa, non viviamo soltanto la nostra vita nella sua immediatezza, ma le diamo anche una consistenza attraverso il ricordo, passiamo in rassegna ciò che è stato come una galleria di immagini. Ma non avendo posseduto l'attimo di allora nella piena intensità della sua fiamma, non ne abbiamo neppure un'immagine corretta. Si torna indietro, e ci si accorge che siamo certo più vivi in presenza di ciò che è stato vissuto allora, ma spesso anche meno coscienti di noi stessi, più vuoti di sostanza salvata.

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Pagina 205

SCAPPATOIA CON MOTTO DI SPIRITO


I deboli si rimpiattano volentieri, oppure se la danno a gambe per una via laterale. Il forte si fa spazio, ma questo forse è meno nuovo dell'esile luogo a parte dove l'altro trova riparo.

La fuga del topo è senza dubbio disgustosa, quella della lepre può essere sventata, triste, ignobile. Ce n'è abbastanza di buchi ammuffiti e li conosciamo bene; la finta a destra o a sinistra cambia solo la direzione. non il terreno. Ci sono scappatoie cattive (soprattutto delle donne e degli ebrei); qui però vogliamo parlare – contro la malia della situazione, della via senza uscita, delle cose – di scoperte veramente nuove, di stretti continenti laterali, che vengono raggiunti solo dai deboli. Là crescono i frutti selvatici di uno spirito (Witz nel vecchio senso del termine) che anche dopo, una volta staccati dal ramo, raccontati, diventati motto di spirito nel nuovo senso del termine, hanno un effetto liberatorio. Sfortunatamente è proprio del Witz essere buono solo crudo: detto in parole è spesso eccellente; scritto, per così dire cotto, non sa più di niente. Difficile prepararlo scritto, al massimo solo à la tartare, sapidi ingredienti eterogenei e circonlocuzioni barocche nelle quali Kleist è maestro. Comunque è possibile descrivere il paesaggio della scappatoia e ritrarre la sua flora tanto quanto basta a far sì che chi è ricco di immaginazione si ricordi della materia prima.

Quando è femminile, dicevamo, la scappatoia è spesso di cattivo genere. La domanda retorica della donna, quando la minestra è bollente: "Devo portarla in tavola ghiacciata?", non vale nulla. Ma si drizzano già le orecchie nel caso di un'altra e del suo "motto di spirito", l'adultera presa sul fatto e che si ostina a negare, dicendo al marito furibondo, lì com'è stata trovata, con l'amico nel letto: "Se hai più fiducia nei tuoi occhi che nelle mie parole, dove sta il tuo amore?". Quella donna ha saputo scegliere, per sostenere la sua tesi, un esempio del tutto nuovo e intrigante. Il marito non riesce più a guardare dietro quell'angolo; non potrebbe arrivarci, nemmeno in un momento più tranquillo.

La scappatoia ebraica è più frequente e anche a un livello molto basso porta a defilarsi più correttamente. Non così stupida o impraticabile com'è molte volte quella femminile, bensì frivola, formalista, scaltra, può condurre in un luogo laterale significativo, con la chiarezza dell'intelletto o con l'oscurità della fede. Qui si trovano molti colleghi (ma con uno sfondo) dell'astuta, anzi più che astuta adultera, abitanti della stessa "regione". C'è una storia a questo proposito, o piuttosto il racconto dell'uomo che attraversò il nord della Siberia; egli narra di lupi, cavalli in fuga, ghiacci che si rompono, la slitta in fondo al lago — e poi? chiedono gli ascoltatori incantati, poiché l'uomo resta in silenzio, non spiccica più parola, ha la bocca piena d'acqua, già da un bel po' è annegato — "e poi?", dice il viaggiatore e prende fiato: "Per amor di Dio, tutta la storia non è vera". Così il bugiardo se l'è cavata, ma nessun sognatore si è mai svegliato così bene; se le bugie hanno le gambe corte, non sono mai state così buone e allungate dalla preghiera. Forse che qui Dio diventa il padre del mentitore e della bugia, ma anche della sua fine: che il labirinto sia vero? Adesso mettiamo a fuoco l'altra storia, una storia di scappatoia rovesciata, del rabbino che aveva lodato le opere di Dio e la perfezione, bellezza e intelligenza con cui tutto è disposto nel mondo da lui creato. Alla fine della predica viene da lui un gobbo e gli dice: "Rabbino, avete parlato che è una meraviglia delle opere di Dio e di come tutto sia bello, sensato e saggio. Ma guardatemi: forse che io sono così bello, sensato e saggio?". Il rabbino considerò l'uomo effettivamente e disse: "Per essere un gobbo sei abbastanza bello, sensato e saggio". Dunque il rabbino non si rimangia niente, poiché il gobbo è una forma creata che, in quanto tale, è perfetta, se è così com'è. Ma il rabbino si rimangia molto, a carico di Dio stesso che ha creato la perfezione solo offuscata, e la elargisce parsimoniosamente, mentre ha fatto sì che ciò che ha tenuto indietro venga presentito nella ribellione del gobbo. Non bisogna forzare troppo i "motti di spirito"; in ogni modo, in questo e in cento altri simili o diversi, si celano filosofie che non sono mai state pensate. In essi c'è solo una piccola scappatoia, che sa di ghetto ed è troppo buffonesca per diventare la via regia di un pensiero creativo, ma non per questo è del tutto priva di significato. La scappatoia di questo genere si distingue per la sua singolare novità, per la serietà del motto di spirito, dalla scappatoia improduttiva, che si serve della stupidità o dell'ingenuità della stupidità, che fa effetto di un Witz solo sull'altro, certo anche perché lo imbroglia. Per questa via incontriamo la storia del monaco, uomo molto pio e semplice, a cui solo la libido dava molto da fare. A nulla erano servite flagellazioni e mortificazioni: ed ecco che una sera una donna si infila nella sua cella, con il pretesto della confessione, una prostituta nota in tutta la città, in procinto di diventar bigotta, quindi del tutto all'altezza della situazione. Come si destò il mattino seguente da un sonno che non conosceva più dall'infanzia, tanto dolce e appagato, con una quiete dell'animo che non gli ispirava altro che pii pensieri, il frate si gettò a terra e ringraziò Dio di avergli infine indicato un mezzo per liberarsi dal pungolo del peccato. — Colui che narra questa vecchia barzelletta aggiunge che il priore, venuto a conoscenza della cosa e anche del fatto che il monaco aveva rotto i voti per la più pura stupidità, che aveva insomma imbrogliato il Vangelo, lo perdonò e pregò per lui: perché un giorno andasse in paradiso con gli asini.

Che differenza, che serietà scaltra, quando scappatoia femminile ed ebraica vanno insieme. La Eva di cui stiamo infine per parlare era la seconda giovanissima moglie di un rabbino che in tarda età si era risposato. Dopo numerosi anni di matrimonio felice, il rabbino si ammalò, per la prima volta nella sua vita, e disse alla giovane moglie: "Non mi alzerò più da questo letto, Hannah. Prima o poi verrà l'angelo della morte e mi porterà presso i miei padri". Hannah piangeva ed esclamava: "Non parlare così, rabbi mio, non posso sentire queste parole. Chiuderò porte e finestre davanti all'angelo della morte. Oppure, se viene, io stessa gli dirò: angelo della morte, lascia vivere il mio rabbi e prendi me al suo posto". Il rabbi le prese la mano: "Questo non lo dirai, Hannah, non vorrai commettere peccato contro la tua giovane vita". Ma Hannah non smetteva di lamentarsi e di implorare, allora il rabbi non disse più nulla, ma si voltò verso la parete come preso da grande stanchezza e chiuse gli occhi. La giovane moglie lo vegliò fino a sera, quindi andò in città a fare acquisti; non era ancora arrivata a casa che il rabbino si alzò, andò in cucina dove in una gabbia c'erano due oche all'ingrasso. Aprì la griglia, sparse briciole di pane dalla gabbia per il corridoio fino alla camera e davanti al letto e si distese giusto nel momento in cui l'uscio si aprì e Hannah fece ritorno nella stanza buia, presso il malato che dormiva. Di colpo si sentì dalla cucina uno strano rumore, un trepestio come di piedi silenziosi, duri, non umani, anche il rabbi ebbe un soprassalto: "Senti," disse a Hannah "senti l'angelo della morte che viene". Hannah tremava. I passi ora erano già alla porta, nella camera, quindi proprio vicino al letto, dove Hannah era seduta. E come il trepestio le sfiorò i piedi, si mise a urlare e, indicando il rabbino: "Angelo della morte, lui sta qui!". Allora il rabbino accese la luce, le oche beccavano, e disse: "Ebbene, Hannah mia, cos'avevi detto? Non avevi detto: angelo della morte, prendi me al suo posto, lascia vivere il mio rabbi, la luce dei miei occhi?". Hannah guardò le oche, suo marito, e rispose: "Certo che lo avrei detto, se fosse stato il vero angelo della morte. Ma non vorrai mica che lo dica a un'oca". Anche questa è una prova, concluse in maniera del tutto sorprendente il narratore al quale si deve questa storia, che gli ebrei non devono aver a che fare con gli animali. Secondo un'altra versione, Hannah avrebbe detto: "Devo avere dei riguardi davanti a un'oca?" — per la donna l'estremo istante non era ancora arrivato.

Se non è ancora arrivato da nessuna parte, dove riparano i deboli che sono stati tanto spiritosi? Trattandosi di scappatoie, vanno tutte in una direzione diversa, ma pur sempre in una terza direzione, anche quando tutto sembra essere sbarrato. D'ora in poi, disse un saggio cinese, al quale il servitore ogni mattina intrecciava il codino con tre capelli, e dopo un certo tempo era successo che gli fosse rimasto in mano prima l'uno poi l'altro dei tre capelli e lui si era gettato ai piedi del suo signore, il quale disse tranquillamente: d'ora in poi porterò i capelli sciolti. Tra le parole di Hannah, dell'adultera cristiana, del viaggiatore siberiano, del rabbino e del gobbo, infine del saggio cinese, ci sono invero pochi o pochissimi legami di contenuto. Come gesto, la temerarietà dei deboli non vale molto, come idea, spesso è frivola; del resto, non sempre si nascondono sotto le sembianze migliori e il seno di Abramo ha tutto un altro aspetto. Ma non manca certo il pepe ed è ben esplicito: la ricerca della scappatoia, per quanto segua vie traverse, si incontra con quanto nel mondo, nonostante la sua rigidità, è indeciso, poroso e a tratti spezzettato. La bella apparenza, il fondo oscuro: ma per colui che fa dello spirito non tutti i giorni viene la sera e non tutto nel Witz, di cui si tratta qui, è semplicemente spiritoso o frivolo. "Grazie a Dio, tutta la storia non è vera": una frase non comune per un bugiardo, un motto niente male per il mondo, se lo dicesse gente migliore. Si deve essere tanto spiritosi quanto aperti al trascendimento per poter essere uno dei due.

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