Copertina
Autore Valter Boggione
Titolo Chi dice donna...
Sottotitolo3587 proverbi sull'amore, il matrimonio, il tradimento, la gelosia...
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2005 , pag. 198, cop.fle., dim. 150x210x13 mm , Isbn 978-88-7750-970-3
LettoreElisabetta Cavalli, 2005
Classe storia sociale , costume , aforismi
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Indice


  3 Introduzione
 13 I    La donna
 29 II   L'uomo
 33 III  L'aspetto fisico; la bellezza e la bruttezza
 61 IV   L'amore
 97 V    La sessualità
111 VI   Il matrimonio
157 VII  La vita coniugale
181 Bibliografia
185 Sommario delle categorie in cui sono organizzati i proverbi


 

 

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Pagina 3

INTRODUZIONE



Ci sono, in questo libro, quasi 4.000 proverbi che riguardano l'uomo e la donna, le ragioni per cui perennemente si inseguono e si sfuggono, si insultano, litigano e subito riprendono a cercarsi, i rapporti che intercorrono tra di loro, l'amore, il matrimonio, la sessualità, la convivenza. Molti di essi non sono specifici, e neppure originari, di tale ambito: provengono magari dal linguaggio dell'economia (chi biasima, vuol comprare) o dell'agricoltura (nella stalla, la vacca batte il bue). Ma tutti in qualche modo possono essere applicati (e sono stati applicati) al rapporto tra i sessi. È una piccola parte (circa un decimo) del ben più ampio corpus raccolto nel Dizionario dei proverbi della UTET, appositamente ridefinita e riorganizzata secondo criteri di più immediata leggibilità.

Per quanto concerne il titolo, dopo qualche esitazione e discussione, ci siamo risolti ad adottarne uno che – per usare un lessico oggi di moda – assolutamente non si può definire politically correct: Chi dice donna... Anche l'uomo più gentile, più devoto al genere femminile, nel leggere queste tre parole non può evitare di completarle mentalmente, con un atteggiamento nel migliore dei casi a metà tra il compiacimento e la commiserazione ipocrita, con l'inseparabile conclusione: ... dice danno. Eppure, non si poteva trovare alternativa più appropriata, ed anche più efficace. Ci dice, questo proverbio, la cui fortuna sta tutta nell'elementare simmetria delle parti e nel finto gioco etimologico che inscindibilmente associa donne e mali, due cose fondamentali.

La prima, che la vera e pressoché esclusiva protagonista delle massime relative al rapporto tra i sessi è la donna. Tutto comincia e tutto finisce con la donna: anzi, tutto dalla donna viene e tutto alla donna ritorna (ma non sfugga la sottile perfidia insita nell'ascrivere a colei che dà la vita l'atteggiamento esoso e rapace dell'usuraio, pronto a riprendersi da un momento all'altro quel che ha dato). La donna ti porta in cielo e ti porta in terra: ti fa dimenticare nell'ebbrezza e nel rapimento della passione le meschinità del mondo, e ti precipita nella disperazione più radicale con le ripulse e i tradimenti. Basta sfogliare in fretta quanto si vuole le pagine, e se ne ha una riprova immediata. Meglio ancora, basta ricordare che la sezione in cui sono riuniti i giudizi sulle donne conta poco meno di 300 proverbi; quella che concerne i giudizi sugli uomini, fatica ad arrivare a 50.

La seconda, che la stragrande maggioranza dei proverbi è di carattere misogino. L'intonazione può essere seria o scherzosa, moralmente sdegnata o gioiosamente compiaciuta, arrogante o sconfortata, acre e violenta o rassegnata. Ma la sostanza di fondo non cambia: la misoginia resta. Di quei 300 proverbi, 13 soltanto esprimono un giudizio positivo. E di questi, ben 9 concernono l'energia e la resistenza delle donne, verrebbe da dire l'impossibilità di liberarsene, dal momento che sembrano tutt'altro che complimenti: le donne hanno sette vite come i gatti; le donne son come i gatti: finché non battono il naso non muoiono. Tutti gli altri, sono prese in giro più o meno eleganti, elenchi di vizi e di difetti, quando non addirittura attacchi spietati o insulti. C'è un intero bestiario, a sottolineare in maniera più o meno implicita l'assenza di razionalità, il carattere imprevedibile, l'inclinazione ad una passionalità incontrollata e primitiva, l'inaffidabilità di una creatura che somiglia di più a un animale che a un essere umano. Non sono soltanto le scontate (e veramente "proverbiali") galline e oche, ma pecore e vacche (donne, pecore e vacche: affari magri), cavalli (femmine, vino e cavallo, mercanzia di fallo), cani (il credere e il pevere inganna le donne e i cani), asini (femmine, ciuchi e capre hanno lo stesso capo; piuttosto che nascer donna, meglio asino), perfino volpi. Insomma: la donna è un animale senza coda, per il resto non la si può proprio distinguere dalle bestie; anzi: la donna è la maggior bestia del mondo.

La ragione, dell'uno e dell'altro fatto, è sempre la stessa: e cioè che il punto di vista che i proverbi esprimono è quello maschile. Come nella società — almeno fino a pochi anni or sono —, così anche nei proverbi, che della prima sono espressione e specchio fedele, la donna si trova in una posizione nettamente subalterna.

Certo, non mancano proverbi coniati dalle donne ed espressione di una prospettiva femminile: pur nell'esiguità numerica, essi coprono un po' tutti i possibili atteggiamenti rispetto alla prevaricazione esercitata dall'uomo, dallo sfogo disperato (la donna è carne da macello), alla rassegnazione (se viene — cioè se torna a casa — il marito tranquillo, mangia con lui; se viene arrabbiato, che tu abbia mangiato), dal vigore battagliero da guerra dei sessi (il marito è serpe di canneto: la notte sta con te e il giorno ti è nemico), fino all'assunzione da parte della donna di atteggiamenti tradizionalmente maschili, come nel caso di pesanti apprezzamenti erotici (bel culo, bel mulo) o nell'esibizione sfrontata dell'indifferenza per il mondo dei sentimenti e dell'intelligenza (i bei ragazzi vanno a fare i soldati e i macachi stanno a casa). C'è persino traccia di veri e propri scontri verbali tra uomini e donne per mezzo di proverbi, in cui le seconde rispondono per le rime ai primi, mostrandosi tutt'altro che timorose o remissive. Secondo quanto ci racconta il Giusti nei suoi Proverbi toscani, ad esempio, agli uomini che le attaccavano con il chi disse donna, disse danno del nostro titolo, a Siena le donne rispondevano con chi disse uomo, disse malanno. E in tutta Italia, fino almeno al secolo scorso, si poteva sentir ribattere al chi disse donna, disse guai, con un non meno perentorio chi disse uomo, disse peggio che mai. Che parrebbe una sorta di forma originaria, embrionale, del genere letterario del contrasto: il cui esempio senz'altro più noto, quel "Rosa fresca aulentissima" di Cielo d'Alcamo che costituisce uno dei primissimi esempi di volgare italiano, vede di fronte proprio un uomo e una donna; il primo, un giullare, cerca con il potere della parola di conquistarsi le grazie della seconda, una popolana, tanto abile tuttavia nella replica da tacitarlo. Salvo alla fine scusarsi per averlo preso in giro e, tenendo ormai ben salda l'iniziativa, invitarlo con un eloquentissimo "a lo letto ne gimo a la bon'ora".

Ma sono casi isolati. In generale, i proverbi documentano piuttosto un mondo in cui la donna è relegata entro le mura domestiche, senza diritto di uscire o di divertirsi, votata in maniera esclusiva ai lavori di casa, alla tessitura e alla filatura, alla crescita dei figli. Le donne senza figli non son neppure da prendersi in considerazione; e non solo come mogli o confidenti, ma neppure come amanti: alle donne che non fanno figli, non ci andar né per piaceri né per consigli. Uno dei suggerimenti dati al giovane che si sposa suona: non bisogna contentar le donne se non del lino. C'è spazio persino per una sorta di beatificazione della figura femminile, in un simile contesto; ma soltanto a patto che la donna sia l'angelo del focolare, disposta ad annullare sé stessa per la casa e la famiglia, obbediente al marito e remissiva: è la serie, invero stucchevole e ormai diventata anacronistica, dopo le rivolte femministe del '68 ma ben più dopo la crisi economica contemporanea, dei vari la donna è fatta per la casa; la donna è la lucerna della casa; donna in casa e al suo lavoro, non l'apprezzi ed è un tesoro. Per tacere poi dei moltissimi proverbi che sostengono la necessità inderogabile della posizione subalterna della moglie nel matrimonio, pena la rovina stessa della famiglia: le donne e i ragazzi debbono parlare quando le galline pisciano; povero quell'uomo che si fa metter la gonnella; non sei un uomo se non sai comandare. E per le donne che rivendicano la loro libertà e si oppongono allo stereotipo, non c'è scampo: donna che fischia fa pianger la Madonna. Viola le regole non solo di questo mondo fatto dagli uomini per gli uomini, ma addirittura dell'aldilà; offende l'unica Donna che si sia meritata l'iniziale maiuscola (ma un proverbio mette in dubbio i meriti anche di Maria: donna buona? nemmeno quella dell'icona).

Nel caso poi in cui non bastino le consuetudini e le parole, i proverbi non solo tollerano, ma addirittura auspicano il ricorso alla violenza. Se la donna è un animale, l'unico linguaggio che può comprendere è quello delle botte: al cavallo lo sprone, alla donna il bastone; oppure: buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, buona femmina e mala femmina vuol bastone (proverbio diffuso già ai tempi di Boccaccio, che nella sua filoginia lo ricorda con un certo imbarazzo; mentre ingenuamente Sacchetti, nell'osservare che non tutte le donne necessitano del bastone, ma soltanto le male femmine, ne ribadisce in realtà la centralità correttiva nel rapporto tra i sessi). Picchiare le donne è una delle opere di misericordia, che esplica i suoi benefici effetti anche in una prospettiva ultraterrena: a picchiar la propria donna si liberano l'anime del purgatorio. È un'orgia di violenza gratuita e parossistica, quella che si apre, in cui più di una volta sembra di avvertire un compiacimento sadico, l'affiorare tra i colpi e il dolore di un piacere morboso: per il bene che ti voglio, ti batto col maglio; la carne di donna viene meglio se bastonata; la donna è come il baccalà: più la batti e più buona diventa; la donna è come la nocciola: se non la rompi, non te la puoi mangiare. Del resto, come è noto, è bene per il marito che torna a casa picchiare comunque in via preventiva la moglie: anche se l'uomo ne ignora la ragione, la donna certamente la conosce. Se qualche perplessità viene mossa di fronte a una simile terapia, non è certo per i motivi che ci aspetteremmo: piuttosto, perché picchiare le donne è come bastonare un sacco di farina: esce il buono e resta il cattivo.

Evidentemente, però, se gli uomini sentono il bisogno di tutta questa violenza, spesso più esibita che effettivamente praticata (chi non ha moglie ben la batte, chi non ha figliuoli ben gli pasce!), è perché hanno paura delle donne. L'azione maschile, nei proverbi, è limitata quasi esclusivamente alla violenza. È vero che si dice che le parole son femmine, e i fatti maschi. Ma non si tratta che di parole. Sono le donne che effettivamente agiscono, seducono, decidono, perfino comandano. I proverbi dimostrano che la passività femminile non è una condizione, non lo è mai stata, neppure nei secoli in cui la società e la cultura relegavano la donna nella casa, la consideravano alla stregua di uno strumento da lavoro o di un animale: si tratta — piuttosto — di un sogno maschile mai realizzato (anche se forse neppure mai morto). Nelle cose che contano, come il sesso, l'ultima parola è sempre della donna: braga non puole, se grembiale non vuole. Magari non è un potere esercitato direttamente, esibito; è un condizionamento nascosto, mai affermato apertamente, ma non per questo meno reale, che rovescia gli apparenti rapporti di forza tra i sessi; se vuoi che venga bene la farina, tocca il piede della mugnaia; oppure, con splendida autoironia: in casa io sono il padrone, ma chi comanda è mia moglie. Non si tratta affatto di casi sporadici, e neppure di proverbi degli anni Settanta: fanno riferimento a cose che non ci sono più, come i mugnai, o sopravvivono soltanto in una dimensione quasi "industriale", come le stalle o il manico degli attrezzi agricoli (la femmina è l'impugnatura del maschio). Il fatto è che l'uomo senza la donna non è come un palo senza vite: troppo comodo! è una vite senza palo.

Se non ci si limita alla superficie, se si legge con appena un po' più di attenzione, emerge da parte degli uomini una paura terribile delle donne, che la violenza o l'apparentemente scherzoso gioco verbale si sforzano con scarsi risultati di esorcizzare. Non è un caso, si può legittimamente pensare, che il termine di confronto più frequente scelto per la donna sia il demonio. Contare ad una ad una tutte le occorrenze in cui il diavolo è richiamato in relazione con la figura femminile sarebbe stato troppo lungo: ci siamo fermati quasi subito, alla prima sezione, e il risultato è di 33 proverbi. Si tratta per lo più, come in tutta la tradizione della favolistica popolare, penetrata persino nella letteratura "alta" con il Belfagor arcidiavolo di Machiavelli, di un'astuzia più che umana. Non c'è arcidiavolo che tenga, la battaglia tra l'inferno e la donna è una battaglia segnata in partenza, e Belfagor non può far altro che scapparsene con la coda tra le gambe, a rifugiarsi tra le fiamme abituali, molto meno pericolose e dolorose del prender moglie. La donna, per piccola che la sia, la vince il diavolo in furberia; anche se tanta furbizia, a volte, va sprecata per un'altrettanto spiccata attitudine alla sventatezza: la donna ha messo il diavolo nella bottiglia e si è dimenticata di tapparla.

[...]

I proverbi sull'amore che si imprimono con maggior evidenza sono quelli in cui emerge la sua carica di travolgente vitalità, che vince ogni convenzione sociale, calpesta ogni barriera, che non può essere sottoposta al controllo della ragione: amore non porta rispetto a nessuno (che vuol dire non solo che tutti sono travolti dall'amore, ma anche che l'amore non si cura dei ruoli sociali); non v'è stadera ove si può pesare amore; l'amore non cura ragione né misura. Oppure, con verve autenticamente popolare e affettuosa ironia: anche l'asino si sgola per fare un canto all'amorosa; la fame fa fare i salti, l'amore li fa fare più alti. E in particolare quelli che nel giro breve di una frase, di un verso, fanno emergere con mezzi espressivi essenziali, ma efficacissimi – l'allitterazione, l'assonanza, la rima, l'antitesi, il chiasmo... – la natura paradossale e contraddittoria del sentimento: amore è cieco, e vede da lontano; chi disprezza, ama; nella guerra d'amor vince chi fugge (o, con tanta maggiore disperazione, chi non fugge, strugge); donna pregata nega, trascurata prega.

Talvolta è proprio l'espressione di un bisogno elementare, rivendicata con la sfrontata baldanza di chi sa trattarsi di cosa che non si può reprimere, con una fermezza che fa del sesso il fondamento stesso dell'esistenza, al di là dei perbenismi e delle ipocrisie. Il peso che è in grado di sostenere una donna in posizione orizzontale non è comparabile che con la fune più robusta: donna coricata e vimine attorto non si sa il peso che porta (o il ben più noto e sfrontatamente osceno – ma di un'oscenità in qualche modo necessaria: tira più un pelo di fica che cento paia di buoi). Il galateo viene così spazzato via da un prorompere di energia vitale: né in tavola né in letto si porta rispetto; oppure a tavola e a letto non ci vogliono inviti. Persino la miseria di una vita certo non facile come quella che costantemente emerge dall'universo povero dei proverbi trova il proprio riscatto in quel sentimento autenticamente egualitario che è l'amore, in quel paradiso non negato a nessuno che è il letto: sotto le lenzuola non c'è miseria. Ne vien fuori, indirettamente, una visione della vita che è certo, per molti aspetti, edonistica; ma di un edonismo amaro, mai davvero spensierato, dove la stessa ironia celebra un cupo trionfo. È il caso, soprattutto, dei proverbi in cui la rivendicazione della libertà sessuale si accompagna ad un sotterraneo, e tuttavia ben riconoscibile anticlericalismo (se era un buon sacramento [il matrimonio], se lo tenevano i preti; per quanto piacciano, le Madonne stanno bene in cornice), che si spinge talvolta fino alle soglie della bestemmia: se il prete fosse buono, c'impresterebbe la moglie.

Con questo, il nostro cerchio si chiude. Non solo è legittimo, ma perfino doveroso, un titolo così disdicevole: contro gli ipocriti perbenismi di una società percorsa ad ogni livello dal rifiuto dell'altro, ma sempre pronta a trincerarsi entro le giustificazioni più assurde e il richiamo al rispetto – delle forme naturalmente, mai della sostanza, e valido solo per la parte avversa. I proverbi, insomma, sono l'espressione di un mondo immune dalle convenzioni, autentico e perciò talvolta imbarazzante, dove la banalità di quel che si dice – è inutile sperare anche in una sola idea nuova, in un'illuminazione imprevista sul mondo e sulle cose – è riscattata da un gioco di parole originale, da una tessitura fonica che stupisce, dall'espressionismo verbale o dall'acre forza dell'ironia. È difficile immaginare una cosa meno politicamente e socialmente corretta. L'odio tra la suocera e la nuora ha ispirato sentenze che neppure nei momenti di massima tensione tra la destra e la sinistra (pardon, tra centro-destra e centro-sinistra: come ha insegnato il filosofo René Girard, il potere distruttivo della rivalità non si può davvero esplicare fino in fondo se non tra simili, tra uguali) avrebbero potuto trovare adeguato corrispettivo nel mondo della politica: la suocera è come i pesci: a casa della nuora, dopo tre giorni puzza; la vipera morsicò la suocera e morì avvelenata; se vuoi far morir la nuora di crepacuore, dille che la suocera è giovane ancora; o peggio di tutto: buona sorte: la suocera morta, la cognata ricca e che mangi poco.

Certo, anche i proverbi perdono il loro vigore per effetto dell'usura, si cristallizzano in quelle insopportabili frasi fatte a cui una comunicazione semplificata e ripetitiva ci ha abituati. Terribile cosa il sentire qualche volta chi dice donna, dice danno, pronunciato con seriosa e ridicola gravità. Ma capita solo a chi ne conosce al massimo qualche decina, e li usa perché non sa bene che cosa dire. Crede di trovarci dentro un tesoro di sapienza, quando non c'è che il più vieto luogo comune. Per chi, invece, come il fortunato lettore di questo libro, ha la possibilità di scoprire 4.000 diverse espressioni di autentica poesia popolare, di svariare — per esprimere lo stesso concetto — tra moglie e buoi dei paesi tuoi e non t'innamorare dei panni rossi, ma accàsati con chi conosci, passando per ogni bue al pagliaio suo piuttosto che le donne e le pietre bisogna prenderle vicino, la banalità, la ripetitività e la noia certamente sono scongiurate.

V. B.

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