Copertina
Autore Roberto Bolaņo
Titolo La prossima battaglia
SottotitoloInterviste con Roberto Bolaņo
EdizioneMedusa, Milano, 2013, polaroid 2 , pag. 74, cop.fle., dim. 14x17,4x0,7 cm , Isbn 978-88-7698-285-9
OriginaleBolaņo por sí mismo [2011]
CuratoreGabriele Morelli
TraduttoreMaria Luisa Molteni
LettoreRenato di Stefano, 2013
Classe narrativa cilena , storia letteraria
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Indice


  5 Le confessioni di Roberto Bolaņo,
    Gabriele Morelli


            LA PROSSIMA BATTAGLIA

 19 La felicità perfetta genera immobilismo
    o campi di concentramento

 23 Mai confidare nella memoria collettiva

 39 Non so chi sono ma so quello che faccio

 45 Se ci fosse un'altra volta e potessi scegliere
    vorrei essere donna

 50 Il romanzo e il racconto sono fratelli siamesi

 59 Non avrei mai pensato di diventare così vecchio

 67 Non sono mai stato autoesiliato


 

 

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Pagina 32

Si è detto che I detective selvaggi potrebbe essere letto come un insieme di racconti autonomi. Di fatto, proprio da lì è nato un nuovo racconto indipendente: Amuleto. La tua sarebbe, pertanto, "il genere di romanzo che Borges avrebbe accettato di scrivere". Che ne pensi?

Č molto generoso da parte di Ignacio Echevarría, che fu colui che fece il commento. Per me Borges è senza dubbio il più grande scrittore di lingua spagnola del XX secolo, lo scrittore completo. Un gran poeta, un gran prosatore, un grande saggista, è perfetto. Borges è un mostro sacro. Borges è Borges. Voglio però puntualizzare che I detective selvaggi non è un insieme di storie: è un romanzo, ed è un romanzo con una struttura difficilissima e un'unità tremenda. Che da lì scaturisca una storia, non ha nulla a che vedere con l'unità del romanzo. Un romanzo, come dice Stendhal, è uno specchio lungo il cammino, sono storie che passano lungo questa passeggiata per il sentiero. Alla ricerca del tempo perduto non è altro che una successione di piccole storie. Tuttavia, Alla ricerca del tempo perduto è un romanzo con una solida struttura. Ogni cambiamento, dal momento in cui metti il punto e a capo in un romanzo, in un modo o nell'altro ti pone di fronte a una nuova storia. Č come il flusso e il riflusso del mare. Ogni volta che c'è un punto a capo, la storia deve prendere un nuovo respiro. Devono apparire nuovi personaggi o una situazione nuova. Almeno un bar diverso. Questo fa sì che una storia sia una concatenazione di piccole storie. Ma tutto nella vita reale è una concatenazione. Il corpo non è altro che un'accumulazione di piccole storie, molecole, atomi, che nel congiungersi lo creano. A ogni modo, una cosa è un racconto e altra cosa un romanzo. In un romanzo può entrarci di tutto, sì. Però un romanzo è un romanzo, ha delle regole: in un romanzo una storia che sia totalmente separata, come in un corpo, o si tramuta in un cancro che hai dentro, o si trasforma in qualcosa che esce, come un figlio, però nei miei romanzi, non esce niente, tutto è assolutamente coeso. Ci sono connessioni, ci sono perfino autostrade che ti portano lontanissimo, però poi c'è sempre una strada per tornare. Per me uno dei migliori romanzi in lingua spagnola è Componibile 62, di Cortázar. 62 è un romanzo in cui puoi entrare da qualsiasi parte, da cui puoi uscire da qualsiasi parte e, tuttavia, il romanzo è completamente coeso. Č un romanzo forse elastico, non ci sono ferri, ci sono materiali malleabili, duttili. Ma non per questo si spezza il corpo del romanzo.


Preferisci dunque una critica che ti accosti a Cortázar?

Amo moltissimo Cortázar. Lo conobbi in Messico moltissimi anni fa. Per me fu come conoscere un dio. E in più sembrava proprio un dio: era bellissimo, altissimo, molto giovanile. Lo vedemmo per strada; era con Carlos Fuentes, entrambi con le rispettive mogli, e noi vedemmo solo Fuentes che seguimmo a distanza perché lo odiavamo. Improvvisamente uno disse: "Quello con Fuentes non era Cortázar?". Tornammo indietro e ci fermammo a parlare con lui. Stavano aspettando un taxi che, per fortuna, tardò molto ad arrivare. Parlare di Cortázar per me è come parlare di Babbo Natale.


I riferimenti letterari sono di nuovo continui ne I detective selvaggi: in alcuni casi appaiono autori reali nelle vesti dei personaggi, come avviene con Monsiváis o con Marsé; in altri, quando lo scherzo diventa più pesante attraverso l'ironia, scegli di occultare il nome (presumo in modo elegante). Perché?

No, non sono quel che si dice una persona elegante. Sono nipote di immigranti galiziani analfabeti, e dunque ho ben poco di elegante, non fa parte del mio patrimonio genetico, almeno per parte di padre. Potrei risponderti che lo faccio per pietà, però non sono neanche pietoso. Non sono pietoso per niente, normalmente sono abbastanza crudele. Inoltre, la satira crudele mi viene molto, molto bene. Avrei potuto essere un eccellente autore di libelli.


Temo che le tue opinioni sul critico e se fosse possibile peggio, sul professore universitario, si plasmano in modo chiaro ne I detective selvaggi, quando il presunto specialista in materia, nega categoricamente l'esistenza di García Madero, l'unico dei "realvisceralisti" a cui ha avuto pieno accesso il lettore, non è così?

Beh sì, quel critico per me è un personaggio piccolissimo, però è molto simpatico perché è un critico di una delle peggiori università che esistono in Messico. Deplorevole. Dove gli studenti universitari sono analfabeti o la mattina lavorano nei campi e il pomeriggio vanno a studiare. E i professori se non sono analfabeti, poco ci manca. Ma l'ho collocato in quell'università così miserabile perché mi è sembrata una sorta di giustizia poetica che un professore umile di un'università miserabile, e con conoscenze piuttosto scarse di letteratura, fosse il san Paolo di questo movimento letterario. Un san Paolo atroce, come probabilmente è stato il vero san Paolo, uno dei personaggi più bassi della gerarchia ebraico-greca. Questo mi porta a pensare che uno non sa per chi lavora. La vita è misteriosa. Una domanda, tu hai letto abbastanza bene I detective selvaggi... dimmi una cosa: credi che Belano muore o non muore?


Belano marcia verso l'orizzonte, come beau geste.

Sì, sì, è molto beau geste. Ma muore o non muore?


Mah, non so, nemmeno me lo sono chiesta, lo saprai tu. In ogni caso, come lettrice non m'importa, perché mi sembra un momento così bello, che non mi preoccupa se dopo morirò o non morirò. Però nel romanzo sembra avviarsi verso la morte.

Invece no.


No?

Appare in qualche racconto che sto scrivendo. Ce n'è uno dove si narra che se ne andò nella selva e che non è morto. Non si uccide la gallina dalle uova d'oro!

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Pagina 40

Cosa ne pensi di quelle correnti artistiche e intellettuali che predicano dall'alto dei loro pulpiti e che propongono una concezione "borghese" della vita e dell'opera d'arte?

Si è soliti parlare molto male della vita borghese. Io non ho mai avuto una vita di quel tipo, però mi piacerebbe moltissimo averla o averla avuta. Ciò che intendiamo per vita borghese è esattamente quello a cui deve tendere qualsiasi rivoluzione futura. Una vita borghese per tutti. Cioè, una vita tollerante, aperta a qualunque corrente culturale, laica, saldamente ancorata ai principi dell'Illuminismo. Per quanto concerne le prediche dall'alto, è un'abitudine degli esseri umani che non credo cambierà nei prossimi duecento anni.

[...]

Leggendoti si ha l'impressione che la tua visione politica sia abbastanza distante dalla militanza, anche se non per questo meno impegnata. Credi che sia un dovere degli scrittori prendere apertamente posizione di fronte a fatti contingenti?

L'unico dovere degli scrittori è scrivere bene e, se possibile, più che bene; aspirare a raggiungere l'eccellenza. Come individui poi che facciano ciò che vogliono; la cosa non mi tocca minimamente, tanto che siano collezionisti di lattine di birra o tifosi di calcio, cagnolini da compagnia del primo ministro o eroinomani.

[...]

Č difficile incontrare strutture narrative innovative o tematiche diverse dalle solite. Č possibile pensare che la letteratura si sia esaurita?

I temi, dalla Bibbia e da Omero in poi, sono sempre gli stessi. Secondo Borges, non sono più di cinque. Nella struttura, invece, le varianti sono infinite. Potremmo costruire opere in mille modi differenti, e anche così saremmo solo all'inizio. Non credo che la letteratura sia esaurita. Non succederà mai, per lo meno finché gli esseri umani potranno parlare. La letteratura si alimenta dell'oralità, del linguaggio delle tribù e del loro gergo. Le voci incrociate e sovrapposte che si possono udire su un autobus, ad esempio, con molta probabilità contengono più vitalità della maggior parte delle poesie che si scrivono oggi a Santiago.

[...]

Per molti cileni che vivono in Cile il resto del mondo non esiste, salvo per qualche notizia di attentato, siamo forse dei provinciali?

I cileni sono provinciali tanto quanto gli argentini, gli spagnoli o i russi. Il provincialismo maschera sempre qualcos'altro, di solito la paura o l'insicurezza, e in questo senso alcuni cileni sono abbastanza provinciali, attaccati alla propria terra e ai suoi simboli come fossero sacri. In realtà, i Paesi come entità astratte non hanno molte attrattive. Le culture sì, hanno il fascino di ciò che invecchia e cambia. Però i paesi, a parte essere, come sosteneva il dottor Johnson, l'ultimo rifugio delle canaglie sono più che altro entità astratte e pesanti. E sono destinati a sparire.

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Pagina 47

Quale rivoluzione?

La mia idea era tornare in Cile, però rimasi per un po' in Salvador con coloro che sarebbero diventati i dirigenti del Frente Farabundo Martí, due o tre anni maggiori di me. Autentici criminali che si consideravano poeti.


Perché siamo scesi così in basso?

Credo che quando ti trovi in situazioni estreme perdi il senso dell'altro. La sopravvivenza è appannaggio solo tuo e dei tuoi amici; l'altro cessa di essere un uomo e diventa qualcosa di irreale. Il senso dell'umorismo scompare.


La gente diventa impudica?

Sì, i rivoluzionari che ho conosciuto a quell'epoca, e ne ho conosciuti tantissimi, si consideravano il motore che trasformava la storia. Vissi una storia sinistra, quella del poeta salvadoregno Roque Dalton, il quale andò a parlare con loro per cercare di dissuaderli dal cominciare la lotta armata...


E?

Parlano tutta sera, la discussione giunge a un punto morto e Dalton va a dormire. Decidono di disfarsi di lui perché non era d'accordo con loro, e gli sparano in testa mentre dorme. Follia pura. E gli stessi figli di puttana, dopo aver insanguinato il paese per un anno, scendono a patti con la destra. Č la morte della chimera.


Dunque tornò in Cile.

Sì, proprio quando Pinochet fece il colpo di Stato. Mi presentai come volontario per combattere i fascisti. Mi misero contro un muro e mi puntarono una pistola alla tempia; poi seguì la prigionia, la paura della tortura. Giunsero due detective, due compagni di scuola che mi permisero di telefonare, e riuscii ad uscire da lì.


E di nuovo in Messico.

Sì. Mi dedicai a scrivere con la mia aura da veterano di guerra e m'innamorai per la prima volta d'una ragazza con un carattere stupendo. Se ci fosse un'altra vita e fosse possibile scegliere, vorrei essere donna. Dev'essere meraviglioso essere donna, e molto duro.


Perché dice questo?

Perché mi domando come in un solo individuo si possano coniugare tanta forza, tanta fragilità e capacità di donarsi. In questo senso l'uomo è rimasto all'età della pietra.


Cosa n'è stato di quel primo amore?

Quando decisi di venire in Europa mi disse che non voleva essere una clocharde a Parigi, e mi lasciò. Ma quando si è amato qualcuno non si smette mai di amarlo.


Ha passato la vita fuggendo?

Un vecchio detto recita: scappare non è mancanza di coraggio, è velocità di gambe. Sono stato fanfarone e fantasma. Però quando bisogna restare, resto.


Con che valori?

Apprezzo la lealtà e il coraggio di affermare l'ovvio quando tutti tacciono. E le cose che sono poco di moda, come la pietà e lo spirito di sacrificio. Chi riesce a pensare agli altri è più abile, ha più testa.


Qual è la frontiera fra il bene e il male?

Il male è essenzialmente l'egoismo declinato in diversi modi. La frontiera la delimita lo sguardo che posi sull'altro, sapere che l'altro esiste.

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Pagina 50

Come definirebbe, da un punto di vista letterario, il gruppo ristretto di narratori che raggruppa Juan Villoro, Rodrigo Rey Rosa, Enrique Vila-Matas, Horacio Castellanos, César Aira, Javier Cercas e Roberto Bolaņo? Cosa li unisce? Aggiungerebbe o toglierebbe qualcun da questa lista?

In primo luogo, non direi che si tratta di un gruppo selezionato. Se s'includono i due spagnoli, sarebbe opportuno inserire anche Javier Marías, che chiaramente è il miglior prosatore spagnolo attuale, o Belén Gopegui, o Luis Magrinyà o Jesús Ferrero, fra gli altri. Mi limiterò dunque ai latinoamericani. Per qual motivo non ritengo che si tratti di un gruppo selezionato? Essenzialmente confrontandolo con il gruppo o la generazione o l'ondata anteriore. In America Latina, in linea generale, si sono prodotte solo due generazioni di narratori. La prima, quella grande, possiamo dire che inizi con Macedonio Fernàndez e che finisca con Reinaldo Arenas e Manuel Puig. La seconda, in cui rientrerebbero gli autori da lei menzionati, si apre con Piglia o forse con Fernando Vallejo e non si sa chi la chiuderà. Č curioso, poiché Macedonio fu uno scrittore collocato nel paradosso, però una sorta di paradosso dolce, un paradosso che in qualche modo esprimeva fiducia. Piglia e Fernando Vallejo si collocano piuttosto nella disperazione e nel labirinto. Ciò è più evidente in Fernando Vallejo; tuttavia, se uno legge Piglia con attenzione, beh, il risultato è terrificante. Ciò che in Macedonio era fissazione ossessiva, in Piglia è pura entropia. Un altro scrittore che potremmo annoverare fra i padri fondatori, anche se a lui il termine "padre" avrebbe senza dubbio dato fastidio, è Osvaldo Lamborghini. Lamborghini però, per dirlo in modo delicato, anzi molto delicato, è l'eccesso. Lamborghini è quasi illeggibile, non perché non si capisca quello che scrive, anzi al contrario, per la sua essenzialità. Non la concisione di Blake, per esempio, che tende all'innocenza e al piacere, ma l'essenzialità del male. Ai nomi che ha menzionato, aggiungerei Rodrigo Fresàn e Alan Pauls, e anche Carmen Boullosa e Daniel Soda. Quest'ultimo, senza dubbio, sta scrivendo una delle opere più ambiziose del nostro panorama spagnolo, paragonabile unicamente all'opera di Lezama, anche se, come sappiamo, il barocco di Lezama, ha come scenografia il tropico, che si presta abbastanza bene a un esercizio di stile barocco, mentre il barocco di Soda si colloca nel deserto. Cosa ci unisce? Tutti scriviamo, con maggiore o minore perizia. Piuttosto la domanda è: cosa ci dovrebbe unire? E la risposta è molto semplice: i capolavori. Certo, dire capolavori è semplice, difficile è scriverli.

[...]

Č possibile scrivere il romanzo dei prigionieri scomparsi, i desaparecidos?

Č possibile. L'unico problema è chi e come. Perché se scrivere su questo argomento significa avere come risultato, ad esempio, un romanzo di quelli definiti di denuncia, beh, allora è meglio non scrivere nulla. O un romanzo pieno di allusioni che Borges chiamava "canaglia sentimentale". Questo è il rischio e lo scoglio. Per affrontare questo tema lo scrittore dovrebbe mettere a fuoco, nel romanzo stesso, l'attuale vuoto che domina il discorso della sinistra o la necessità di riformulare il discorso stesso. Dunque, la domanda è: come si riformula il discorso della sinistra se la sinistra, per esempio, continua ad appoggiare Castro, che è quanto di più simile ci possa essere a un tiranno di una Repubblica delle Banane? La verità è che, sotto questo punto di vista, siamo ancora dei lattanti.

[...]

Il romanzo è un genere di second'ordine nel XX secolo, diceva Borges, poiché il suo paradigma si situava nel XIX secolo. Secondo lui, c'erano altri generi più brevi, come il racconto, il poliziesco o la poesia, che avrebbero avuto maggiori opportunità. A suo giudizio, queste considerazioni si potrebbero estendere anche al XXI secolo?

Ho letto tutta l'opera di Borges, almeno due volte, e quasi tutti i libri che sono stati scritti su di lui, e se c'è una cosa che di lui ho chiaramente capito è che era un umorista, forse il migliore che abbiamo mai avuto, soprattutto quando si univa a Bioy, oltre a essere un gran poeta e il maggior scrittore di racconti e un grande saggista, probabilmente il maggior scrittore di lingua spagnola dai tempi di Quevedo. Dire che la poesia era un genere appartenente al ventesimo secolo è senz'altro una presa in giro. Borges sapeva, meglio di chiunque altro, che il romanzo e il racconto sono fratelli siamesi. Uno grande e l'altro piccolo, con cervelli differenti e anime separate, uniti però, probabilmente condividendo lo stesso fegato o lo stesso cuore, il che comporta che alla morte dell'uno segua la morte dell'altro.

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Pagina 62

Ha mai pensato di scrivere le sue memorie? Anche se credo che lei appartenga al genere di scrittori che ritengono che la propria opera letteraria non sia altro che una forma di autobiografia.

La relazione fra autobiografia e letteratura mi pare casuale: ci sono scrittori che hanno condotto una vita da avventurieri, e altri che non sono mai usciti dal proprio paese o dalla propria casa, o più concretamente dal proprio guscio, e ogni scrittore scrive come può o come glielo permettono. Salgari, per esempio, plasmò l'Asia, e non solo la Malesia, secondo i propri desideri, e non uscì mai, non ricordo bene, se da Torino o da Milano. Raymond Roussel, da parte sua, viaggiò in tutto il mondo, ma i suoi viaggi furono un semplice "pretesto di mobilità", poiché non gli interessava assolutamente nulla dei luoghi visitati. Balzac era monarchico e le sue opere sono profondamente repubblicane: ecco un viaggio allucinante. Stendhal ebbe una vita da romanzo, però scarsamente presente nelle sue opere, dove si interessa di altre vite da romanzo, ma non della sua. In America Latina, credo che lo scrittore più autobiografico di tutti sia, contrariamente a ciò che si crede, Borges. In fondo, fa lo stesso se i fantasmi escono dalla realtà o dalla testa. Ciò che importa è la biblioteca. D'altro canto detesto, a parte alcune eccezioni come Saint-Simon o i ricordi infantili di Perec, i libri di memorie. I libri di memorie sono quasi sempre magniloquenti, a volte a partire dallo stesso titolo; pensi a Confesso che ho vissuto, un titolo molto stupido, poiché nessuno, neppure il torturatore più sciocco, cercherà di far confessare a qualcuno di aver vissuto. Una risposta idiota per una domanda inesistente. Le lettere ispanoamericane, o quello che con autosufficienza di imbecilli chiamiamo lettere ispanoamericane, sono piene di libri di memorie, scritti, nella maggior parte dei casi, o da gente ignorante, o da gente noiosa. In verità, gli unici a cui dovrebbe essere permesso di scrivere libri di memorie sono gli avventurieri sanguinari, le attrici porno, i grandi detective, i trafficanti di droga e i mendicanti.


Quest'anno compie 50 anni. Come considera questo momento di svolta nella vita di una persona?

Con humour. Non avrei mai creduto di diventare così vecchio. Però la vita è una scatola piena di sorprese, come dice, mi pare, un bolero.

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