Autore Roberto Bolaņo
Titolo Lo spirito della fantascienza
EdizioneAdelphi, Milano, 2018, Fabula 326 , pag. 206, cop.fle., dim. 14x22x1,5 cm , Isbn 978-88-459-3243-4
OriginaleEl espíritu de la ciencia ficción [2016]
TraduttoreIlide Carmignani
LettoreRenato di Stefano, 2018
Classe narrativa cilena , fantascienza












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


I                                                     11

II                                                   111

Manifesto messicano                                  163


Appunti di Roberto Bolano
per la stesura di «Lo spirito della fantascienza»    179


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 48

«Ieri ho sognato Thea von Harbou... Mi sono svegliato di soprassalto... Ma poi, riflettendo, mi è venuto in mente che l'avevo sognata per via di un romanzo che ho appena letto... Non che fosse un romanzo strano, però mi ha lasciato l'impressione che l'autore nascondesse qualcosa... E dopo il sogno ho capito...».

«Che romanzo?».

«L'ombra di Gene Wolfe».

«...».

«Te lo racconto?».

«Sì, mentre faccio colazione».

«Io mi sono bevuto un tè prima, quando dormivi».

«Ho mal di testa. Vuoi un'altra tazza di tè?».

«Sì».

«Racconta, anche se ti volto le spalle ti ascolto».

«Č la storia di un'astronave che da molto tempo è in cerca di un pianeta abitabile per la razza umana. Finalmente ne trova uno, ma ormai sono passati tanti anni e l'equipaggio è cambiato; sono invecchiati tutti, anche se devi sapere che all'inizio del viaggio erano giovanissimi... Il cambiamento è nelle abitudini: sono nate sette, società segrete, circoli di stregoneria... Anche l'astronave è andata incontro a un processo di deterioramento, ci sono computer che non funzionano, luci che si rompono e che nessuno si dà la pena di aggiustare, cabine rovinate... Adesso che hanno trovato il nuovo pianeta, la missione è finita e devono rientrare sulla Terra per darne notizia, ma nessuno vuol rientrare... Il viaggio consumerebbe il resto della loro giovinezza e li aspetterebbe un mondo sconosciuto, perché sulla Terra, nel frattempo, sono passati vari secoli, sai com'è, loro si sono spostati quasi alla velocità della luce... Č solo un pianeta sovrappopolato e famelico... E c'è addirittura chi pensa che non ci sia più vita sulla Terra... Come Johann, il personaggio principale... Johann è un tipo riservato, fra i pochi che amano l'astronave... Di media statura... Le stature seguono l'ordine gerarchico, la capitana della navicella, per esempio, è la più alta e il semplice personale di bordo è il più basso... Johann è tenente; vive la sua vita senza stringere molte amicizie, compie il suo dovere, è rigido come quasi tutti, si annoia... Finché non arrivano sul pianeta sconosciuto... Allora Johann scopre che la sua ombra è diventata più scura... Nera come lo spazio esterno e densissima... Come puoi immaginare, non si tratta della sua ombra ma di un essere esterno che vi si è rifugiato imitando i movimenti della sua ombra... Da dove è saltato fuori? Dal pianeta, dallo spazio? Non lo sapremo mai, ma non è così importante... L'Ombra è potente, come poi si vedrà, ma è riservata come Johann... Nel frattempo le sette stanno preparando un ammutinamento... Un gruppo cerca di convincere Johann a unirsi a loro, gli dicono che è un eletto, che il destino di tutti loro è creare qualcosa di nuovo su quel pianeta... Alcuni sembrano parecchio svitati, altri pericolosi... Johann non promette nulla... L'Ombra, allora, lo trasporta sul pianeta... Che è una giungla immensa, un deserto immenso, una spiaggia immensa... Johann, in pantaloni corti e sandali, vestito quasi come un tirolese, cammina in mezzo alla vegetazione... Muove la gamba destra quando sente che l'Ombra gli spinge la gamba destra, poi la sinistra, piano, aspettando... Il buio è totale... Ma l'Ombra si prende cura di lui come se fosse un bambino... Al ritorno, scoppia la rivolta... Il caos è totale... Johann, per precauzione, si toglie i galloni da ufficiale... All'improvviso incontra Helmuth, il braccio destro della capitana, uno dei capi ribelli, che cerca di ucciderlo, ma l'Ombra lo anticipa e lo asfissia... Johann capisce cosa sta succedendo e si fa strada fino al ponte, là c'è la capitana con altri ufficiali e sugli schermi del computer centrale vedono Helmuth e gli ammutinati che stanno preparando un cannone laser... Johann li convince che ormai tutto è perduto, che bisogna fuggire immediatamente sul pianeta... Ma lui, all'ultimo momento, resta. Torna sul ponte, disconnette le false immagini che il gruppo del computer aveva manipolato e invia un ultimatum ai ribelli... Chi consegna subito le armi sarà pienamente perdonato, in caso contrario morirà... Johann conosce le molle dell'illusione e della propaganda... E comunque ha dalla sua parte gli uomini della polizia e della fanteria di marina – che hanno fatto tutto il viaggio ibernati – e sa che la vittoria non gliela toglie nessuno... Conclude il comunicato dicendo che a parlare è il nuovo capitano... Poi imposta un'altra rotta e abbandona il pianeta... Tutto qui... Ma è stato allora che ho sognato Thea von Harbou e ho capito che quell'astronave era del Reich del Millennio... Tutti tedeschi... Tutti prigionieri dell'entropia... Anche se ci sono cose strane, eccezionali... Una delle ragazze, quella che va più spesso a letto con Johann, ricorda, sotto l'effetto di una droga, qualcosa di doloroso e dice piangendo di chiamarsi Joan... La ragazza si chiama Grit e Johann pensa che forse sua madre la chiamava così da bambina... Nomi antichi e passati di moda... E proscritti dagli psicologi...».

«Forse la ragazza cercava di dire che si chiamava Johann».

«Può darsi. In realtà, Johann è un opportunista di prima categoria».

«E perché non rimane sul pianeta?».

«Non lo so. Lasciare il pianeta, se non è per tornare sulla Terra, è come scegliere la morte, no? O forse l'Ombra lo ha convinto a non colonizzare quel pianeta. Comunque, la capitana e un mucchio di persone vengono abbandonate laggiù. Guarda, leggi il romanzo, è molto bello... Io adesso credo che la svastica ce l'abbia dipinta il sogno, non Gene Wolfe... Anche se chissà...».

«Così hai sognato Thea von Harbou...».

«Sì, era una ragazza bionda».

«Ma hai mai visto foto sue?».

«No».

«Come facevi a sapere che era Thea von Harbou?».

«Non lo so, lo indovinavo. Era come Marlene Dietrich che canta Blowin' in the Wind di Bob Dylan, sai, una cosa strana, terrificante, ma molto vicina, non so come, ma vicina».

«Così i nazisti sono i padroni della Terra e mandano astronavi in cerca di nuovi mondi».

«Sì. Nella lettura di Thea von Harbou».

«E trovano l'Ombra. Ma questo non è un racconto tedesco?».

«Quello dell'Ombra o quello di chi perde l'ombra? Boh, non so».

«E tutto questo te l'ha raccontato Thea von Harbou?».

«Johann pensa che i pianeti abitati, o abitabili, siano un'eccezione nell'Universo... Nella sua storia, i carri armati di Guderian hanno raso al suolo Mosca...».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 76

«Parliamo della sua monumentale e meravigliosa opera, ma sul serio».

«La mia opera, come lei la chiama, comincia al secondo piano dell'Accademia della Patata, nella vecchia Santa Bárbara, ai piedi della Cordigliera delle Ande. Č la storia del figlio di Juan Gonzales, che si chiama Boris, allievo-assistente dell'Università Sconosciuta. Un ragazzo come tanti».

«Aspetti. Credo che ci sia qualche interferenza nell'intervista. Non nota niente di strano?».

«Devono essere le grida di quegli alcolizzati. Non avrei mai creduto che degli intellettuali e degli uomini di lettere così famosi (che Dio se li fotta tutti) fossero capaci di fare tanto baccano. Perfino quelli che si sono addormentati russano come orsi».

«Stanno festeggiando la sua vittoria, mio giovane amico».

«Guardi quel vecchio laggiù: sta mordendo il culo a sua moglie».

«Non è sua moglie. Lo lasci perdere. Quello si è battuto tutta la vita per la parola giusta e il silenzio. L'altruità. Ora ha paura ma al tempo stesso è felice. Il motivo della sua felicità è lei. Lei e i suoi magnifici versi».

«Ho l'impressione che l'unico sobrio in questo baccanale della Repubblica delle Lettere sia io. Lei, cara cronista, ha esagerato un filino con la vodka. Č evidente che non sono qui per i miei "magnifici" versi».

«Va bene, torniamo alla sua opera. Come sta la bambina? Ha ancora la febbre?».

«No. Ora in paese c'è una festa e la bambina passeggia per le strade con una corona di fiori sui capelli. La gente si raduna nella plaza de Armas e poi vanno tutti in giro per le vie del paese. Cantano. Non sono molti, come le ho detto il paese non è grande, e il canto che intonano non ha parole: è una serie di aoo aoo iaa iaa che ricorda vagamente le nenie funebri indigene».

«A un certo punto passano davanti all'Accademia della Patata».

«Sì, il responsabile li osserva dalla finestra. La processione continua fino in fondo a calle Galvarino, gira in calle Valdivia e scompare. In mezzo alla strada resta solo la bambina e stavolta il responsabile si accorge della sua presenza. Il cielo, naturalmente, si oscura di colpo».

«La bambina pensa che quella sia la casa delle streghe?».

«No, è troppo piccola per pensarlo. Al contrario, esita un istante ed entra nell'Accademia. Dalla finestra il responsabile vede la sua ombra che sgattaiola nel cortile e poi ascolta i suoi passettini sulla scala. Lo spirito del vecchio si esalta. Oh, pensa, oh-oh-oh. La fidanzata. La promessa sposa. Occhi che hanno guardato Boris con amore. L'immacolata che sale la scala credendo che nessuno la veda. Poi, naturalmente, il vecchio torna ai suoi cavi e ai suoi nastri. Ha tempo, non è ancora il momento di mandare in onda il programma. La bolletta della luce del granaio di calle Galvarino 800 è la più alta di Santa Bárbara. Probabilmente un giorno gli piomberanno addosso proprio per questo dettaglio, credo che già Dan Mitrione, ai suoi tempi, insegnasse agli sbirri come dare la caccia alla gente di sinistra grazie al contatore elettrico. Tutte le case che consumano troppa o pochissima luce, tutte le case che consumano troppa o pochissima acqua sono sospette. Comunque la gente, dopo aver fatto il giro del paese, è tornata in piazza e di lì comincia a disperdersi. Il silenzio avvolge ancora una volta le strade. Un silenzio che il responsabile gradisce: lui può sopportare le intromissioni e le bambine curiose, ma non la baldoria e la gazzarra, che lo fanno soffrire perché gli ricordano la sua triste vita dedita al lavoro. Ma non esageriamo. Anche il responsabile, a modo suo, si ubriaca e balla. I suoi giorni di festa sono promesse future. Non conosce la noia. La ricetta del pasticcio di patate piccanti gli appartiene in esclusiva. Non è cosa disprezzabile, le pare?».

«La sua vita... mi riferisco alla sua, mio giovane amico, deve essere abbastanza... triste».

In effetti, ho sprecato la mia adolescenza in cinema malsani e biblioteche infette. Per colmo di disgrazia, sono sempre state le mie amiche a piantarmi».

«Ora tutto può cambiare. Davanti a lei si apre un brillante avvenire».

«Lo dice per il premio?».

«Per tutto quello che comporta il premio».

«Ah, mia cara e ingenua cronista. Prima confonde questa sala sprofondata in mezzo a chissà che razza di boschi con un palazzo di vetro in cima a una collina. Poi è capace di vaticinare giorni luminosi per l'arte. Non si è ancora resa conto che questa è una topaia. Accidenti ma per chi mi prende? Sid Vicious?».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 87

Cara Ursula K. Le Guin ,

che cosa possiamo fare noi Athshiani quando arriva la nostra ora? Č forse la nostra schiacciante maggioranza la nostra arma? Sarà l'identificazione dell'aggressore con una vipera la nostra arma? Č la nostra capacità di tradurre la parola morte la nostra arma? Č la nostra Fede Cieca Sorda Muta nella sopravvivenza la nostra arma? Sarà l'audacia la nostra arma? Sono i nostri archi e le frecce che salgono verso gli elicotteri come un sogno o come i frammenti dispersi di un sogno la nostra arma? I Dorados che cavalcano ubriachi e senza smettere di sparare verso la colonna di carri armati sono forse la nostra arma? Un vecchio disco di Agustín Lara sull'orlo esatto del nulla? I dischi volanti che atterrano sulle Ande e decollano dalle Ande? La nostra identità athshiana? L'arte della comunicazione veloce? L'arte della mimetizzazione? Le fissazioni anali esplosive? La fierezza pura? Che cosa ci verrà dato e che cosa dobbiamo prendere per resistere e vincere? Smettere di guardare per sempre la luna? Imparare ogni volta a fermare i carri armati di Guderian alle porte di Mosca? Chi dobbiamo baciare affinché si svegli e rompa l'incantesimo? La Follia o la Bellezza? La Follia e la Bellezza?

Mille baci,

Jan Schrella

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 130

Il dottor Carvajal rimase in silenzio; il volto, illuminato dagli ultimi raggi di sole che filtravano dai veli della tenda, sembrava un teschio bizzarramente coperto da una pellicola di carne. La testa, nonostante tutto, dava un'impressione di forza e di salute.

«Quello che sto cercando di dirvi» aggiunse infine «è che poco importano seicento rivistucole in più o in meno...».

«Quello che deve succedere succederà, vero?» lo interruppe José Arco.

«Esatto, giovanotto, e l'unica cosa che può fare un intellettuale è contemplare l'esplosione, dalla distanza adeguata naturalmente».

«Per me anche quelli che fanno queste riviste sono degli intellettuali» dissi sfogliando quattro fogli che rispondevano all'ambiguo titolo di «Paraíso perdido y Paraíso recobrado».

«Artisti del fuoco,» mi corresse il dottor Carvajal «artisti delle scorie, disoccupati e pieni di risentimento, ma non intellettuali».

«Sì,» disse José Arco «ladri di moto».

Il dottor Carvajal sorrise compiaciuto, in fondo era un neorealista da cineclub.

«Vittime» benché sorridesse la sua voce suonò terribile. «Attori inconsapevoli di qualcosa che sicuramente io non vedrò. O forse nemmeno questo: una combinazione casuale priva di significato. Negli Stati Uniti adesso c'è la mania dei video, sono ben informato. A Londra gli adolescenti giocano per qualche mese a fare le pop star. E non c'è problema, naturalmente. Qui, come era d'aspettarsi, cerchiamo la droga o l'hobby più economico e più patetico: la poesia, le riviste di poesia; che ci vogliamo fare, non a caso questa è la patria di Cantinflas e di Agustín Lara».

Stavo per dirgli che il suo discorso mi sembrava sbagliato: la poesia per me in quegli anni, e forse anche oggi, era la disciplina letteraria che aveva raggiunto i risultati maggiori in America latina. Che si parlasse male di Vallejo, che non si conoscesse a fondo l'opera di Gabriela Mistral o che si confondesse Huidobro con Reverdy era una cosa che prima mi innervosiva e poi mi mandava fuori dai gangheri. La poesia dei nostri poveri paesi era un motivo di orgoglio, forse il più grande, per quel giovane turco che una volta a settimana si impossessava di me. Ma non dissi nulla al riguardo. Anzi, ricordai una cosa che avevo letto nelle carte di Jan e la ricollegai immediatamente all'argomento della nostra conversazione.

«Non credo che siano i video la droga dei nordamericani, anche se non ho ben capito se lei si riferisse ai videogiochi o al fatto di girarsi i film da sé. Ma posso assicurarle che sta guadagnando terreno un nuovo hobby: i giochi di guerra. Il ventaglio è molto ampio ma in sostanza le categorie sono due. I giochi da tavolo che consistono in una mappa esagonata con pedine di cartone. E i giochi di guerra dal vivo o da finesettimana, simili a quelli che facevamo noi da bambini, solo che adesso i gringo che ci giocano pagano cifre così grosse da renderli un affare. Nei primi, cioè quelli dove il campo di battaglia è una mappa esagonata, il giocatore ha il ruolo di Stato Maggiore, benché ci siano anche i giochi tattici (i precedenti sono detti strategici) come la serie degli Squad Leader dove ogni pedina (e ce ne sono più di mille) rappresenta circa dieci uomini. Di solito questi giochi durano più di cinque ore ma ce ne sono alcuni la cui durata raggiunge le venti o le trenta ore di gioco.

L'origine, credo, è nel Kriegsspiel tedesco, la grande mappa strategica dove nel secolo scorso si giocavano le guerre prima di iniziarle, o negli scacchi, un gioco di guerra astratto. La seconda tipologia vede il giocatore nei panni del soldato, come se si trattasse di un'opera teatrale. Il gioco consiste nel dedicare un giorno o un finesettimana alle pratiche militari. Si insegna a maneggiare ogni tipo di arma, si assiste a conferenze di veterani del Vietnam, si fanno combattimenti simulati, ci sono addirittura associazioni che organizzano per gli aderenti lanci col paracadute. Le simulazioni, in entrambe le tipologie, danno prova di un rigore storico esemplare: i combattimenti simulati non avvengono in un vago limbo ma in luoghi ben precisi, sia del passato, sia di un futuro prevedibile o auspicabile: Vietnam, Iran, Libia, Cuba, Colombia, Salvador, Nicaragua, perfino il Messico sono fra gli scenari di queste scaramucce. Dato significativo: più di un combattimento si svolge negli stessi Stati Uniti, dove il nemico è impersonato da un'ipotetica guerriglia nera o chicana. Le campagne, nei giochi da tavolo, sono tratte per lo più dalla seconda guerra mondiale, anche se si trovano anche guerre di un futuro non lontano, dalla Sesta Flotta che spara a qualunque essere vivente nel Mediterraneo alla terza guerra mondiale limitata allo scenario europeo, bombe atomiche incluse. La maggior parte però sono della seconda guerra mondiale e hanno un'iconografia e meccanismi d'identificazione decisamente nazisti. Nella pubblicità, per esempio, promettono al futuro giocatore che se gioca bene ed è fortunato l'Operazione Barbarossa sarà un successo, i carri armati di Rommel arriveranno al Cairo e l'offensiva delle Ardenne porterà a un armistizio onorevole. Entrambi gli hobby, quello da tavolo e quello da week-end, hanno più di una rivista al loro servizio e un'infrastruttura concepibile solo negli Stati Uniti. Fra l'altro, la casa che pubblica i giochi da tavolo sta già creando programmi di gioco per i computer. Secondo me, gli affari vanno a gonfie vele».

«Ma chi è che ci gioca?» disse il dottor Carvajal.

«Ah, questa è la cosa più curiosa. Io avrei creduto che alla guerra dal vivo si iscrivessero soltanto assassini frustrati e membri del Ku Klux Klan, ma sembra che piaccia parecchio agli operai specializzati, alle casalinghe, agli yuppie e alla gente che si è stancata di fare jogging. Le guerre da tavolo tendono invece ad attrarre fascisti pigri, appassionati di storia militare, adolescenti timidi e anche scacchisti; si dice che Bobby Fischer stia giocando da più di due anni la battaglia di Gettysburg. Senza avversario, da solo».

Il dottor Carvajal annuì con un sorriso da angelo gelato.

«Il mondo imbocca strade strane» mormorò. «I miniaturisti mi sono sempre sembrati vassalli del diavolo. Per tutta la vita ho pensato che la Malvagità prima di agire provi le sue acrobazie in piccolo. In realtà, confrontati con i feticci dei gringo, le nostre riviste sembrano quello che sono: bestiole ferite».

«Ma vive» intervenne José Arco e poi mi domandò sottovoce: «Da dove hai tirato fuori queste cose?».

Dalle carte che ha Jan, gli dissi.

«Secondo lui, la John Birch Society è una casa di riposo per adorabili vecchietti in confronto alla gente della rivista "Soldier of Fortune", che sono non soltanto mercenari per vocazione ma i veri ideatori di ciò che è oggi l'happening o la performance imperialista. Lo stesso si può dire di quelli che sostengono i giochi da tavolo. La casa editrice Avalon Hill, per esempio, pubblica una rivista che un giorno o l'altro dovresti sfogliare: "The General", la Bibbia dei Manstein, Guderian e Kleist da tasca».

«Jan una volta mi ha parlato di Guderian».

Il dottor Carvajal ci guardava come la rupe dei suicidi.

«Jan è un nostro amico» spiegai. «Dice che... i carri armati di Guderian vanno fermati più volte, suppongo nel corso di tutto il secolo, anche se non so cosa c'entri con quello che stiamo dicendo».

«Lirica da macelleria» brontolò il dottore e con un gesto fece capire che non gliene importava un accidente ma che potevamo parlarne tutto il tempo che volevamo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 153

Quando mi svegliai la prima cosa che vidi fu la faccia di Jan con le guance rosse e il profilo greco di Angélica Torrente che fumava una Delicado e poi il sorriso di Laura serena e in attesa e una specie di arco di energia molto sottile e molto nero che sembrava unirli e che attribuii alle mie cispe e infine, mentre mi tiravo su il lenzuolo fino alla punta del naso, vidi la porta aperta e le piante del corridoio della terrazza che tremolavano e la figlia di una delle inquiline che si allontanava con un rotolo di carta igienica in una mano e una radiolina transistor a tutto volume nell'altra.

Era un'ora che Angélica Torrente era lì. Aveva passato tutto il tempo a discutere con Jan. Ovviamente non era quello il motivo della visita, ma un altro molto diverso: una faccenda d'amore e confessioni. La cosa però aveva preso una direzione imprevista e i due si erano ritrovati, dispiaciuti e testardi, a discutere, e pur facendolo quasi sempre a squarciagola non erano riusciti a svegliarmi. Il motivo era il tavolo costruito coi libri di fantascienza. Jan l'aveva mostrato a Angélica con il sano orgoglio dell'ammiratore del Chippendale e lei, dopo averlo studiato a metà fra stupita e offesa, aveva sentenziato che quella roba poteva essere solo uno schiaffo alla letteratura in generale e alla fantascienza in particolare. «I libri devono stare nelle librerie, ordinati con grazia, pronti per essere letti o consultati. Non puoi trattarli così, come pezzi di meccano o stupidi mattoni!». Jan aveva ribattuto che molti cittadini di metropoli assediate avevano alleviato la fame masticando le pagine di un libro: a Sebastopoli un giovane apprendista scrittore aveva mandato giù, nel 1942, buona parte di Alla ricerca del tempo perduto di Proust, nell'edizione originale francese. La letteratura di fantascienza, pensava Jan, si prestava meglio di ogni altra a librerie casuali, come la libreria-tavolo per esempio, senza che ciò denigrasse il contenuto delle pagine, l'avventura. Secondo Angélica era una stupidaggine e anche una cosa poco, pochissimo pratica. I tavoli erano fatti per mangiarci sopra, per macchiarli con le salse e piantarci coltelli in uno scatto di rabbia. Dio mio!, aveva detto Jan con espressione di disprezzo. Ma non c'entra nulla! Non capisci nulla! Ci sono le tovaglie!

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 161

Caro Philip José Farmer,

la guerra può essere fermata con il sesso o con la religione. Tutto sembra indicare – che tempi spietati, santo cielo – che queste sono le uniche due alternative nelle città. Per adesso scartiamo la religione. Ci resta il sesso. Cerchiamo di adoperarlo in modo utile. Prima domanda: che cosa possono fare lei in particolare e gli scrittori di fantascienza degli Stati Uniti in generale? Propongo la creazione immediata di un comitato che concentri e coordini tutti gli sforzi. Come prima misura, diciamo, per preparare il terreno, è necessario riunire in un'antologia dieci o venti autori che hanno trattato nel modo più radicale e con evidente piacere personale il tema dei rapporti carnali e del futuro. (Che il comitato li scelga liberamente, io vorrei solo suggerire l'indispensabile presenza di qualche testo di Joanna Russ e di Anne McCaffrey, forse più avanti, in un'altra lettera, le spiegherò perché). Tale antologia, che potrebbe intitolarsi Orgasmi americani nello spazio o Un futuro radioso, deve fissare l'attenzione del lettore sul piacere e ricordargli con costanti retrospettive sul passato, cioè sui giorni nostri, il cammino di sacrifici e di pace che è stato necessario percorrere per arrivare alla terra di nessuno dell'amore. In ogni racconto deve esserci almeno un atto sessuale (o in sua assenza un atto di ardente e devoto cameratismo) fra latinoamericani e nordamericani. Esempi: il leggendario pilota spaziale Jack Higgins, comandante dell'astronave Fidel Castro, ha interessanti incontri fisici e intellettuali con l'ingegnere di navigazione Gloria Díaz, di nazionalità colombiana. Oppure: naufraghi sull'asteroide BM101, Demetrio Aguilar e Jennifer Brown praticano il kamasutra per dieci anni. Storie a lieto fine. Realismo socialista disperato al servizio di una felicità sfrenata e auspicabile. Nessuna astronave senza equipaggio misto e nessuna astronave senza la sua overdose di pratiche amatorie! Allo stesso tempo il comitato deve mettersi in contatto con gli altri scrittori di fantascienza degli Stati Uniti, quelli che restano freddi davanti al sesso o che lo evitano per ragioni stilistiche, etiche, commerciali, spirituali, d'intreccio, estetiche, filosofiche, eccetera. Č necessario che capiscano l'importanza di scrivere delle orge che, se ci impegniamo adesso, potremo praticare noi futuri cittadini dell'America latina e degli Stati Uniti. Se si rifiutano tassativamente bisognerà almeno cercare di convincerli a scrivere alla Casa Bianca chiedendo di fermare le aggressioni. Oppure convincerli a pregare insieme ai vescovi di Washington. A pregare per chiedere la pace. Ma è un'alternativa che per il momento possiamo tenere di riserva. Approfitto di queste righe per esprimerle la mia ammirazione. Non leggo le sue pagine, le divoro. Ho diciassette anni e forse un giorno riuscirò a scrivere dei bei racconti di fantascienza. Da una settimana non sono più vergine.

Un abbraccio,

Jan Schrella, alias Roberto Bolaņo

| << |  <  |