Copertina
Autore Massimo Bonafin
Titolo Contesti della parodia
SottotitoloSemiotica, antropologia, cultura medievale
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2001, Linguaggi e Comunicazione , pag.227, dim. 140x220x17 mm , Isbn 978-88-7750-644-3
LettorePiergiorgio Siena, 2002
Classe teoria letteraria , semiotica , antropologia
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Indice

  3 Introduzione

  9 1.  Concetto e storia della parodia
  9 1.1 Impostazione del problema
 10 1.2 Prime definizioni
 12 1.3 Concetto moderno di parodia
 17 1.4 Parodia e storia letteraria europea
 25 1.5 Parodia, comicità e riso
 33 1.6 Dialettica della parodia
 36 1.7 Ironia, satira, parodia

 40 2.  Una teoria dialogica della parodia
 40 2.1 Bachtin e la parodia
 41 2.2 Dialogismo della parola
 43 2.3 Il paradosso testuale
 49 2.4 Varietà e dialogismo della parodia
 54 2.5 Parodia e storia dei generi
 59 2.6 Pragmatica della comunicazione parodica
 64 2.7 Contesto folklorico

 68 3.  Carnevale, antropologia e semiotica
        della cultura
 68 3.1 Cultura del Carnevale
 71 3.2 Struttura e anti-struttnra
 76 3.3 Bachtin e Lotran
    3.3.1 Sistema culturale del medioevo
    3.3.2 Modello semiotico di cultura
    3.3.3 Cultura, non cultura e punto di vista
    3.3.4 Il Carnevale e il dinamismo dei
          sistemi semiotici
    3.3.5 Mediazioni interculturali

 93 4.  Parodia e cultura medievale
 93 4.1 Generalità
 95 4.2 Codici in contatto
102 4.3 Parodie mediolatine
709 4.4 Questioni aperte
112 4.5 Teoria e prassi della comicità
119 4.6 Aspetti della parodia romanza

129 5.  Il «trickster» e la parodia
129 5.1 «Trubert»
131 5.2 Fra letteratura e Folklore
134 5.3 Modelli letterari
144 5.4 Parodia religiosa e satira del villano
149 5.5 Un archetipo culturale, il «trickster»
159 5.6 Modelli sociali
163 5.7 «Trubert» carnevalesco

165 6.  Parodia e scatologia
165 6.1 L’osceno «Audigier»
168 6.2 Il codice epico-cavalleresco
175 6.3 Modelli antropologici

187 Appendice: Discussioni
189 A. Modelli di cultura popolare
200 B. Il denaro, l’ideologia trifunzionale e
       la letteratura carnevalizzata
211 Bibliografia

 

 

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La differenza fra satira e parodia corre invece in un certo senso parallela a quella fra realtà e rappresentazione; la satira infatti si rivolge in prima istanza contro comportamenti, tipi sociali, persone reali, idee, luoghi comuni e pregiudizi, che fungono da referente dei suoi attacchi e sono chiaramente identificati dal pubblico come appartenenti al mondo extratestuale. La satira è prima di tutto sociale, e mossa da interessi determinati e unilaterali, che la portano a contrapporsi antagonisticamente al suo bersaglio, nella fiducia di poterlo sconfiggere con l’arma della derisione, della caricatura, della esagerazione grottesca: la partiticità la rende un ottimo strumento politico, ma l’impostazione monologica, la scarsa o nulla capacità di restituire un’immagine dialettica del conflitto di interpretazioni, di punti di vista, di modelli del mondo in concorrenza, ne indica lo scarto rispetto alla parodia. Per riprendere una terminologia già discussa, la satira può giocare solo il ruolo dell’antitesi, non quello della sintesi (ambivalente) come invece fa la parodia.

Non è sufficiente riconoscere in entrambe la presenza di una distanza critica e di un giudizio di valore rispetto all’oggetto per assimilarle. La parodia non mira direttamente alla realtà, ma alla sua rappresentazione, quale essa rinviene già codificata e semioticamente modellata, in enunciati di cui può fare un uso metalinguistico e critico. Non è soltanto in gioco dunque una differenza di referenti (Res vs. Signa), ma lo specifico modo di funzionamento, il meccanismo operativo dei due procedimenti, che si ripercuote anche nella rispettiva ricezione. La satira è sempre, in vario grado, lesiva del prestigio e del rango del satireggiato e chiede al destinatario di schierarsi pro o contro; la parodia, interiorizzando e rifunzionalizzando testi e discorsi preesistenti, ne riconosce l’autorevolezza, nel momento stesso in cui li relativizza e distoglie da un’adesione acritica al loro valore.

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4.3 Parodie mediolatine

Proprio da un attenta considerazione dei testi prende le mosse una nuova indagine critica sulla parodia mediolatina, che si propone come «a basic reference work» sull’argomento. Che dal 500 al 1500 sopravvivano a un dipresso solo 70 testi, nel senso preciso di parodie indipendenti della liturgia, della Bibbia, dell’agiografia, potrebbe indicare una scarsa consistenza del genere, ma se si considera l’alto numero di varianti redazionali conservate, testimonianza del continuo lavoro di riscrittura e rielaborazione cui furono sottoposte nel corso della loro trasmissione (che per questo chiamerei attiva), il numero dei manoscritti rimasti delle parodie testualmente più stabili, il basso indice di sopravvivenza di un genere non ufficiale come questo, nonché l’uso del latino, si può tranquillamente affermare che la popolarità della parodia fu molto elevata.

La Cena Cypriani, le cui origini restano oscure (IV secolo?), tranne per il fatto che non può essere opera di S. Cipriano, vescovo di Cartagine nel III secolo, è il testo più importante anteriormente al periodo di espansione della letteratura parodica - che anche la Bayless come Lehmann fa cominciare nel XII secolo - ed esemplifica il gioco erudito con i personaggi della Bibbia, convocati a un singolare banchetto nuziale, ad un tempo contraffazione delle nozze di Cana, immagine del Regno di Dio (sposo della Chiesa) e del Paradiso come convivio. Bastino pochi cenni per dare un’idea della voluta corrispondenza fra i personaggi e i loro predicati: Eva siede sulla foglia di fico, Noè sull’arca, Gesù beve vino passito (in ricordo della passione), il gallo disturba il sonno di Pietro, Pilato si lava le mani, Erodiade danza, Giuda distribuisce baci, Davide suona la Cetra, Mosè dona due tavole, ecc.

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Pagina 113

La vera svolta, se così si può dire, avvenne però con la ricezione della filosofia e della retorica antiche, alle soglie del XII secolo, quando furono tradotti e divulgati in Occidente nuovi testi, che proponevano una diversa visione della corporeità e del riso: sono fatti noti e in questa sede mi preme soltanto sottolineare le ripercussioni sull’estetica cristiana.

Ebbene, nel Polyraticus (1159), Giovanni di Salisbury osa trattare forse per la prima volta da un punto di vista teoretico e cristiano l’eredità antica e la tradizione dei convivia, valutando positivamente la funzione dell’arguzia, nell’atmosfera gaia del banchetto e in una cerchia di uomini dotti e virtuosi. Finalmente, con S. Tommaso d’Aquino il riconoscimento della positività della sfera comica approda in una summa teologica e diviene un elemento dell’etica cristiana: il teologo riconosce che, oltre al riposo fisico, è necessario all’uomo anche una distensione spirituale, che i ludi possono procurare, purché regolati dalla ragione; perciò rifiutare gli scherzi o disturbare l’allegria altrui è sbagliato, e anche i giullari sono utili, se fanno divertire senza abbandonarsi all’immoralità.

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