Copertina
Autore Roberto Bondì
Titolo Blu come un'arancia
SottotitoloGaia tra mito e scienza
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006 , pag. 262, ill., cop.fle., dim. 150x230x19 mm , Isbn 978-88-02-07259-3
PrefazioneEnrico Bellone
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe ecologia , scienze della terra , natura , evoluzione , cibernetica
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Indice

VII      Prefazione di Enrico Bellone

  3      Premessa

  7 1.   Chi è Gaia?

    1.1  Il pianeta vivente, p. 7
    1.2  «Tellus mater», p. 8
    1.3  Nascita di un'idea al Jet Propulsion Laboratory,
         p. 13
    1.4  Battesimo e primi passi, p. 16
    1.5  L'ipotesi, p. 18
    1.6  La teoria, p. 23
    1.7  «Un pianeta che va dal medico», p. 31
    1.8  Metamorfosi, p. 36
    1.9  Parentesi darwiniana, p. 39
    1.10 «La potente metafora di Gaia», p. 42
    1.11 «La più grande entità autopoietica», p. 48
    1.12 Di chi è Gaia?, p. 52

 54 2.   Fu vera scienza?

    2.1  Gaia e «il consiglio lunare», p. 54
    2.2  Il fenotipo esteso e il «teorema BBC», p. 55
    2.3  Il migliore dei mondi possibili: ma per chi?, p. 61
    2.4  Un modello matematico di nome Daisyworld, p. 62
    2.5  Sviluppi, p. 67
    2.6  Gaia, Darwin e l'evoluzione, p. 76
    2.7  «Il cooperatore egoista», p. 87
    2.8  Le ipotesi di Gaia, p. 92
    2.9  Scienza, non misticismo, p. 95
    2.10 La fine del «canto ammaliatore della scienza
         del Novecento», p. 102
    2.11 «Un sistema di sistemi in evoluzione», p. 109
    2.12 Il futuro della teoria di Gaia, p. 114

122 3.   Meccanicismo, ecologia e «vecchio ordine magico»

    3.1  Quando ecologia fa rima con magia, p. 122
    3.2  La «scienza arcadica», p. 126
    3.3  Il «nuovo paradigma», p. 129
    3.4  Una «teologia ecologica», p. 136
    3.5  Il «grido» di Gaia, p. 142
    3.6  I dogmi dell'ecologia, p. 144
    3.7  Ormai solo le donne ci possono salvare, p. 147
    3.8  «Idola» della magia e della scienza, p. 151
    3.9  Riduzionismo e olismo, p. 153
    3.10 Ma Gaia è davvero femminista e ambientalista?, p. 161

164 4.   Più malata che Gaia

    4.1  «Litania» e «pessimismo ambientale», p. 164
    4.2  Figlio ingrato, p. 170
    4.3  Lovelock e il «delirio verde», p. 171
    4.4  L'inquinamento? È naturale, p. 174
    4.5  Dalla parte di Gaia, p. 176
    4.6  «Una malattia chiamata uomo», p. 180
    4.7  «L'energia nucleare è l'unica soluzione ecologica»,
         p. 181

183 5.   Il principio di irresponsabilità

    5.1  Gaia e l'etica ambientale, p. 183
    5.2  Morte dell'antropocentrismo e del narcisismo, p. 188
    5.3  Olismo e antiumanesimo, p. 190
    5.4  In nome del microbo, p. 193
    5.5  Rispettare Gaia: ma perché?, p. 195
    5.6  La nostra irresponsabilità per Gaia, p. 201
    5.7  Pilotare il pianeta Terra?, p. 206
    5.8  Conversazione con Gaia, p. 208

212      Note
235      Bibliografia


 

 

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Pagina 18

1.5 L'ipotesi

Seguirono due articoli, «più dettagliati» e «più precisi», pubblicati insieme da Lovelock e Margulis nel 1974: Atmospheric homeostasis by and far the biosphere: the Gaia hypothesis e Biological modulation of the Earth's atmosphere (Lovelock, Margulis, 1974a; Margulis, Lovelock, 1974; Lovelock, 1988f, p. 24). Questi titoli – scrive Lovelock nell'autobiografia – «rivelano come all'epoca ignorassimo che la regolazione non è una proprietà esclusiva della vita, ma dell'intero sistema vita-ambiente» (Lovelock, 2000b, p. 297). La definizione di Gaia, in effetti, ha conosciuto uno sviluppo in questa direzione, anche se in modo non proprio lineare. L'idea secondo cui «la vita regola la Terra» è giudicata da Lovelock, nell'autobiografia, uno «sbaglio» (Lovelock, 2000b, p. 352). Si cercherà di far emergere questo cambiamento di prospettiva via via, e nel settimo paragrafo di questo capitolo saranno riassunte le varie formulazioni e saranno aggiunti altri riferimenti importanti. Ma procediamo con ordine. Nel 1975 uscì un articolo che suscitò l'interesse del pubblico, The quest for Gaia (Lovelock, Epton, 1975). Fu così che Lovelock ricevette svariati inviti a scrivere un libro. Scelse la Oxford University Press e il libro fu pubblicato nel 1979 con il titolo Gaia: a new look at life on Earth.

Vediamo, esattamente, in quali termini l'ipotesi di Gaia viene descritta in questo volume. Nella prefazione si afferma che la biosfera è «un'entità autoregolata, capace di mantenere vitale il nostro pianeta mediante il controllo dell'ambiente chimico e fisico»: il termine «Gaia» – «una bella parola di quattro lettere» che «avrebbe impedito la creazione di barbari acronimi quali Tendenza del Sistema Biocibernetico Universale/Omeostasi» – sta a indicare proprio l'ipotesi secondo cui «la sostanza vivente della Terra, l'aria, gli oceani e le superfici emerse formano un sistema complesso, che può essere visto come un singolo organismo avente la capacità di mantenere nel nostro pianeta le condizioni adatte alla vita» (Lovelock, 1979b, pp. 7-8, 24). E nel glossario alla voce ipotesi di Gaia si trova scritto: «Postula che la condizione fisica e chimica della superficie terrestre, dell'atmosfera e degli oceani è stata ed è attivamente resa adatta e confortevole per la vita dalla sua stessa presenza. Ciò contrasta con la scienza convenzionale quando afferma che la vita si adattò alle condizioni planetarie man mano che queste e la vita stessa si evolvevano separatamente» (Lovelock, 1979b, p. 180).

Nell'introduzione Lovelock fa esplicito riferimento alla retroazione e alla cibernetica: Gaia è «un'entità complessa comprendente la biosfera della Terra, l'atmosfera, gli oceani e il suolo, l'insieme costituendo una retroazione (feedback) o un sistema cibernetico che cerca un ambiente fisico e chimico ottimale per la vita su questo pianeta». Non solo. Fa, significativamente, esplicito riferimento all'omeostasi: «Il mantenimento di condizioni relativamente costanti mediante una regolazione attiva può essere adeguatamente descritto con il termine di "omeostasi"» (Lovelock, 1979b, p. 24). Su questo Lovelock ritorna in un capitolo intitolato Cibernetica, dove sottolinea che i sistemi cibernetici, come la vita, sono sempre qualcosa di più della pura somma delle parti; che i sistemi biologici sono complessi, ma sono oggi suscettibili di essere capiti e interpretati in termini di ingegneria cibernetica; che una delle proprietà fondamentali dei viventi consiste nella capacità di sviluppare e mantenere sistemi che fissano un obiettivo e si sforzano di raggiungerlo attraverso il processo cibernetico del tentativo e dell'errore. Se si riuscisse a scoprire un sistema di questo tipo su scala globale e con l'obiettivo di fissare e mantenere condizioni fisiche e chimiche ottimali per la vita, si avrebbe una prova convincente dell'esistenza di Gaia (Lovelock, 1979b, pp. 67, 70, 75).

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Gaia «è la più grande manifestazione della vita». Provando a riassumere, si potrebbe dire che questo tutto composto dalla vita e dal suo ambiente è formato da: 1) organismi viventi che crescono, sfruttando ogni occasione ambientale che viene loro offerta; 2) organismi soggetti alle leggi della selezione naturale darwiniana; 3) organismi che modificano il loro ambiente fisico e chimico («gli animali modificano l'atmosfera con il loro respiro, prelevando ossigeno e liberando anidride carbonica; piante e alghe fanno l'inverso. In vario modo, ogni forma di vita modifica incessantemente l'ambiente fisico e chimico»); 4) vincoli o confini che stabiliscono i limiti della vita («l'ambiente può essere troppo caldo o troppo freddo; la via di mezzo è un tepore confortevole, ed è lo stato preferito. L'ambiente può essere troppo acido o troppo alcalino; è preferibile la neutralità. Per quasi tutte le sostanze chimiche c'è un campo di concentrazioni che sono tollerate dalla vita o che le sono necessarie. Per molti elementi, come lo iodio, il selenio e il ferro, l'eccesso è velenoso, mentre una carenza è debilitante. L'acqua pura e incontaminata non favorisce la vita; ma non la favorisce neppure la salamoia satura di sali del Mar Morto»). Dopo tutto ciò che si è detto, la ricerca di una risposta alla domanda «che cos'è la vita?» – secondo Lovelock – ha fatto «qualche progresso». L'osservazione della vita attraverso il telescopio di Gaia la mostra come «un fenomeno su scala planetaria, con una durata cosmologica». Gaia «è la più grande manifestazione della vita» si è detto: in questo senso, è diversa dagli altri organismi viventi della Terra, così come noi siamo diversi dalle cellule viventi di cui siamo formati. All'inizio della storia della Terra e prima della comparsa della vita, l'evoluzione della terraferma, dell'atmosfera e degli oceani avveniva unicamente sulla base delle leggi fisiche e chimiche. La Terra si dirigeva verso lo stato di un pianeta quasi in equilibrio, quando a un certo punto, per breve tempo, si è trovata in condizioni favorevoli alla vita. Le neonate cellule viventi cominciarono a moltiplicarsi finché la loro presenza non condizionò l'ambiente terrestre a tal punto da fermare la corsa verso l'equilibrio. Fu in quel momento che gli organismi viventi, le rocce, l'atmosfera e gli oceani si unirono formando una nuova entità, Gaia. Definire la vita è come ricomporre i pezzi di un puzzle mescolati alla rinfusa. L'azzurro del cielo, il marrone della terra e il verde degli alberi sono facilmente distinguibili, ma i più smaliziati sanno che la chiave consiste nel trovare e nell'unire i pezzi che definiscono il bordo del puzzle. Nel caso del ritratto della Terra, il bordo è stato definito dalla scoperta che l'atmosfera è parte della vita planetaria. Una volta che il bordo è stato ricomposto nel modo giusto, c'è almeno il vantaggio di sapere quanto è grande l'immagine, e risulta facilitato il compito di collocare i gruppi interni (Lovelock, 1988f, pp. 36-41, 54-55; Lovelock, 1975, pp. 169-70).

[...]

In questo libro Lovelock insiste sulla distinzione tra ipotesi di Gaia e teoria di Gaia. Nel glossario sono presenti entrambe le voci. Alla prima (ipotesi di Gaia) si trova: «Ipotesi originale secondo la quale la Terra è mantenuta in uno stato favorevole alla vita grazie agli organismi viventi». Alla seconda (teoria di Gaia) si trova invece: «Teoria attuale che considera la Terra come un sistema in cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del loro ambiente. L'autoregolazione del clima e la composizione chimica sono proprietà emergenti del sistema». All'inizio l'idea era che «la vita plasmasse l'ambiente, e non viceversa» («la vita, o biosfera, regola e mantiene il clima e la composizione atmosferica ad un livello per sé ottimale»). Successivamente, «man mano che aumentavano le conoscenze su Gaia — scrive Lovelock —, ci accorgemmo che la regolazione non era realizzata dalla vita o dalla biosfera, ma da tutto il sistema»; «ora — aggiunge Lovelock — abbiamo elaborato la teoria di Gaia, secondo cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del relativo ambiente fisico-chimico; insieme, essi costituiscono un unico processo evolutivo autoregolatore. Pertanto, il clima, la composizione delle rocce, l'aria e gli oceani non sono determinati solo dalla geologia, ma sono anche la conseguenza della presenza di vita». Ma già nell'introduzione Lovelock aveva sottolineato la distanza tra le prime formulazioni di Gaia e le formulazioni successive, precisando che la definizione secondo cui «la vita, o la biosfera, regola o mantiene il clima e la composizione atmosferica ad uno stato per sé ottimale» era «imprecisa». Tuttavia — si difende Lovelock — «né Lynn Margulis né io abbiamo mai insinuato che l'autoregolazione del pianeta debba avere un fine. Siamo comunque stati oggetto di critiche ostinate, quasi dogmatiche, che ci accusavano di aver elaborato un'ipotesi teleologica» (Lovelock, 1991, pp. 11, 25, 188).

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1.8 Metamorfosi

Dall'inizio degli anni Settanta, la definizione di Gaia ha subito una metamorfosi, che è importante tener presente anche per capire di che cosa si discute oggi. In un recentissimo intervento, Timothy M. Lenton (che Lovelock considera il proprio successore) e David M. Wilkinson hanno sottolineato l'attuale interesse della comunità scientifica per Gaia e hanno sostenuto che le reazioni a Gaia stanno percorrendo le tre classiche fasi attraversate da ogni teoria scientifica: all'inizio la si giudica erronea, poi si dice che forse in essa potrebbe esserci del vero, alla fine la si ignora perché ciò che essa afferma lo si sa fin dal principio (Lenton, Wilkinson, 2003, p. 9). James W. Kirchner – che insegna a Berkeley e che è intervenuto più volte su questi temi, in particolare rilevando l'assenza di rigore nella definizione di Gaia – ha replicato che la reazione della comunità scientifica è cambiata soprattutto perché è cambiata l'ipotesi di Gaia (Kirchner 2003, p. 37; Kirchner 1989, 1990 e 1991).

Si danno qui, per chiarezza sotto forma di elenco, le principali definizioni che nel corso del tempo sono state di Gaia:

1) 1974 L'ipotesi di Gaia consiste nel concepire la biosfera come capace di mantenere la Terra in omeostasi. È inverosimile che il persistere di condizioni ottimali per la vita, durante lunghissimi periodi di tempo, sia dovuto al caso. Secondo l'ipotesi di Gaia, di questo è responsabile il biota. L'atmosfera della Terra è regolata dalla vita (il titolo di uno degli articoli pubblicati da Lovelock e Margulis nel 1974 è, significativamente, Atmospheric homeostasis by and for the biosphere: the Gaia hypothesis).

2) 1975 In base all'ipotesi di Gaia, la biosfera è un sistema di controllo cibernetico capace di adattare l'ambiente terrestre a condizioni ottimali; la biosfera è un complesso sistema cibernetico che ha la capacità di mantenere l'ambiente interno in omeostasi a suo vantaggio.

3) 1979 Secondo l'ipotesi di Gaia, la biosfera è un'entità autoregolata, capace di mantenere vitale il pianeta mediante il controllo dell'ambiente chimico e fisico; l'ipotesi di Gaia postula che la condizione fisica e chimica della superficie terrestre, dell'atmosfera e degli oceani è stata ed è attivamente resa adatta e confortevole per la vita dalla sua stessa presenza; la sostanza vivente della Terra, l'aria, gli oceani e le superfici emerse formano un sistema complesso, che può essere visto come un singolo organismo che ha la capacità di mantenere nel pianeta le condizioni adatte alla vita; Gaia è un'entità complessa che comprende la biosfera della Terra, l'atmosfera, gli oceani e il suolo, e che costituisce una retroazione (feedback) o un sistema cibernetico che cerca un ambiente fisico e chimico ottimale per la vita su questo pianeta (Lovelock, 1979b, pp. 7, 180, 8, 24).

4) 1982 Secondo l'ipotesi di Gaia, il clima e la composizione chimica della superficie della Terra sono mantenute in omeostasi a un livello ottimale dalla biosfera e per la biosfera (by and for the biosphere) (Lovelock, Watson, 1982, p. 795).

5) 1985 L'ipotesi di Gaia postula una Terra in cui il clima e la composizione chimica sono costantemente stabilizzati in una forma favorevole alla vita, grazie all'incessante interazione fra i viventi e il loro ambiente (Lovelock, 1985, p. 207).

6) 1988 Il concetto che la Terra sia attivamente regolata e protetta dalla vita che si trova sulla sua superficie nacque dalla ricerca della vita su Marte; la vita planetaria deve essere capace di regolare il clima e la composizione chimica dell'ambiente; è pura illusione credere che basti l'evidenza sperimentale a convincere gli «scienziati dell'establishment» che la Terra è regolata dalla vita. La teoria di Gaia vede la Terra e la vita su di essa come un solo sistema, un sistema che ha la capacità di regolare la temperatura e la composizione della superficie terrestre mantenendole adatte alla sopravvivenza degli organismi viventi (Lovelock, 1988f, pp. 19, 23, 45-46, 49).

7) 1991 La teoria di Gaia considera la Terra come un sistema in cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del loro ambiente: l'autoregolazione del clima e la composizione chimica sono proprietà emergenti del sistema; la regolazione non è realizzata dalla vita o dalla biosfera, ma da tutto il sistema (Lovelock, 1991, pp. 25, 188).

Questo semplice elenco rende evidente che cosa è cambiato nel corso del tempo: anche se in modo non proprio lineare, è stata abbandonata l'idea secondo cui «la vita regola la Terra». In un articolo apparso sulla rivista «Nature» nel 1990, difendendosi dall'accusa di abbracciare una prospettiva teleologica, Lovelock ricorda che all'inizio l'ipotesi era stata formulata usando espressioni come «la vita, o la biosfera, regola o mantiene il clima e la composizione atmosferica ad uno stato per sé ottimale», e afferma di riconoscere che quelle prime espressioni erano «imprecise» e suscettibili di essere fraintese. La teoria di Gaia — aggiunge qui Lovelock — considera l'autoregolazione del clima e la composizione chimica proprietà emergenti di un sistema formato dagli organismi viventi e dal loro ambiente materiale (Lovelock, 1990a, p. 100). Queste affermazioni sono riprese alla lettera nel terzo libro di Lovelock, Gaia: the practical science of planetary medicine, pubblicato nel 1991: anche qui si parla, a proposito delle prime formulazioni, di «definizioni imprecise» (Lovelock, 1991, p. 11). Con il passare del tempo le affermazioni di Lovelock si fanno più nette. È il caso della revisione del secondo libro, The ages of Gaia: a biography of our living Earth, pubblicata nel 1995 con una nuova introduzione. Nel secondo capitolo dell'edizione del 1988, Lovelock — come si è visto — fa riferimento all'ipotesi di Gaia come era stata formulata negli anni Settanta. Nell'edizione del 1995 afferma espressamente che quella formulazione è «sbagliata»: «L'ipotesi di Gaia, come fu da noi presentata negli anni Settanta, supponeva che l'atmosfera, gli oceani, il clima e la crosta della Terra fossero regolati in una condizione confortevole per la vita dal biota e per il biota (by and for the biota). Più precisamente, l'ipotesi di Gaia sosteneva che la temperatura, lo stato di ossidazione, l'acidità e certi aspetti delle rocce e delle acque sono in ogni momento mantenuti costanti, e che questa omeostasi è conservata dagli organismi sulla superficie della Terra. È importante riconoscere che l'ipotesi di Gaia, formulata così, è sbagliata» (Lovelock, 1995, p. 19). Nell'autobiografia Lovelock torna su questo, parlando ancora di «sbaglio». Si tratta, comunque, di un «piccolo errore» in confronto a quello «gigantesco» dei suoi critici:


I critici dissero che il mio primo libro, Gaia, era cattiva scienza. Erano troppo seri per accorgersi che si trattava più di una lettera d'amore che di un manuale. Certo, avrei potuto riempirlo meno di metafore, in modo da renderlo più accettabile agli scienziati; tuttavia, non era scritto in modo sciatto e a più di vent'anni di distanza poche cose, in esso, andrebbero cambiate. C'era una sola affermazione sbagliata, ma questo dipende dalla natura stessa delle nuove teorie scientifiche, che non nascono perfette; invece, evolvono nel tempo e le loro spigolosità vanno smussandosi per effetto dell'azione abrasiva e levigante delle critiche. Al momento la cosa può essere dolorosa, ma in retrospettiva si tratta di interventi benedetti, proprio come la buona chirurgia. Il problema, con Gaia, fu lo scandalo che diedi proponendo una teoria tanto audace in un libro scritto per non scienziati. Aggravai il mio errore scrivendo che «la vita regola la Terra»: avrei dovuto dire che Gaia è costituita da organismi viventi e dall'ambiente fisico della Terra, e che si autoregola. Al principio commettere questo sbaglio fu una cosa facile; guardando indietro, tutto sommato, esso sembra un piccolo errore in confronto a quello gigantesco in cui incapparono i miei critici. Essi affermarono, con una sicurezza sconfinante nel dogmatismo, che la vita non aveva nulla a che fare con l'apparente capacità della Terra di regolare il proprio clima e la propria chimica (Lovelock, 2000b, p. 352).

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1.11 «La più grande entità autopoietica»

Sull'uso della metafora del pianeta vivente Lynn Margulis si è pronunciata in modo del tutto differente: «Io rifiuto – affermò nel suo intervento a quel simposio – l'affermazione di Jim: "la Terra è viva"»; questa metafora, espressa così, aliena proprio quegli scienziati che dovrebbero mettersi a lavorare nell'ambito circoscritto dall'ipotesi di Gaia. E aggiunse di non essere neppure d'accordo con la formulazione «Gaia è un organismo». Margulis sottolinea che in quel contesto non è stata data nessuna definizione del termine «organismo», e afferma di non ritenere che Gaia sia un'entità singola. Gaia è piuttosto «un sistema estremamente complesso», caratterizzato da «proprietà regolatrici identificabili», specifiche della regione inferiore dell'atmosfera (Margulis, 1988a, p. 50; Margulis, 1996, p. 54). Dire che la Terra è viva significa disorientare molte persone e offenderne altre: è preferibile dire che Gaia è un'ipotesi sul pianeta Terra (Margulis, Hinkle, 1991, p. 11). Nel 1993, sulla rivista «Science», Margulis ha rivendicato queste posizioni contro i fraintendimenti che nel frattempo erano intervenuti: «Ho sempre chiaramente sostenuto che l'affermazione "la Terra è un singolo organismo vivente" non è l'idea di Gaia». E, quindi, quando si afferma che «la Terra è un singolo organismo» non si dà una descrizione corretta di quell'idea. Molti scienziati sono tuttora contrari a Gaia, sia al termine sia all'idea, ha scritto qualche anno più tardi. Su ciò pesa forse il fatto che Gaia ricorda il mito della Madre Terra, concepita come un singolo organismo. Ma Gaia non è un organismo, non ne ha le caratteristiche distintive. È, invece, l'insieme della vita planetaria che mostra una fisiologia che viene riconosciuta come regolazione ambientale. Ma, in sé, non è un organismo direttamente selezionato tra molti. È, invece, una proprieta emergente dell'interazione tra gli organismi, l'ambiente e la fonte di energia, il Sole. La «mia Gaia» – afferma Margulis – non rimanda alla nozione di una Madre Terra che ci nutre. L'ipotesi di Gaia è scienza.

Il rifiuto di Margulis di vedere Gaia come un organismo è intimamente legato alle sue ricerche sulla simbiosi. Si tornerà più avanti su questo (cap. 2, par. 6). Qui è sufficiente accennare a una convinzione fondamentale di Margulis: gli unici organismi che possiamo definire individui sono i procarioti (batteri), mentre tutti gli altri esseri viventi, cioè gli animali, le piante e i funghi non sono individui ma comunità. Ciò che appare come un animale individuale è in realtà un insieme composito di entità. I cosiddetti individui sono in realtà pluralità di entità associate (Margulis, 1991a in Margulis, Sagan, 1997, p. 273).

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Pagina 183

5 Il principio di irresponsabilità


5.1 Gaia e l'etica ambientale

Sulla cosiddetta etica ambientale esiste ormai una letteratura sterminata che esprime una grande varietà di posizioni (Bartolommei, 1989; Bartolommei, 1995; Dellavalle, 1998): anche solo qualche riferimento sembra però qui opportuno. Tutto ha inizio tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, a seguito della crisi ambientale da un lato (nel 1972 era stato pubblicato il celebre rapporto sui Limiti dello sviluppo, ma vanno ovviamente ricordati Silent spring di Rachel Carson, del 1962, e The closing circle di Barry Commoner, del 1971), e del successo dell'etica applicata dall'altro (Bartolommei, 1995, pp. 22-39). Aldo Leopold, di cui era uscito postumo A Sand County almanac and sketches here and there (1949), è diventato un simbolo. Nella prefazione a questo volume, Leopold aveva individuato la causa del maltrattamento della terra nel fatto di considerarla come un bene di consumo che ci appartiene: soltanto «quando guardiamo alla terra come a una comunità a cui apparteniamo, possiamo cominciare a trattarla con amore e rispetto» (Leopold, 1968, p. VIII). L'ultimo saggio del libro, The land ethic (che «univa un approccio scientifico alla natura, un alto livello di raffinatezza ecologica e un'etica comunitaria biocentrica che sfidava l'atteggiamento economico dominante nei confronti dello sfruttamento del territorio»), «più di qualsiasi altro saggio, segnò l'inizio dell'Era dell'ecologia» e venne «considerato come la descrizione più concisa della nuova filosofia ambientale» (Worster, 1985, p. 348). I confini dell'etica – notava Leopold – si sono estesi sempre di più, ma non c'è ancora un'etica incentrata sul rapporto tra l'uomo, da un lato, e la terra, gli animali e le piante, dall'altro. La terra rimane una proprietà e il rapporto è ancora di tipo strettamente economico e comporta privilegi ma non obbligazioni. La premessa comune a tutte le etiche è che l'individuo è un membro di una comunità di parti interdipendenti (i suoi istinti lo spingono a competere per il suo posto nella comunità, mentre la sua etica lo spinge a cooperare): «L'etica della terra semplicemente allarga i confini della comunità fino a includervi suolo, acqua, piante e animali, in una parola: la terra (land)». L'etica della terra non può escludere l'alterazione e l'uso umano di queste risorse, ma afferma il loro diritto a continuare a esistere, assegnando un nuovo ruolo all' homo sapiens: non più quello di conquistatore della comunità della terra, ma quello di suo semplice cittadino. Promuovere lo sviluppo di un'etica della terra significa abbandonare l'idea che l'uso della terra sia soltanto un problema economico; esaminare ciascuna questione secondo ciò che è esteticamente e moralmente giusto, oltre che economicamente conveniente: «Una cosa è giusta quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica, ed è sbagliata quando tende altrimenti». L'etica della terra riflette una coscienza ecologica, che a sua volta riflette una convinzione della responsabilità individuale per la salute della terra, cioè per sua capacità di autorigenerazione. Nel nostro sforzo di capire e di preservare questa capacità consiste la conservazione (Leopold, 1968, pp. 202-204, 221, 224-25).

A Leopold si richiamano in particolare i sostenitori della cosiddetta «ecologia profonda». Nelle intenzioni di chi ha introdotto questa espressione, il filosofo norvegese Arne Naess (Naess, 1973), deve contrapporsi a un'ecologia superficiale. Le tesi della deep ecology, di impianto radicalmente antiantropocentrico, possono essere così riassunte: 1) «Il benessere e lo sviluppo della vita umana e non, sulla terra, hanno valore in sé (sinonimi: valore intrinseco, valore inerente). Questi valori non dipendono da quanto il mondo non umano sia utile ai fini che gli uomini si pongono»; 2) «La ricchezza e varietà delle forme di vita contribuiscono alla realizzazione di questi valori e sono quindi valori in se stessi»; 3) «L'uomo non ha alcun diritto di arrecar danno a questa ricchezza e varietà, se non per soddisfare i suoi bisogni vitali»; 4) «Lo sviluppo della vita e delle diverse culture umane è compatibile con una diminuzione sostanziale della popolazione umana. Questa diminuzione è anzi indispensabile allo sviluppo della vita non umana»; 5) «Gli attuali interventi dell'uomo sul mondo non umano sono eccessivi e la situazione sta rapidamente peggiorando»; 6) «La politica deve pertanto essere modificata. Questo cambiamento riguarda le strutture fondamentali economiche, tecnologiche e ideologiche. Lo stato delle cose che ne risulterà sarà profondamente diverso da quello attuale»; 7) «Il cambiamento ideologico consiste principalmente nel riconoscere la qualità della vita (nel senso di soffermarsi su situazioni che hanno valore inerente), invece di attenersi a uno standard di vita sempre in crescita. Questo farà nascere una profonda sensibilità nei confronti della differenza tra grandezza puramente quantitativa e grandezza qualitativa»; 8) «Coloro che sottoscrivono i punti qui sopra illustrati hanno il dovere di impegnarsi direttamente oppure indirettamente per realizzare i cambiamenti necessari» (Naess, 1986, pp. 101-102).

In un «approccio superficiale» «paesaggi, ecosistemi, fiumi e altri insiemi naturali vengono frammentati senza tenere conto di unità e forme compiute (Gestalten) di maggiori dimensioni» e «tali frammenti vengono considerati quali proprietà e risorse di individui, organizzazioni oppure stati». In un «approccio profondo», invece, «la terra non appartiene all'uomo»: «I paesaggi, i fiumi, la fauna, la flora e il mare della Norvegia non sono proprietà dei norvegesi. L'uomo occupa semplicemente il suolo, ne utilizza le risorse per soddisfare i suoi bisogni vitali»; e «se i suoi bisogni non primari entrano in conflitto con i bisogni primari di esseri naturali non umani, gli uomini devono cedere il passo»; «la distruzione oggi in atto non può essere curata con un colpo di mano tecnologico» ed è, quindi, «necessario contrastare gli atteggiamenti arroganti diffusi oggi nelle società industriali (e non solo in queste)» (Naess, 1986, pp. 110-11).

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5.3 Olismo e antiumanesimo

In Lovelock stesso, il paradigma olistico di Gaia porta a posizioni fortemente antiumanistiche. Muoversi all'interno di questo paradigma significa rendersi conto che «noi siamo solo una specie come le altre, e non i proprietari o i direttori del nostro pianeta» e che «il nostro futuro dipende molto più da un corretto rapporto con Gaia che dal dramma infinito degli interessi umani». Noi siamo «immersi in una contesa tra la nostra devozione o a Gaia o all'umanesimo». Non si tratta di ignorare fenomeni come l'assottigliarsi dello strato di ozono dell'atmosfera o le piogge acide. Si tratta di rendersi conto che questi sono pericoli «reali e potenzialmente gravi», ma «soprattutto per le persone e per gli ecosistemi del Primo Mondo, il quale, visto dalla prospettiva di Gaia, è una regione che può essere abbandonata senza rimpianti al suo destino». Le radiazioni nucleari, che sembrano essere «la principale preoccupazione», sono molto pericolose per l'uomo, mentre per Gaia «sono soltanto un fastidio di poca importanza» (Lovelock, 1988f, pp. 12, 29, 218).


L'opinione pubblica crede, erroneamente, che l'impoverimento dell'ozono operato dai CFC sia il problema ambientale più serio; sebbene fosse, e sia ancora estremamente interessante per gli scienziati, è soltanto una parte della minaccia ambientale all'orizzonte. E il buco dell'ozono? Non è forse una seria minaccia alla vita sulla Terra, e andrà aumentando? Ammetto che l'assottigliamento della fascia di ozono possa diventare un problema, ma le radiazioni ultraviolette danneggeranno più gli esseri umani – soprattutto quelli dalla pelle chiara – che il pianeta (Lovelock, 1991, p. 164).


Lovelock pensa che «le nostre preoccupazioni umanitarie per i poveri dell'emarginazione urbana o del Terzo Mondo», così come «la nostra quasi oscena ossessione della morte e della sofferenza», quasi si trattasse di «mali» in sé, siano «pensieri che distraggono la nostra mente dal massiccio ed eccessivo dominio che esercitiamo sul mondo naturale». Ma la povertà e la sofferenza sono soltanto «le conseguenze delle nostre azioni», e il dolore e la morte «sono fatti normali e naturali» (Lovelock, 1988f, p. 213).

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Ripeto: non è il caso di farsi grosse illusioni, né sulle nostre capacità né sulla «fragilità» e «debolezza» della Terra. Insistere su questo non è insensato. Ma il punto è un altro. Alla fine del prologo di cui si è parlato, Gould affermava che «nessun movimento politico è più vitale e tempestivo dell'ambientalismo moderno, poiché noi dobbiamo salvare noi stessi (e le specie nostre vicine) dalle conseguenze immediate della nostra follia» e chiudeva così: «Il potere intellettuale umano, per ragioni che non hanno alcuna connessione con la sua origine evoluzionistica, ha la più dannata capacità di scoprire le cose più affascinanti, e di pensare le idee più peculiari. Perché dunque non dovremmo far sì che questo interessante esperimento possa continuare, almeno per un altro secondo planetario o due?» (Fould, 1991, p. 15)13. Ecco che cosa sarebbe insensato: non porsi seriamente questa domanda.


5.8 Conversazione con Gaia

Tyler Volk propone «di pensare a noi stessi come alla gilda più recente di Gaia» (Volk, 1998, p. 262). Noi «abitiamo un metabolismo globale che vanta una storia personale di quattro miliardi di anni». Ma «solo negli ultimi decenni abbiamo preso coscienza del danno che stiamo infliggendo a questo metabolismo con il nostro cieco impulso alla procreazione e al prelievo indiscriminato». Non abbiamo bisogno di «strumenti sofisticati per rilevare le numerose insolite emissioni che oggi contaminano molte parti del pianeta». È sufficiente «prendere una boccata d'aria in città». Questo è un lato della questione. Poi c'è il fatto che «la maggior parte di noi desidera una civiltà che metta a disposizione tecniche diagnostiche sofisticate, come la risonanza magnetica nucleare e supermercati ben forniti»: e quindi «dobbiamo fare i conti con il mondo così com'è e questo impone di conoscere il funzionamento dei fondamentali processi della natura». Volk pensa che sia possibile «volgere le cose al meglio promuovendo un rispetto informato per il corpo di Gaia». La definizione in base a cui «noi siamo la gilda che conosce tutte le altre gilde» intende sottolineare «non le nostre attività, quanto la nostra conoscenza». Il termine «noosfera» «proclama la comparsa non solo di una nuova gilda biochimica, ma anche di un nuovo tipo di gilda: la gilda mentale»: «Lascerò aperta una questione, se la noosfera abbia o meno preceduto la comparsa degli esseri umani» (Volk, 1998, pp. 9-10, 262-64).


Presto avrò finito; mentre concederò alla mia mente il riposo di cui ha molto bisogno, mi immergerò in una meravigliosa, sensuale consapevolezza delle connessioni tra le vastità dell'atmosfera, i germogli primaverili, gli abissi dei tempi evolutivi e il mio umile respiro. Ecco: inspiro, espiro. Attaverso il respiro sono collegato alle profondità oceaniche, al detrito posato sui sedimenti, ai cicli che si rinnovano un anno dopo l'altro. Sono collegato al lichene giallo sulla roccia e ai foraminiferi portati dalle correnti dall'altra parte del mondo. Sono connesso a Thioploca, a una pianta di mais, a un nematode, ai noduli radicali che ospitano i fissatori di azoto, alla tundra, alla stratosfera.


Ha inizio così una conversazione con Gaia:


La gratitudine è il paradiso e il paradiso è sicuramente qui sulla Terra. E allora io dico: grazie Gaia.

«Non c'è di che».

«Che cosa? Chi ha parlato?». La voce somiglia a quella di Margaret Mead, sicura di sé e un po' rauca.

«No, non Mead. Fa' più attenzione».

Ora la voce sembra quella di Raquel Welch in Viaggio allucinante, nei panni dell'assistente del chirurgo, schiva ma molto competente. Tutti quei sottili cambiamenti di voce, che abbracciano personalità multiformi... non potrebbe essere Gaia?

«Potrebbe».

«Fantastico!».

«Lascia perdere [La voce ora sembra quella di Whoopi Goldberg]. Ho visto che stai scrivendo un libro su di me. La maggior parte di ciò che hai scritto è abbastanza decente. Ma quanta arroganza! Gli esseri umani sarebbero la gilda biochimica più recente... E via, siamo seri! Dal mio punto di vista voi umani non siete altro che organismi respiratori straordinariamente prolifici, ma davvero nulla di speciale».

«Ma bruciamo i combustibili fossili. Siamo stati i primi a farlo. E stiamo fissando l'azoto senza l'aiuto dei procarioti. Siamo una nuova gilda».

«Non potreste nemmeno digerire il vostro pranzo senza i miei microbi. E il vostro prezioso affare dei combustibili fossili non è sostenibile a lungo termine, per lo meno non sulla scala temporale a cui io sono avvezza. Non è che un flash nel buio. E quando i combustibili fossili saranno andati, quanto azoto pensi che riuscirete ancora a fissare, eh? Di' un po', visto che sei così sveglio, che cosa accadrà ai tuoi amati monsoni del New Mexico con l'incombente cambiamento climatico?».

«Uh, non lo so».

«Così ora sei diventato un dottor "non-lo-so", eh? E dimmi, che ne sai di questo – da qualche decina d'anni in qua, i batteri del suolo stanno forse respirando più intensamente?».

«Mi cogli di nuovo impreparato, Gaia. Ma questa conversazione sta cominciando a darmi una sensazione di dejà vu. All'inizio del libro Javhè mi aveva parlato allo stesso modo. Lo conosci?».

«Javhè?».

«Parlami ancora».

«Stai cominciando a seccarmi. Non sono venuta qui per parlare di me, ma di te. Sarò breve. Gli umani hanno bisogno di costruirsi un'immagine di se stessi, vogliono la percezione del proprio ruolo potenziale nel grande schema delle cose. Mi piace la tua idea della conoscenza come qualità che definisce la vostra stirpe, soprattutto perché è un'idea di speranza. Ma lascia che ti dica che avete davanti una strada maledettamente lunga. Prendete la vostra famigerata rivoluzione industriale. La vostra specie la innescò senza avere la minima idea dell'effetto serra che avrebbe causato. E avete appena cominciato a capire le estinzioni di massa. Per moltissimo tempo avete incolpato me di tutti quegli eventi! Proprio così! Non puoi nemmeno immaginare quanti aspetti di me non abbiate nemmeno cominciato a intravedere».

«Sembra che tu sappia molto più di noi. Forse potresti aiutarmi con un problema. Perché l'ossigeno è stabile al 21%?».

«Perché? Non sei forse membro di quella che chiamate scemosfera...?».

«Gaia, si chiama noosfera».

«Insomma, quello che è... dovrete capire la storia dell'ossigeno e tutto il resto da soli. Dopo tutto, voi scienziati non avete una gran considerazione per le verità rivelate, non è vero?».

«Colpito in pieno».

«Un'ultima cosa. Se voi uomini aspirate a essere la gilda che conosce tutte le altre, allora dovrete assumervi qualche responsabilità – e mostrare un po' di rispetto – per me, le mie matrici e tutte le altre specie. Tutte le forme viventi hanno qualche responsabilità verso l'intero – la capacità di reagire, che collega le parti fra di loro e al tutto. Di per se stessa, la responsabilità non è una vostra invenzione. Ma se la vostra gilda si concentrerà sulla conoscenza, allora dovete anche cercare la sapienza e questa capacità comporterà un tipo nuovo e originale di responsabilità».

«Che tipo di responsabilità, Gaia?».

«Pensaci così: è l'enigma che più d'ogni altro merita d'esser risolto»

(Volk, 1998, pp. 265-66).


L'insistenza di Volk sul valore della conoscenza è assolutamente sacrosanta. Ed è confortante apprendere che la sua Gaia sia attratta dall'idea della conoscenza come tratto distintivo degli esseri umani, «soprattutto perché è un'idea di speranza». È ancora più confortante apprendere che la sua Gaia – a differenza di quella di Lovelock – ci incita all'assunzione di «qualche responsabilità». Tuttavia, se la Gaia di Volk vuol essere coerente, dovrà a questo punto rinunciare a vedere negli esseri umani nient'altro «che organismi respiratori straordinariamente prolifici, ma davvero nulla di speciale». Ma in fondo lo stesso dovrebbe fare la Gaia di Lovelock. Non è forse vero che fin dal suo primo libro del 1979 Lovelock ha riconosciuto che «noi siamo le sole creature su questo pianeta che abbiano la capacità di raccogliere e accumulare informazioni e di usarle in modo complesso»? Proprio tenendo conto di questo, Lovelock scriveva: «Se noi siamo una parte di Gaia diventa interessante chiederci: "In quale misura la nostra intelligenza collettiva è pure una parte di Gaia? Costituiamo noi come specie un sistema nervoso gaiano e un cervello che può coscientemente anticipare i mutamenti ambientali?"». Non è forse vero che Lovelock sottolineava lì che proprio grazie all'«evoluzione dell' Homo sapiens, con la sua capacità inventiva tecnologica e la sua sempre più sofisticata rete di comunicazioni», Gaia aveva «enormemente accresciuto la gamma di percezioni» a sua disposizione? Non è forse vero che – così si aggiungeva – «attraverso noi» Gaia «è ora conscia di se stessa»? (Lovelock, 1979b, pp. 174-76).

Oggi è quanto mai evidente che dobbiamo «mostrare un po' di rispetto» nei confronti di Gaia e che ci sono buoni motivi per prendere sul serio «l'enigma che più d'ogni altro merita d'esser risolto». Ma, lasciando emergere un po' di sano antropocentrismo, ci è forse ancora concesso di credere che dovremmo avere quel rispetto e cercare di risolvere questo enigma soprattutto per un motivo: «Far sì – come pensava Gould – che questo interessante esperimento possa continuare, almeno per un altro secondo planetario o due».

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