Copertina
Autore Achille Bonito Oliva
Titolo L'arte e le sue voci
SottotitoloL'arte è un «dimenticare a memoria»
EdizioneAllemandi, Torino, 2006 , pag. 118, ill., cop.fle., dim. 12x19,4x1,1 cm , Isbn 978-88-422-1475-5
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe arte , critica d'arte
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Indice


  9 SILVIA EVANGELISTI
    ABO critica ad arte

 13 ACHILLE BONITO OLIVA
    Introduzione

 15 Gli incontri

 93 Lo «stand»

 96 L'asta

111 Supercalifragilistichecollezionistoso
    Intervista a Stefano Sciarretta
    di Gianluca Marziani


 

 

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Pagina 27

Le tentazioni di un archi/pittore

ETTORE SPALLETTI


ABO: Ettore Spalletti, pensi che il «dimenticare a memoria» sia l'effettivo miracolo, l'ossimoro del processo creativo? Nel tuo lavoro c'è questa coesistenza di opposti, perché la tua opera è portatrice di tutto, ma non c'è la traccia di un diario quotidiano. C'è l'opera che poi diventa oggettiva, anzi, essendo astratta non è testimone né a carico né a favore nemmeno di te stesso...

ES: Mi fa molto piacere quello che dici.

ABO: Grazie, però devi dirmi se sei d'accordo e perché.

ES: Sono d'accordo. Posso parlarti del colore, forse parlando del colore rispondo a quello che tu mi chiedi. I miei colori non sono mai colori di superfici, sono sempre colori atmosferici. Ad esempio, perché uso l'azzurro? L'azzurro è un colore che non si presenta mai attraverso la superficie del suo esistere, ma è un colore nel quale siamo immersi continuamente, e così il rosa... Uso il rosa perché è il colore dell'incarnato, quindi ha sempre la possibilità di trasformarsi a seconda della nostra emozionalità. E questi sono i colori che per questa ragione caratterizzano il mio lavoro. Uso il grigio, perché il grigio è anche un colore neutro, ma è un colore che accoglie sempre tutti gli altri. E allora che cosa significa un colore? Significa stare dentro il colore e capire dove può portarti l'immaginare di un colore. Io alcune volte non so riconoscermi; un giallo mi porta così lontano e dentro la luce, che non so nemmeno se sono un pittore astratto o figurativo e altre volte mi piace anche raccontarmi così, come figurativo, perche dove puo portarmi il colore è sempre un luogo diverso, ma è sempre un luogo che si apre dentro di me, dentro regole e ragioni diverse. Ho risposto, va bene?

ABO: Va bene, mi è piaciuto molto ciò che hai risposto. Io penso che in qualche modo sia vero, la tua pittura fa di te un pittore figurativo, perché in realtà, attraverso il disegno e attraverso il colore, attraverso la vaporizzazione del colore, ma anche attraverso il colore come polvere, c'è l'idea del tempo e dello spazio; quindi tu descrivi la realtà con queste dimensioni linguistiche.

ES: Infatti, spesso do anche dei titoli «figurativi» ai miei quadri, ma per me è anche importante parlare di un'altra cosa.

ABO: Cioè?

ES: Dire che miei lavori sono intoccabili e che esprimono sempre un grande valore: il desiderio tattile. Tutti quanti desiderano toccarli...

ABO: ...E lasciano le loro impronte...

ES: ...E io dico invece che non bisogna toccarli e molti mi rimproverano, chiedendomi perché io porti a valori cosi alti il desiderio tattile per poi proibire la tattilità. Io penso che questo sia anche nel senso della vita: stiamo toccando troppo e tutto ma non è che dobbiamo toccare per forza le cose che amiamo toccare.

ABO: È il caso di dire che tu hai l'essenza dell'arte: l'arte è complessa, ambivalente, ambigua, amorale e morale nello stesso tempo. L'arte ha una sua complessità: e allora è interessante che tu istighi alla tattilità ma poi la impedisca... pure con il prezzo: visto quello che costano, i tuoi quadri li possono toccare soltanto i ricchi! Ma questa è solo una battuta... In ogni caso è vero, il tuo lavoro sviluppa la tentazione. Vorrei parlare del tema della tentazione... di sant'Ettore. Come si esprime il processo creativo, il momento della tua massima immersione nella vita?

ES: Quella cosa io non so mai come cercarla e dove cercarla e quando succede. Per mia abitudine, mi piace passare molto tempo in studio e non sempre per fare delle cose... Ci sto un po' per passeggiarci intorno e sentire intorno a me il colore. Dopo questo percorso che si allunga per settimane, a volte anche di più, e con la luce, che rende i colori sempre diversi, allora si entra in un «luogo», e in un certo momento tu hai la possibilità di fare una cosa e forse di dipingere un quadro. Forse è questo il momento più bello. Poi, una volta nato, il quadro si allontana da me. Adesso non voglio più accompagnare i miei lavori quando vengono esposti. È passato tanto tempo, ne ho accompagnati tanti per trent'anni...

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Pagina 61

Un artista apostolico anconetano

ENZO CUCCHI


ABO: Voglio iniziare l'interrogatorio serrato che farò a Enzo Cucchi chiedendogli se il processo creativo permetta di dimenticare qualcosa: il mondo, la realtà, il proprio itinerario, la propria biografia. L'artista può effettivamente dimenticare a memoria?

EC: Le cose le fai tutte con la testa vuota, se no stai facendo un'altra cosa. È evidente che quando lavoro, lavoro a testa vuota, quindi ho dimenticato tutto.

ABO: Ma l'artista parte con la testa vuota o la svuota strada facendo?

EC: Non è che parta con la testa vuota. L'artista fa sempre il contrario, è un portatore sano, quindi raccoglie, carica tutto quello che c'è all'esterno. Comunque deve avere talento per scaricare tutto quello che ha raccolto. Una volta vuotata la testa, l'artista sta bene.

ABO: Sta bene fisicamente?

EC: Si, anche. Ma oggi è più difficile. Pensiamo a «Guernica»: può essere un quadro più o meno buono, ma si sa com'è stato fatto, anzi come l'hanno fatto.

ABO: Com'è stato fatto?

EC: È stato fatto dagli altri, dalla realtà, da quello che succedeva, all'esterno, da qualcosa che c'era fuori.

ABO: Siccome sono un po' come l'avvocato di Cucchi, vorrei spiegare al pubblico che cosa intende dire con questa sua risposta. Durante l'occupazione di Parigi da parte dei nazisti (i nazisti, lo dico in maniera molto ironica, erano anche persone colte, che amavano Beethoven, la musica e la pittura), un alto ufficiale chiese a Picasso se fosse lui l'autore di «Guernica». L'artista rispose: «Siete voi gli autori di Guernica». Come tutti sanno, infatti, è un quadro fatto sotto lo shock collettivo (ma soggettivo per l'artista) provocato dal primo bombardamento a tappeto nazista su un piccolo paese basco, Gernika, appunto, a mezzogiorno di un sabato. Quindi il quadro in questo caso parte dall'esterno, da un'occasione che permette l'inciampo felice della creazione, l'emozione, lo shock dell'artista. Ma io voglio chiedere a Enzo in che modo l'artista si libera dello shock e proceda per determinare la forma finale dell'opera.

EC: L'artista fa esattamente il contrario, non è per niente autoreferenziale, da nessun punto di vista, quindi c'è come un vizio assurdo, enorme, di scaricare tutta questa cosa, e quindi si deve liberare, punto e basta. Tu sai che cosa vuol dire essere un artista: vuol dire occuparsi dei segni, delle cose che segnano. Nel caso di «Guernica» la storia è stata scaricata sul segno.

ABO: Ma sei d'accordo sul fatto che «Guernica» non sia un capolavoro?

EC: Certo che non lo è, ma io non volevo dirlo. Non è importante dare giudizi. È molto più interessante continuare a pensare se sia possibile immaginare qualcosa. Perché se noi formuliamo un giudizio formale non riusciamo a capire che cosa sta succedendo adesso, non vogliamo vederlo. Io sono curioso, perché altro non posso fare, non ne sono capace. Sono più curioso io di voi. Voi avete qualcosa nella testa.

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