Copertina
Autore Marco Boschini
Titolo Viaggio nell'Italia della buona politica
SottotitoloI piccoli comuni virtuosi
EdizioneEinaudi, Torino, 2012, Passaggi , pag. 128, cop.fle., dim. 14x22x0,9 cm , Isbn 978-88-06-21022-9
LettoreRiccardo Terzi, 2012
Classe paesi: Italia: 2010 , politica , ecologia , beni comuni , citta' , urbanistica
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Indice


  3 Trailer
  7 Soggetto

  9 Metti quattro amministratori...
    Brevi cenni sulla nascita dei Comuni Virtuosi


 21 Primo tempo. Comuni virtuosi

 23 Il paese dove copiare è un vanto
    Come costruire buone politiche

 31 Dal letame nascono i fiori
    Come trasformare una discarica in un luogo di comunità

 38 Città solari, città eoliche
    Come arricchire una città con le energie alternative

 44 Il killer silenzioso sconfitto dal buon senso
    Come bonificare una catastrofe

 48 L'Italia è una Repubblica fondata sul cemento
    Come salvare una città con un piano regolatore

 60 Il bosco che vorrei
    Come recuperare le foreste perdute

 64 Il sindaco poeta e la comunità virtuosa
    Come riqualificare un borgo

 69 Il parco incantato
    Come proteggere un parco


 73 Intermezzo
 75 Il ministro delle Piccole Opere


 77 Secondo tempo. Ritratti virtuosi

 79 Se sei bravo ti tirano le pietre
    L'onestà di Vincenzo, sindaco di Camigliano

 86 Porta la sporta
    L'idea di Silvia, cittadina del mondo

 92 Quando la vita ti prende a schiaffi
    L'esempio di Elisabetta, cittadina di Parma

 96 La nostalgia del futuro
    Il blog di Francesco, cittadino di Procida

104 Il presidente
    L'impegno di Luca, sindaco di Monsano


109 Approfondimento
111 Diamo i numeri

121 Titoli di coda
123 Il tempo passa, e la politica non cambia. O forse sí
125 La mia Italia dentro a una valigia: ringraziamenti


 

 

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Pagina 13

Nell'ottobre del 2004, nella mia Colorno, organizzammo una sorta di «numero zero» dei Comuni Virtuosi, un convegno aperto a tutte le amministrazioni italiane che volevano incontrarsi e condividere buone idee. Parteciparono una trentina di sindaci del Nord e del Centro Italia, oltre al sindaco di Melpignano in rappresentanza del Sud. In quell'occasione, oltre ad approfondire nuovi progetti e a tessere una fitta rete di legami e contatti, condividemmo una bozza di Statuto e redigemmo un Manifesto dei Comuni Virtuosi, documento che ancora oggi è «inciso» nelle delibere di approvazione che ogni comune deve approvare in consiglio per diventare socio della rete.


Il presente Manifesto rappresenta i Comuni e i cittadini che aspirano a convertire in progetti concreti i sogni e le utopie realizzabili.

Il comune virtuoso ama il proprio territorio, ha a cuore la salute, il futuro e la felicità dei propri cittadini. Il comune virtuoso adotta tutte quelle misure che diffondono nuove consapevolezze e vuole soddisfare bisogni ed esigenze concrete nel campo della sostenibilità ambientale, urbanistica e sociale.

Intervenire a difesa dell'ambiente, migliorare la qualità della vita e tutelare i Beni Comuni, intesi come beni naturali e relazionali indisponibili che appartengono all'umanità, è possibile. Questa possibilità la vogliamo vivere non piú come uno slogan ma come possibilità concreta, consapevoli che la sfida di oggi è rappresentata dal passaggio dalla pur importante enunciazione di principi alla prassi quotidiana.

I Comuni Virtuosi hanno dimostrato che:

- è possibile (ed economicamente conveniente) aspirare a una ottimale gestione del territorio, all'insegna del principio ispiratore del «no consumo di suolo» (opzione cementificazione zero, recupero e riqualificazione aree dismesse, progettazione e programmazione del territorio partecipata, bioedilizia, ecc.);

- è possibile (ed economicamente conveniente) ridurre l' impronta ecologica della macchina comunale attraverso misure e interventi concreti ed efficienti (efficienza energetica, acquisti verdi, mense biologiche, ecc.);

- è possibile (ed economicamente conveniente) ridurre l'inquinamento atmosferico promuovendo politiche e progetti concreti di mobilità sostenibile (car sharing, car pooling, trasporto pubblico integrato, piedibus, scelta di carburanti alternativi al petrolio e meno inquinanti, ecc.);

- è possibile (ed economicamente conveniente) promuovere una corretta gestione dei rifiuti, visti non piú come un problema ma come risorsa, attraverso la raccolta differenziata «porta a porta» e l'attivazione di progetti concreti tesi alla riduzione della produzione dei rifiuti (progetti per la riduzione dei rifiuti e riuso, ecc.), in una politica che aspira al traguardo «rifiuti zero»;

- è possibile incentivare nuovi stili di vita negli enti locali e nelle loro comunità, attraverso politiche e progettazioni atte a stimolare nella cittadinanza scelte quotidiane sobrie e sostenibili (autoproduzione, filiera corta, cibo biologico e di stagione, sostegno alla costituzione di gruppi di acquisto, turismo e ospitalità sostenibili, promozione della cultura della pace, cooperazione e solidarietà, disimballo dei territori, diffusione del commercio equo e solidale, banche del tempo, autoproduzione, finanza etica, ecc.), favorendo il piú possibile l'autoproduzione di beni e lo scambio di «servizi», sottraendoli al mercato per una società della sobrietà ispirata ai temi della decrescita.


Maturammo in quei giorni la consapevolezza che dovevamo dotarci di un coordinamento nazionale, per riuscire a incidere con maggior forza nella realtà e far conoscere i nostri progetti e le sperimentazioni avviate. Tutti, infatti, ognuno per il proprio ruolo e per la propria esperienza territoriale, ci eravamo accorti che nel sistema politico attuale e nei partiti tradizionali, di destra come di sinistra, non c'era grande spazio e sensibilità per le questioni a noi care. L'ambiente era un corollario, confinato negli uffici e sulle scrivanie di assessori spesso isolati dal resto del gruppo, che avevano l'opportunità di portare avanti singoli progetti anche significativi nel contesto però di un'azione di giunta complessiva che spesso si rimangiava i pochi risultati conseguiti dal singolo con un governo della città decisamente impattante e insostenibile...

Fu allora che ci mettemmo insieme: Colorno, Monsano, Melpignano e Vezzano Ligure, i famosi «quattro amici al bar» della canzone di Gino Paoli. Il 23 maggio del 2005, nella sala consiliare del municipio di Vezzano, davanti a un notaio della zona, nacque l'Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi.

Quattro comuni molto distanti tra loro, diversissimi per dimensioni e caratteristiche sociali, economiche, culturali. Quattro esperienze diverse, portate avanti da altrettanti amministratori che si erano conosciuti quasi per caso solo pochi mesi prima in un luogo improbabile sulle colline tra Gubbio e Perugia. È cosí che nascono i Comuni Virtuosi, una rete che oggi conta una sessantina di iscritti in tutto il territorio nazionale per circa 440 000 abitanti residenti.

Il centro della nostra azione di divulgazione e ricerca si è sviluppato intorno al sito www.comunivirtuosi.org , che raccoglie un'immensa banca dati a disposizione di chiunque voglia attingervi, potendo contare su migliaia di documenti, atti amministrativi, notizie e materiale didattico per replicare quelle idee che altrove hanno dimostrato sul campo di funzionare: dai rifiuti zero all'efficienza energetica, dallo stop al consumo di territorio all'acqua del sindaco, dai prodotti alla spina ai progetti di mobilità dolce. Delibere, regolamenti, capitolati e bandi di gara: strumenti pronti per l'uso, a disposizione di tutti quegli amministratori di piccoli e piccolissimi comuni (la gran parte degli 8101 comuni italiani) che spesso, per carenza di fondi, di tempo, di personale, non riescono a occuparsi delle questioni ambientali.

La nostra associazione mette in pratica ciò che ci veniva vietato quando eravamo bambini, vi ricordate? La maestra ci sgridava ogni volta che ci scopriva a sbirciare dal foglio del nostro vicino di banco, che il pomeriggio precedente lo aveva trascorso sui libri a preparare la verifica di italiano, mentre noi eravamo giú in cortile a dare calci a un pallone... I nostri comuni si copiano a vicenda, e lo fanno alla luce del sole, senza vergogna. Copiano perché in questo caso è cosa buona e giusta: contare sull'esperienza altrui aiuta a evitare errori, risparmiare tempo e soprattutto denaro (pubblico).

Intorno e oltre al sito dei Comuni Virtuosi, l'associazione ha attivato progetti e iniziative nazionali che assolvono tutte quante al primo obiettivo della rete: narrare il buon senso, far sapere all'opinione pubblica che esiste anche un modo virtuoso di fare politica, che si può stare dentro le istituzioni con trasparenza, spirito di servizio, onestà, concretezza e, appunto, buon senso. Mettere insieme tutto questo, dare il giusto peso alle cose, far sí che da una buona idea e intuizione ne possano nascere altre, contribuendo al loro germoglio.

Il Premio dei Comuni a 5 stelle è un concorso nato nel 2007 proprio da questo presupposto, e in questi primi cinque anni ci ha consentito di scoprire e premiare alcune delle piú incredibili esperienze in campo ambientale mai viste nel nostro Paese.

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Pagina 38

Città solari, città eoliche

Come arricchire una città con le energie alternative


Consumare meno energia, ridurre il trasporto privato, limitare il consumo di territorio, produrre meno rifiuti: quattro obiettivi da raggiungere per vivere in pace e bene nella propria comunità. Sono i traguardi verso i quali è orientato fin dalla nascita il piano «Città solare», lanciato nel 2005 dall'amministrazione comunale di Portogruaro, 25 000 abitanti, in provincia di Venezia.

A tirare le fila del progetto nel 2005 c'era Ermes Drigo, un omone con la barba bianca piú simile a un Babbo Natale piuttosto che a un semplice consigliere comunale con deleghe alla qualità urbana e alla vivibilità.

In sei anni il comune ha compiuto parecchi passi avanti, soprattutto sul piano dell'energia. La presunzione di poter contribuire a livello locale al perseguimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto ha spinto il comune a mettere in campo una politica energetica concreta e virtuosa, volta ad accrescere l'efficienza e il risparmio negli edifici e nella pubblica illuminazione, realizzando una graduale conversione all'uso delle rinnovabili.

Come spesso accade, è dalle situazioni di emergenza e apparente irrimediabilità che nascono e prendono corpo le eccellenze che vedo in giro per l'Italia da qualche anno a questa parte. A Portogruaro l'emergenza aveva la forma e le dimensioni di una centrale a turbogas che la provincia voleva costruire. Dal no iniziale si formò una larga coalizione politico-amministrativa sostenuta da buona parte della comunità locale, che portò Ermes Drigo e il suo gruppo a vincere le amministrative e diventare cosí classe di governo del territorio.

Drigo non si limitò però a protestare, organizzò e pose le basi per rendere inutile e obsoleta la realizzazione dell'impianto contro cui erano scesi in campo candidandosi alla guida del comune. Nacque cosí l'idea del progetto «Portogruaro città solare», un piano per la diffusione nel comune dell'energia da fonti rinnovabili.

Alla base del progetto c'era l'idea che per vivere meglio è necessario consumare meno energia e ridurre il trasporto privato a favore di quello pubblico, nonché contrastare il consumo eccessivo del territorio e produrre meno rifiuti. Data la complessità degli obiettivi, gli amministratori hanno buttato la palla piú in là della scadenza naturale del loro mandato, essendo questo un progetto a lungo termine, che dovrà essere portato avanti anche dalle prossime giunte che si alterneranno alla guida del paese.

Già questa, di per sé, rappresenta una piccola rivoluzione culturale: uno dei grandi vizi e limiti della politica nostrana è proprio quello di non avere una programmazione di lungo respiro, una visione ampia e lineare del futuro, ma di fare scelte e stendere l'agenda dell'azione amministrativa piú per fare cose in fretta e molto ben visibili, con l'obiettivo di alimentare il consenso necessario a quel sindaco, quel governatore, quel deputato, che all'elezione seguente potrà farsi rieleggere in carrozza.

A Portogruaro prima di tutto hanno realizzato le cose che non si vedono, che non fanno notizia, ma che consentono quando si parla di energia di risparmiare un sacco di denaro pubblico e di ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera. Come primo passo è stata effettuata una valutazione energetica di 32 edifici pubblici (prevalentemente scuole), scoprendo che gli stessi registravano un consumo medio di 200 kWh per metro quadrato, valore decisamente elevato.

Di conseguenza si sono posti come primo obiettivo quello di agire al meglio su questi edifici, in modo tale da portarli tutti gradualmente a un consumo non superiore ai 50 kWh per metro quadrato.

Non potendo realizzare contemporaneamente interventi complessi, e in alcuni casi molto costosi, su tutti i fabbricati in questione, la riqualificazione energetica è partita da alcuni lavori di manutenzione che si sarebbero comunque dovuti attuare, in modo da ottimizzare i costi e non dover rifare i lavori piú volte (come troppo spesso accade nella pubblica amministrazione).

Nel complesso i consumi si sono ridotti del 30 per cento; parallelamente è stato approvato un allegato energetico al regolamento urbanistico comunale, vista la totale assenza di un piano energetico regionale o provinciale. Quel regolamento rappresentava un messaggio nella bottiglia per tutti i cittadini e i costruttori della zona: si decise infatti di premiare quanti avrebbero costruito edifici a basso consumo energetico, grazie a una riduzione degli oneri di urbanizzazione da pagare in proporzione alla classe energetica del fabbricato.

Poi Drigo pensò che il comune avrebbe dovuto aprire un canale informativo per la cittadinanza, e si inventò la figura dell'Energy Manager, coinvolgendo la sezione locale di Legambiente e alcuni comuni limitrofi. E cosí, un giorno alla settimana, l'architetto del comune è a disposizione di quanti hanno richieste in campo energetico.

Da questa esperienza è nato anche uno dei primi gruppi di acquisto in Italia per le energie rinnovabili, grazie al quale molti cittadini di Portogruaro hanno installato a prezzi piú convenienti del mercato pannelli solari e fotovoltaici per i consumi delle proprie abitazioni.

L'iniziativa ha avuto senza dubbio un grande successo. Oltre alla determinazione della giunta e di tutta l'amministrazione comunale, il vero motore dell'esperienza è stato, credo, il metodo partecipativo e inclusivo che ha investito i cittadini della comunità di un protagonismo non scontato, forte, concreto. La gente ha percepito che quello non era un progetto di parte, che pioveva dall'alto di una squadra di governo estremista contro ogni tipo di progresso, ma un'idea diversa di gestione di un problema effettivo (come alimentare le case, gli edifici pubblici, le aziende di un territorio) riducendo l'inquinamento e ottenendo un risparmio economico effettivo.

I cittadini sono stati informati delle scelte che i politici avevano in mente, e sono stati chiamati a partecipare: tutto è stato messo sul tavolo della comunità, e da quel tavolo ci si è alzati con una proposta condivisa, per la collettività. Intervistato qualche tempo fa per il portale Terranauta, Drigo rispondeva cosí al cronista incuriosito dall'esperienza energetica del suo comune:

Abbiamo l'ambizione che con l'esempio, tramite il raggiungimento di risultati concreti, si possano spingere altre amministrazioni a intraprendere percorsi simili a quello scelto da Portogruaro.

Ciò che ci fa comunque piacere notare, ed evidenziare, è che sempre piú Comuni ci invitano a partecipare a eventi e incontri pubblici, per portare la nostra testimonianza. Questo palesa un interesse senza dubbio via via crescente in Italia. Cogliamo volentieri tutte queste occasioni per farci conoscere, per comunicare la nostra esperienza e sollecitare l'azione di altri.


Un altro comune che sta provando, riuscendoci, a rendersi indipendente da un punto di vista energetico, dimostrando nei fatti che in questo Paese la politica delle grandi centrali (comunque le si alimenti) non ha piú alcun senso, è Tocco da Casauria (Pescara), sullo sfondo delle verdi montagne abruzzesi, dove l'antica cittadina produce grazie alle pale eoliche piú energia elettrica di quella che consuma, e con il surplus finanzia il trasandato bilancio comunale.

Come scriveva l'inviata del «New York Times» che dedicò un'intera pagina alla piccola comunità di 3000 anime in provincia di Pescara: «Tocco e tante altre piccole comunità che puntano sulle energie rinnovabili fanno fare bella figura a un Paese che è noto piú per la spazzatura che per l'ecocittadinanza».

La molla è stata economica piú che ambientale: l'alto costo delle tariffe elettriche. Le energie rinnovabili si sono rivelate la «salvezza economica» per piú di 800 comunità italiane che, secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno da Legambiente, producono piú energia di quella che usano grazie alla recente installazione di nuovi impianti.

Per Tocco è stata una manna: grazie agli introiti dell'elettricità prodotta non impone tasse locali né tariffe per servizi come la nettezza urbana. «Dal punto di vista dell'energia Tocco è il futuro», visto che, oltre alle turbine eoliche, dispone anche di pannelli solari.

L'Italia - continua l'articolo - è un posto «improbabile» per una rivoluzione dell'energia rinnovabile. È stata ripetutamente criticata dall'Unione Europea per il mancato rispetto delle sue direttive ambientali. Secondo gli esperti, non è in carreggiata per realizzare gli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni né il proprio impegno di ottenere il 17 per cento della sua energia globale dalle rinnovabili entro il 2020. Attualmente, solo il 7 per cento dell'energia italiana proviene da fonti rinnovabili.

I costi delle energie rinnovabili sono invece scesi, anche grazie agli incentivi. Il sindaco Riziero Zaccagnini, appena conclusi gli studi a Roma, si è mobilitato per le nuove turbine e nel 2007 è stato eletto. Con quattro turbine eoliche Tocco genera il 30 per cento in piú dell'elettricità che consuma. Con l'energia verde ha guadagnato solo nel 2010 170000 euro.

Ha cosí potuto adeguare la sua scuola a criteri antisismici e triplicare i fondi per pulire le strade. I pannelli solari invece danno un introito di 1500 euro all'anno.


Le esperienze di Portogruaro e Tocco da Casauria raccontano in modo esemplare l'alternativa non ideologica, ma di sostanza, al nucleare e alle fonti fossili: questa alternativa prende corpo e gambe con una colossale operazione di riqualificazione energetica a partire dagli edifici pubblici, con una politica che ricomincia a dare il buon esempio coibentando scuole e sedi istituzionali, eliminando gli sprechi nelle strutture sportive e nei musei, promuovendo il risparmio e l'efficienza nelle biblioteche e negli ospedali, e cosí via.

Tagliando i consumi e la bolletta energetica comune per comune, riducendo la distanza dell'energia dal luogo di produzione all'utilizzatore finale, accompagnando il tutto con una sana produzione da fonti rinnovabili (solare termico, fotovoltaico, geotermico, mini-idroelettrico, eolico), ciò che ci dicono queste due esperienze e le altre centinaia sparse qua e là in giro per l'Italia è che agli italiani servono politici che intendono la gestione della cosa pubblica come padri e madri di famiglia, amministrando i conti dello Stato come il salvadanaio di casa, con la stessa cura, parsimonia ed equilibrio.

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Pagina 48

L'Italia è una Repubblica fondata sul cemento

Come salvare una città con un piano regolatore


                Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi.

                Per lui una parte di terra è uguale a un'altra, perché è come
                uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della notte e
                carpisce alla terra tutto quello che gli serve.

                La terra non è suo fratello ma suo nemico e quando l'ha
                conquistata passa oltre.

                Egli abbandona la tomba di suo padre dietro di sé e ciò non lo
                turba.

                Rapina la terra ai suoi figli, e non si preoccupa.

                La tomba di suo padre, il patrimonio dei suoi figli cadono
                nell'oblio.

                Egli tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come
                cose da comprare, sfruttare, vendere come si fa con le pecore o
                con le perline luccicanti.

                La sua ingordigia divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo
                deserto

                                                    Capo Seath (Seattle) [1854]



In Italia, il consumo annuo di cemento è passato dai 50 kg pro capite del 1950 ai 400 kg del 2007. Una tendenza alla crescita sotto gli occhi di tutti e che non pare arrestarsi, neanche in tempo di crisi.

Anzi, è un passaggio cruciale di quasi tutti i comizi e di tutti i dibattiti televisivi, l'affermazione del politico di turno che la crisi si batte con l'edilizia e con le grandi opere. La cazzuola e la betoniera sono diventati il simbolo dello sviluppo, del progresso e della riscossa tutta italiana e il consumo di territorio ha assunto dimensioni davvero molto inquietanti.

Seguendo un modello di sviluppo funzionale solo alla sommatoria di interessi singoli e per nulla orientato da un disegno complessivo che miri all'innalzamento del livello di benessere collettivo e alla salvaguardia del bene comune, il nostro Paese ha cavalcato negli ultimi decenni un'urbanizzazione estesa, veloce e talvolta violenta.

Un vero e proprio cancro che avanza alla velocità di oltre 100 kmq all'anno, 30 ettari al giorno, 200 mq al minuto. Dal 1950 a oggi, un'area grande quanto il Trentino Alto Adige e la Campania è stata seppellita sotto il cemento. Una goleada, spesso realizzata tra il tripudio dei tifosi: edilizia residenziale, artigianale e industriale, megacentri commerciali, outlet, città satellite. Conditi dei relativi svincoli, raccordi autostradali e rotonde.

Dinamiche molto complesse, che però sono il risultato di un fatto molto semplice: la cementificazione non è stata mai considerata un'emergenza nazionale. Nonostante i numeri allarmanti, gli eventi disastrosi che si ripetono ogni anno, le numerose e quasi quotidiane denunce, che paiono essere l'eco dell'urlo lanciato negli anni Settanta da Antonio Cederna , il consumo di territorio non è percepito dalle grandi masse come un problema, e non viene quasi mai rappresentato come tale da chi detiene i mezzi per farlo.

Però, all'occhio sensibile, l'Italia appare sempre piú come una terra in svendita e sotto assedio. Cantieri che spuntano anche in posti impensabili, senza risparmiare parchi, zone protette e sottoposte a vincoli, di natura ambientale, paesaggistica o architettonica. Anzi, solitamente, piú le aree sono pregiate, piú sono appetibili per il mercato: basti pensare che in alcuni tratti della costa ligure si è incominciato a costruire nel mare. Il dissesto idrogeologico è sempre piú manifesto. Piangiamo tutti gli anni decine di sue vittime.

Ma poi, passata la bufera, ritorniamo a idolatrare le gru o le suggestive grandi opere. Il patrimonio naturale e artistico che ci viene invidiato dal resto del mondo è sempre piú compromesso. Si cominciano a notare alberghi chiusi e spiagge vuote, e gli stessi italiani, sempre piú volentieri, preferiscono cercare all'estero la meta per le loro vacanze.

L'agricoltura scivola costantemente verso l'impoverimento, sia economico che culturale, con grandi e fertili territori che sono passati (consapevolmente o meno) da una sana vocazione agricola, che però comporta pazienza e fatica, a un'ammaliante vocazione edilizia, che rende ricchi subito e senza sudore.

I contadini, potenziali protagonisti di una rinascita produttiva per il paese, sempre piú difficilmente riescono a resistere di fronte alle offerte di speculatori senza scrupoli, per i quali la terra è solo una preda, da addentare e divorare, senza alcun riguardo nei confronti della sua rigenerazione ecologica.

Infine, le identità e le peculiarità di paesi e città sembrano destinate a perdersi in un unico anonimo e piatto contenitore. Agglomerati urbani del tutto simili e sovrapponibili tra loro (siano essi un quartiere di Roma, di Bari, di Torino o di Napoli), che non restituiscono la storia del luogo ma che sono modelli preconfezionati, buoni in Pianura Padana come nel Tavoliere delle Puglie.

Insediamenti residenziali fuori le mura, che svuotano i centri storici per indirizzare le vite delle famiglie verso scialbe periferie, invitandoli a passeggiare in centri commerciali dai panorami artificiali. Sobborghi che azzerano le relazioni sociali tra le persone e che tutto favoriscono tranne che la nascita e il mantenimento nel tempo di un senso di appartenenza a una comunità.

Forse è giunto il momento di prendere atto con responsabilità che l'Italia è malata e agire di conseguenza. Sempre che non sia troppo tardi. Guardando all'esperienza del piccolo comune di Cassinetta di Lugagnano (Milano), sembrerebbe proprio di no...

[...]


Quando nel 2002 cominciarono a scrivere il programma della «Lista Civica per Cassinetta» da presentare alle elezioni comunali, giunti al capitolo urbanistica, i candidati non ebbero nessuna esitazione: «Dobbiamo invertire la rotta, dobbiamo immaginare e praticare una politica diversa». Politica che è risaputo, a livello locale, ruota tutt'intorno all'urbanistica, considerata una vera e propria manna delle istituzioni locali. L'obiettivo, semplice e dichiarato, era quindi: fermarsi, far respirare la terra e lanciare un messaggio nuovo e inequivocabile, anche agli altri comuni. Dare un segnale di speranza, e dimostrare con i fatti che non è impossibile disegnare un piano regolatore che non sia la traduzione delle aspettative del partito del cemento.

La lista civica vinse con il 50,1 per cento dei voti. In Lombardia, terra padana. Nello stesso comune dove Formigoni, Bossi e Berlusconi veleggiano a ogni consultazione attorno al 65 per cento.

La prima parola d'ordine di questa rivoluzione si chiama trasparenza, che è sinonimo di informazione. Nel senso che la giunta ha intuito subito che fare a meno degli oneri di urbanizzazione per evitare di approvare varianti urbanistiche a danno del territorio, voleva dire andare incontro a scelte dolorose di taglio di alcuni servizi essenziali per la comunità o, in alternativa, dell'aumento delle tasse locali (Ici e Irpef in primis, ma anche le tariffe dei servizi comunali).

Il comune e la comunità, quindi, erano di fronte a una scelta di campo, direi quasi epocale: preservare la qualità della vita dei cittadini e il territorio inurbanizzato del paese facendo insieme qualche rinuncia e sacrificio, o trasformare Cassinetta nell'ennesimo paesino dormitorio alle porte della metropoli rovinato da colate di cemento a non finire.

Il sindaco e il suo gruppo di governo hanno cominciato a uscire dal municipio e a entrare nelle case della gente, organizzando incontri, serate a tema, predisponendo questionari e gruppi di lavoro perché tutti sapessero a cosa si stava andando incontro, perché tutti i cittadini potessero liberamente esprimersi e scegliere da che parte stare. L'entusiasmo, le discussioni, si sono propagate come l'alito irruento di un vento estivo che precede un temporale. Nei bar, nel cortile della scuola, in fila alla Posta e nelle vie del mercato settimanale, la comunità ha discusso, sentenziato, proposto e condiviso un'idea e un progetto di futuro che aveva quindi smesso di essere l'intuizione di un sindaco per diventare patrimonio collettivo.

La seconda parola d'ordine della rivoluzione di Cassinetta si chiama esempio, come il buon esempio dato dagli amministratori nei confronti della comunità.

Finiguerra ha pensato che sarebbe stato stupido, e pure un po' arrogante, pretendere dai cittadini uno sforzo (qualche tassa in piú, qualche servizio in meno) per tutelare il paesaggio e non far nulla, da sindaco, nella gestione della cosa pubblica.

Si sono messe cosí in atto azioni e politiche virtuose, che hanno portato nel giro di qualche anno a sottrarre dal ricatto degli oneri di urbanizzazione il bilancio del comune, il vero piano regolatore. Nel Paese europeo in cui piú a lungo si è discusso e si continua a discutere di riforma degli enti locali, sintetizzabile nella parola magica del federalismo, negli ultimi vent'anni gli enti locali sono stati al contrario svuotati di sovranità decisionale, risorse, opportunità. E i sindaci si sono visti costretti a trasformare il territorio consentendo le piú assurde speculazioni e scempi in cambio di denaro, che è andato ad alimentare di anno in anno la spesa corrente con la quale si finanziano servizi essenziali: trasporto scolastico, assistenza agli anziani, attività ricreative e culturali... Svendita del territorio in cambio di servizi, cemento per scongiurare il fallimento del comune.

Sarebbe stato molto piú facile, per il sindaco, consentire la realizzazione di qualche fila di villette a schiera tra i Navigli e il Parco Sud, che riunire intorno a un tavolo giunta e funzionari del comune e analizzare, voce per voce, ogni singolo capitolo che compone un bilancio di previsione e da lí partire per tagliare gli sprechi, cancellare le spese superflue, avviare una seria politica di sobrietà ed efficienza.

Ecco allora che l'auto blu del sindaco è una scassatissima Panda verde; ecco che si smette di fare opere pubbliche utili solo alla creazione drogata di consenso a esclusivo vantaggio degli amministratori di turno per usare e ottimizzare ciò che già esiste, anche se magari nel comune confinante; ecco che l'efficienza energetica negli edifici comunali (scuole, impianti sportivi, municipio) aiuta l'ambiente e anche le casse comunali, perché alla fine dell'anno la bolletta energetica è decisamente piú leggera.

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Se sei bravo ti tirano le pietre

L'onestà di Vincenzo, sindaco di Camigliano


Vincenzo Cenname è un ragazzo di 39 anni che si è laureato come ingegnere ambientale alla Seconda Università di Napoli, ad Aversa. Le nostre storie si incrociano quando, da sindaco della piccola comunità di Camigliano (Caserta), si iscrive alla terza edizione del Premio Comuni a 5 stelle, con una serie di progetti all'avanguardia in campo ambientale nel contesto in cui opera quotidianamente.

Il sindaco Cenname guida il comune grazie alla vittoria alle elezioni amministrative del 2007, anno in cui abbandona i Verdi dove militava da qualche tempo per fondare una propria lista civica e, appunto, vincere le elezioni con il suo gruppo di non politici prestati alle istituzioni.

Camigliano non è esattamente il luogo piú tranquillo e scontato dove mettere in pratica le azioni virtuose sotto la spinta di amministratori illuminati. La provincia di Caserta, e piú in generale la Campania, sono zone d'Italia dove lo Stato ha lasciato troppo spesso e a lungo libero il campo all'Antistato, che come un cancro ha permeato di sé le istituzioni, l'economia, la mentalità di una parte delle comunità locali. È la terra di Gomorra, descritta in modo magistrale da Roberto Saviano.

Qui essere virtuosi significa anche e prima di tutto essere onesti, avere rispetto del proprio ruolo di funzionari pubblici e prestare il proprio operato al servizio della comunità locale. Qui, in queste zone, onestà fa rima con coraggio, a volte con eroismo. Capita anche di morire, a volte, solo per aver scelto di non lasciarsi corrompere, e denunciare al contempo il malaffare e la connivenza strisciante di chi ha invece scelto il lato oscuro della politica.

Come non ricordare, anche solo per un momento, l'assassinio brutale del sindaco pescatore Angelo Vassallo, di Acciaroli, tolto di mezzo nel settembre 2010 perché rifiutava di prendere tangenti, svendere il territorio che amministrava con passione e cura, lasciare spazio e azione ai potenti locali. Ucciso, perché onesto.

E allora suona ancora piú forte in un contesto come questo l'avventura di Vincenzo, che come primo atto da sindaco fa chiudere una cava abusiva a due passi dal centro abitato. La cava, la cui attività procedeva indisturbata da anni prosciugando la collina sovrastante le case di Camigliano, apparteneva a una famiglia importante del paese, le cui ricchezze e fortune economiche erano quanto meno di dubbia provenienza.

Ma Vincenzo non ha paura, o perlomeno riesce a trasformarla in forza per agire, sfruttando al massimo le sue competenze professionali per fermare, legalmente, ciò che di legale aveva davvero ben poco. La cava aveva goduto infatti di un'autorizzazione provvisoria di anno in anno reiterata da amministrazioni conniventi, che non avevano mai avuto il coraggio di spezzare la spirale perversa dell'estrazione della ghiaia, servita per alimentare il traffico delle imprese edili in mano alla camorra. Con un'ordinanza sindacale il comune blocca prima e chiude poi quell'autentico schiaffo ambientale che i cittadini della comunità casertana avevano subito per anni considerandolo come un fatto ineluttabile.

Ma come se questo già non bastasse, il vero capolavoro amministrativo Vincenzo lo fa con i rifiuti. Da vent'anni la Campania subisce una cosiddetta «emergenza rifiuti» che di commissario in commissario, tra sindaci e governatori di regione di destra e di sinistra, nessuno riesce ad affrontare, e che comunque provoca danni enormi al territorio e ai cittadini che lo abitano.

Nel 2007 il sindaco Cenname prende atto che il consorzio provinciale di Caserta, l'ente che stava gestendo il servizio di raccolta dei rifiuti nel suo comune, era del tutto inefficiente e inefficace, visti gli scarsi risultati conseguiti: 10 per cento di raccolta differenziata, tassa rifiuti costantemente in aumento per la popolazione locale, impennata dei costi per il comune. Se a tutto questo aggiungiamo una gestione clientelare del consorzio, divenuto nel tempo uno strumento per creare consenso con posti di lavoro scambiati con i voti, si capisce bene il senso dell'iniziativa di rottura che il sindaco e la sua giunta decidono di prendere.

Nel giro di qualche mese il comune di Camigliano esce dal consorzio (che per questo atto farà ricorso, perdendolo, al Tar) e acquista i mezzi necessari per la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta. Forma una parte del personale del comune per svolgere il servizio, e lancia una campagna informativa rivolta ai circa 1800 abitanti del paese.

Scatta cosí l'operazione porta a porta, grazie alla quale gli abitanti, i dipendenti e gli amministratori di Camigliano si scoprono d'un tratto (in pochi mesi) davvero virtuosi: 65 per cento di raccolta differenziata, riduzione della tariffa, riduzione della produzione complessiva pro capite di rifiuti, risparmio economico per il comune: insomma, a guadagnarci sono l'ambiente, la comunità e le casse comunali.

Non contento, il sindaco ingegnere mette in atto a Camigliano alcune esperienze e progetti che ha imparato conoscendo i Comuni Virtuosi: distribuisce compostiere alle famiglie per la raccolta dell'umido, attiva la raccolta degli olii usati da cucina, conia un'ecomoneta con cui gli scolari del paese acquisiscono incentivi e contributi portando oggetti ingombranti alla stazione ecologica, monta le lampade a LED nel cimitero comunale abbattendo cosí i consumi energetici.

Sperimenta azioni copiandole dal resto d'Italia, sfatando il mito di un Sud incapace di riscatto, dove la politica farebbe sempre e comunque rima con corruzione, sprechi, inefficienze di ogni genere, malaffare. Non è cosí, non sempre, e la storia di Vincenzo è importante ben al di là delle azioni concrete che è stato capace di mettere in campo nel suo territorio, insieme ai suoi concittadini.

In un Paese normale, a questo punto della storia, interverrebbe una sorta di deus ex machina a trasformare un caso apparentemente isolato in prassi consolidata e diffusa. In buona sostanza, nella Campania dell'emergenza rifiuti ventennale, della camorra che del traffico e dello smercio di rifiuti (anche tossici) dentro e fuori regione ha fatto un'economia che macina affari d'oro, il sindaco ingegnere Vincenzo Cenname verrebbe chiamato a insegnare ai suoi colleghi come si fa ad amministrare un comune in modo efficace, risolvendo in pochi mesi ciò che commissari e politici con massimi poteri e drenaggio di risorse pubbliche a non finire non sono stati in grado nemmeno di modificare.

E invece? Succede che da quelle parti, se sei bravo come il sindaco ingegnere, ti tirano le pietre... E sono pietre che fanno male, e feriscono, perché arrivano da quello stesso Stato che avrebbe dovuto premiarti, valorizzando la tua esperienza come modello da replicare, su larga scala.

Succede infatti un giorno, siamo nel gennaio del 2009, che l'allora governo Berlusconi decide di risolvere per legge l'ennesima esplosione dell'emergenza rifiuti a Napoli e dintorni, che i media nazionali stanno nuovamente amplificando creando non pochi imbarazzi alla maggioranza che governa il Paese. Ma siccome non basta scrivere che un problema è risolto sperando che si risolva da solo, puntualmente e periodicamente nei mesi successivi la spazzatura si ripresenterà altre volte nelle strade di Napoli e di molti comuni della provincia.

Nella legge, oltre alla riproposizione di impianti per l'incenerimento e l'apertura di nuove discariche, si impone a tutti i comuni della regione che gestiscono direttamente la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di consegnare i dati della Tarsu e la gestione dei rifiuti a consorzi provinciali, proprio quelli da cui il comune di Camigliano era uscito, quattro anni prima, dimostrandone con i fatti l'inefficienza assoluta.

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Diamo i numeri


«Papà, ma perché invece di fare la guerra quelle due nazioni non si mettono d'accordo e fanno la pace?» I bambini sanno essere micidiali, spesso ti stendono senza tentennamenti con domande tanto semplici e lineari che il piú delle volte ti lasciano senza parole, domande alle quali non riesci mai a dare una risposta soddisfacente.

Credo che la politica dovrebbe imparare qualcosa dalla disarmante semplicità con cui i piú piccoli leggono la realtà, e provare ogni tanto a non complicare le cose, per rispondere alle tante domande della nostra società con ricette semplici, concrete, banalmente efficaci.

Penso che ciò di cui si sta parlando in questo libro abbia molto a che fare con la semplicità, che è poi la caratteristica che accomuna gran parte degli amministratori locali che governano i Comuni Virtuosi. Quella stessa semplicità che consente a centinaia di sindaci in tutta Italia di far quadrare i conti, ridurre l'impatto ambientale, migliorare la qualità della vita delle proprie comunità dando vita a progetti che indicano una rotta possibile, un'altra via.

La semplicità, quella parola e quel modo di agire cosí lontani dalla politica di professione, trova nelle buone prassi ambientali una naturale valvola di sfogo: intervenire a favore dell'ambiente conviene, sotto tutti i punti di vista, ed è forse questo l'elemento di forza dirompente che ha consentito negli ultimi anni di diffondere il virus, positivo, del buon senso.

Proviamo a dare i numeri, allora, mettendo in fila ciò che vorrebbe dire, su scala nazionale, perseguire con lungimiranza quanto di buono, ma di isolato, stanno portando avanti a macchia di leopardo le nostre amministrazioni locali.


1. I rifiuti sono la punta dell'iceberg di un modello di sviluppo insostenibile e autodistruttivo. Ci fanno capire, meglio di ogni altra considerazione sulle condizioni climatiche, che lo sviluppo a ogni costo, la crescita infinita, il mito del prodotto interno lordo sono macigni da rimuovere per poter realizzare un futuro che parli di benessere e qualità della vita.

Ogni anno produciamo sempre piú rifiuti, e per il loro smaltimento la politica nazionale, senza distinzione, sceglie abitualmente la strada piú semplice, la scorciatoia degli inceneritori. Li si maschera chiamandoli con un altro nome (termovalorizzatori), cercando di spostare l'attenzione sulla presunta convenienza energetica nella combustione di materiali postconsumo che, con un minimo di buon senso e una filiera impiantistica corta e sostenibile, potrebbero essere avviati totalmente a recupero e riutilizzo, come dimostra l'esperienza del centro di riciclo di Vedelago, in provincia di Treviso.

Siamo l'unica nazione in Europa ad associare queste micidiali macchine di morte a impianti per la produzione di energia pulita, grazie alla truffa degli incentivi Cip6.

[...]

E ancora oggi, nell'epoca dei rifiuti zero e delle grandi città e paesi che in mezzo mondo hanno cambiato strada, da noi si discute di nuovi inceneritori, perché i nostri amministratori e governanti (di destra come di sinistra) hanno un'unica parola d'ordine: bruciare, bruciare e ancora bruciare. Secondo la nostra associazione basterebbe una legge, pochi articoli semplici e chiari per raggiungere, in un colpo solo, molteplici risultati:

- riduzione dell'impatto ambientale e conseguente abbattimento dell'inquinamento;

- risparmio economico per lo Stato;

- creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro;

- miglioramento della qualità della vita degli italiani;

- superamento della filiera assurda degli inceneritori.

Fantascienza? Semplice provocazione? Entriamo nel merito.

Oggi in Italia sono circa 1500 i comuni che praticano attivamente il sistema di raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta, con l'eliminazione dei cassonetti stradali e la consegna dei bidoncini alle famiglie del territorio. Sono comuni di montagna e di pianura, comuni piccolissimi e città, amministrati da giunte di sinistra e di destra, comuni del Nord come del Centro e del Sud. Insomma, un campione abbastanza eterogeneo e quindi attendibile.

Ovunque le percentuali di raccolta differenziata hanno superato, spesso di gran lunga, le percentuali minime richieste dalla normativa nazionale, con vere punte di eccellenza; su tutti valga il racconto dell'esperienza di Ponte nelle Alpi (Belluno), premiato per due anni consecutivi (non era mai successo nella storia del Premio dei Comuni Ricicloni) come vincitore assoluto per aver sfiorato quota 90 per cento. Le tariffe per i cittadini in questi comuni si abbassano, o perlomeno restano inalterate, e i costi per le pubbliche amministrazioni hanno drastici ridimensionamenti, perché riducendo la produzione complessiva di rifiuti diminuiscono le spese per i sindaci virtuosi.

Mancano all'appello 6600 comuni. Si calcola che se si avviasse un programma nazionale per estendere il porta a porta su tutto il territorio nazionale, con forme incentivanti per i comuni piú o meno virtuosi, si potrebbero creare, nel giro di pochi mesi, circa 250000 posti di lavoro (senza contare tutto l'indotto), spendendo infinitamente meno dei soldi pubblici che buttiamo per costruire inceneritori.

[...]


2. Intervenire invece sull'efficienza energetica degli edifici potrebbe risollevare l'edilizia italiana (che nel 2009 ha perso almeno 94000 posti di lavoro) producendo nuovi investimenti e creando nuova occupazione. Soltanto gli interventi di efficienza energetica nelle scuole e negli uffici pubblici produrrebbero 150000 nuovi posti di lavoro.

È quanto emerge da una recente ricerca del Cnr. Secondo questi dati, in tutta Europa si sprecano ogni anno 270 miliardi di euro a causa dell'inefficienza energetica degli edifici, che rappresentano da soli il 40 per cento del consumo totale di energia superando i trasporti (33 per cento) e l'industria (26 per cento). Una buona strategia per migliorare l'efficienza produrrebbe 530000 occupati, facendo decollare un settore importante della green economy.

In Italia - dove il fabbisogno energetico medio di un edificio è di 200 kWh/mq all'anno contro i 130 della Germania e i 60 della Svezia - sono riconducibili agli edifici il 28 per cento delle emissioni di CO2 e sono proprio gli edifici italiani e spagnoli quelli maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra e delle piú gravi perdite di energia totale, a dimostrazione del loro scarso isolamento termico.

[...]


3. Un'altra ferita aperta del nostro Paese è quella del dissesto idrogeologico. Secondo l'ultimo rapporto dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), riferito al 2010, sono ben 5708 (pari al 70,5 per cento del totale) i comuni interessati da cedimenti e smottamenti. Di questi quasi 3000 sono classificati con un livello di intenzione molto alto, e oltre 1700 con un livello elevato. Numeri che la dicono lunga su quanto siano scellerati piani casa e deregulation edilizie promosse dai vari governi nazionali e locali.

Se alcune tragedie naturali, come i terremoti, sono difficili da evitare e possono essere solo previste, altri disastri, come le frane (470 in cinquant'anni), sono la triste conseguenza di un grave dissesto ecologico iniziato negli anni Settanta e al quale non si è ancora messo riparo.

[...]


4. La crisi economica non ferma mai (chissà perché, direbbe un bambino già scaltro), le spese militari: è quanto si legge chiaramente nell'ultimo rapporto del Sipri, il prestigioso Istituto internazionale di Stoccolma di Ricerche per la Pace, che nel 2009 ha registrato una spesa mondiale di 1531 miliardi di dollari, con un incremento del 6 per cento nell'ultimo anno e una crescita del 49 per cento rispetto all'anno 2000. I primi dieci paesi nella graduatoria delle spese militari assorbono il 75 per cento del totale, con in vetta gli Usa che bruciano 661 miliardi di dollari, pari al 43 per cento del totale, e l'Italia collocata al decimo posto con 36 miliardi di dollari di spesa militare (l'1,7 per cento del Pil) e una spesa pro capite di 598 dollari, piú della Germania, della Russia e del Giappone.

[...]


5. Negli ultimi anni si fa un gran parlare di casta, costi della politica da tagliare, sprechi e privilegi che sarebbero sulle spalle degli attuali italiani e delle future generazioni a causa di istituzioni inefficaci e inefficienti.

Da tutte le parti si pretendono, spesso giustamente, sacrifici e razionalizzazioni, mettendo ai primi punti di questa ipotetica agenda dell'emergenza nazionale l'accorpamento degli enti locali, l'eliminazione delle province e la cancellazione dei comuni sotto i 1000 abitanti.

Personalmente ritengo che, come in tutte le cose, vadano verificati senza demagogia e superficialità i presunti vantaggi derivanti da un'operazione di taglio e cucito di queste proporzioni, distinguendo la questione delle province dai comuni, le comunità montane sul livello del mare dalle unioni di comuni che non fanno altro che replicare e moltiplicare i costi della rappresentanza politica nelle istituzioni democratiche.

I piccoli comuni, al contrario di quanto si pensa, sono spesso oggi scrigni preziosi dentro cui si nasconde la buona politica, spazi positivi di condivisione e contaminazione in cui donne e uomini di buon senso dedicano parte della propria vita al servizio della propria comunità, agendo con coerenza e spirito di sacrificio, trasparenza e fantasia.

Non sono, per essere chiari, la zavorra dello Stato, l'ennesimo inutile livello amministrativo burocratico e superfluo, ma il primo punto di contatto tra cittadini e istituzioni, la mano tesa da uno Stato che si allontana e spreca e si corrode salendo di livello e avvicinandosi al corpo centrale (province, regioni, ministeri...)

Dai piccoli comuni, oggi piú che mai, ritengo si debba ripartire, ogni santo giorno, per rimettere in moto questo Paese trasandato, immerso in un presente senza prospettive.

Dalle comunità locali passa, in buona sostanza, il futuro di cui tutti sentiamo il bisogno.

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