Copertina
Autore Alberto Brodesco
Titolo Una voce nel disastro
SottotitoloL'immagine dello scienziato nel cinema dell'emergenza
EdizioneMeltemi, Roma, 2008 , pag. 190, cop.fle., dim. 120x188x16 mm , Isbn 978-88-8353-662-5
LettorePiergiorgio Siena, 2009
Classe cinema , fantascienza , sociologia
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Indice


  9 Introduzione
    "Cherchez la sciente!". Di fronte al disastro

 11 Una creatura da laboratorio: lo scienziato al cinema

 23 Capitolo primo
    La catastrofe e l'apocalisse come sapere cinematografico

 23 La fotogenia del massacro
 28 Uno sguardo messo a nudo
 31 La nascita dei generi apocalittico e catastrofico
 34 Cinema catastrofico, cinema apocalittico, cinema dell'emergenza
 38 Distopia e disastro
 43 Disastro, cinema, società, immaginario

 55 Capitolo secondo
    Antecedenti: dottori e mad doctor

 56 I "dottori" nel cinema espressionista tedesco
 60 Scienziati e mostri, demoni e dei: gli horror degli anni Trenta

 69 Capitolo terzo
    Lo scienziato e la bomba nella fantascienza della guerra fredda

 73 Paranoie: ultracorpi, alieni e la bomba
 75 La fantascienza e gli scienziati atomici
 83 La guerra dei mondi: tra scienza e preghiera
 87 Dall'Oriente all'Occidente: i due Godzilla
 91 Ultimatum alla Terra: un alieno alla lavagna

 97 Capitolo quarto
    In una luce sospesa: due film di Stanley Kubrick

 97 2001: Odissea nello spazio: l'alba dell'uomo
101 Il dottor Stranamore: crepuscolo

107 Capitolo quinto
    La catastrofe negli anni Settanta: il prevalere dell'imponderabile

108 Disaster-movle
112 Mammuth e pescecani
117 La potenza della distopia

127 Capitolo sesto
    Cinema apocalittico e nuovo millenarismo: lo scienziato salvatore

128 Come un d'jà vu: la caduta delle Torri
133 Lo scienziato in attesa dell'emergenza
135 Il parere dei cervelloni. Scienza e politica
147 Altri buoni, altri cattivi
152 "Abbiamo un esperto di scienze?". Scienza e mass media
155 Con lo scienziato, in fuga dal contagio
158 Senza scienza
161 Quando lo scienziato resta solo
164 Lo scienziato sull'arca

171 Conclusioni
    Una costitutiva ambiguità

179 Bibliografia
183 Indice dei film

 

 

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Pagina 9

Introduzione


"Cherchez la science!". Di fronte al disastro



Capita spesso, al cinema, che il mondo sia colpito da una minaccia alla sua stessa sopravvivenza. I film che descrivono la catastrofe o raccontano l'apocalisse mostrano un paesaggio che si rivela altamente simbolico. Vale la pena, proprio in questi momenti, fermarsi a guardare le reazioni della società: osservare quali dinamiche si mettono in moto, come si comportano le istituzioni e i cittadini, dove si va a cercare un riparo. La rappresentazione del disastro diventa l'enfatico emblema delle tante grandi o piccole crisi che le nostre società sono costrette ogni giorno ad affrontare.

Il riparo pi¨ vicino, nel cinema dell'emergenza, è quello offerto dalla scienza. Quando occorre decidere in fretta a quali mani affidarsi, la società va in cerca di uno scienziato. Può anche essere la scienza - una scienza pericolosa, deviata - ad aver generato l'emergenza. Ma è comunque sempre a essa che si chiede un antidoto. È dalla scienza che si attende una risposta oggettiva, che sappia fornire una soluzione alle ansie del mondo. Nel deserto prodotto dal disastro, nel vuoto dell'emergenza, si crea il bisogno urgente di sentire una voce che ne spezzi il silenzio. Il senso di generale smarrimento di fronte all'immanità del rischio spinge la società - la politica, i media, la popolazione attraverso i media... - verso una figura centrale cui si possa fare riferimento. Tutti sono affamati di spiegazioni e pretendono una via d'uscita. Cosi come nei film noir il copione prevede, d'ordinanza, la problematica comparsa in scena della femme fatale, nel cinema dell'emergenza si ha l'esigenza narrativa di andare in cerca dello scienziato. Il "cherchez la femme" si trasforma in un "cherchez la science".

Chiamato all'appello, lo scienziato deve saper mantenere la calma, rassicurare - se può - la società, trovare una risposta credibile che dia almeno un'ultima chance di sopravvivenza dell'umanità; oppure, al contrario, deve farsi carico delle accuse che gli vengono rivolte. Le trame cinematografiche offrono possibilità infinite di variazioni sul tema, combinando in diverse dosi gli stessi ingredienti e gli stessi protagonisti.

L'analisi dei film di genere catastrofico o apocalittico mette a fuoco due ambiti di studio complementari. Consente innanzitutto di osservare le reazioni della società di fronte a un'emergenza potenzialmente distruttiva per il genere umano, lasciando nudo il nostro sguardo davanti al Male; e poi, visto che si finisce sempre per rivolgersi alla scienza, permette di studiare la centralità con cui viene descritta e rappresentata la figura dello scienziato. Nelle rappresentazioni cinematografiche si trova una forte discordanza nei modi della raffigurazione dello scienziato, che rimane avvolto in una nebulosa di stereotipi spesso contraddittori. Questo mosaico di descrizioni grezze, bidimensionali, questa somma di tasselli elementari finisce tuttavia per comporre un ritratto evidentemente complesso. Nella loro semplicità e incongruenza, sono rappresentazioni che possono aiutarci a far luce su come viene costruito e percepito socialmente il ruolo dello scienziato.

Nel contesto dell'emergenza, lo scienziato è un personaggio sempre presente. Nei rarissimi casi in cui non c'è, l'assenza è pesante, si nota. La sua è una figura difficile da incasellare sotto etichette universalmente valide. Non è solo un salvatore n' solo un distruttore: è capace di proteggere il mondo ma anche di creare i presupposti per la sua rovina. Questa figura pur sempre ambigua ha all'interno del cinema di genere un'evoluzione storica: se la popolazione, nei film degli anni Trenta, saliva armata di forconi e torce al mulino dove il dottor Frankenstein aveva creato il suo mostro, oggi, in prevalenza, il mondo attraverso le televisioni aspetta invece con ansia l'esito della missione scientifica incaricata di salvarlo.

A partire dalla metà degli anni Novanta si è assistito a un deciso ritorno del genere catastrofico e a un'enfatizzazione da parte dei blockbuster del tema dell'emergenza. Questi film, che pur ribadiscono la costitutiva ambiguità di fondo dello scienziato, ne presentano la figura in modo prevalentemente positivo. Nonostante tutto. È una svolta su cui vale la pena soffermare l'attenzione. Gli scienziati vengono investiti di uno status di potenziali salvatori, e godono di un'esaltazione della centralità del loro ruolo. Al cinema, essi sanno spesso essere all'altezza di questo incarico. È il loro momento: il cherchez la science non è più la ricerca di un colpevole ma un grido supplice cui l'umanità collega le sue ultime speranze di salvezza.

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Capitolo quarto


In una luce sospesa: due film di Stanley Kubrick



Al centro delle dinamiche di passaggio che abbiamo voluto individuare fra il trattamento della figura dello scienziato nella fantascienza degli anni Cinquanta e il cinema successivo si collocano due opere fondamentali, decisive nel far acquisire alla science-fiction una considerazione adulta e il contorno di riflessione politico-filosofica che caratterizzerà, dagli anni Settanta in poi, il genere nel suo complesso, sia nelle sue declinazioni più sperimentali che in quelle hollywoodiane. Due film di Stanley Kubrick analizzano le implicazioni sociali della scienza e della scoperta, uno enfatizzandone i lati comici, l'altro da un punto di vista astratto, teorico, metafisico. Kubrick realizza nel 1964 Il dottar Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba e nel 1968 2001: Odissea nello spazio: l'alba dell'uomo.

A una fantascienza costituzionalmente spinta a cercare spiegazioni scientifiche e modi razionali di rappresentare un futuro verosimile - utopico o distopico - Stanley Kubrick reagisce proponendo una svolta davvero radicale, sinora intentata.

2001: Odissea nello spazio mostra che al mistero sulla nostra origine si accompagna un'altra mancanza: quella sulla nostra destinazione. Di fronte a queste domande sono insufficienti tanto le spiegazioni scientifiche quanto quelle religiose. L'ultimo capitolo in cui si divide il film ha per titolo Giove e oltre l'infinito. L'infinito si risolve in un inspiegabile rompicapo: l'astronauta, dopo il viaggio nello spazio, entra con la sua tuta in un'abitazione cosmica, dove si trova di fronte un anziano se stesso. L'ambiente che attende David Bowman è limpido e amniotico; è avveniristico, ma ha un arredamento antiquario; l'atmosfera è ovattata, controllata, asettica e tuttavia ammorbante; è abitato da un vecchio moribondo e da un feto; è bianco, ma al suo centro si erge un monolito nero. L'ultima inquadratura del film, accompagnata dalle note del Così parlò Zaratustra, è su un feto che ruota lo sguardo nello spazio fino a fissare negli occhi lo spettatore. Il futuro ci riserva dunque in sorte, forse, un ritorno nel grembo materno. La presenza dell'uomo nell'universo potrebbe dunque risolversi in un semplice loop, un nastro inceppato, un circolo, vizioso o virtuoso che sia. Il progresso, il viaggio nello spazio, produce infatti un risultato impensabile: quello di riportare l'umanità al suo stato prenatale. È lontana da Kubrick ogni volontà di dare una spiegazione a questo mistero. Il suo interesse consiste piuttosto nell'aggiungere inquietudini e ambiguità alla linearità del percorso evoluzionistico che presenta la storia dell'uomo come una serie di continui passi in avanti. Il feto è uno dei tanti simboli di una compiuta rivoluzione nel modo di concepire il cinema di fantascienza. Non si tratta più solo, come faceva la science-fiction degli anni Cinquanta, di mettere in guardia rispetto alle deviazioni al nostro sviluppo: quelle che ci portano verso l'apocalisse, che creano mostri, che incontrano invasioni extra-terrestri... Il problema è più profondo di questo e ha a che fare con una natura umana di cui continuiamo a sapere troppo poco. Si viaggia nello spazio, ma il dominio sempre maggiore del cosmo, nei fatti, non amplia la conoscenza che l'uomo ha di se stesso. Anzi, lo fa sentire ancora più inadeguato. L'uomo non è capace di risolvere i veri enigmi dell'esistenza, simbolizzati da un monolito nero che vediamo per la prima volta nella preistoria da cui parte il film e poi vediamo saltare, senza spiegazioni, sulla luna e alla fine del tempo.

In 2001 la scienza, invece che aiutare l'uomo, lo lascia in balia dell'inspiegabile. E vi aggiunge persino ulteriori paradossi: HAL900O è il computer che guida la spedizione della navicella Discovery. È una macchina che, tassativamente, deve servire l'uomo: non può permettersi di prendere decisioni autonome, in particolare scelte che potrebbero mettere a rischio la riuscita della missione. E invece il computer impazzisce. Elimina gli astronauti. Quando David Bowman, l'unico sopravvissuto, finalmente lo disattiva, HAL canta una canzoncina infantile. Nella versione italiana, HAL canta Giro girotondo, io giro intorno al mondo; in quella francese Au clair de la lune; nella versione inglese, Daisy, daisy, give me your answer do. I'm half crazy all for love of you. La canzone italiana e quella francese giocano ironicamente sul tema dello spazio. Quella inglese suggerisce invece che la pazzia della macchina sia dovuta a un eccesso di amore per il suo creatore. Ancora una volta, l'uomo ha sopravvalutato la capacità di controllare le proprie invenzioni. E allo stesso tempo ha sottovalutato il sentimento che il costruttore trasmette alle sue tecnologie, sentimento che rende le cose nascostamente vive e assai poco dominabili, come insegna Isaac Asimov, l'estensore delle tre leggi della robotica. Bowman e HAL9000, durante il viaggio verso Giove, giocano a scacchi. Il computer vince contro l'uomo, ma è stato notato che HAL comunica in modo errato la notazione di una mossa. Kubrick era un grande scacchista, e c'è chi per questo ha visto nell'inserimento dell'errore un indizio della futura follia di HAL; ma anche chi l'ha interpretato come una messa alla prova, da parte del computer, dell'intelligenza umana, che, già sconfitta agli scacchi, non si accorge inoltre dello sbaglio nella comunicazione dello spostamento di un alfiere.

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Il parere dei cervelloni. Scienza e politica

In Indipendence Day (1996), solo quando gli alieni attaccano la Terra il presidente degli Stati Uniti viene informato dell'esistenza dell'Area 51, fantomatica base militare dove sarebbero raccolte e studiate le forme di vita extra-terrestre che, nei decenni, sono atterrate o entrate in contatto con la Terra. L'Area è diretta da un capellone neo-hippy, piuttosto agitato, in camice bianco e cravatta slacciata.

Lo scienziato a capo di questo progetto top-secret è presentato come un personaggio bizzarro, vagamente deviante, clownesco, che parla in slang. Per occuparsi professionalmente di alieni, evidentemente, occorre essere un po' svitati. Lo scienziato è esaltato dalle nuove scoperte realizzate in seguito all'invasione aliena. È uno di quegli scienziati-scienziati che tendono ad appassionarsi troppo all'oggetto di studio, perdendo pericolosamente di vista la loro funzione sociale, in questo caso palese: occorre salvare la Terra dal pericolo di distruzione aliena. Il presidente è costretto a riprenderlo in modo serio, a togliergli il sorriso di bocca, a ricordargli il suo ruolo: quell'entusiasmo, di fronte alla distruzione corrente, è ingiustificato:

Scienziato: La roba più fica è accaduta solo negli ultimi giorni. (...) Da quando questi [alieni] hanno cominciato a farsi vivi... tutti i piccoli congegni all'interno si sono accesi... Le ultime ventiquattr'ore sono state estremamente eccitanti!

Presidente: Eccitanti? C'è gente che sta morendo lì fuori. Non userei il termine "eccitante" per descrivere questi momenti.

Nell'Area 51 è custodita una navicella aliena caduta sulla Terra in anni lontani. Si riesce a farla volare. Guidata dal pilota dell'aeronautica Will Smith, essa riuscir. a introdursi nella nave-madre che conduce l'invasione extra-terrestre e a distruggerla. A Jeff Goldblum - quasi-scienziato, esperto informatico che scopre la strategia di difesa e affianca il pilota nella navicella - il presidente dice: "Vediamo se sei così intelligente come tutti speriamo che tu sia". È il momento, topico, in cui la politica fa un passo indietro e si affida fiduciosa alla scienza. La politica, arte della parola, della trattativa, è spesso obbligata a farsi da parte, nei momenti dell'emergenza. Da fiducia a qualcuno che prende in mano la situazione al suo posto.

A volte - proprio in Indipendence Day - la politica si prende anche la sua rivincita: vediamo successivamente il presidente - ex pilota reduce dalla prima guerra del Golfo - lanciarsi a bordo di un aereo, all'interno di una piccola formazione, contro l'astronave aliena. Ma questo passaggio ha un risvolto umoristico, nemmeno involontario. Chi ha realizzato il film sa che lo spettatore da per scontato che la politica non sia presente nel momento dell'azione. Per cui vedere il presidente alla guida di un caccia militare ha un effetto parodistico: l'attacco frontale andrebbe lasciato ad altri.

Indipendence Day, in un orgoglioso tripudio nazionalistico, trasforma anche i politici in uomini d'azione. Mentre gli scienziati, all'interno del genere, lo sono quasi sempre.

Un chiaro esempio di come la politica sia concepita, in contrapposizione alla scienza, come l'arte dell'inazione si trova in The day after tomorrow (2005). In questo film abbiamo di fronte uno scienziato fra i più performativi dell'intero filone. Quando giunge la glaciazione che paralizza l'America, il climatologo, interpretato da Dennis Quaid, parte eroicamente a piedi da Washington - organizzando una specie di spedizione polare - per salvare suo figlio rifugiatosi all'interno della Public Library a New York. All'inizio del film, Quaid insiste a mettere in guardia il vicepresidente degli Stati Uniti contro i rischi dell'innalzamento climatico. Ma il politico non ascolta questa Cassandra. Del vicepresidente, Quaid arriva a dire: "Mio figlio di quattordici anni di scienza ne sa molto più di lui". Un collega gli risponde: "Ma è lui che ci da i soldi".

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Lo scienziato sull'arca

Sono numerosi, in questi film, i punti di contatto tra scienza e religione, a volte alleate (la gente collegata alla televisione prega per la riuscita della missione scientifica incaricata di salvare la Terra), a volte contrapposte. Altre volte, la trama del film rimane incerta tra queste due opzioni. Il finale di Io sono leggenda è in questo senso esemplare. Lo scienziato, l'ultimo sopravvissuto, riceve, inattesa, la visita di un'altra superstite e di un ragazzino. La donna è religiosa. Afferma: "è stato Dio a dirmi di venire qui". Dietro lo sterminio lei scorge una volontà divina. Will Smith, da scienziato, non condivide queste posizioni. Ma alla fine le da ragione: quando avrà scoperto l'antidoto al virus, dovrà affidarlo alle mani religiose di lei per portarlo fuori dal suo laboratorio, mentre Will finisce mangiato dagli zombi.

Lo scienziato, qui, ha la potenza salvifica di trovare una soluzione alla tragedia, ma non quella di ricominciare una vita post-apocalittica dando un suo contributo. Neville, prima di morire, dice alla donna: "Io posso salvarvi. Voi siete malati e io posso salvarvi". "È per questo che sono qui", gli risponde lei. La scienza consegna i suoi risultati alla fede, che ha il compito di propagarli. E di credere, ancora, a un futuro per l'umanità. Scienza e fede, inizialmente contrapposte, finiscono per sorreggersi l'una con l'altra. Lo scienziato, disilluso, sconfitto dal morbo che la scienza ha creato, non ha la forza per dare origine a un mondo nuovo. La donna, al contrario, ci crede. La vediamo, dall'alto, a fine film, arrivare a una cittadella fortificata in mezzo alla campagna americana, in Vermont, dove si riunisce ad altre persone scampate al disastro. Lì si può ancora vivere, protetti dall'esercito. La cura trovata da Robert Neville vale come promessa di redenzione. Come speranza di poter tornare a vivere, un giorno, al di fuori del fortino. Si da anche il caso di film apocalittici evangelico-dispensazionalisti, come il thriller fantapolitico Prima dell'apocalisse (Vie Sarin, 2001), tratto da una serie (dal titolo Left Behind) di libri sulla fine del mondo scritti dal ministro del culto Timothy F. LaHaye e da Jerry B. Jenkins che ha conosciuto un enorme successo commerciale negli Stati Uniti. Anche in questi film con finalità esplicitamente religiose e dottrinali è garantita la presenza di scienziati.

In Prima dell'apocalisse (primo di una serie di tre film tratti dalla serie Left Behind), la gente comincia a sparire, a dissolversi. Per capirne la ragione, si muove prima di tutti l'ONU. È presentata come l'organismo dove si annidano le forze del male. Il nuovo segretario generale (il cui nome, Nicolae Carpathia, suscita certo qualche ansia) si rivelerà essere l'Anticristo (letteralmente, non metaforicamente). Sfrutta le ricerche di uno scienziato buono e ingenuo, un israeliano, Chaim Rosenzweig, che ha scoperto il modo per coltivare il deserto e vorrebbe fornire a Carpathia gli strumenti per risolvere il dramma della fame nel mondo. Lo scienziato viene descritto così dal giornalista al centro della vicenda, in un anti-climax di garanzie di bontà: "scienziato, delegato dell'ONU, mio amico, brava persona".

Questo film, piuttosto reazionario, apertamente religioso, non contrappone scienza e fede. Anzi, il giornalista, presto convertito alla setta millenarista, cerca di sottrarre lo scienziato dalle mani lorde di sangue di Carpathia. La fede cerca di liberare la scienza dal controllo della politica, che in questo film assume esplicitamente una veste satanica.

L'esempio più interessante di chiusura religiosa di un film apocalittico si ha però in Deep impact. La navicella incaricata di far esplodere il meteorite che minaccia la Terra si chiama Il Messia. Durante la conferenza stampa che il presidente degli Stati Uniti tiene per spiegare il progetto accade quindi di sentir chiedere: "Il Messia ci salverà dall'estinzione?". Più avanti nel film, quando il tentativo di distruggere il meteorite nello spazio sembra fallito, viene selezionato un campione di umanità candidata a salvarsi. Si mette a punto un gigantesco rifugio in una rete di caverne scavate nella roccia del Missouri. Questo progetto viene definito una "nuova arca di Noè". Viene così proposta, in modo serio, la stessa soluzione avanzata a suo tempo dal dottor Stranamore: stipare l'umanità nelle caverne. Nell'emergenza, bisogna decidere in fretta chi deve essere salvato. La selezione, nel 1998 così come all'epoca del film di Kubrick, viene affidata a un computer. Con la differenza che qui non viene avanzata la proposta di affiancare dieci femmine (attraenti) a ogni maschio.

Il sito sotterraneo viene denominato Arca. Al suo interno c'è posto per un milione di persone. Ottocentomila saranno scelte a random dal pc tra coloro che hanno meno di cinquant'anni. Le altre duecentomila, invece, al momento dell'annuncio pubblico alla popolazione sono già state selezionate in base a dei criteri scelti. Le categorie privilegiate sono elencate in quest'ordine: 1) scienziati; 2) medici; 3) ingegneri; 4) insegnanti; 5) soldati; 6) artisti. È una classifica interessante. Gli scienziati sono in cima alla lista, i primi da mettere in salvo. Dopo di loro vengono medici (quasi-scienziati) e ingegneri (non-scienziati). Poi insegnanti, di cui non si precisa il grado. Dopo di loro, e solamente al quinto posto, i soldati. Non vengono nemmeno chiamati "militari". "Soldati" da l'idea di una selezione non gerarchica, che privilegia la base rispetto ai vertici. È curioso notare come trovino posto sull'arca anche gli artisti, categoria "inutile" per definizione. Eppure, anche se si colloca all'ultimo posto, è una categoria tutelata. Mancano i politici. Mancano tutte le professioni capaci di garantire la sopravvivenza alimentare - gli agricoltori, i fornai... Ma le categorie sono sufficientemente generiche e populiste da non suscitare nessun tipo di disapprovazione in chi ne ascolta l'elenco, recitato in televisione dal presidente degli Stati Uniti. Gli scienziati nel cinema dell'emergenza vengono innalzati dunque ancora una volta in un empireo, nella condizione privilegiata che il rischio apocalittico elargisce loro. Gli scienziati stanno sopra tutte le altre professioni. Servono a evitare la catastrofe. Se non riescono a evitarla, hanno un ruolo decisivo per provare a far sopravvivere l'umanità, guidandola nelle caverne. Sono indispensabili prima del disastro. Sono indispensabili durante il disastro... Presumibilmente, anche nel mondo post-apocalittico, essi sapranno essere accorti e prudenti nel condurre alla ricostruzione di una nuova civiltà.

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