Copertina
Autore Dale Brown
Titolo Nati per combattere
EdizioneLonganesi, Milano, 2003 , pag. 485, dim. 140x210x38 mm , Isbn 978-88-304-1908-7
OriginaleBattle Born
EdizioneTarget Direct Production, -, 1999
TraduttoreAndrea Molinari, Paolo Valpolini
LettorePiergiorgio Siena, 2003
Classe narrativa statunitense , thriller
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Pagina 15

P R O L O G O
IN VOLO SUL NEVADA SETTENTRIONALE
APRILE 2000



«STATE pronti, maiali!» esclamò eccitato nell’interfono il pilota del B-1B Lancer. «Stiamo per passare a bassa quota sui calamari. Sono pronto a dare qualche calcio in culo! Mostriamo loro chi sono i migliori. Long Dong, ritarderò di qualche secondo su quel punto di passaggio. Trenta nodi dovrebbero bastare. Voglio avere spazio per ballare il rock quando ci salteranno addosso. Tolgo potenza per acquisire qualche secondo di ritardo.» Tirò indietro le leve dei motori per far combaciare il tempo destinato al passaggio sull’obiettivo con quello del piano di volo. Poi le portò indietro ancora di una tacca per ottenere un ritardo di venti, trenta secondi.

«Vai così, Rodeo», rispose impaziente l'OSO, l’ufficiale addetto ai sistemi offensivi del B-1B. Gettò l’occhio sul suo piano di volo per controllare l’orario previsto per l’arrivo sull’obiettivo, quindi sull’indicatore posto sul pannello strumenti anteriore, che gli comunicò il tempo mancante. Avere un ritardo di qualche secondo sopra quel punto significava poter volare a maggior velocità nella fase di attacco per il bombardamento, durante la quale probabilmente la minaccia sarebbe stata superiore. In quella fase si aspettavano di essere attaccati dai caccia, e ciò significava che avrebbero dovuto eseguire evoluzioni in tutto il cielo per salvare la pelle.

Mentre regolava la velocità, il pilota si chinò in avanti sul seggiolino eiettabile per vedere il suo gregario, un altro bombardiere B-1B in formazione serrata alla sua destra. Il B-l «Bone» (pochi lo chiamavano con il suo soprannome ufficiale, «Lancer») combatteva raramente da solo. Se un bombardiere supersonico B-1B era un'arma devastante, affrontarne due triplicava la difficoltà. E loro dovevano sfruttare ogni vantaggio disponibile per vincere questa battaglia.

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SOTTOCOMMISSIONE PER LA TECNOLOGIA MILITARE
COMMISSIONE PER LE FORZE ARMATE DEL SENATO
RAYBURN BUILDING, WASHINGTON DC.
DIVERSE SETTIMANE DOPO



«SPERAVO di non dover mai più affrontare di nuovo questo argomento in vita mia», dichiarò il presidente della commissione per le forze armate del Senato, con voce seria. «Ma eccoci di nuovo qui. Sembra che il diavolo sia venuto al ballo, e noi preghiamo perché non ci chieda di danzare.»

Gran parte dei colloqui della mattinata, classificati top secret e svolti a porte chiuse, si era già conclusa; gli scienziati e i revisori avevano ripiegato le loro carte e i grafici, lasciando soli i membri della sottocommissione, diversi generali e alcuni collaboratori. Questa era la parte di libero dibattito della sessione, una «chiacchierata» dove si poteva trattare di tutto e in cui gli ufficiali avevano la possibilità di svolgere opera di convincimento. Di solito era una fase più informale e libera delle deposizioni alla sottocommissione, e consentiva a tutti i partecipanti di esporre le loro frustrazioni e opinioni.

«Ho detto», rispose il generale Victor G. Hayes, capo di stato maggiore dell’aeronautica, «che non abbiamo scelta e dobbiamo ballare col diavolo. Il problema è riuscire a fare in modo che si limiti a rovesciare il recipiente del ponce. In caso contrario, se non interveniamo, rischia forse di mandare a fuoco tutta la palestra della scuola?»

«Definirebbe gli attacchi contro Taiwan e Guam solo incidenti secondari. birichinate paragonabili al rovesciamento del recipiente del ponce, generale?» chiese un membro della commissione.

Haves scosse il capo e cancellò il sorriso dalla sua espressione. Sapeva che era meglio non mostrarsi troppo spiritoso o informale con i membri della commissione, indipendentemente dal fatto che, a volte, potessero rivelarsi ragionevoli e disponibili.

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SOPRA IL NEVADA SUDORIENTALE
NELLO STESSO MOMENTO



«BULRIDER, qui Avalanche, bandito a zero-tre-zero, duecento chilometri, in discesa leggera da due-tre-zero. velocità trecentosettanta nodi, ripeto: tre-sette-zero. Vira a destra su zero-uno-zero, raggiungi quota due-tre-zero per intercettazione.»

Il caposezione, con il suo F-15C Eagle, caccia da superiorità aerea del 366° gruppo, aeronautica militare degli Stati Uniti, base aerea di Mountain Home, Idaho, iniziò la virata a nord-est e premette il pulsante del microfono sistemato sulla manetta. «Ricevuto, Avalancbe. Bullrider in virata.» Scoccò una rapida occhiata fuori dal lato destro dell’abitacolo per vedere se il gregario, sull’altro F-15, avesse iniziato la manovra di avvicinamento.

Dannatamente strano, pensò il caposezione, gli equipaggi dei B-1B vogliono andare sul sicuro, oppure si sono rammolliti. Erano al posto giusto nel momento giusto. Non c’era nessun altro, nell’area del complesso di Nellis, e quella era l’ora prevista; quindi doveva essere quello il loro bersaglio. Ma cosa scendeva a fare, così in basso? Già la maggior parte dei bombardieri volava bassa, o, quantomeno, scendeva a rotta di collo ogni volta che i caccia erano nelle vicinanze. Poi, era lento, troppo lento.

Quei tizi della guardia nazionale di Reno avrebbero dovuto essere il migliore, il più pericoloso reparto bombardieri dell’aeronautica. Il recente incidente, pensò il pilota, doveva averli un po’ rammolliti. Il 366° era un reparto misto, e aveva in dotazione diversi tipi di aerei, cacciabombardieri F-16, E-15 e F-15E, cisterne KC-135R e bombardieri B-1B, tutti di stanza nella stessa base, di pronto schieramento e in grado di operare congiuntamente. I piloti da caccia dell’Idaho conoscevano bene le tattiche dei bombardieri, sapevano quello che poteva combinare un B-1, ma, fino ad allora, quelli della guardia del Nevada non avevano dato grande prova delle loro capacità.

«Ehi, capo, che ne pensi?» chiese via radio il pilota dell’F-15 al suo fianco.

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MINISTERO DELLA DIFESA
SEOUL, REPUBBLICA UNITA DI COREA
QUALCHE GIORNO DOPO



«STANNO arrivando i rapporti dalla provincia di Chagang Do, signore». riferì il generale An Ki-sok, capo di stato maggiore generale delle forze armate della Repubblica Unita di Corea, sollevando il ricevitore. Si trovava nell’ufficio del ministro della Difesa, generale Kim Kun-mo. «I nostri battaglioni di fanteria e di artiglieria a Pyorbai sono stati attaccati. Almeno due, probabilmente tre battaglioni di fanteria leggera e truppe corazzate provenienti da oltre frontiera. Kanggye si è già arresa e le Forze cinesi sono in città. Abbiamo perso contatto quindici minuti fa. La guarnigione di Pyorbai potrebbe già essere stata sopraffatta.»

«Un’invasione cinese?» esclamò il generale Kim. «Così presto?»

«Sissignore», rispose il generale An. «Ho qui un aggiornamento della ricognizione aerea, signore: almeno due battaglioni corazzati e uno di fanteria contro Kanggve; tre, forse quattro altri battaglioni corazzati e due battaglioni di fanteria si stanno spostando verso sud, in direzione di J’an e Waichagoumen. Per la maggior parte sono reparti leggeri, molto mobili, ma con una sostanziosa componente di difesa aerea, elicotteri d’attacco e mezzi pesanti di supporto.»

«Pensa che i cinesi stiano aiutando i ribelli comunisti che operano in Corea?» chiese Kim. «Forse, i tempi di questo attacco sono stati calcolati in modo da coordinarsi con gli attacchi missilistici abortiti di ieri notte contro la provincia di Hwanghae.»

«Molto probabile, signore», rispose An. «La retorica di Kim Jong-il, da Pechino, è più roboante che mai. Si è congratulato con chiunque abbia lanciato quei missili e ha promesso l’aiuto cinese a tutti quelli che prenderanno le armi contro di noi. Se avesse in mente di allestire una controffensiva con l’aiuto dei cinesi, la provincia di Chagang Do sarebbe il miglior posto per lanciarla.»

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