Copertina
Autore Tom Burns
Titolo Psichiatria
EdizioneCodice, Torino, 2008, Paperback , pag. 174, ill., cop.fle., dim. 12x18x1,3 cm , Isbn 978-88-7578-108-8
OriginalePsychiatry. A Very Short Introduction [2006]
TraduttoreMichele Nebiolo
LettoreFlo Bertelli, 2009
Classe psichiatria , scienze cognitive
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Indice


VII Prefazione

    Capitolo 1
  3 Che cos'è la psichiatria?

    Capitolo 2
 45 I manicomi e le origini della psichiatria

    Capitolo 3
 63 Lo spostamento verso la comunità

    Capitolo 4
 85 Psicoanalisi e psicoterapia

    Capitolo 5
105 Attacco alla psichiatria. Dall'interno e dall'esterno

    Capitolo 6
123 Aperta agli abusi

    Capitolo 7
151 Nel XXI secolo

163 Consigli di lettura

165 Indice analitico


 

 

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Pagina VII

Prefazione


Oggi si tende a enfatizzare in ogni occasione come la psichiatria sia "solo un'altra branca della medicina", al pari della cardiologia o dell'oncologia. Questo atteggiamento, in parte, riflette il tentativo di rendere rispettabile la disciplina: si sottolinea la sua scientificità, l'impegno a fornire diagnosi precise e cure basate sulle evidenze, per elevare il suo status in ambito medico e agli occhi dell'opinione pubblica. Questa prospettiva, inoltre, contribuisce a ridurre lo stigma da sempre associato alle malattie mentali: dire che sono malattie come le altre ("malattie del cervello") può attenuare i pregiudizi nei confronti di chi ne è colpito, ed evitare il senso di colpa e la vergogna ai quali sono spesso soggetti il malato e i suoi cari. Se non ci sentiamo in imbarazzo né ci biasimiamo quando un nostro familiare soffre di artrite, perché le cose dovrebbero cambiare se si ammala di depressione? Mettere in luce la legittimità medica della psichiatria è importante per questo: per evitare che alla malattia si aggiungano ulteriori, inutili, sofferenze.

Ma non è un'operazione così semplice, perché la psichiatria è diversa. Riceve un trattamento speciale persino chi lavora nel settore: spesso mi chiedono, e non sempre si tratta di una battuta, se si diventa psichiatri perché si è un po' strani o se si diventa strani dopo essere stati psichiatri per un po'. Del resto, quando il "New Yorker Magazine" pubblica le rassegne delle vignette uscite sui numeri precedenti, quelle sugli psichiatri sono così numerose da guadagnarsi di diritto un volume a parte.

La psichiatria può fare paura. E l'unico tipo di medicina che può costringere un individuo a curarsi contro la propria volontà: in tutti i paesi sviluppati esistono, infatti, leggi speciali che proteggono i malati di mente dalle condanne, ma anche altre che li costringono a sottoporsi ai trattamenti necessari. Questo sembra indicare un notevole consenso sulla tangibilità e la rilevanza delle malattie mentali sebbene, come chiariremo meglio in seguito, non ne esistano definizioni semplici e oggettive.

Spesso, al timore si mescola un interesse che supera la normale curiosità sul funzionamento del corpo e della mente. Alcuni psicoanalisti sostengono che il fascino della psichiatria sia dovuto al fatto che la malattia mentale mette in scena i nostri drammi interiori: vediamo nella depressione una versione amplificata delle nostre tristezze, assistiamo alla plateale perdita di controllo in un individuo e ci accorgiamo delle inibizioni che, di nascosto, temiamo o desideriamo abbandonare.

C'è sicuramente un fondo di verità in questa teoria. Come si vedrà nel Capitolo 1, pur basandosi su esperienze e sensazioni familiari a chiunque di noi, la diagnosi delle malattie psichiatriche dà ragione di una certa "diversità". È dunque possibile identificarsi con la descrizione dei sintomi ma sapere di non avere superato la soglia che porta alla malattia. Man mano che la psichiatria si è fatta più complessa dal punto di vista scientifico, tale soglia è stata definita in modo più preciso e le diagnosi si sono fatte enormemente più affidabili. Tuttavia, come vedremo nel Capitolo 6, questa maggiore certezza comporta anche alcuni effetti indesiderati.

La psichiatria, come ogni branca della medicina, è un'attività pragmatica che mira alla soluzione di problemi. Attinge alle teorie scientifiche, ma non deriva da esse e non ne è circoscritta. A differenza della psicologia e della fisica, la psichiatria non si può spiegare "dall'alto verso il basso" a partire dalle teorie: è nata dall'insieme delle malattie che le è stato chiesto di trattare e, in seguito, è stata plasmata dal tipo di cure che si sono scoperte di volta in volta. Pertanto, il Capitolo 1 descrive la schizofrenia e la psicosi maniaco-depressiva, e il modo in cui queste malattie e la terapia che hanno ricevuto hanno dato forma alla neonata professione dello psichiatra. Lo sviluppo di questa materia dipende dalla scala di valori e dalla struttura delle società che l'hanno sostenuta: per questo sarebbe impossibile comprendere le pratiche attuali senza partire dalla storia, qui ripercorsa rapidamente nei Capitoli 2 e 3. In modo analogo il Capitolo 4 affronta il contributo, da un certo punto di vista sottovalutato, della psicoanalisi e della psicoterapia.

I Capitoli 5 e 6 trattano le controversie che hanno infiammato il dibattito sulla psichiatria, sin dalla prima volta che essa si è profilata come professione. In effetti questo volume può essere accusato, a ragione, di dare più spazio alle diatribe intorno alla materia che non ai suoi innegabili progressi. Avrei potuto dilungarmi di più sulla scoperta di nuove medicine, sui trattamenti psicologici più efficaci e su prassi terapeutiche che hanno contribuito enormemente al benessere dell'umanità; a ogni modo, coloro che fossero interessati a tali argomenti non avranno difficoltà – soprattutto grazie a internet – a trovare gli approfondimenti che desiderano. Non sono affatto scettico nei confronti dei passi avanti che la psichiatria ha fatto e sta facendo: penso che, insieme a tutte le neuroscienze, si stia sviluppando in modo straordinario.

Ho dedicato tanto spazio agli aspetti più controversi della psichiatria per due ragioni. In primo luogo perché esistono differenze filosofiche ed etiche reali tra le malattie mentali e quelle fisiche che non possiamo far sparire a comando. Nemmeno il progresso tecnologico può allentare queste tensioni, anzi: come vedremo nel Capitolo 6, la scoperta di terapie più efficaci può esasperare la situazione. La sfida forse, per la psichiatria del XXI secolo, consiste proprio nel risolvere gli interrogativi etici e sociali posti dalla disponibilità di cure mentali sempre più sofisticate e potenti.

In secondo luogo, ho preferito questo approccio perché la psichiatria rappresenta l'arena dove molte delle grandi questioni filosofiche, politiche e sociali di ogni tempo si possono forgiare nel crogiolo delle sofferenze e dei rapporti umani reali.

Il dibattito filosofico sul libero arbitrio e sul determinismo si accende quando si parla di difesa psichiatrica nei tribunali, o si devono stabilire politiche per gestire gli psicopatici. La politica ha guidato lo smantellamento dei manicomi e ora fa da cornice alle discussioni sul trattamento sanitario obbligatorio, che sottintendono quelle sulla dicotomia tra mente e cervello. Grazie alla martellante attività degli antipsichiatri degli anni Sessanta e Settanta (Capitolo 5) è nato il diritto – anzi, direbbero loro, l'obbligo esistenziale – di essere diversi.

Benvenuti, dunque, in una branca medica misteriosa e appassionante, dove i progressi delle neuroscienze si scontrano di continuo con quel gran pasticcio che è in realtà l'essere umano. La psichiatria, nonostante le scansioni in risonanza magnetica e le designer drug, continua a essere un'attività basata sulle relazioni interpersonali e la fiducia.

State per affrontare una sfida che si rinnoverà ogni volta che faremo un passo avanti, perché la ricerca di quello che significa essere veramente umano ci riporterà di continuo ad affrontare proprio quelle questioni filosofiche irrisolte – dal libero arbitrio al dualismo mente-cervello , al rapporto tra autonomia personale e obblighi sociali – che di solito mettiamo da parte per riuscire a vivere la nostra vita.

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Pagina 3

Capitolo 1

Che cos'è la psichiatria?


Le uniche persone normali sono quelle che non conosci abbastanza bene.


Ognuno di noi conosce qualcuno che è stato ansioso, depresso o confuso. La maggior parte di noi ha provato queste sensazioni in prima persona, magari durante l'adolescenza, quando si è spesso insicuri e infelici. In momenti del genere le emozioni che proviamo possono essere travolgenti, imprevedibili e incontrollabili, e i nostri pensieri apparire strani e bizzarri.

Significa che siamo malati di mente, o che dovremmo rivolgerci a uno psichiatra? Per la maggior parte di noi, per fortuna, la risposta è no. Eppure i libri di psichiatria descrivono esperienze molto simili a queste, e sono così interessanti proprio perché parlano di consapevolezza, scelta, motivazione, libero arbitrio e rapporti interpersonali: tutto ciò che, in sostanza, ci rende umani. Nonostante il linguaggio tecnico che chiama "ansia" le preoccupazioni, "fobia" la paura e "cognizione" il pensare, le condizioni descritte si riconoscono all'istante.

Si tratta di uno degli eterni paradossi che vedremo riemergere più volte nel corso di questo libro: l'oggetto della psichiatria è profondamente radicato nell'esperienza umana comune eppure è, in qualche modo, abbastanza diverso. È possibile riconoscere le proprie esperienze nel racconto di un paziente. Di primo acchito appare tutto familiare; tuttavia, i sintomi che ci sembra di conoscere così bene servono a diagnosticare disturbi ben lontani dalla nostra esperienza. Spero di riuscire a farvi capire meglio questo dilemma, ma non posso promettere che riuscirò a risolverlo: se ne discute più o meno da quando è nata la psichiatria, e il dibattito non si è ancora esaurito. Forse, però, è meglio iniziare a dare una definizione di che cos'è (e che cosa non è) la psichiatria, prima di tornare alle controversie filosofiche e politiche che la circondano.


Tutte le "psi": psicologia, psicoterapia, psicoanalisi e psichiatria

In greco "psiche" significa mente. I quattro termini che derivano da questa parola descrivono, infatti, diversi approcci per comprendere e aiutare gli individui con problemi psicologici o emotivi (mentali). Ci sono molte aree in comune e, a volte, il lavoro di un professionista molto qualificato può rientrare in più di uno di questi ambiti. È comprensibile, dunque, che la gente confonda le varie "psi". Tuttavia ci sono delle differenze sostanziali che, una volta chiarite, ci aiuteranno anche a definire la materia di nostro interesse.


Psicologia

La psicologia è lo studio del pensiero e del comportamento umano. Nata appena un secolo fa dalla tradizione della filosofia introspettiva (che consiste nel tentare di capire la mente degli altri a partire dalla propria), è oggi una scienza di tutto rispetto, entrata a far parte di programmi scolastici e universitari. Occupandosi dei processi mentali in tutti i loro aspetti, ha molte sottobranche.

Gli psicologi sperimentali realizzano esperimenti per esplorare il funzionamento basilare della mente (percezione, memoria, desiderio, reazione al rischio ecc.). Non si limitano agli esseri umani: studiano anche gli animali, sia di per se stessi sia come modelli utili a capire meglio il comportamento della nostra specie. Di solito la psicologia sperimentale è considerata una "scienza dura" che segue gli stessi principi della ricerca scientifica nei campi della fisica o della chimica.

Ma ci sono molte altre figure professionali che hanno a che fare con la psicologia: psicologi dell'educazione, aziendali, forensi ecc. Gli psicologi clinici sono professionisti laureati e abilitati ad aiutare le persone a gestire i propri problemi. Uno degli esempi più chiari di questo approccio è rappresentato dall'applicazione della teoria dell'apprendimento (basata sulla possibilità di modificare il comportamento attraverso premi e punizioni coerenti) nell'ambito della terapia comportamentale. Questo orientamento si è rivelato particolarmente efficace per aiutare i bambini con disturbi o problemi d'apprendimento, perché non richiede che il paziente capisca alla perfezione cosa sta succedendo. Da allora le cure psicologiche si sono fatte più sofisticate. Gli psicologi clinici, infatti, possono dire di aver sviluppato quella che oggi è una delle psicoterapie di maggior successo e diffusione, la terapia cognitivo-comportamentale, e sono considerati fondamentali in tutti i servizi di salute mentale ("psichiatrica") moderni.


Psicoanalisi

La psicoanalisi è un metodo per trattare i disturbi nevrotici, sviluppato a Vienna da Sigmund Freud intorno alla fine del XIX secolo. Nella psicoanalisi il paziente è incoraggiato a rilassarsi, dire la prima cosa che gli viene in mente (libere associazioni), e prestare attenzione ai propri sogni e agli aspetti irrazionali del proprio pensiero. Freud era convinto che i suoi pazienti soffrissero perché tentavano di tenere nell'inconscio (reprimere) pensieri e sensazioni che non riuscivano ad accettare, e che finivano per causare loro sintomi nevrotici. L'analista ascolta attentamente ciò che il paziente dice e, con il tempo, individua schemi ricorrenti e indizi su questi "conflitti". Condivide le sue intuizioni con il paziente e lo aiuta ad affrontare e risolvere i suoi problemi. La psicoanalisi è una terapia intensiva e molto lunga: di solito, richiede che il paziente si sottoponga a sedute di un'ora fino a cinque volte a settimana, per più anni. Sempre la psicoanalisi ha dato origine alla classica vignetta dello psichiatra con la barba che siede accanto a un paziente disteso sul divano.

Freud era un medico, ma non è necessario che uno psicoanalista abbia questa stessa formazione. Un tempo negli Stati Uniti, dove la psicoanalisi ha raccolto il maggiore successo, gli analisti erano di solito anche psichiatri. Oggi si tratta di un caso sempre più raro, e anche gli analisti che hanno conoscenze mediche tendono a non sfruttarle perché preferiscono non andare oltre l'analisi, per non "interferire". I discepoli di Freud (come per esempio Jung, Adler e Klein) hanno sviluppato scuole di psicoanalisi diverse; alcuni (come Reich e Lacan) sono giunti a modelli molto distanti da quello originale.

La psicoanalisi ha avuto un impatto enorme anche al di fuori del campo della psichiatria, soprattutto sulla letteratura e sull'arte, e termini come "freudiano", "rimosso" e "lapsus freudiano" sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune. Tuttavia, in assenza di una solida evidenza scientifica della sua efficacia, la psicoanalisi sta assumendo un ruolo sempre più marginale nella pratica psichiatrica moderna.


Psicoterapia

Ci si rese conto quasi subito che la psicoanalisi poteva offrire ben più che la neutrale, distante analisi dell'inconscio proposta da Freud: nel corso della terapia, così intensa, si instaurava un rapporto significativo che gli analisti iniziarono a esplorare e, in seguito, anche a usare come base per sperimentare approcci più attivi, o persino terapie diverse (terapie brevi, più strutturate, di gruppo o di famiglia ecc.).

Gli approcci psicologici in cui il rapporto interpersonale è usato attivamente, attraverso il dialogo, per incoraggiare la consapevolezza di sé e il cambiamento rientrano nella categoria della "psicoterapia". La maggior parte delle prime psicoterapie poggiava ampiamente sulle teorie di Freud – nonostante il nome di "psicoterapia psicodinamica" che fu coniato per enfatizzare l'impatto dei pensieri e delle sensazioni nel tempo – ma oggi non è più così. Le psicoterapie moderne (come la psicoterapia non-direttiva, quella esistenziale, l'analisi transazionale, la terapia cognitivo-analitica o quella cognitivo-comportamentale) si basano, infatti, su una gamma di background teorici.

Quello che le accomuna è l'uso della comunicazione, nell'ambito di un rapporto formalizzato e sicuro, per esplorare le difficoltà e trovare il modo di adattarsi a esse oppure superarle. Nella maggior parte delle psicoterapie psicodinamiche è necessario che il terapeuta, come lo psicoanalista, si sottoponga a sua volta a sedute di terapia come parte del suo tirocinio. Tuttavia, mentre la psicoanalisi, attraverso la rigorosa selezione delle persone che possono diventare psicoanalisti, è tutt'ora oggetto di un controllo rigido, la psicoterapia è un concetto abbastanza malleabile. Alcune scuole selezionano attentamente chi ammettere, ma fino a poco tempo fa chiunque poteva dire di essere uno "psicoterapeuta" [in Italia l'attività psicoterapeutica, regolamentata dalla legge 56 del 19 febbraio 1989, è una specializzazione sanitaria che può essere svolta da medici e psicologi iscritti ai rispettivi albi, N.d.R.]. La maggior parte degli psicoterapeuti non sono psichiatri, mentre la maggior parte degli psichiatri ha una qualche formazione in psicoterapia; alcuni psichiatri, anzi, lavorano principalmente come psicoterapeuti. Il Capitolo 4 è dedicato interamente alla psicoanalisi e alla psicoterapia.


Che cos'è la psichiatria?

Allora, se non è psicologia e non è psicoanalisi o psicoterapia, che cos'è la psichiatria? Pur avendo alcune aree in comune con le altre "psi", essa si distingue per via di alcune differenze sostanziali. Prima di tutto, la psichiatria è una branca della medicina: non si può diventare psichiatri se prima non ci si è abilitati come medico; raggiunto questo traguardo, occorre passare altri anni a studiare per la specializzazione. Il futuro psichiatra impara a riconoscere e approcciare le malattie mentali attraverso la pratica, esattamente come un dermatologo farebbe tirocinio curando pazienti con disturbi della pelle o un ostetrico assistendo partorienti. Nel campo medico, la psichiatria è semplicemente definita come la branca che si occupa delle "malattie mentali" (oggi dette spesso "disturbi psichiatrici").

La medicina è un'attività fondamentalmente pragmatica. Pur essendo importantissimi il metodo scientifico e le regole di base della biologia, una cura è considerata giusta solo se fa migliorare le condizioni del paziente, senza che sia strettamente necessario sapere come funziona il trattamento. Pertanto la psichiatria non è definita in termini teorici come la psicologia o la psicoanalisi, ma in base alla pratica: le condizioni identificate come malattia mentale e le cure disponibili, a seconda del momento storico, determinano quindi la figura dello psichiatra e il suo ruolo.


Che cos'è una malattia mentale?

Ecco un circolo vizioso: psichiatra è chi diagnostica e cura i disturbi psichiatrici, e i disturbi psichiatrici sono le condizioni diagnosticate e curate dagli psichiatri. Le controversie sull'affidabilità delle diagnosi psichiatriche, e persino sull'esistenza stessa delle malattie mentali sembrano non avere fine (Capitolo 5). Vale la pena soffermarsi sulle ragioni di tanto dissenso, sia perché la questione non farebbe che tornare comunque a galla sia perché si tratta di temi che interessano tutte le branche della medicina, anche se in modo meno evidente.

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La psichiatria è anche la branca della medicina che riconosce in modo più esplicito l'impatto della società sulla sua stessa pratica: il contesto sociale modula sia le definizioni dei disturbi usate dagli psichiatri sia la loro espressione da parte degli individui. Per esempio, la società di oggi identifica e cura lo "stress da combattimento" o "shell shock", mentre un secolo fa lo stesso disturbo era punito come forma di codardia. I giovani del XXI secolo cercheranno aiuto per risolvere i loro problemi in un modo che i loro stoici nonni non avrebbero mai accettato.

Questo non significa che la psichiatria non sia scientifica o affidabile: le sue diagnosi sono attendibili pressappoco quanto quelle della medicina in generale. L'unica differenza è che stiamo trattando una materia che ci ricorda spesso (come tutta la medicina) di essere allo stesso tempo un'arte e una scienza; basandosi peraltro sulle scienze sia sociali sia fisiche.


L'oggetto della psichiatria: psicosi, nevrosi e disturbi della personalità

Gli psichiatri hanno a che fare con un'ampia gamma di problemi. I disturbi più gravi sono spesso detti psicosi "funzionali" (o non-organiche) e includono la schizofrenia e la psicosi maniaco-depressiva (che oggi di solito è chiamata disturbo bipolare). La distinzione tra disturbi organici e non-organici è un po' confusa ma può essere utile. Sebbene si stia scoprendo che ci sono cambiamenti organici (solitamente nel cervello) dietro quasi tutte queste malattie, l'aggettivo "organico" è riservato alle psicosi derivanti da altre malattie, che spesso presentano una sintomatologia evidente. Per esempio confusione e disturbi mentali possono essere dovuti a traumi, intossicazione cronica, demenza e a una serie di altre cause fisiche temporanee quali infezioni gravi, squilibri ormonali ecc. Le psicosi funzionali invece sono quelle che un tempo erano etichettate come "pazzia": di chi ne era affetto si diceva che aveva "perso il lume della ragione". Nel complesso ne è colpito, prima o poi, circa il 3% della popolazione: non si tratta dunque di disturbi molto comuni, ma nemmeno di malattie rare (operando una semplice proporzione, possiamo immaginare che quasi un ragazzo in ogni classe di una scuola superiore soffrirà di una malattia psicotica nel corso della sua vita).

La caratteristica specifica delle psicosi è la perdita della consapevolezza necessaria per capire da dove arrivano le strane sensazioni che si provano. Il paziente non riesce a rapportare alla realtà i propri pensieri e le proprie sensazioni di tristezza o terrore. Non riesce a pensare: "Mi sto incolpando di tutto e non riesco a guardare avanti perché sono depresso", ma piuttosto si dice: "Se mi sento così è per punizione per quello che ho fatto, e ora non c'è più futuro per me". Potrebbe negare di essere malato e resistere quando le persone intorno a lui cercano di mostrargli che le cose non stanno come crede: non importa quali prove gli vengono presentate, egli si fissa sulle proprie esperienze interiori ed è incapace di modificarle. Per questo si dice spesso che il malato psichiatrico "perde il contatto con la realtà". Non rendendosi conto di stare male, non vede come potrebbero aiutarlo la famiglia o i medici. Le psicosi possono essere esperienze terrificanti, caratterizzate da livelli elevati di ansia e stress. Le due psicosi più importanti hanno contribuito a definire lo sviluppo della psichiatria stessa, e dunque vale la pena di esaminarle qui più nel dettaglio.

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Pagina 24

Depressione e disturbi nevrotici

Non tutti i disturbi psichiatrici implicano il distacco dalla realtà tipico delle psicosi. In effetti la maggioranza dei pazienti che si rivolgono a uno psichiatra non soffre di psicosi, ma di disturbi caratterizzati in buona parte dalla persistenza di elevati livelli di depressione e ansia, ai quali un tempo veniva affibbiata la generica etichetta "nevrosi". Qui di seguito userò questo termine, sebbene impreciso e ormai in disuso in campo medico, perché si rivela utile e comprensibile a tutti.

Le nevrosi causano stress e sofferenza in coloro che ne sono colpiti, ma possono non essere chiare e visibili agli altri anche perché variano molto in termini di gravità, e dunque in molti casi non impediscono al paziente che le combatte di condurre una vita in apparenza normale (sposato, con un lavoro e così via). In alcuni casi più rari, però, le nevrosi possono essere invalidanti quanto le psicosi.


Depressione

La depressione è il disturbo psichiatrico più comune: prima o poi, nel corso della vita, colpisce il 15% di noi. L'Organizzazione Mondiale della Sanità la classifica al secondo posto, dopo le malattie cardiache, tra le cause di invalidità permanente nel mondo. Sembra che la sua incidenza stia aumentando, soprattutto in Occidente, ma in parte questo può essere dovuto all'affinamento delle diagnosi, alla maggiore consapevolezza pubblica e alla accresciuta volontà di farsi aiutare da parte dei malati. Per fortuna è possibile alleviare la depressione abbastanza in fretta, grazie all'avvento degli antidepressivi e allo sviluppo di trattamenti psicologici più efficaci (come la terapia cognitivo-comportamentale). La maggior parte dei pazienti è in cura presso il proprio medico di base, e solo i più gravi vengono affidati a uno psichiatra. Sebbene a una parte di essi venga successivamente diagnosticato un disturbo bipolare, qui di seguito ci concentreremo sui casi di depressione "non-psicotica".

Di solito una persona depressa prova un profondo senso di sconforto, non ha speranze per il futuro ed è molto insicura o critica verso di sé. Sono sintomi molto comuni tensione e ansia, disturbi del sonno, perdita di peso e incapacità di concentrarsi adeguatamente o affrontare la vita di tutti i giorni. Sono frequenti anche il pianto e pensieri suicidari, così come malesseri, dolori e altri piccoli malanni. Nei casi più gravi i pazienti non raccontano di essere tristi, ma di "non sentire niente", di essere freddi, vuoti, incapaci di godersi qualsiasi cosa. Se per tirarsi su ricorrono ad alcol o droghe, quasi sempre la loro situazione peggiora. A differenza dei normali periodi di tristezza la depressione si prolunga senza conforto, perpetuata dal dimagrimento e dall'insonnia.

La depressione colpisce le donne tre volte di più rispetto agli uomini. Alcuni individui sono più a rischio per costituzione o temperamento, ma si tratta di un disturbo chiaramente influenzato dalle circostanze di vita: non a caso è molto più comune tra i poveri, i disoccupati, chi vive da solo, ha pochi amici o è stato colpito da malattie fisiche dolorose o invalidanti.

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Pagina 105

Capitolo 5

Attacco alla psichiatria. Dall'interno e dall'esterno


La psichiatria è sempre stata una materia controversa: non c'è mai stata una lunga "età dell'oro" di pace e tranquillità durante la quale tutti fossero d'accordo. È probabile che voi stessi abbiate acquistato questo libro sperando in qualche animata discussione sul bene e il male che possono fare gli psichiatri. Poiché ha a che fare con la mente, e poiché gli psichiatri hanno il potere di agire contro la nostra volontà, la psichiatria genererà sempre un certo grado di sospetto e paura. Ricondurre questa reazione solo all'ignoranza, e dire che se la gente ne sapesse di più non si preoccuperebbe, non è sufficiente. Ci sono domande in merito alla psichiatria, infatti, che è giusto porsi: sulla sua legittimità, sul suo essere solo "una specializzazione medica come le altre", e anche sul modo in cui è praticata. Le possibilità della medicina moderna comportano inevitabilmente nuove sfide e controversie dal punto di vista etico, e anche la psichiatria deve prendersi la sua parte. Approfondiremo questo tema nel Capitolo 6; ora, invece, ci concentreremo sulle contraddizioni e tensioni intrinseche alla psichiatria, che nascono proprio dalla sua natura e non dai problemi che possono emergere nella pratica.


Dualismo mente-corpo

Il filosofo francese Cartesio (1596-1650) è spesso accusato di aver fissato la distinzione tra mente e corpo tipica del pensiero occidentale, spesso detta infatti "dualismo cartesiano". Il suo famoso «cogito ergo sum» («penso dunque sono») è un'espressione arguta, ma non tutti coloro che la ripetono si rendono conto che esprimeva il suo scetticismo sulla certezza del conoscere il mondo materiale. È difficile capire perché Cartesio sia stato preso come unico responsabile di una questione che in effetti coinvolse la maggior parte dei filosofi empiristi a lui contemporanei. Non inventò il problema della mente ma, semplicemente, formulò meglio di altri le domande che ne derivano. Si tratta di domande che, dopo trecentocinquant'anni, aspettano ancora una risposta: cosa sia la mente, e come interagisca con il mondo materiale, resta ancora un mistero. La maggior parte di noi crede che la mente non appartenga al mondo materiale, e accetta l'idea che ci sia un'interazione. Dobbiamo vivere le nostre vite pensando di poter influenzare direttamente la realtà (per esempio sono io a decidere di allungare un braccio per accendere il computer). Ma abbiamo anche bisogno di credere che ci sia possibile conoscere la mente degli altri (per esempio sono sicuro che andrai in biblioteca per fare la ricerca e consegnarla in tempo). Se non credessimo in queste cose saremmo, di fatto, paralizzati.

In psichiatria la questione del dualismo mente-corpo è inevitabile, ma quella della relazione tra mente e cervello è fondamentale. Sarebbe troppo facile se questa disciplina riguardasse le malattie del cervello, come la nefrologia riguarda quelle dei reni o la cardiologia quelle del cuore. La psichiatria invece si occupa dei disturbi mentali. Sebbene sappiamo che molti disturbi di questo tipo sono legati a cause fisiche (nella depressione e nella schizofrenia si riscontrano anomalie nei neurotrasmettitori chimici), non tutte le malattie del cervello danno origine a disturbi mentali di responsabilità dello psichiatra. È il neurologo a occuparsi di malattie cerebrali come la sclerosi multipla e il morbo di Parkinson, almeno fino a quando i disturbi neurologici (come accade per un'ampia gamma di disturbi fisici) non causino problemi di tipo psichiatrico. Molti disturbi psichiatrici possono manifestarsi con sintomi fisici (stanchezza e dolori) e, allo stesso tempo, ci sono disturbi fisici che si manifestano con sintomi psichiatrici (depressione, ansia e persino allucinazioni).

Le malattie psichiatriche sono quelle in cui i disturbi principali colpiscono i pensieri, le sensazioni e il comportamento (Capitolo 1). Così come le malattie fisiche non hanno solo cause e cure fisiche, le malattie mentali non hanno solo cause e cure mentali. La depressione sintomatica del morbo di Parkinson viene trattata in modo efficace con la somministrazione di farmaci antidepressivi. Le malattie possono avere cause fisiche e cure fisiche ed essere allo stesso tempo malattie mentali.

La distinzione si basa sulla natura dei disturbi principali della malattia e sulle competenze necessarie per aiutare il paziente. Molti psichiatri e gruppi di sostegno hanno usato la massima «la malattia mentale non è altro che una malattia del cervello» per ridurre lo stigma sociale e il senso di colpa, che possono causare ulteriore sofferenza ai malati. Nonostante abbia un nobile scopo, si tratta di una semplificazione eccessiva, che costringe la psichiatria a combattere ambiguità e preconcetti su due versanti opposti.


Natura e ambiente educativo: la famiglia può causare malattia mentale?

Sappiamo tutti che essere alti o bassi, bravi nello sport o imbranati dipende da una combinazione di genetica (il potenziale biologico che abbiamo sin dalla nascita) e condizioni di vita durante la crescita (dieta, esercizio fisico, o persino il tipo di scuola frequentata). Nessuno lo contesta. Ma se si parla di psicologia, invece, il cielo si rannuvola. Il quoziente intellettivo è una caratteristica ereditaria, oppure chiunque potrebbe raggiungere lo stesso livello se avessimo tutti identiche opportunità? Persone di carattere, o criminali, si nasce o si diventa? Possiamo evitare l'insorgenza della depressione mantenendo uno stile di vita sano? È raro che i pareri si dividano come si fa di fronte alla questione della variabilità del comportamento umano. Non si tratta solo di pacati disaccordi nel mondo accademico, ma anche di dibattiti accesi in ambito politico e sociale, che riflettono e connotano punti di vista fondamentalmente diversi.

All'inizio la psichiatria aveva trovato una sua collocazione nel campo della "natura": le malattie mentali erano difetti che si ereditavano dai familiari. Il lavoro dei medici era curarle o renderle sopportabili il più possibile, sperando in una pronta guarigione. Freud e i suoi seguaci iniziarono a mettere in dubbio questa impostazione, spostando l'equilibrio verso "l'ambiente". La psicoanalisi si basa sulla ferma convinzione che quanto accade nei primi giorni e mesi di vita, e la memoria di quelle esperienze, sia la causa di molti disturbi. Freud, infatti, mostrò come alcuni problemi si potessero curare indirizzando l'attenzione alla loro memoria: il passato personale di un individuo, la sua "narrazione", non rappresentava solo il contesto ma, a volte, anche l'origine della malattia.

La psicoanalisi ha dominato la formazione e il pensiero psichiatrico dagli anni Quaranta ai Settanta. Dal punto di vista geografico, non può stupire il fatto che ebbe successo soprattutto negli Stati Uniti: lì vivevano le società fondate da coloro che erano sfuggiti al fatalismo pessimista del vecchio continente, con il suo rigido ordine sociale, le monarchie ereditarie e l'aristocrazia. Chi emigrava e andava a Ovest rifiutava quel mondo e inseguiva l'opportunità di plasmare il proprio futuro. Era quasi scontato il sodalizio con una psicologia che celebra la capacità di crescita, in cui il singolo può superare i limiti iniziali e creare il proprio destino. Il ruolo dell'ambiente e dell'esperienza si rafforzò, poi, durante le due guerre con l'analisi del trauma da combattimento (Capitolo 3). Infine, la rivelazione delle politiche eugenetiche e razziste della Germania nazista, che includevano anche l'eliminazione dei pazienti psichiatrici "geneticamente inferiori", garantirono all'ambiente e all'educazione un ruolo indiscutibile dal punto di vista morale.

Riconoscere maggiore rilevanza all'ambiente significa anche poter sperare di più in una cura. Se le malattie mentali sono causate fondamentalmente dalle relazioni umane, allora dovrebbero potersi curare attraverso altre relazioni (ovvero con la psicoterapia). Il rovescio della medaglia di questo approccio consiste nel fatto che sembra invitare alla colpevolizzazione degli altri e, in particolare, dei genitori. Freud stesso riconobbe questo rischio quando si rese conto che i racconti di abusi sessuali subiti da parte dei genitori (eventi che, all'inizio, identificava come causa delle nevrosi del soggetto) potevano essere semplici fantasie. Comprendere l'importanza che i sintomi assumono a livello personale è fondamentale in psichiatria ma, come fece notare il grande psicopatologo e filosofo tedesco Jaspers, non equivale a capire le cause stesse della malattia. Si tratta però di distinzioni sottili, che non hanno caratterizzato pubblicamente il dibattito sull'argomento.

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Progressi nelle neuroscienze

Nel futuro prossimo gli studi sul funzionamento del cervello continueranno a progredire sempre più in fretta. Le neuroscienze sono diventate il tema caldo della ricerca biomedica sull'onda dei sempre più potenti strumenti di visualizzazione e misurazione dell'attività cerebrale. Il cervello umano è rimasto a lungo un mistero, un organo apparentemente inerte perché privo di parti mobili, ma le moderne tecniche di imaging hanno rivelato quanto sia dinamico. Esse ci consentono addirittura di osservare l'attività distribuita in aree diverse, che reagiscono in sequenza a uno stimolo esterno, ma non solo. Siamo in grado di vedere che cosa accade nel risolvere un problema matematico o persino nel distinguere tra fotografie di persone che ci piacciono o no.

Le tecniche di imaging hanno rappresentato un enorme passo avanti, ma gli anatomisti stavano studiando la struttura del cervello nei minimi dettagli già da oltre un secolo. Le aree funzionali erano state identificate esaminando casi di soggetti che avevano perso alcune facoltà in seguito a ictus: era possibile vedere, infatti, come alcune parti dei due emisferi risultassero danneggiate o ridotte al momento dell'autopsia o nelle radiografie. Le immagini a raggi X si ottenevano iniettando una sostanza colorante nel sangue o nell'aria dei ventricoli (normali cavità cerebrali piene di liquido). Rispetto a questi vecchi metodi per la visualizzazione delle strutture del corpo umano, la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) e la risonanza magnetica hanno portato grandi progressi. Si tratta di tecniche che, usando i campi magnetici, possono produrre immagini incredibilmente dettagliate della sezione di qualsiasi parte del corpo, incluso il cervello, e possono essere usate anche per costruire immagini tridimensionali. Tuttavia, sebbene utili nella diagnosi dei tumori o nel mostrare le cause della demenza, non servono a molto nella maggior parte dei disturbi psichiatrici: l'espressione "disturbo funzionale", infatti, è stata usata a lungo dai medici proprio per indicare le malattie mentali per le quali non si riesce a individuare una anomalia strutturale.

Un ulteriore progresso per la psichiatria è costituito dall'imaging funzionale. Ne esistono già tre tipi: la misurazione dell'aumento di flusso sanguigno, la misurazione del metabolismo cellulare impiegando marcatori chimici e, addirittura, la misurazione diretta dell'attività elettrica dei neuroni. Tutto questo ci permette di dimostrare che il pensiero e i sentimenti si riflettono nell'attività di parti diverse del cervello e che, per esempio, si attivano le stesse aree quando un paziente ha le allucinazioni uditive o quando sente voci reali. L'imaging funzionale ha confermato la complessità e le interconnessioni che caratterizzano l'attività cerebrale.

Ma la domanda rimane: le tecniche di imaging hanno già cambiato la psichiatria? Di certo hanno aumentato quello che sappiamo e ci hanno aiutati a capire i sistemi biochimici cerebrali associati ai vari disturbi. Questo è stato utile per la ricerca sui farmaci, ma ancora non ha causato direttamente grandi miglioramenti nella pratica clinica. Sono appena iniziati i primi esperimenti di trapianto di cellule cerebrali, nei casi di Parkinson, in aree del cervello dove l'attività è insufficiente. C'è stato persino il tentativo di inserire minuscole "batterie" nel cervello di soggetti affetti da depressione cronica, per vedere se era possibile alleviare il disturbo stimolando un maggiore rilascio di sostanze neurotrasmettitori.

Siamo ancora ben lontani dai cyborg immaginati da tanti film, in cui un microchip inserito nel cervello è in grado di controllare il comportamento dell'organismo. I neuroscienziati sono decisamente riluttanti a sviluppare interventi cerebrali per le malattie mentali: interferire direttamente con la coscienza di un individuo, sottraendola al suo controllo, genera forti resistenze tra gli scienziati e in chiunque di noi. Il discorso è diverso, invece, per la chirurgia e il trapianto cellulare nelle malattie cerebrali come il Parkinson, ovvero in quei casi privi di implicazioni in termini di identità.

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