Autore Critical Art Ensemble
Titolo L'invasione molecolare
Sottotitolobiotech: teoria e pratiche di resistenza
EdizioneEleuthera, Milano, 2006, Caienna , pag. 120, cop.fle., dim. 11x18x0,8 cm , Isbn 978-88-89490-14-3
OriginaleThe Molecular Invasion
EdizioneAutonomedia, USA, 2001
TraduttoreGiacomo Paleardi, Carlo Milani
LettoreLuca Vita, 2007
Classe politica , biologia , medicina , biotecnologia












 

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Indice


INTRODUZIONE                                    7
Biologia contestativa


UNO                                            16
Paura e profitto nel quarto dominio

Il quarto dominio
La mitologia del quarto dominio
Paura, imperialismo e dissonanza ideologica
nel quarto dominio
Il paradosso dell'attivista, ovvero:
per chi stiamo lavorando?

DUE                                            35
La retorica promissoria della biotecnologia
nella sfera pubblica

Alla ricerca della nuova Eva
La nuova natura
Conclusione: sui miracoli

TRE                                            52
Produzione transgenica e resistenza culturale:
un piano in sette punti

Parte prima: gli obiettivi
Parte seconda: le insidie della rappresentazione
    La monumentalità
    Il formalismo
    La fantascienza
    Conclusione

QUATTRO                                        67
Incidenti transgenici

Il Buono, il Brutto e il Transgenico
La valutazione del rischio

CINQUE                                         83
Sabotaggio biologico «fuzzy»

Scherzetti
Disturbare i siti di ricerca
Resistenza ad alta intensità e
precisione negli obiettivi

SEI                                           101
La questione dell'accesso

Il personal computer e il video
La specializzazione tecnica
Le risorse pubbliche
L'organico e il sintetico
Organizzazione e accesso

Il Critical Art Ensemble                      115

 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE
Biologia contestativa



Ancora una volta, ciò che ci viene presentato sotto le mistiche vesti di pura scienza e conoscenza oggettiva della natura si rivela essere, fondamentalmente, ideologia politica, economica e sociale. RICHARD C. LEWONTIN


Negli ultimi cinque anni il CAE (Critical Art Ensemble) ha viaggiato assiduamente esibendosi in performance partecipate che criticano le rappresentazioni, i prodotti e le politiche legate alle biotecnologie emergenti. Quando lavoriamo su progetti che riguardano il transgenico, una delle domande più comuni che i partecipanti ci rivolgono è se il CAE sia favorevole o contrario agli organismi geneticamente modificati (OGM). La risposta dei membri del gruppo è sempre la stessa: non abbiamo una posizione generale. Ogni prodotto o processo deve essere considerato singolarmente. Alcuni sembrano disastrosi (in primo luogo per l'ambiente), mentre altri sembrano utili e ben concepiti. La vera questione relativa agli OGM è come creare modelli di valutazione del rischio accessibili a chi non ha competenze in biologia, in modo che le persone possano riconoscere la differenza tra un prodotto che è poco più che un insieme di sostanze inquinanti a scopo di profitto e quelli che hanno una funzione pratica e desiderabile e che allo stesso tempo non presentano un impatto ambientale. Tracciare queste definizioni è ulteriormente complicato da una generale mancanza di comprensione delle procedure di controllo della sicurezza. Per chi non ha una formazione scientifica, la questione di che cosa sia il rigore scientifico rimane un mistero e leggere uno studio sulla sicurezza di prodotti transgenici appare come una montagna troppo alta da scalare. Il pubblico interessato può essere ulteriormente confuso da vocaboli specialistici. Il risultato è che si impone implicitamente agli individui di aver fede nelle autorità scientifiche, governative e industriali, che si suppone agiscano avendo sempre bene in mente l'interesse collettivo.

L'impressione che la scienza sia troppo difficile da capire per chiunque non sia uno specialista è socialmente radicata in tutti coloro che la sentono estranea alla loro vita quotidiana. Le mura della divisione tecnica del lavoro sembrano inviolabili. Il detto inglese «non è mica scienza missilistica», di solito sarcasticamente rivolta a qualcuno che ha insoliti problemi nello svolgimento di compiti facili, è solo un esempio della manifestazione di pubblica riverenza verso la forza intellettuale della scienza e della sua separazione dalle comuni attività di ogni giorno.

Tuttavia, anche se queste percezioni possiedono un certo grado di verità, sono senz'altro esagerate. In poco tempo chiunque sia minimamente istruito può imparare i fondamenti degli studi scientifici e l'etica della scienza. Ecco di seguito un esempio concreto di come le questioni scientifiche siano spesso di facile comprensione. Gli esperimenti dovrebbero essere ripetuti molte volte, e non solo da un singolo laboratorio, bensì in maniera coordinata con altri laboratori per verificare se si ottiene il medesimo risultato o risultati simili. Se ogni laboratorio arriva alle stesse conclusioni, allora l'ipotesi teorica sulla base della quale è stato svolto l'esperimento è considerata affidabile. L'affidabilità è un indicatore chiave per la validità degli esperimenti. Finché non vengono compiuti studi sull'affidabilità, un dato risultato è sospetto. Ovviamente non è necessario essere uno scienziato per capire che se uno studio non è stato ripetuto da fonti indipendenti, i dati sono opinabili. Se le verifiche sperimentali fossero condotte solo dal laboratorio che ne trarrebbe un beneficio economico (di solito i laboratori sono privati, ma anche quelli universitari sono sospetti), non c'è bisogno di un dottorato in etica per capire che questo viola i codici di condotta scientifica a causa di un conflitto di interessi che potrebbe distorcere radicalmente l'interpretazione dei dati (se non i dati stessi). Al momento, per quanto riguarda le licenze commerciali sugli organismi geneticamente modificati, negli Stati Uniti le società di ingegneria genetica sono le fonti principali di dati, quando non le sole, per l'Environmental Protection Agency (l'Ente per la tutela ambientale) e per il Department of Agriculture (ministero dell'Agricoltura). Viceversa, argomentazioni non specialistiche hanno chiaramente un posto nel dibattito sul transgenico, poiché alcuni livelli degli studi possono essere rivisti anche da non esperti. La posta in gioco è troppo alta perché la sperimentazione della sicurezza dei prodotti sia lasciata nelle sole mani degli esperti scientifici e delle imprese.

Le rappresentazioni del transgenico si trovano di fronte a una contraddizione profonda che peraltro emerge dall'interno stesso della cultura imperialista e/o delle corporation. Lo spettacolo del transgenico tende, come al solito, a sostenere le iniziative volte al profitto e a promuove l'idea che il «libero» mercato lavori sempre nell'interesse comune, salvandoci dai problemi ambientali, sanitari e demografici. Sfortunatamente per la cultura delle grandi imprese, la rappresentazione storica delle regole di purezza sociale e inquinamento si scontra con l'utopistica rappresentazione dei prodotti transgenici. Mentre le prime insistono per preservare la purezza naturale e affermano che è poco saggio, se non catastrofico, interferire con gli ingranaggi della creazione, la seconda delinea un mondo di scambi molecolari da cui ognuno trarrà giovamento. Questa seconda posizione non sta però ottenendo un gran successo nel convincere il pubblico dei consumatori che l'ingegneria genetica è una buona idea. Dopo tutto, scalzare imperativi ideologici che si sono radicati in profondità in ogni separazione razzista e classista negli ultimi tre millenni non è un compito da poco. Questa contraddizione ideologica è ancora più difficile da appianare perché il capitale non vuole rinunciare a taluni effetti benefici derivati da iniziative coloniali ed endocoloniali che l'attuale ideologia della separazione sostiene, richiedendo così l'adozione di un doppio metro nel giudicare il mescolamento delle categorie della natura: a volte è buono, a volte no. Se il modo in cui tali imperativi sono strutturati e selezionati dipende effettivamente da ciò che offre il profitto più elevato, non è certo possibile presentarli così. In qualche modo questa contraddizione deve essere rappresentata miticamente e quindi normalizzata attraverso il filtro del «naturale». Le imprese biotecnologiche non sono riuscite a risolvere questo problema, e pur sperimentando tuttora una varietà di campagne pubbliche, la loro strategia fondamentale è rimasta quella di produrre e impiegare qualsiasi prodotto transgenico che si prevede possa essere redditizio, senza enfatizzare le incertezze nella speranza che il problema dell'«isteria collettiva» si risolva da solo via via che i consumatori vadano abituandosi ai nuovi prodotti.

Come risorsa culturale per materiale artistico, il transgenico sta diventando una moda sfruttabile per furbi e ambiziosi produttori di cultura. Non che questa tendenza sia atipica: ogni qual volta appaiono nuove tecnologie visive, e aree meno specializzate (come la produzione artistica) finalmente ne conquistano l'accesso, c'è chi immediatamente coglie la possibilità di sfruttare inedite possibilità estetiche. È anzi possibile che proprio in questo momento degli artisti stiano barattando le loro web-cam con microscopi elettronici. Il «mondo dell'arte» ha già iniziato a vedere lavori derivati dalla biologia molecolare scivolare fuori dai laboratori per entrare in vari spazi culturali. Con due decenni di esplosione delle tecnologie visive dietro di noi, il futuro è relativamente prevedibile: monumentali paesaggi molecolari che enfatizzano il paradosso di scala e la colorata bellezza del micro-mondo, il cui passo successivo nella scultura vivente saranno espressioni del desiderio frankensteiniano sub specie di forme di vita prodotte o finalizzate (ratti fluorescenti e proteine che interpretano percorsi testuali). Di certo, questi progetti di novità tecnologica e/o formale saranno stavolta ancora più deprimenti, perché gran parte di questa visualità è e sarà il più possibile apolitica (o nasconderà il suo essere politica) essendo stata concepita per saziare di novità il mercato dei prodotti culturali. In termini di economia politica generale, queste opere contribuiscono a educare il pubblico, ma funzionano anche nell'interesse della cultura delle corporation, poiché placano lo scetticismo pubblico, estirpando la bioimmaginazione dal dominio del dibattito politico e arroccandola dentro il bunker spettacolarizzato e specializzato dell'estetizzazione. La cultura delle corporation e dello Stato non avrebbe potuto aspirare a un più efficace lavoro di relazioni pubbliche, da cui la volontà delle grandi imprese di sostenere manifestazioni culturali prestigiose come Ars Electronica in Europa o, negli USA, le rappresentazioni spettacolari del Whitney Museum of American Art o del San Francisco Museum of Modern Art.

Infine, l'iter della politica è già bell'e pronto. Gli sviluppi della transgenetica seguiranno il percorso di tutti i beni e servizi in regime capitalista, ovvero saranno raramente di pubblica utilità. La politica pancapitalista non fa che alimentare, rafforzare ed espandere i meccanismi del profitto. L'invasione e il controllo a livello molecolare stanno rapidamente diventando le nuove tipologie di controllo coloniale ed endocoloniale. Limportante sembra essere consolidare la catena alimentare dalla struttura molecolare al confezionamento. Grazie a una superiore capacità di controllo biologico delle specie, oggi le corporation hanno come mai in passato la possibilità di intensificare la dipendenza delle nazioni in via di sviluppo dall'economia occidentale. Il cibo deve essere acquistato dalle multinazionali alimentari, oppure deve esserlo il materiale chimico e organico necessario alle coltivazioni. In entrambi i casi la gestione delle risorse è sotto il controllo del capitale occidentale. Gli agricoltori possono inoltre essere spinti a coltivare piante da reddito come il cotone o altre colture non d'autoconsumo che risultino vantaggiose per il colonizzatore. Un tale piano è esistito fin dall'inizio dell'agricoltura industriale: in questo modo l'egemonia delle risorse alimentari ha semplicemente fornito un altro potente strumento che si è adattato perfettamente all'attuale struttura di dominio.

Oltretutto, ci si può adesso appropriare di ogni forma di capitale molecolare: è questa la nuova frontiera. Come già avviene con tutti gli oggetti classificati e controllati, anche i genomi, gli enzimi, i processi biochimici, ecc. potranno tutti essere privatizzati. Quello che una volta era possesso comune e controllato dall'autorità della tradizione e dal sapere condiviso viene ora usurpato dalla separazione tra il suo valore chimico-molecolare e il suo valore olistico-fenotipico. Ad esempio, una pianta usata nella medicina tradizionale che aveva un valore generale (economico, politico, spirituale) può essere trasformata, come composto chimico, in qualcosa dal solo valore economico. Questo composto può essere brevettato, e mentre la pianta potrebbe ancora essere usata, il principio attivo non può più esserlo, rimuovendo praticamente la pianta dal novero delle risorse comuni. Con un atto di eco-pirateria travestita da diritto di proprietà lockiano, lo sforzo di separare le diverse micro-proprietà della pianta ne scavalca ogni funzione olistica e qualunque proprietà collettiva.

L'argomentazione usuale per eliminare ogni traccia di condivisione consiste nel sostenere che la proprietà comune è un modo inefficiente di gestire le risorse. Se l'efficienza aumenta, più beni sono disponibili, così ognuno ha di più per meno. Tuttavia, dopo due secoli di capitalismo sappiamo bene che le sole persone che ottengono di più sono i padroni, mentre i poveri e i diseredati perdono completamente le poche risorse cui avevano accesso. L'assunto che l'efficienza sia un bene totalizzante è solamente un disgraziato esempio dei valori peculiari dei potenti, rappresentati e interiorizzati come universali.

Il diktat dell'efficienza attacca anche altrove. Incuria ambientale, inquinamento e sfruttamento del transgenico avvengono tutti in nome dell'efficienza. Negli Stati Uniti il capitale è ossessionato dalla velocità in generale, ma in questo caso l'interesse sta nel ridurre la distanza tra il momento in cui un prodotto viene sviluppato e il suo arrivo sul mercato. Efficienza, in questo caso, significa redditività. Quando un prodotto mostra di funzionare, è pronto per la distribuzione. I prodotti transgenici sono commercializzati il prima possibile al fine di costruire una stabile nicchia di mercato. Al momento, nessuno sa come i prodotti transgenici influenzeranno l'ambiente. Mentre la prognosi è generalmente ottimistica per il breve periodo, per il lungo periodo è tutt'altro affare. Non è stato condotto alcuno studio a lungo termine sui nuovi tipi di piante e animali, né avrebbe potuto essere fatto perché la tecnologia è troppo recente. Sarebbe auspicabile che i produttori procedessero con grande prudenza e aspettassero qualche decina d'anni prima di commercializzare organismi geneticamente modificati in modo che possano essere condotti studi a lungo termine, ma nella maggior parte dei casi è già troppo tardi. Il motore del progresso (cioè il profitto) si è già spostato in avanti, senza che il pubblico se ne sia accorto. Se in futuro sopraggiungesse una qualsiasi difficoltà, chi ha rilasciato OGM non sarebbe nemmeno considerato in dovere di riordinare il caos. Si sa, gli effetti collaterali sono ricadute inevitabili nel mondo degli affari.

Che cosa si può fare per cambiare questa situazione? La risposta è unica quanto la macchina pancapitalista stessa: disturbare il flusso del profitto. Certo, il ricorso a metodi di contestazione tradizionali ed elettronici sarà utile, ma in che modo il nuovo fronte molecolare-biochimico può essere affrontato direttamente come una leva per disgregare il profitto? Questa è un'area totalmente priva di riflessioni teoriche, ed è appunto ciò di cui si occupa la biologia contestativa. Due aspetti che devono essere immediatamente chiariti sono i rapporti tra bioresistenza e violenza e la tendenza della resistenza a essere urbana. Dato che sono implicati organismi viventi, è abbastanza probabile che introducendo inerzia nel sistema del profitto si danneggerà la vita geneticamente modificata. La cultura industriale ha bombardato l'ambiente per decenni (in alcune aree addirittura per due secoli), dunque il CAE sta solo proponendo di rispondere al fuoco.

Le regole di ingaggio sono ben chiare. Se si parte dall'assunto che la bioresistenza dovrebbe far ricorso a metodi violenti solo come extrema ratio, e soltanto nella misura necessaria per essere efficace, si presentano una serie di possibilità che non portano alla galera. La cultura industriale da sempre sostiene che la violenza da effetti collaterali non è imputabile a un individuo o a una istituzione. Ad esempio, se un processo di lavorazione causa la pioggia acida, i produttori non sono responsabili degli effetti negativi su flora, fauna o altri elementi ambientali, né sono tenuti a porvi rimedio. Se la resistenza riesce a posizionarsi nello stesso campo di indefinita legalità, un contrattacco legale aggressivo ed efficace è possibile.

Un secondo problema sta nel decidere come ridistribuire le forze della bioresistenza. Al momento, la maggioranza tende a concentrare le proprie attività nelle aree urbane. Solo i movimenti ambientalisti hanno sviluppato metodi per aree rurali e selvagge. Si è riflettuto in misura modesta sui modi in cui il capitale rurale può essere usato per gli obiettivi della resistenza. La bioresistenza sta ancora aspettando il giorno in cui una manifestazione di ventimila persone sfilerà davanti a uno dei centri per la ricerca della Monsanto in Alabama, o in cui faranno la loro comparsa agricoltori che si dedichino allo sviluppo di specie in via di estinzione. Questo problema logistico, e la necessità di ridistribuire le forze, dà al capitale nomade la possibilità di mantenere le sue attività in territori dove la tensione politica e sociale è minima.

Nei capitoli che seguono il CAE, oltre a esaminare come si possano usare le rappresentazioni «canaglia» del capitalismo per innalzare la soglia di consapevolezza, cerca di delineare le possibilità di una biologia contestativa. La speranza è che questo libro sia un utile contributo allo sviluppo di vie e mezzi sempre più complessi per rallentare, stornare, sovvertire e disturbare l'invasione molecolare attraverso l'appropriazione radicale dei sistemi di conoscenza e dei prodotti e processi sviluppati dai poteri imperiali.

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