Copertina
Autore Guido Caldiron
Titolo Lessico postfascista
Sottotitoloparole e politiche della destra al potere
Edizionemanifestolibri, Roma, 2002, Indagini , pag. 184, dim. 143x210x12 mm , Isbn 978-88-7285-248-4
LettoreRiccardo Terzi, 2003
Classe politica , storia contemporanea d'Italia
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Indice

Introduzione              7

Anticomunismo            17
Capo                     21
Civiltà superiore        29
Comunità                 37
Cultura                  47
Devianze                 55
Donne a destra           61
Famiglia                 71
Giovinezza               79
Globalizzazione          85
Guerra                   91
Identità cristiana       99
Italiani nel mondo      107
Legge e ordine          113
Patria                  121
Popolo                  127
Radicalismo             135
Radici fasciste         141
Revisionismo nostrano   149
Stato                   159
Stato sociale           167
Toghe rosse             171
Xenofobia               177
 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE



LA DESTRA, UN'IDENTITÀ PLURALE

L'Italia dell'«assalto al cielo», dei grandi movimenti politico-sociali degli anni Sessanta e Settanta, del più forte Partito comunista d'Occidente e della più ampia rappresentanza delle culture e dei percorsi dell'«estrema sinistra», si è trasformata nell'ultimo decennio nel laboratorio di massa di una nuova destra che, dapprima nel 1994 per un breve periodo e quindi di nuovo dopo le elezioni del 13 maggio del 2001, ha portato Silvio Berlusconi alla guida del paese. Una condizione che, nel corso degli ultimi anni, ha fatto della Penisola una sorta di modello internazionale per il processo di ridefinizione dell'identità delle destre.

È da questo assunto che muove il presente volume, che non intende perciò stendere un bilancio sommario del primo anno, o poco più, di governo della destra, quanto piuttosto individuare i tratti che ne indicano la cultura, o meglio, le culture, il profilo ideale e le radici «profonde», ma anche la capacità di leggere e volgere a proprio favore le rapide trasformazioni che attraversano la società italiana e di costruire una proposta che valorizzi le differenze e il profilo «plurale» della propria identità attuale. Il volume si articola come una sorta di «vocabolario» di questa nuova destra, cercando in particolare di analizzare non tanto la specificità delle diverse forze che la compongono, quanto piuttosto di cogliere gli elementi comuni, che mettono insieme culture, tradizioni e linguaggi tra loro, apparentemente anche molto diversi, al fine di elaborare un progetto unitario. In queste pagine non sono però le analisi di politologi o ricercatori a descrivere l'orizzonte a cui guardano le destre italiane: attraverso 23 parole-chiave è la destra stessa a disvelare le proprie radici, ad indicare i percorsi politici e ideali che stanno dietro alle proposte di legge e all'inizitiva dei diversi ministri, a evidenziare, talvolta, la propria continuità con il passato ma anche le profonde novità e il dibattito che la attraversano, a offrire, in ultima analisi, tutti i segmenti di un quadro composito e di un progetto che solo una lettura superficiale può far coincidere esclusivamente con una momentanea «occupazione del potere». Il volume raccoglie in questo senso, come un ideale diario di viaggio, elementi, spunti, frasi, documenti politici e echi di cronaca, discorsi parlamentari e interventi tratti dal dibattito degli intellettuali vicini alle forze di governo, che, proprio nell'essere presentati insieme, finiscono per indicare chiaramente quale sia l'Italia che sognano e stanno costruendo sotto i nostri occhi, queste destre.

In questo senso, le principali letture che, dell'esperienza della destra al governo, vengono abitualmente date a sinistra, risultano fuorvianti se si vuole arrivare a una definizione concreta di ciò che stiamo osservando. Altrettanto «fuori fuoco» appaiono infatti da un lato l'idea che pone l'accento sul carattere esclusivamente liberista di questa destra; quella che ne identifica l'operato come posto al servizio esclusivo degli interessi particolari dello stesso Berlusconi; e quella che indica, invece, in una sorta di riemersione dal passato di un progetto fascista e razzista la vera identità di fondo della maggioranza che sostiene l'attuale premier. Il nuovo populismo che caratterizza la realtà italiana è davvero pericoloso proprio perché incrocia questi elementi in una formula che si potrebbe definire per comodità come «nazional-liberismo». Nel senso che, «passato» e «futuro» si intrecciano nel divenire di una politica tutta attuale: la destra veicola infatti quelli che presenta come «valori tradizionali», come la ribadita centralità della famiglia eterosessuale e la considerazione «sociale» della natalità come strumento di difesa identitaria, attraverso gli assegni di sostegno alla maternità e una riconversione in tal senso dell'intero sistema del welfare, per altro già drammaticamente in crisi nella sua formulazione ereditata dallo schema fordista. Come spiega l'intellettuale di destra forse più noto del nostro paese, Marcello Veneziani (nel suo La cultura della destra, Laterza 2002), non senza ricorrere a toni apologetici: «il governo di Berlusconi del 2001 ha segnato un punto di svolta nella storia civile del nostro paese: per la prima volta nella Repubblica italiana si è creata una saldatura tra destra economica e destra politica, tra destra morale e destra umorale (pragmatica). E la prima volta che un governo gode di questa benevolenza così eterogenea, che passa per così dire da Agnelli alla Confindustria [...] dalla destra sociale e nazionale alla destra liberista e globalista, dalla Chiesa ai commercianti...». E, sempre Veneziani, indica nell'alleanza tra i due modelli oggi maggioritari nella destra internazionale, le radici di questa situazione italiana. «La prima tendenza è nel segno del liberismo - spiega - Meno statalismo, meno socialismo, deregulation, libero mercato, meno tasse, più competizione. È l'eredità degli anni Ottanta lasciata da Reagan e dalla Thatcher attraverso l'ultima rivoluzione politica del Novecento: liberismo economico e conservatorismo morale». «La seconda tendenza - aggiunge - va nel segno del populismo. Questa linea reagisce agli effetti collaterali della globalizzazione: l'espropriazione delle sovranità popolari e nazionali, la minaccia alle identità comunitarie e alle tradizioni dei popoli, la diffusione del caos e del nichilismo sociale, l'immigrazione incontrollata e la delinquenza impunita». Non a caso il senso ultimo di questo quadro, per il governo delle destre italiane, è sintetizzabile, secondo Veneziani: «in una parola: populismo. In una accorta miscela di estremismo e moderazione, di arcaismo e ipermodernità, di liberismo e di comunitarismo».

Dunque è proprio a partire dall'esempio italiano che, a ben guardare, si giunge alla sintesi di quanto nel resto d'Europa appare ancora frammentato o in via di aggregazione: vale a dire alla definizione di una nuova identità che, passando per l'eliminazione di molte delle barriere tradizionali tra le vecchie forze conservatrici e i movimenti di ispirazione radicale o nostalgica, costruisce lo spazio culturale e politico di una vera «destra plurale» (per una prima, sommaria, definizione in merito si veda Guido Caldiron, La destra plurale, manifestolibri 2001). Da questo punto di vista è quindi utile, prima di osservare direttamente come la destra del nostro paese annunci la propria nuova identità, le proprie radici e i propri progetti per il futuro, tornare brevemente sulle ragioni che fanno del caso italiano un modello di riferimento per tutta l'Europa e che contengono, forse, anche qualche elemento ancora più generale per descrivere il possibile nesso tra il populismo in politica e le forme sociali ed economiche della globalizzazione capitalista.

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IL MODELLO ITALIANO

Innanzitutto per comprendere appieno perché a livello internazionale si guardi, da destra, all'Italia come a un possibile modello, si deve considerare un dato di carattere ormai storico, e cioè che la formazione del primo governo Berlusconi nel 1994 ha assegnato al nostro paese un primato, sebbene davvero poco lusinghiero: quello del primo governo europeo nel quale figuravano, dopo il 1945, formazioni dell'estrema destra. È in Italia che viene violato per la prima volta il «tabù» antifascista, rendendo possibile l'accesso al potere degli eredi politici del Ventennio e di Salò.

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POPULISMO E GLOBALIZZAZIONE

Si tratta a questo punto, dopo aver indicato quanto 1'esempio italiano sia potuto servire da modello in Europa, di sottolineare l'ultimo tratto di questo inquietante primato del nostro paese. Come ha spiegato lo studioso francese Jean-Yves Camus (Le Monde diplomatique, maggio 2002) negli ultimi anni stiamo assistendo: «al successo di un'estrema destra atipica, che ha abbandonato il culto dello stato per l'ultraliberalismo, il corporativismo per il mercato, e talvolta anche il quadro dello stato-nazione per i particolarismi regionali o puramente locali». «Certo - ha aggiunto Camus - alcune formazioni politiche si richiamano ancora all'invariabilità delle ideologie autoritarie e fasciste [...] ma sono diventate marginali, mentre progrediscono i partiti privi di una filiazione storica e ideologica estremista, che sembrano poter offrire soluzioni a una proposta politica chiusa, ampiamente consensuale e totalmente aderente al modello economico e sociale ultraliberista». Un fenomeno articolato che Camus identifica con la comune definizione di «populismo».

Se questo è dunque il quadro, se l'immagine della destra del futuro è riassumibile nel discorso e nelle modalità politiche del populismo, piuttosto che nelle vecchie identità dell'estremismo nostalgico, qual è il ruolo giocato da queste forze nel nostro paese? Ebbene, la prima e fondamentale constatazione contenuta nel saggio forse più completo e vasto dedicato fin qui all'argomento, quello scritto dal politologo francese Guy Hermet (Les populismes dans le monde, Fayard 2001) riguarda la centralità e il primato rappresentati dall'odierna situazione italiana nello sviluppo internazionale dei fenomeni neopopulisti. Hermet, che studia la storia e la politica europea da oltre trenta anni, assegna ai partiti del Polo un ruolo di veri e propri «apripista», di anticipatori, per grandi linee, di quanto i movimenti e le formazioni populiste potranno dire nel futuro del vecchio continente. La ricerca di Hermet, una vera storia sociologica del populismo letto attraverso le sue manifestazioni storiche nel corso degli ultimi due secoli conduce a delineare l'ideale albero genealogico del Cavaliere e di tutta la nuova destra italiana, le differenti famiglie del populismo e lo stesso spazio politico che questo fenomeno ricopre, non come risultato mimetico del vecchio fascismo, ma come fenomeno originale, che trasforma i sostenitori del rifiuto della «politica», che parlano a nome e per conto del popolo, in «politici» di successo e di potere. E in particolare nello schema che riassume, secondo il ricercatore francese, le cinque principali componenti dell'odierno populismo europeo, che il ruolo dell'Italia assume grande rilievo. La prima di queste tendenze è rappresentata dai partiti anti-tasse dei paesi scandinavi che sono nati mettendo in discussione il modello di Stato sociale sostenuto dalla socialdemocrazia e che hanno poi progressivamente arricchito il loro repertorio con posizioni esplicitamente xenofobe e contrarie all'integrazione europea. Il secondo nucleo riunisce le grandi formazioni nazional-populiste centrate sul rigetto dell'immigrazione e sulla difesa dello Stato-nazione di fronte ai processi della globalizzazione: da Le Pen a Haider, passando per lo svizzero Blocher e i Republikaner tedeschi, fino ai Repubblicani cechi. Al terzo anello incontriamo invece quei movimenti che pongono l'accento, in senso contrario ai precedenti, pur facendo ricorso al medesimo razzismo, sulle rivendicazioni secessioniste e antistatali, come il Vlaams Blok nelle Fiandre, la Lega dei Ticinesi in Svizzera o la Lega Nord da noi. Gli ultimi due punti di questa «catalogazione» proposta dal libro di Hermet sono appannaggio esclusivo di formazioni italiane. La quarta tipologia populista presa in esame riguarda infatti Alleanza nazionale, partito che viene posto dall'autore a metà cammino tra il proprio passato strettamente fascista e il tentativo di configurarsi come un movimento neo-populista, segnato in particolare dal riferimento, sia politico che organizzativo, all'autoritarismo. Infine, all'ultima voce, ci sono proprio Silvio Berlusconi e Forza Italia che vengono descritti come la prima vera testimonianza europea di un fenomeno già osservato in altre parti del mondo e che viene descritto come «neopopulismo mediatico». «Un fenomeno come quello di Forza Italia - spiega in particolare Hermet - non ha eguali nel resto d'Europa, le uniche vere somiglianze che si possono cogliere riguardano piuttosto l'America Latina, teatro in particolare della miracolosa ascesa verso la presidenza del Brasile di Fernando Collor sostenuto dalla potente tv Globo».

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Pagina 16

La situazione italiana dei primi anni Novanta volgeva rapidamente verso un quadro più vicino a quello che contraddistingue il modello della globalizazzione neoliberista. Ed è proprio in questo contesto che la nuova destra italiana comincia a muovere i suoi primi passi, approfittando del vuoto politico che si è creato, ma anche candidandosi progressivamente al governo della nuova condizione economica e sociale del paese. Vero fulcro di questa marcia delle destre verso il potere sarà, come è descritto nelle pagine di questo volume, una completa ridefinizione della loro idea di stato e una totale adesione ai dettami delle politiche liberiste. Una trasformazione che lascia però inevaso il quesito che si poneva già allora lo storico del fascismo Pierre Milza (Storia e memoria, n. 1, 1994), sul possibile ritorno nel nostro paese come nel resto d'Europa di «qualcosa di simile al fascismo verificatosi tra i due conflitti mondiali». È dalle parti di una identità populista che prospera sulla crisi dello Stato-nazione e sul diffondersi della globalizzazione, che quella risposta va cercata ancora oggi. Perché, se di una minaccia seria si tratta davvero, come è la tesi di fondo di questo saggio, le ragioni del suo sviluppo vanno cercate guardando al futuro e non al passato della nostra storia. Di questo si nutre inesorabilmente il postfascismo dell'era globale.

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