Copertina
Autore Sandro Calvani
CoautoreMartina Melis
Titolo Saccheggio globale
SottotitoloLa nuova criminalità del mondo senza frontiere
EdizioneSperling & Kupfer, Milano, 2003, Continente desaparecido , pag. 252, dim. 130x210x23 mm , Isbn 978-88-200-3442-9
PrefazioneGian Carlo Caselli
LettoreRiccardo Terzi, 2003
Classe scienze sociali , storia contemporanea , politica , economia , globalizzazione , storia criminale
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Indice

Prefazione di Gian Carlo Caselli            VII

1. Se vincono i predatori globali             1

2. I metodi della criminalità organizzata:
   ricic1aggio, frodi, falsificazioni        30

3. Il saccheggio ambientale                  69

4. Terrorismo e traffico d'armi             106

5. Traffici di esseri umani e di droga      131

6. Grandi personaggi e interpreti dei
   crimini senza frontiere                  165

7. Le grandi imprese mondiali
   a irresponsabilità illimitata            182

8. La sicurezza umana è la risposta
   alle sfide del saccheggio globale
   di Edward Newman                         227

Indice dei nomi                             247

 

 

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Pagina 1

1
Se vincono i predatori globali



        Tutti sappiamo che dobbiamo proteggere i
        beni pubblici e assicurare il bene pubblico
        di tutti i popoli. Ma dobbiamo anche
        resistere a mali pubblici e al male
        pubblico, quali la droga, il crimine
        internazionale, il terrorismo e la
        proliferazione delle armi. A livello
        nazionale è lo stato che ha queste
        responsabilità. Ma a livello globale chi se
        ne occupa, visto che si devono rispettare
        le sovranità nazionali?

        KOFI ANNAN,
        segretario generale delle Nazioni Unite,
        Primo Forum Mondiale sullo Sviluppo,
        New York, 29 luglio 1999



Dove vince Caino


«Qui si sta sviluppando un triangolo d'oro di traffici illeciti.» Nel luglio 1971, con questa semplice frase Marshall Green, vicesegretario del dipartimento di stato degli Stati Uniti, battezzava quello che sarebbe poi diventato il Triangolo, il luogo più studiato dalla criminologia e dalla sociologia che si occupano del lato oscuro della globalizzazione.

In realtà, in quella conferenza stampa a Bangkok, egli voleva dare una buona notizia, e cioè che la Cina era finalmente uscita dal giro diabolico della produzione e del traffico di oppio ed eroina, lasciando così il terreno in mano ai meno pericolosi thailandesi, birmani e laotiani. Ma ciò che allora era vero, oggi non lo è più: la Cina rimane senza oppio, ma ha recuperato un ruolo da protagonista nel vero cuore dei sistemi di saccheggio globale: la produzione e il traffico di droghe sintetiche, il commercio di esseri umani, soprattutto donne e bambini, per prostituzione, sfruttamento e/o riduzione in schiavitù, e il riciclaggio di denaro sporco, frutto di decine di attività criminali.

Il Triangolo d'Oro originale menzionato da Green era limitato a Thailandia, Laos e Birmania e nel 1971 il riferimento era soprattutto al narcotraffico. Oggi il Triangolo esiste ancora, ma come baricentro di un sistema molto più poliedrico e concentrico. Esso, infatti, fa parte di un esagono, come è stato definito nel 1998 da Pasuk Phongpaichit, che si allarga a Vietnam, Cambogia e Cina, e che verte su sei attività principali: droga, armi, prostituzione, gioco d'azzardo, corruzione politica e industriale, traffico e sfruttamento di persone.

I protagonisti del nocciolo duro del crimine organizzato transnazionale hanno già consolidato, o stanno sperimentando, una molteplicità di forme di guadagno illecito e predatori o che si allarga a tutta l'Asia del Sud, dell'Est, al Caucaso e, poi, si diffonde nel resto del mondo. Secondo stime dell'OCSE e dell'ONU, nel 2000 il giro d'affari è stato di 1500 miliardi di dollari (circa 3 milioni di miliardi di vecchie lire), il che supera di gran lunga il prodotto interno lordo della maggior parte dei paesi in via di sviluppo ed equivale all'incirca a quello di uno dei maggiori paesi industrializzati.

È un vero cancro dello sviluppo e della pace che si estende ormai come una piovra planetaria, e la realtà è più sinistra di qualunque fiction immaginata dai registi di Hollywood.

La formula magica con cui, per ora, Caino vince nel terzo millennio si basa su due pilastri fondamentali. Il primo è il decentramento amministrativo, imposto su scala mondiale dalla globalizzazione dei mercati. Esistono parecchie teorie interpretative del lato oscuro della globalizzazione e milioni di persone (tra cui anche il «popolo di Seattle») sono preoccupate per un'infinità di ragioni. Si sta parlando di attività criminali che potrebbero dapprima coinvolgere l miliardo e 200 milioni di cinesi, 220 milioni di indonesiani (che vivono e lavorano separati in 2000 isole) e che si potrebbe poi propagare al mondo intero, senza però il controllo di polizie, guardie di finanza o giudici.

Dove i governi nazionali non hanno saputo, né voluto, o forse potuto, regolare il mercato, là si sono sviluppate forme efficienti di capitalismo selvaggio. In molti paesi, per effetto della deregulation, della devolution e del decentramento, le autorità regionali sono rimaste le sole a controllare il processo di produzione della ricchezza. Spesso si tratta di autorità senza alcun potere anticrimine e antimonopolio. L'unico elemento che permette a questi politici di conservare il potere è il sostegno popolare; un people power distorto, che si alimenta soprattutto della soddisfazione o meno del supposto bisogno di un arricchimento accelerato. E chi sa produrre ricchezza alla velocità massima spesso tende ad aggiustare a proprio vantaggio le regole del mercato, quelle del codice civile e penale. Laddove sono rimaste solo le autorità locali a controllare l'arricchimento cui molti aspirano, la concorrenza e la legalità spariscono e vince il profitto senza regole. Tutti ingredienti essenziali della ricetta della mafia. Non esiste né un capo, né un organigramma dei comportamenti predatorii perciò, dato che è impossibile attaccare contemporaneamente tutti i tentacoli della piovra globale del crimine, essa è di fatto impunita. E non si intravede alcun rimedio all'orizzonte.

Il secondo pilastro fondamentale è ancora più sgradevole, destabilizzante e pericoloso. Caino vince dove Abele è più debole, dove ha armi meno efficaci e poca voglia di difendersi. Il crimine organizzato spesso prevale non tanto perché vince battaglie locali contro le forze dell'ordine, contro l'applicazione della legge e del diritto. Semplicemente occupa spazi abbandonati da stati schiacciati da un grave degrado politico e amministrativo, paralizzati da ridicole regole burocratiche create dalla scarsa formazione degli operatori, dalla mancanza di buona volontà, di risorse e di tecnologie adatte, spesso solo dalla mancanza di buon senso. L'ignavia e l'inerzia dello stato di fronte al bene pubblico sono ancora peggiori di qualunque male pubblico. Grazie a questa formula Caino vince: Abele si è arreso prima di combattere.

Queste due cause scatenanti danno luogo a un circolo vizioso che diventa diabolicamente efficace laddove il potere centrale è squalificato da un'ideologia cui quasi nessuno crede più (come il comunismo in Cina) o da uomini di stato che sono la personificazione della corruzione collettiva (per esempio Suharto in Indonesia, Marcos nelle Filippine), o che si mantengono al potere grazie a una dittatura militare (per esempio il Myanmaf e il Pakistan). Non c'è caos peggiore di quello causato da regole che si contraddicono da sole.

E non va dimenticato che grandi agenzie per lo sviluppo come l'UNDP, il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale, le banche regionali di sviluppo, comprese le grandi charities (organizzazioni non governative per la solidarietà), per oltre tre decenni non hanno investito una lira nell'aiuto alla costituzione di stati di diritto, nella stesura di regole certe, nella creazione di polizie e magistrature con le mani pulite. Così dopo trent'anni di aiuti ai paesi poveri, in Etiopia, Somalia e Cambogia, per fare qualche esempio, non esiste ancora un sistema trasparente che permetta agli investimenti puliti di competere con quelli sommersi e sporchi.

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Pagina 12

Guerre pianificate a tavolino


La miseria diffusa e la scarsità di risorse insieme innescano il conflitto. Non ci sono «ribelli» più coraggiosi o violenti di quelli che non hanno più nulla da perdere. Così, quando i predatori globali hanno fatto piazza pulita degli stati di diritto, desertificato l'economia e impoverito le masse, possono ancora sfruttare le rivolte e le guerre civili. È la storia recente delle isole Fiji, dei Tamil (LTTE: Liberation Tigers of Tamil Eelam) nello Sri Lanka, della Colombia, dell'Angola, della Sierra Leone, della Liberia.

Il caos politico e amministrativo è il miglior ambiente possibile per i traffici di armi, di diamanti, di risorse naturali, di persone e organi umani. Per far valere la regola del più forte bisogna far sparire le regole dello stato.

In tutti i casi menzionati, e in molti altri, il crimine organizzato transnazionale ha fomentato e mantenuto il conflitto per sfruttare il più a lungo possibile le opportunità dei traffici più disumani. La distinzione tra crimine comune, crimine organizzato, crimine di guerra, crimine ideologico o religioso è sempre più vaga. Le regole del gioco violento e predatorio cambiano ogni giorno in Irlanda o in Congo, e quando salta tutto, come nei Balcani recentemente (e come forse accadrà prossimamente in aree più vaste), morte, distruzione, destabilizzazione, desolazione sono tali che le difese tradizionali militari con carri armati o bombardamenti aerei diventano impossibili o come sempre inutili.

Già oggi la differenza tra civile e militare nella maggior parte dei conflitti è confusa, indistinguibile. Stabilire chi siano i vincitori e chi i vinti è altrettanto capzioso. Una cosa è certa: il crimine organizzato è protagonista e ci guadagna sempre parecchio, chiunque vinca e qualunque sia la misura del disastro provocato.

In almeno trenta paesi i ribelli che combattono i governi finanziano la loro guerriglia e le campagne di destabilizzazione con le risorse del narcotraffico o derivanti da altre forme di criminalità organizzata. Non a caso oggi le tre più lunghe guerre civili del mondo, quelle in Colombia, Afghanistan e Myanmar, si combattono in paesi leader nella produzione di droga.

Grazie alle televisioni globali, le notizie più aberranti e i crimini più gravi appaiono ogni giorno nei telegiornali, magari in coda a una partita di calcio o interrotte da spot pubblicitari che promettono crociere meravigliose con scalo nei porti degli stessi paesi in cui si commettono le atrocità peggiori. Ma gli spettatori si abituano, si anestetizzano, non provano indignazione; le analisi scarseggiano, e magari ci si convince che «così va il mondo». Se al contrario riuscissimo a vedere tutte le attività di predazione che avvengono contemporaneamente nel mondo come un insieme unico, e non come episodi singoli quali invece ci vengono presentati, il saccheggio globale ci farebbe rizzare i capelli, e reagiremmo all'istante. Invece la confusione crea apatia.

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Pagina 24

Corruzione globalizzata


Facevano ridere vent'anni fa le storie delle migliaia di paia di scarpe della signora Imelda Marcos, moglie di uno dei presidenti simbolo della corruzione politica. Oggi la pena ridicola, l'amnistia o la grazia presidenziale che cancella decenni di crimini forse fa ridere solo il pluricondannato che l'ha ottenuta. Che un presidente africano alle soglie del 2000 abbia rubato dalle casse dello stato 4,3 miliardi di dollari (più di 8000 miliardi di vecchie lire) non lascia più alcuno spazio all'ilarità. Disgusta che un presidente eletto con oltre i due terzi di voti, come Menem in Argentina, abbia usato la fiducia del popolo per lucrare miliardi di dollari in bustarelle vendendo armi alla Croazia, in netta violazione dell'embargo internazionale.

Le democrazie, dunque, non sembrano più immuni delle dittature alla criminalità. Sia Menem in Argentina, sia Milosevic in Iugoslavia o Fujimori in Perù sono saliti al potere tramite libere elezioni. Negli ultimi anni si è registrata una corruzione politica diffusa in grandi paesi come il Messico, l'Italia, la Colombia, la Nigeria, le Filippine, l'Indonesia, la Thailandia, l'Argentina, mentre i paesi completamente immuni da corruzione sono davvero pochi. I soldi dello stato, cioè di tutti, finiscono sempre più in mano a pochi o pochissimi ladroni. A facilitare la corruzione sono quasi sempre i grandi traffici di droga e di armi, lo scambio di favori, contratti stipulati senza l'emissione di regolari gare d'appalto per lavori pubblici nazionali e internazionali.

La corruzione dei colletti bianchi e il loro coinvolgimento in frodi finanziarie quali il riciclaggio di denaro sporco, l'usura, la frode bancaria, sono un fertile terreno di coltura per i profitti raccolti dal crimine organizzato. Per esempio, in Gran Bretagna la sola frode bancaria costa a ogni contribuente 15 euro all'anno; il 70% delle ditte commerciali sono state vittime di frodi, il 60% delle quali perpetrate da manager della stessa compagnia. I due terzi delle maggiori multinazionali della lista di Fortune 500 hanno subito condanne per una qualche forma di abuso finanziario. Nel 1993 negli Stati Uniti le banche hanno perso 815 milioni di dollari per frodi e solo 53 milioni per rapine. Secondo la Banca Mondiale la corruzione rallenta la crescita di un paese di almeno l'1% l'anno. Per paesi che crescono al ritmo annuo del 2-3%, ciò significa la metà del loro tasso di sviluppo. Le grandi mafie asiatiche come la Triade cinese, la Yakuza giapponese e le mafie russe sembrano oggi tra le più attive nei sistemi globali di corruzione. Infine, il principio che chi stabilisce le regole degli affari, cioè la politica, non partecipa al gioco del business, non è più universale. In Thailandia, in Italia e in alcuni paesi arabi, le persone più ricche del paese sono state elette democraticamente a capo del governo. Negli Stati Uniti non è un grande scandalo che il presidente difenda gli interessi del big business nel confronto sui temi ambientali a danno di milioni di persone in ogni parte del mondo. In Giappone la Mitsubishi ha sempre pagato un terzo di tutte le spese del partito al potere.

In Asia, dinamiche di interazione tra business e potere sono diventate una rete intensissima di relazioni quasi incestuose tra democrazie corrotte, burocrazie inerti, affari leciti e illeciti. Tutti pagano tutto a tutti, e i più tacciono. Ma la celebrazione del potere ottenuto con la prepotenza e la corruzione non è sempre duratura. Craxi fu condannato, Menem è in prigione, Milosevic anche; le ricchezze di Estrada (Filippine), Fujimori (Pero/Giappone), Wahid (Indonesia) e di altri capi di stato nel Sud-Est asiatico e in Europa vengono vagliate al fine di rintracciarne l'origine.

I rapporti troppo ravvicinati tra banche e potere in Thailandia nel 1996 hanno fatto precipitare tutte le economie asiatiche in una grave crisi. Le mele marce sfidano tutte le regole della legge e della moralità, ma, si spera, non la legge di gravità di Newton. Alla fine dovrebbero cascare.

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