Copertina
Autore Italo Calvino
Titolo Lezioni americane
SottotitoloSei proposte per il prossimo millennio
EdizioneGarzanti, Milano, 1993 [1988], Saggi blu , Isbn 978-88-11-59815-2
LettoreRenato di Stefano, 1996
Classe critica letteraria
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Indice


    1  Leggerezza        3

    2  Rapidità         31

    3  Esattezza        55

    4  Visibilità       79

    5  Molteplicità     99


 

 

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Pagina 4

1
Leggerezza



Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver più cose da dire.

Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

In questa conferenza cercherò di spiegare - a me stesso e a voi - perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; conte situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro.

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Pagina 9

Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi...

Poi, l'informatica. E' vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.

E' legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del mondo che corrisponda ai miei desideri? Se l'operazione che sto tentando mi attrae, è perché sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto antico nella storia della poesia.

Il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. E' il poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. La più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani. La poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo.

Questa polverizzazione della realtà s'estende anche agli aspetti visibili, ed è là che eccelle la qualità poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie tutte simili e tutte diverse che l'onda mollemente spinge sulla bibula barena, sulla sabbia che s'imbeve (II, 374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo mentre camminiamo (III, 381-390).

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Pagina 21

La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell'epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo, che e stata studiata in Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, cosi lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l'io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono.

Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l'accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi definisce la melanconia (atto IV, scena I):

    ... but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.

    ... è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.

Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d'umori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto ciò che costituisce l'ultima sostanza della molteplicità delle cose.

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Pagina 31

2
Rapidità

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Pagina 44

Nella mia precedente conferenza sulla leggerezza avevo citato Lucrezio che vedeva nella combinatoria dell'alfabeto il modello dell'impalpabile struttura atomica della materia; oggi cito Galileo che vedeva nella combinatoria alfabetica («i vari accozzamenti di venti caratteruzzi») lo strumento insuperabile della comunicazione. Comunicazione tra persone lontane nello spazio e nel tempo, dice Galileo; ma occorre aggiungere comunicazione immediata che la scrittura stabilisce tra ogni cosa esistente o possibile.

Dato che in ognuna di queste conferenze mi sono proposto di raccomandare al prossimo millennio un valore che mi sta a cuore, oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo: in un'epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d'appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensi esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.

Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui records segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini. Ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare, né può disporre i propri risultati in una prospettiva storica. La velocità mentale vale per sé, per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l'utilità pratica che si possa ricavarne. Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d'un ragionamento ponderato; tutt'altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza.

Ogni valore che scelgo come tema delle mie conferenze, l'ho detto in principio, non pretende d'escludere il valore contrario: come nel mio elogio della leggerezza era implicito il mio rispetto per il peso, cosi questa apologia della rapidità non pretende di negare i piaceri dell'indugio. La letteratura ha elaborato varie tecniche per ritardare la corsa del tempo: ho già ricordato liberazione; mi resta da accennare alla digressione.

Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari; in letteratura, il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco: non si tratta d'arrivare prima a un traguardo stabilito; al contrario l'economia di tempo è una buona cosa perché più tempo risparmiamo, più tempo potremo perdere. La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s'accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all'altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte.

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Pagina 47

Già dalla mia giovinezza ho scelto come mio motto l'antica massima latina Festina lente, affrettati lentamente. Forse più che le parole e il concetto è stata la suggestione degli emblemi ad attrarmi. Ricorderete quello del grande editore umanista veneziano, Aldo Manuzio, che su ogni frontespizio simboleggiava il motto Festina lente in un delfino che guizza sinuoso attorno a un'àncora. L'intensità e la costanza del lavoro intellettuale sono rappresentate in quell'elegante marchio grafico che Erasmo da Rotterdam commentò in pagine memorabili. Ma delfino e àncora appartengono a un mondo omogeneo d'immagini marine; e io ho sempre preferito gli emblemi che mettono insieme figure incongrue ed enigmatiche come rebus. Come la farfalla e il granchio che illustrano il Festina lente nella raccolta d'emblemi cinquecenteschi di Paolo Giovio, due forme animali entrambe bizzarre ed entrambe simmetriche, che stabiliscono tra loro un'inattesa armonia.

Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. Nella mia predilezione per l'avventura e la fiaba cercavo sempre l'equivalente d'un'energia interiore, d'un movimento della mente. Ho puntato sull'immagine, e sul movimento che dall'immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che non si può parlare d'un risultato letterario finché questa corrente dell'immaginazione non è diventata parola.

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Pagina 55

3
Esattezza

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Pagina 59

Ma forse l'inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né fine. Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d'opporre l'unica difesa che riesco a concepire: un'idea della letteratura.

Dunque posso definire anche negativamente il valore che mi propongo di difendere. Resta da vedere se con argomenti altrettanto convincenti non si possa difendere anche la tesi contraria. Per esempio, Giacomo Leopardi sosteneva che il linguaggio è tanto più poetico quanto più è vago, impreciso.

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Pagina 72

Dal momento in cui ho scritto quella pagina mi è stato chiaro che la mia ricerca dell'esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; e dall'altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell'aspetto sensibile delle cose.

In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza: una che si muove nello spazio mentale d'una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l'altra che si muove in uno spazio gremito d'oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile. Sono due diverse pulsioni verso l'esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta: l'una perché le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati, comportano sempre una certa quantità di rumore che disturba l'essenzialità dell'informazione; l'altra perché nel render conto della densità e continuità del mondo che ci circonda il linguaggio si rivela lacunoso, frammentario, dice sempre qualcosa in meno rispetto alla totalità dell'esperibile.

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Pagina 99

5
Molteplicità

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Pagina 104

A questa visione Gadda era condotto dalla sua formazione intellettuale, dal suo temperamento di scrittore, e dalla sua nevrosi. Come formazione intellettuale Gadda era un ingegnere, nutrito di cultura scientifica, di competenze tecniche e di una vera passione filosofica. Quest'ultima egli la tenne - si può dire - segreta: è solo nelle sue carte postume che fu scoperto l'abbozzo d'un sistema filosofico che si rifà a Spinoza e a Leibniz. Come scrittore, Gadda - considerato come una sorta d'equivalente italiano di Joyce - ha elaborato uno stile che corrisponde alla sua complessa epistemologia, in quanto sovrapposizione dei vari livelli linguistici alti e bassi e dei più vari lessici. Come nevrotico, Gadda getta tutto se stesso nella pagina che scrive, con tutte le sue angosce e ossessioni, cosicché spesso il disegno si perde, i dettagli crescono fino a coprire tutto il quadro. Quello che doveva essere un romanzo poliziesco resta senza soluzione; si può dire che tutti i suoi romanzi siano rimasti allo stato d'opere incompiute o di frammenti, come rovine d'ambiziosi progetti, che conservano i segni dello sfarzo e della cura meticolosa con cui furono concepite.

Per valutare come l'enciclopedismo di Gadda può comporsi in una costruzione compiuta, bisogna rivolgersi ai testi più brevi, come per esempio una ricetta per il «risotto alla milanese», che è un capolavoro di prosa italiana e di sapienza pratica, per il modo in cui egli descrive i chicchi di riso in parte rivestiti ancora del loro involucro («pericarpo»), le casseruole più adatte, lo zafferano, le varie fasi della cottura. Un altro testo consimile è dedicato alla tecnologia edilizia che dopo l'adozione del cemento armato e dei mattoni vuoti non preserva più le case dal calore né dal rumore; ne segue una grottesca descrizione della sua vita in un edificio moderno della sua ossessione per tutti i rumori dei vicini che gli arrivano agli orecchi.

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Pagina 106

Se la scrittura di Gadda è definita da questa tensione tra esattezza razionale e deformazione frenetica come componenti fondamentali d'ogni processo conoscitivo, negli stessi anni un altro scrittore di formazione tecnico-scientifica e filosofica, anche lui ingegnere, Robert Musil, esprimeva la tensione tra esattezza matematica e approssimazione degli eventi umani, mediante una scrittura completamente diversa: scorrevole e ironica e controllata. Una matematica delle soluzioni singole: questo era il sogno di Musil:

[...]

La conoscenza per Musil è coscienza dell'inconciliabilità di due polarità contrapposte: una che egli chiama ora esattezza ora matematica ora spirito puro ora addirittura mentalità militare, e l'altra che chiama ora anima ora irrazionalità ora umanità ora caos. Tutto quello che egli sa o che egli pensa, lo deposita in un libro enciclopedico a cui cerca di conservare la forma di romanzo, ma la struttura dell'opera cambia continuamente, gli si disfa tra le mani, cosicché non solo non riesce a finire il romanzo, ma neppure a decidere quali dovrebbero esserne le linee generali, per contenere l'enorme massa di materiali entro precisi contorni. Un confronto tra i due scrittori-ingegneri, Gadda, per cui comprendere era lasciarsi coinvolgere nella rete delle relazioni, e Musil che dà l'impressione di capire sempre tutto nella molteplicità dei codici e dei livelli senza lasciarsi mai coinvolgere, deve registrare anche questo dato comune a entrambi: l'incapacità a concludere.

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Pagina 113

Ricordiamo che il libro che possiamo considerare la più completa introduzione alla cultura del nostro secolo è stato un romanzo: Der Zauberberg (La montagna incantata) di Thomas Mann. Si può dire che dal mondo chiuso del sanatorio alpino si dipartano tutti i fili che saranno svolti dai maitres à penser del secolo: tutti i temi che ancor oggi continuano a nutrire le discussioni vi sono preannunciati e passati in rassegna.

Quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l'idea d'una enciclopedia aperta, aggettivo che certamente contraddice il sostantivo enciclopedia, nato etimologicamente dalla pretesa di esaurire la conoscenza del mondo rinchiudendola in un circolo. Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima.

A differenza della letteratura medievale che tendeva a opere che esprimessero l'integrazione dello scibile umano in un ordine e una forma di stabile compattezza, come la Divina Commedia, dove convergono una multiforme ricchezza linguistica e l'applicazione d'un pensiero sistematico e unitario, i libri moderni che più amiamo nascono dal confluire e scontrarsi d'una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare, stili d'espressione. Anche se il disegno generale è stato minuziosarnente progettato, ciò che conta non è il suo chiudersi in una figura armoniosa, ma è la forza centrifuga che da esso si sprigiona, la pluralità dei linguaggi come garanzia d'una verità non parziale. Com'è provato proprio dai due grandi autori del nostro secolo che più si richiamano al Medioevo, T.S. Eliot e James Joyce, entrambi cultori di Dante, entrambi con una forte consapevolezza teologica (sia pur con diverse intenzioni).

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Pagina 116

Il modello della rete dei possibili può dunque essere concentrato nelle poche pagine d'un racconto di Borges, come può fare da struttura portante a romanzi lunghi o lunghissimi, dove la densità di concentrazione si riproduce nelle singole parti. Ma direi che oggi la regola dello «scrivere breve» viene confermata anche dai romanzi lunghi, che presentano una struttura accumulativa, modulare, combinatoria.

Queste considerazioni sono alla base della mia proposta di quello che chiamo «l'iper-romanzo» e di cui ho cercato di dare un esempio con Se una notte d'inverno un viaggiatore. Il mio intento era di dare l'essenza del romanzesco concentrandola in dieci inizi di romanzi, che sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata. Lo stesso principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile è alla base d'un altro mio libro, Il castello dei destini incrociati, che vuol essere una specie di macchina per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili come un mazzo di tarocchi. Il mio temperamento mi porta allo «scrivere breve» e queste strutture mi permettono d'unire la concentrazione nell'invenzione e nell'espressione con il senso delle potenzialità infinite.

Un altro esempio di ciò che chiamo «iper-romanzo» è La vie mode d'emploi di Georges Perec, romanzo molto lungo ma costruito da molte storie che si intersecano (non per niente il suo sottotitolo è Romans al plurale), facendo rivivere il piacere dei grandi cicli alla Balzac.

Credo che questo libro, uscito a Parigi nel 1978, quattro anni prima che l'autore morisse a soli 46 anni, sia l'ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo. E questo per molti motivi: il disegno sterminato e insieme compiuto, la novità della resa letteraria, il compendio d'una tradizione narrativa e la summa enciclopedica di saperi che danno forma a un'immagine del mondo, il senso dell'oggi che è anche fatto di accumulazione del passato e di vertigine del vuoto, la compresenza continua d'ironia e angoscia, insomma il modo in cui il perseguimento d'un progetto strutturale e l'imponderabile della poesia diventano una cosa sola.

 

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Riferimenti


Nota bibliografica

Elenco delle edizioni italiane dalle quali sono tratte
le citazioni d'autore.

Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto, traduzione di
    Carlo Montella e Luca Merlini, Passigli Editori, Firenze
    1983.
Roland Barthes, La camera chiara, traduzione di Renzo
    Guidieri, Einaudi, Torino 1980.
Cyrano de Bergerac, L'altro mondo ovvero Stati e imperi
    della Luna, traduzione di Giovanni Marchi, Edizioni
    Theoria, Roma 1982.
Thomas De Quincey, Il postale inglese, traduzione di Roberto
    Barbolini, Cappelli, Bologna 1984.
Emily Dickinson, Poesie, traduzione di Margherita Guidacci,
    Rizzoli, Milano 1979.
Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: Un'Eterna Ghirlanda
    Brillante, traduzione di Settimo Termini, Adelphi,
    Milano 1984.
Ignacio de Loyola, Gli esercizi spirituali, traduzione di
    Pio Bondioli, Società Editrice «Vita e pensiero», Milano
    1944.
Henry James, La belva nella giungla, traduzione di Carlo
    Izzo, Bompiani, Milano 1980.
Robert Musil, L'uomo senza qualità, traduzione di Anita Rho,
    Einaudi, Torino 1957.
Charles Perrault, I racconti di Mamma l'Oca, traduzione di
    Elena Giolitti, Einaudi, Torino 1957.
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto - La
    prigioniera, traduzione di Paolo Serini, Einaudi, Torino
    1978.
Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere, traduzione di
    Giovanni Bogliolo, Einaudi, Torino 1981.
William Shakcspeare, Romeo e Giulietta, traduzione di Cesare
    Vico Lodovici, Einaudi, Torino 1960.
William Shakespeare, La tempesta, traduzione di Cesare Vico
    Lodovici, Einaudi, Torino 1960.
William Shakespeare, Come vi piace, traduzione di Cesare
    Vico Lodovici, Einaudi, Torino 1960.
Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, traduzione di Carlo
    Formichi, Mondadori, Milano 1983.
Paul Valéry, Monsieur Teste, traduzione di Giorgio Agamben,
    Il Saggiatore, Milano 1961.
Paul Valéry, Varietà, traduzione di Stefano Agosti, Rizzoli,
    Milano 1971.
Paul Valéry, Quaderni, traduzione di Ruggero Guarini,
    Adelphi, Milano 1985.


 

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